domenica 30 marzo 2014

Gli scrittori ubriaconi parte I di 1000. Una breve carrelata post sbornia degli scrittori che con gli alcolici e i loro postumi ci hanno convissuto (e magari ci sono pure morti).

"Oh, er bicchiere è vòto" "Aspè vedo shottini a 1 euro!"
E' da stamattina che cerco disperatamente di riprendermi dai postumi di una sbornia, ma non è che sia così semplice (motivo per il quale mi scuserete se questo post sarà anche un attimo ondivago o con parole non esattamente pertinenti), così mi sono venuti in mente una marea di post sull'alcol, vino e affini.
 L'elemento alcolico è sempre stato presente nella letteratura, più o meno in ogni epoca. Gli scrittori/poeti l'hanno sempre usato come fonte di sostegno, ispirazione (e/o vizio che li ha conseguentemente distrutti). Dare una connotazione morale all'uso dell'alcol e del vino in rapporto alla scrittura è un campo minato che la metà basta e non ho abbastanza senno da dissertare adeguatamente sull'argomento. In compenso ho pensato ad una piccola lista di scrittori che hanno fatto largo uso di alcolici, piccola perché come categoria non si sono certo risparmiati in tal senso.


Gli scrittori della grecia antica: 
Il vino in Grecia era un'istituzione. La valenza religiosa e il forte significato simbolico che gli si attribuiva a livello sociale, lo rendevano un elemento il cui valore andava ben oltre quello di stupida bevanda. Il vino, donato da Dioniso, apriva una breccia tra il mondo divino e quello degli uomini. Archiloco che chi ha fatto il liceo classico ricorderà per la faccenda dello scudo abbandonato durante una battaglia (aveva disertato e se ne vantava pure cosa che per i greci era prima inammissibile), si diceva
"So intonare il ditirambo, il bel canto di Dioniso mio signore, quando sono folgorato nel cuore dal vino". Tra gli altri pregi riconosciuti del vino il buon Alceo diceva che "Non bisogna abbandonare l’animo ai mali, infatti non si trae alcun giovamento affliggendosi, o Bicchis, il rimedio migliore è farci portare del vino ed ubriacarsi" e leggendo il "Simposio" di Platone (letteralmente "Simposio" vuol dire "Bere insieme"), si fa il magico incontro con questa allegra usanza dei mitici greci. Il consumo del vino aveva infatti anche una valenza sociale, un allegro rito collettivo che salta letteralmente fuori dalle pagine del dialogo platonico. Peccato che di solito si tenda a ricordare la sola parte dello scambio di miti sulla nascita dell'amore e mai quella in cui Alcibiade piomba al simposio, completamente ubriaco, lamentandosi che Socrate si fa tutti tranne lui, nonostante sia un fantastico bonazzo e l'altro un vecchio barbogio. Alcibiade questo meraviglioso personaggio.
 (Per saperne di più e meglio di questa mia indegna descrizione consiglio "Bere vino puro" di Maria Luisa Catoni ed. Feltrinelli).

Edgar Allan Poe: 
E' poco rispettoso dirlo, ma la palma per la miglior dipartita da alcol va sicuramente al caro Edgar. Trovato ubriaco, delirante, con addosso abiti non suo in un ufficio elettorale di Baltimora (?) morì pochi giorni dopo in ospedale senza essere riuscito a dare spiegazioni in merito. Una morte misteriosa che ben si addice al padre della letteratura horror contemporanea. Fragile e dai nervi delicati, ebbe una vita più agitata di quello che la sua sensibilità potesse sopportare e cercò un sostegno nell'alcol. Il colpo di grazia e il ricorso a quantità elevate di alcolici giunse quando la sua giovanissima moglie morì di tubercolosi. Sposi una tredicenne (sorvoliamo sull'età) e quella dieci anni dopo muore esattamente come nei tuoi incubi e racconti peggiori, ovvio che non reggi.


