mercoledì 30 settembre 2015

Gli Haters nella storia. Linciamo meglio noi o linciavano verbalmente meglio i nostri antenati? Una carrellata a base di Parresia, Alexandre Dumas, regine francesi, duchi jettatori e feroci Saladini per stabilire chi detiene il primato.

 Questa estate chiunque abbia avuto la ventura di aprire un giornale, avrà assistito alla querelle tra Aurora Ramazotti e il non mai ben identificato (ma molto citato dai giornalisti) "popolo di internet". 
Costei, è stata scelta per la sua bellezza e i suoi natali famosi per condurre una qualche striscia giornaliera di X-Factor, scatenando le ire di una popolazione che non parla mai di nepotismo se non quando a nepotare sono politici e artisti (solo alcuni artisti tra l'altro).
 E' sembrato che tra i vari scempi della terra, prendersela con Aurora Ramazzotti (la quale figliola in effetti poteva anche evitare di negare ciò che era evidente ossia che era stata scelta in quanto molto ben esposta figlia di) accusandola di varie nefandezze, fosse la cosa più sensata da fare.
 Siccome bisogna sempre usare termini inglesi, tali gentili persone che sul web amano linciare verbalmente il prossimo certi di un'immunità sconvolgente, vengono detti: haters. 
 E siccome bis, noi crediamo all'alba del 2015 di aver inventato cose mai viste prima sulla terra, ci stracciamo le vesti al grido di "O tempora, o mores!", che gente che gira, internet ci condurrà alla perdizione, ora si può linciare chiunque con una tastiera, cose mai viste.
 In effetti il potere invasivo della rete e soprattutto la velocità di propagazione delle informazioni e anche dell'odio non hanno precedenti nella storia, pur tuttavia, le calunnie storiche e gli haters sono sempre esistiti e svariati personaggi ne hanno fatto copiose spese. Vogliamo vedere chi vince? Se noi o i nostri illustri antenati?
 Let's go in questa gara del linciaggio!

ASPASIA E LA PARRESIA:
 Le donne non hanno mai goduto di buona fama. Checché se ne dica, anche ora appena una donna raggiunge un traguardo di successo tocca dirne male: è raccomandata, l'ha data a qualcuno, lo potevo fare pure io, perché non sta a casa a fare la calza e i figli, ok è brava, ma è un cesso.
  Il fatto che una donna possa raggiungere una posizione di potere è ancora un tabù ora figurarsi nell'antichità. E' a loro che sono dedicati i maggiori flame e si sono meritari i più perfidi haters.
Sorvolando su Giovenale mitico fustigatore delle donne con la sua terribile satira "Contro le donne", alcuni personaggi storici si sono meritati trattamenti degni del metodo Boffo. 
 Una per tutte: Aspasia di Mileto.
Costei, straniera, fu la compagna di Pericle che per lei ripudiò la prima moglie, ma che mai potè impalmarla in quanto non ateniese (ma riuscì a far riconoscere la legittimità del figlio).
 Il suo personaggio sconcertava la società ateniese perché era una donna straniera, colta, molto libera che usciva dal ruolo molto rigido riservato alle donne della città. Eppure essa era la compagna amatissima e difesissima di Pericle, creando in tal modo un enorme paradosso che si concluse con una storiografia senza mezzi termini: o completamente a suo favore o completamente a suo sfavore.
 Interessantissima la vicenda che la riguardò proprio per il rapporto tra libertà di espressione, maldicenze, opinioni personali che si mescolavano indistinguibili alla verità oggettiva: fu infatti accusata di empietà e lenocinio (ossia di essere una sorta di tenutaria di bordelli).
 In tal caso la parresia, pilastro fondante della società democratica ateniese, mostrò il suo limite e paradosso.
 La parresia era infatti la libertà del cittadino ateniese di poter esprimere la propria opinione con franchezza. Il problema che si pose proprio in relazione ad Aspasia di Mileto fu che esprimere la propria opinione in libertà e franchezza cozza con l'esistenza stessa della verità: come e  chi può stabilire, per garantire il corretto esercizio della democrazia, quale di queste opinioni sia effettivamente veritiera e meriti credito (e non sia perciò semplice discretito o ignoranza)?
 La storia di Aspasia vi ricorda qualcosa? I linciaggi su internet per dire? La politica dell'uno vale uno? La favolosa credenza che la libertà di opinione valga sempre e comunque a prescindere dal fatto che l'opinione sia veritiera o meno? La creazione di bufale? 
 Cari miei, non ci siamo inventati nulla, come al solito. I Greci ci erano già arrivati e avevano già risolto: la Parresia quando giunge ai suoi estremi è incompatibile con la democrazia.

