Ammetto come lettrice e libraia di essere vittima di preconcetti sugli autori.
E' un limite, lo so, ma se a monte sono consapevole che un autore mi sta sulle ovaie per un qualche motivo (era un misogino, un violentatore seriale, un terrorista, la compagna di un ex terrorista che si ostina a difenderlo ecc ecc) mi passa la voglia di applicarmi. Penso che in linea di massima essendoci una vasta letteratura in cui immergersi non avrò poi fatto questo gran danno.
Tuttavia un autore ha scardinato le mie certezze e no, non è quel maniaco di D'Annunzio, ma Yukio Mishima.
So che ha molto successo tra la popolazione maschile, affascinata non tanto dai romanzi, quanto dalla produzione sulle regole dei samurai, l'uomo virile, mens sana in corpore sano e combattente ecc. ecc. insomma, tutta quella retorica machista tipo "tanti nemici tanto onore" che fa sentire fico anche l'essere di sesso maschile più imbelle.
Io quella parte, devo dire, me la sono risparmiata. Lessi casualmente "Dopo il banchetto", quando ero ancora alle superiori, e nonostante parlasse di un donna proprietaria di una sorta di ristorante che raccoglie fondi elettorali per suo marito (in una società formale come quella giapponese lanciarsi in qualcosa che abbia a che spartire con le cariche pubbliche è tipo un incubo), mi piacque moltissimo. Lessi di seguito "La voce delle onde" e "Morte di mezza estate", ma dovevo ancora imbattermi sia in quello che è universalmente considerato il suo capolavoro, sia in quello che personalmente considero il mio preferito.
Il primo è "Confessioni di un maschera", (ed. Feltrinelli appena 7,50 euros!) e a questo punto possiamo dirlo: per chi lo ignorasse, Yukio Mishima era ossessionato da un nazionalismo iperpatriottico che lo portò a commettere seppuku in diretta tv nazionale dopo aver occupato il ministero della difesa (o come lo chiamano in Giappone). Sì, è assurdo, sì anche io ho pensato fosse ancora più assurdo quando ho letto per bene la descrizione che qui vi risparmio, ma si trova agevolmente nel web.
Era perciò costui un esaltato di idee neanche tanto criptofasciste, eppure, al contempo era un genio.
In "Confessioni di una maschera", Mishima descrive senza dirlo apertamente, (il protagonista non dice mai il proprio nome), la propria infanzia e adolescenza sospesa tra due forze terribili e contrastanti: il desiderio disperato di integrarsi con i suoi coetanei in un ambiente molto virilizzato e spesso paramilitare e il desiderio erotico che prova verso gli altri uomini. L'odio, la disperazione, l'angoscia e il livore che il protagonista prova nei confronti della sua natura omosessuale lo spingono a qualsiasi tentativo di rinnegamento, compreso l'approccio amoroso (vano) verso una ragazza.
Forse non tutti sanno che, nonostante Mishima fosse sposato con due figli, ebbe frequenti storie d'amore con altri uomini e si presume che il suo più fidato discepolo (quello che peraltro doveva finirlo nel suicidio rituale) fosse il suo amante.
Devo dire, che sadicamente, penso sempre di disvelare questi particolari omoerotici ai tizi tronfi che se ne vanno baldanzosi con le loro "Lezioni spirituali per giovani samurai" strette tra le mani, ma vilmente taccio.
Il romanzo di Mishima che invece personalmente preferisco è "Musica" (anch'esso ed. Feltrinelli a 7,50 eurosss!) e si tratta di una sorta di mockumentary su carta di un caso psicanalitico.
Lo psicologo Shiomi Kazunori, si vede arrivare in cura una bellissima ragazza di nome Reiko che afferma di non riuscire a sentire la musica. Ovviamente ciò non è possibile e allora la storia, costruita come un giallo investigativo, diventa una ricerca della verità: cos'è che realmente non sente la ragazza? E perché? Cosa si nasconde nel suo passato?
E' veloce, intelligente e diverso dagli altri libri di Mishima, ma trovo che conservi intatto nella scrittura quel tocco torbido e al contempo affascinante che ne era la sua firma e la fonte del suo grande e controverso talento.
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