In Italia i libri per i giovani adulti, Young adult, under 18, adolescenti o come ci si ingegna di chiamarli escono in quantità industriale. Tra le trilogie amorose (ora anche sestologie) con nomi praticamente identici e copertine indistinguibili, scopiazzature di Hunger Games e tentativi pseudodidattici di impegno civile, non si può dire che il settore soffra. Eppure.
Dal film "La Kryptonite nella borsa" |
I libri per YA con protagonisti Lgbt sono ben pochi e la stragrande maggioranza provengono dal mondo anglosassone, come "Will ti presento Will" di John Green (lo stesso di "Colpa delle stelle" sì), "Trevor" di James Lecesne o "Ash" di Malinda Lo.
I libri sul tema frutto di autori italiani credo si possano contare sulle dita di una mano sola: oltre al bel "L'uovo fuori dal cavagno" della bravissima Margherita Giacobino, c'è qualche tentativo di matrice autobiografica come "La kryptonite nella borsa" di Ivan Cotroneo (che però parla dell'infanzia, che i gay non nascono già adulti, come Atena che esce dalla testa di Zeus) o "Tutta colpa di Miguel Bosè" di Sciltian Gastaldi.
Circa un annetto fa, a questa troppo misera lista, è andato ad aggiungersi "L'altra parte di me" di Cristina Obber, ed. Piemme.
Il libro narra la storia d'amore tra due ragazze adolescenti alle prese con problemi molto più grossi di quelli in cui si imbattono gli adolescenti in genere.
Francesca infatti viene da una famiglia bene di Bassano del Grappa, una di quelle dove i genitori sono ricchi, colti, aperti e più o meno di sinistra. Dopo aver conosciuto su fb Giulia che abita in Puglia con la madre e, al suo contrario ha già avuto una storia con una coetanea, e si è dichiarata con sua madre, Francesca pensa di fare coming out con i suoi. In fondo sua madre e suo padre si dichiarano aperti e contro l'omofobia, la prenderanno bene, no?
Eh no, perché forte è la convinzione in troppi genitori che un figlio gay o lesbica sia qualcosa di innaturale, che a loro non può capitare, che è una fase, che uno deve solo trovare sé stesso, che da una famiglia "normale" un figlio omosessuale non può venire fuori. Mettici pure che abiti in una profonda provincia nordica e le tue amiche non abbiano un'apertura mentale degna di questo nome e il patatrac è fatto.
"L'altra parte di me" è un perfetto manuale di quello che sono costretti a passare molti adolescenti Lgbt tra la famiglia che li osteggia, le storie a distanza, genitori che non accettano, nonni che di colpo si allontanano, episodi di omofobia da parte del resto del mondo solo per aver osato tenersi per mano in spiaggia.
Un libro che, secondo me, più che gli YA dovrebbero leggere i genitori degli YA, soprattutto quelli che davanti ad una trama del genere storcono il naso al grido di "A me non può succedere, non mi interessa".
Anche perché Cristina Obber non è un'adolescente lesbica, ma una assai brava giornalista e scrittrice, etero, che si occupa di tematiche femminili trasversali (il suo libro precedente, "Siria Mon Amour" raccontava la storia di una ragazza italo-siriana costretta ad un matrimonio combinato) e ha dimostrato di saper comprendere alla perfezione non solo lo stato d'animo, ma anche gli ostacoli che il mondo pone, senza motivo, sul cammino di tanti ragazzini e ragazzine che vorrebbero solo essere liberi e felici come i loro coetanei.
Di seguito, vi lascio con un'intervista che mi ha gentilmente concesso e di cui la ringrazio moltissimo!
Cosa
leggeva da bambina?
Piccole
donne, Pollyanna, Tom Sawyer, I ragazzi della Via Pal, gli estratti
dei classici su “L’Enciclopedia della donna”. Eravamo una
famiglia semplice ma con la casa piena di enciclopedie, pagate a rate
per anni- compresa una raccolta Rizzoli in tantissimi volumetti blu
-che conservo ancora- che mi hanno fatto scoprire presto Tolstoy,
Victor Ugo, Jane Austen.
Cosa
sta leggendo in questo momento?