Anne Sexton: 
Poetessa, bisessuale e femminista Anne Sexton incarna perfettamente un certo immaginario maledetto.
 Al contrario dell'iperperfezionista quasi coetanea Sylvia Plath (di cui era molto amica e si vocifera anche amante) che tentò di rimanere vanamente aggrappata alla vita con le sue sole forze, lei resistette una decina di anni di più tra alcol e farmaci. Probabilmente afflitta (come la Plath) da disturbo bipolare, era figlia di due inumani genitori, molto amanti dell'alcol, che non la sopportavano e le resero l'infanzia un piccolo inferno. Come nel più classico dei copioni, appena potè si sposò e andò via di casa, ebbe due figlie e divenne una sorta di casalinga disperata intrappolata in un quadretto borghese. Ne seguì un esaurimento nervoso a cui seguì una terapia con uno psicologo che le consigliò di dedicarsi alla scrittura per esprimere il suo talento creativo. Nacque così la poetessa in grado di vincere un premio Pulitzer, ma non i suoi demoni. Morì suicida nel 1974.

Patricia Highmsith:
Prima.
Dopo.
 Scrittrice di talento dalla personalità inquieta, particolare e probabilmente insopportabile, la Highsmith potrebbe essere usata per una di quelle moderne campagne sui danni fisici dell'alcol. Bruna e bellissima in gioventù, completamente disfatta a cinquant'anni. Figlia di una madre che avrebbe disperatamente voluto essere qualcuno e la ignorò per gran parte dell'infanzia, e di un padre praticamente mai visto, la Highsmith crebbe ombrosa e intrattabile. La sua precoce passione per i caratteri distorti degli esseri umani condussero il suo grande talento verso il genere "Giallo" ma le sue storie raccontavano ben altro che semplici delitti, erano letteralmente dei viaggi verso la parte oscura degli uomini. La sua vita privata fu costellata da un'infinita sequela di relazioni lesbiche più o meno importanti e da una misantropia crescente col passare degli anni. Più si chiudeva in se stessa, più l'uso dell'alcol cresceva, finché, verso la fine della sua vita, entrambe le tendenze divennero incontrollabili. 
Morì praticamente sola in Svizzera nel 1995, debilitata dal forte uso di alcolici.

Charles Bukowski: 
 Non citare il padre di "Vino-sesso-prostitute-non so cosa fare della mia vita ma è cool così anche se faccio finta che non lo sia" non avrebbe senso in questo post.
  Io non ho nulla contro Charles, (a parte il fatto che non mi piacciono i suoi libri, ma vabbeh quello è il mio gusto personale), il problema sono i suoi epigoni. Ha dato vita a un filone di scansafatiche di presunto talento che rigettano la vita in quanto schifo, amano bere in continuazione e hanno frequenti relazioni più o meno soddisfacenti con delle peripatetiche, fanno lavori saltuari possibilmente in odio al proprio padre. Per carità, anche io detesto il mondo borghese, figurarsi, ma quello che riesce a scrivere uno (e principalmente nel suo caso a inventare a mò di rottura) non è che valga per altri. Anzi, devo dire che non vale proprio per nessuno. Suo principale merito ai miei occhi: aver rivalutato John Fante.

Charles Baudelaire: 
Non scrittore, ma letteralmente archetipo, rappresenta il bohemienne che ognuno di noi avrebbe voluto essere e per ragioni varie ed eventuali (prima tra tutte, il fatto che la vita bohemienne è tutto tranne che comoda e appetibile) non è stato. Figlio di padre anziano e madre verso la quale aveva un complesso di Edipo vagamente accentuato, dopo gli studi vagò esoticamente per il mondo e al suo ritorno iniziò a pubblicare poesie. Sempre in condizioni economiche precarie (peggiorate dal processo per oscenità a "I fiori del male"), afflitto da sifilide e da sempiterne preoccupazioni, affogò letteralmente i suoi dispiaceri nell'assenzio, nel laudano e nell'alcol.
 Morì, anche lui devastato dalla malattia e dagli eccessi, ad appena 46 anni. Potrebbe unirsi alla Highsmith per la campagna "I danni fisici dell'alcol e delle droghe".


Gli scrittori ubriaconi parte I di 1000...



3 commenti:

  1. Ah, il caro Chinasky, sempre così elegante!

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    1. Ti dico solo che all'inizio credevo fosse un fotomontaggio con una scimmia

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    2. In effetti fa un po' pausa della troupe durante le riprese del Pianeta delle scimmie...

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