In
questi giorni sto leggendo tre libri diversi, a seconda del momento,
tra cui "Fra me e te", conversazioni tra madre e figlia, tra Mariella
Gramaglia e la figlia.
Un
romanzo che vorrebbe assolutamente consigliare?
In
questo momento renderei obbligatoria la lettura di Goliarda Sapienza,
“Larte della gioia”, che da’ respiro alla vita e all’amore,
di questi tempi particolarmente offuscati. Organizzerei letture
pubbliche in Piazza San Marco, per cominciare.
C'è
un romanzo in particolare che la colpì quando lei era una “giovane
adulta”?
“La
Storia” di Elsa Morante, che ho portato all’esame di una maturità
elettrotecnica. L’ho ricomprato di recente, perché la MIA copia è
andata perduta, probabilmente prestata. Ricordo che nel periodo in
cui la leggevo Elsa Morante tentò il suicidio e mi parve qualcosa di
naturale, come se me lo aspettassi.
All'inizio
del libro si legge che “L'altra parte di me” è stato ispirato da
due ragazze incontrate davanti alla macchinetta del caffé. In che
modo? E' la loro storia?
Vi
sono alcuni momenti tratti dalla loro storia.
Le ho conosciute in
università a Milano, sembravano una coppia appena formata, molto
tenere tra loro in ogni pausa tra una lezione e l’altra. Di fronte
ad un abbraccio ho chiesto da quanto stavano insieme e mi hanno
risposto Sette anni.
Erano in fase Ikea, stavano cercando casa per
andare a vivere insieme. E’ stato lì che ho sentito che bisognava
raccontare dell’amore che funziona, che dura, che vince. Che
diventa un progetto di vita, una felicità possibile.
Lei,
oltre a scrivere questo libro, è stata anche al pride
milanese lo scorso giugno.
Per quale motivo ha scelto di lottare per i diritti
Lgbt?
Diciamo
che quando incontro dei diritti violati mi arrabbio, a prescindere.
Io i diritti li ho e li voglio per tutti.
Girando le scuole in tutta
Italia dal 2012 con il libro "Non lo faccio più", che racconta dello
stupro vissuto da chi lo subisce e da chi lo infligge, mi sono resa
conto quanto tra ragazzi e ragazze delle superiori fosse ancora viva
una omofobia lieve, non apparentemente violenta, di cui a volte non
sono nemmeno consapevoli di soffrire.
Qualcosa che conosco bene tra
la mia generazione ma non pensavo così ancora interiorizzata tra i
banchi di scuola. E’ stata questa esperienza di discussione nelle
scuole che ha creato i presupposti dentro di me affinché affinché
mi dicessi: ecco di cosa dobbiamo parlare, non di omofobia ma di
amore. Se ti avvicini all’amore, all’omoaffettività, scopri che
non ha niente di speciale, che è semplice e naturale come
l’eteroaffettività, e l’omofobia si sgretola di
conseguenza.
Venezia è stata protagonista di un caso che ha fatto
molto clamore. Il sindaco ha infatti stilato una lista di 49 libri
per bambini da ritirare dalle scuole in quanto portatori della fantomatica "teoria
del gender". Cosa pensa, da scrittrice, di questa storia?
Già
la parola censura mi fa venire i brividi, di per sè. Che poi si
censurino dei libri -mi domando se avendoli letti- che raccontano ai
bambini di amore e rispetto per gli altri e per se stessi, di cos’è
l’identità, è inaccettabile in qualunque società.
Non
mi basta l’alibi dell’ignoranza, non mi bastano le scuse. Questo
è un atto gravissimo di non civiltà e proprio in una città che
storicamente si è aperta al mondo e che accoglie il mondo.
Credo
che l’allarmismo creato intorno a una inesistente teoria del gender
dimostri soprattutto quanto, non avendo tempo per informarci, ci
lasciamo influenzare da slogan e tecniche di manipolazione mediatica
per quanto misere ancora efficaci.
Ne
“L'altra parte di me” appaiono moltissimi piccoli episodi di
omofobia sia all'interno della famiglia che da parte del mondo
esterno, che purtroppo la stragrande maggioranza delle persone Lgbt ha sperimentato. Come è
riuscita a immedesimarsi così bene in due adolescenti
lesbiche?
Cristina Obber |
Sono
una persona curiosa, sono sempre entrata nelle vite degli altri con
grande empatia, e questa mia caratteristica mi viene in aiuto ogni
volta che scrivo.
Ogni personaggio porta con sé un collage di
emozioni ed esperienze che ho incontrato nella mia -lunga- vita
relazionale.
Conosco le difficoltà che hanno incontrato negli anni
amiche lesbiche e amici gay miei coetanei, mi è capitato di
raccogliere confidenze anche di giovanissime/i e che sono riaffiorate
durante la stesura e si sono intrecciate con gli episodi di cui mi
hanno parlato le due ragazze che hanno ispirato la storia. E poi
quando scrivi tu diventi i tuoi personaggi, a me almeno accade così.
Nel periodo di lavoro più intenso giravo per strada sentendomi una
ragazza lesbica e innamorata, me ne rendevo conto all’improvviso,
percepivo una sorta di confusione, piacevole e stimolante. Sono stata
un’adolescente ribelle, sono una donna ribelle, conosco quella
forza, mi appartiene.
Quando ho scritto la scena in cui Francesca
scrive Lesbica sul muro della sua stanza, in quella rivendicazione di
sè, quella Francesca ero io.
La
famiglia di Francesca fa parte della
buona borghesia e almeno apparentemente sembra molto politically
correct. Quando però la figlia fa coming out, la loro
reazione è fortemente negativa. Secondo lei perché molte famiglie
che sembrerebbero preparate si dimostrano in realtà ostili?
La
cosa più difficile, soprattutto da adulti, è ammettere le nostre
contraddizioni.
Per questo i genitori li ho fatti di sinistra e
colti, aperti e liberi soltanto a parole. Perché se non ci sforziamo
di ascoltare il nostro ombelico e ammettere le nostre difficoltà
continueremo a esserne vittime, come accade ad Valeria e Antonio, che
rimangono spiazzati.
Siamo generazioni cresciute con l’omofobia
dentro, come ho scritto su un pezzo per il blog La27esima ora del
Corriere della sera
(http://27esimaora.corriere.it/articolo/mi-turbava-immaginare-due-uomini-che-si-baciano-vi-racconto-perche-non-e-piu-cosi/).
Ho voluto scavare molto nei sentimenti dei genitori proprio perché
essere omofobi non è una colpa, la colpa sta nel non volerlo
ammettere e ripartire da sé per diventare non solo genitori migliori
ma persone più serene. Loro impiegano quattro anni a capire che
l’amore della figlia non è una minaccia ma una benedizione.
Quattro anni di quella che nel libro chiamo la “fatica inutile”,
una sofferenza per Francesca ma anche per tutta la famiglia che non
aveva ragione d’essere.
Sono molti gli adulti che mi scrivono
ringraziandomi per averli fatti riflettere sul loro essere
eventualmente preparati a sentirsi fare coming-out dai figli. Molti
ammettono di riconoscersi nelle difficoltà di Valeria e Antonio.
Credo che i genitori di domani saranno migliori rispetto a questo,
meno stereotipi, più modelli di riferimento, significa meno paura e
maggiore serenità per tutti.
Lei
ha portato il suo libro in giro per moltissime presentazioni in
Italia. Quali sono state le reazioni dei lettori e delle lettrici?
C'è qualche storia che l'ha colpita in particolar modo?
Le
reazioni sono le più diverse. Mi piace quando ragazze lesbiche o ragazzi gay si
fanno autografare il libro chiedendo una dedica per la mamma, o
quando dei nonni lo vogliono regalare ai nipoti perché nel libro il
personaggio della nonna sottolinea come anche quanto questi legami
siano fondamentali nel percorso di crescita di un’adolescente.
Mi
ha commosso un padre, a Torino, che mi ha chiesto la dedica al figlio diciannovenne che aveva appena fatto coming out.
Questo padre parlava con
gli occhi lucidi: “Mio figlio me l’ha detto solo adesso, ma lo ha
capito quando aveva 11 anni. Sto malissimo per non averlo saputo
prima, perché per me non sarebbe stato un problema, ma lui aveva
paura a dirlo e io non gli sono stato vicino in tanti anni in una
cosa così importante”.
Non parlarsi può anche significare negarsi
una felicità già a disposizione.
In
Italia, l'editoria per giovani adulti a tematica Lgbt, non è ancora
così diffusa, come ad esempio, negli Usa. Lei ha avuto difficoltà nel
pubblicare “L'altra parte di me”? Pensa che le cose
cambieranno?
Piemme
ha accolto subito con favore questa storia fin dai primi capitoli,
volevano sapere cosa sarebbe successo a questo amore, hanno condiviso
il senso che volevo dare al libro.
C’è stato qualche tentativo di
censura per le pagine in cui si racconta la prima volta tra le due
ragazze, ma questo perché non siamo abituati a rapportarci con la
sessualità lesbica e c’era timore di creare turbamento. Alla fine
hanno compreso le mie ragioni e la delicatezza con cui ho raccontato
la passionalità tra le ragazze non fa che restituire un’immagine
di sessualità autentica e semplice, lontana dagli stereotipi
sessisti alimentati dai tabù.
Qualche
problema si riscontra in libreria, dove un libro così viene
difficilmente consigliato perché considerato di nicchia, adatto
soltanto ad un pubblico omosessuale, mentre è rivolto, come ogni
storia d’amore, a chiunque. Le cose stanno cambiando, ma a passi
troppo piccoli.
Tra
i suoi libri precedenti ce n'è un altro che mette al centro un forte
scontro generazionale su una tematica fondamentale: le differenze
culturali che ci sono tra le prime e le seconde generazioni di
migranti.
Si tratta di “Siria mon amour”, che parte da una storia
vera. Com'è nata l'idea di questo libro?
Siria
mon amour è tratto dalla storia vera di Amani El Nasif, una ragazza
italo-siriana che a 16 anni è stata portata in Siria con l’inganno
per un matrimonio combinato a cui si è ribellata. Conoscevo Amani
fin da quando era bambina, non è stato difficile riuscire a
immedesimarmi nel suo dolore per raccontarlo.
L’ho rivista dopo
anni, mi ha detto in poche parole cosa le era successo in Siria e io
le ho detto subito "Queste cose bisogna raccontarle, non devono più
accadere, devi scrivere un libro". Lei ha risposto "Ma io non so
scrivere" e io le ho detto "Ma io sì". E così abbiamo cominciato ad
incontrarci, soprattutto in skype.
E’ stato un lavoro bellissimo
anche se emotivamente molto faticoso; iniziavo un capitolo ricordando
qualcosa che mi aveva raccontato e a volte mentre scrivevo mi
scendevano le lacrime. Poi le spedivo il testo e piangeva anche lei,
mi chiedeva come avevo fatto a trovare le parole.
Quando scrivi il
tuo personaggio diventi tu, ma lei esisteva, da piccola era la
migliore amica di mia figlia Giulia, le volevo bene, il suo dolore
era diventato mio.
Come
mai ha deciso di dedicare la sua scrittura a temi di stampo sociale e
civile?
Non
l’ho deciso, è accaduto. Non lo faccio più è nato un pomeriggio
in auto, da una notizia alla radio di uno stupro di gruppo tra
minorenni. Mi sono detta Forse ai ragazzi non glielo abbiamo spiegato
bene cosa significa subire una violenza così grande, forse se glielo
spieghiamo con le parole di una ragazza che lo sa, non lo faranno
più. In quel momento mi sono chiesta cosa restasse addosso ai maschi
dopo, e così ho pensato che avrei voluto incontrarli in carcere.
In
cinque minuti avevo tutto il libro in testa.
Come
Siria non amor tutto è partito da un moto di rabbia nella pancia.
Questi
tre libri in fondo sono legati da un filo che si chiama ribellione.
Quella delle ragazze, la mia.
Ci
sono progetti letterari prossimi venturi?
Ho
tre cose che scalpitano, sono in modalità ascolto per capire a quale
voglio dare spazio per prima. "Siria non amour" l’ho iniziato
nell’estate 2011 in Corsica. L’altra parte di me nel 2013 a
Formentera. Entro la fine dell’estate avrò la mia risposta.
Mi sa tanto che questi tre libri finiranno nella mia lista.
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