LE CORNA DEL DUCA:
 Quest'estate è uscito per il Saggiatore un libro "Le corna del duca" su un personaggio storico alquanto singolare: Cesare della Valle conte di Ventignano
Questo nobiluomo ebbe per tutta vita una trista fama alimentata da una serie di coincidenze e da un'infinità di calunnie che lo dipingevano come uno jettatore conclamato.
  In effetti le circostanze della vita non lo aiutarono: la madre morì di parto, il fratello in duello per salvarne l'onore, il padre di crepacuore.
  Vennero poi eventi storici come l'incendio del San Carlo (i calunniatori dicevano che avesse espresso il desiderio di andare a vedere l'opera proprio la sera prima), l'arrivo di Gioacchino Murat proprio quando il duca aveva gridato (assieme ad altre migliaia di persone che però non vennero sospettate di jella): "Viva il re". E poi il genero improvvisamente impotente dopo la sua benedizione, la balia che perdeva latte, il Papa morto dopo un suo bacio all'anello piscatorio, lampadari di cristallo che cadevano al suolo dopo i suoi sentiti complimenti al cristallo, la rivoluzione di Luglio, colpi apoplettici ai vicini e molte altre jatture.
 Il suo nome lo precedeva, tanto che il solito viperoso Dumas ne descrisse la vita stando ben attento a non nominarlo mai (tipo Voldemort) per non destare il suo potere malvagio.
 Un potere che misteriosamente dove non c'erano i suoi calunniatori, lontano da Napoli dove visse felicemente per un lungo periodo sposandosi, non si manifestava mai.

IL FEROCE SALADINO: 
La questione è stata resa benissimo da Tom Gauld
E' una delle leggi alla base di ogni conflitto che si basa in larga parte sulla capacità di smuovere un grande consenso: la demonizzazione dell'avversario. Esso non deve apparire come un essere umano simile a noi, esso deve essere perfido, malvagio, dotato di poteri particolari che volge solo contro di noi, ansioso di dominarci. Eppure il feroce saladino, che aveva tutte le carte in regola per passare all'opinione pubblica e alla storia come l'uomo malvagio grazie al quale gli arabi presero possesso di Gerusalemme e gran parte della terra santa, vinse sulle maldicenze dell'epoca con un comportamento sconcertante.
 Divenne rispettato avversario di Riccardo Cuor di Leone che ne ebbe grande considerazione e si distinse per una serie di leggende più o meno inventate sulla sua proverbiale generosità verso gli avversari (altre leggende lo volevano invece spietato e sanguinario). La buona reputazione ebbe il sopravvento sulla cattiva probabilmente grazie al comportamento tollerante e aperto dei suoi discendenti che trattarono con Federico II una pace che impedì una nuova crociata e incontrarono persino San Francesco che si era recato presso suo figlio per predicargli direttamente il Vangelo.
 Il rovesciamento di una maldicenza fin troppo scontata viene suggellato definitivamente da Dante che lo pone, musulmano, nel limbo, tra le anime di chi, non battezzato, ma giusto, non meritava di finire all'inferno. Certe volte non tutti gli haters storici, per fortuna, vincono.
"Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,

Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
e solo, in parte, vidi ’l Saladino."

Ps. Si consiglia caldamente la lettura de "Le crociate viste dagli arabi" di Amin Maalouf ed. SEI 

REGINE DI FRANCIA:
 Le regine di Francia, in quanto donne, sono sempre state più attaccabili dei loro mariti. Basta leggere "Amanti e regine" della Craveri per sapere come su di loro si accanissero una serie di maldicenze che andavano dal meretricio alla stregoneria, dalla licenziosità dei costumi alle mani bucate.
 Le regine più colpite da pamphlet, libelli e voci incontrollate, furono indubbiamente tre:
 Caterina de'Medici, Anna D'Austria e Maria Antonietta.
Dove c'era da sparlare di qualcuno,
c'era lui: Alexandre Dumas padre
 La prima, toscana, che regnò sulla Francia alla morte del marito e vide perire i suoi figli maschi uno dietro l'altro, venne accusata di stregoneria, satanismo, attaccamento esasperato al potere e di aver avvelenato uno dei suoi figli. 
 Alexandre Dumas padre fu l'autore di quest'ultimo calunnia ne "La regina Margot". Probabilmente pagò lo scotto di essere straniera in un momento storico delicatissimo per le sorti francesi che culminò con la terribile strage di San Bartolomeo che le fu attribuita.
 Anna D'Austria fu un'altra delle vittime della maldicenza del popolo e di Alexandre Dumas. 
 La regina, nonostante fosse sposata al re di Francia sin da giovanissima, riuscì ad avere i due figli, il futuro re Sole e suo fratello, solo sulla soglia dei quarant'anni. Rimasta poi vedova e reggente, venne accusata di avere una torbida relazione col cardinal Mazzarino e di averlo persino sposato in segreto.
 Già prima comunque le era stata attribuita una relazione extracomunigale col duca di Buckingham, fatto centrale de "I tre moschettieri" nel quale i quattro intrepidi vanno al recupero di alcuni diamanti che la regina aveva donato al duca come presunto pegno d'amore. Dalle fonti storiche in realtà Buckingham viene fuori come una specie di stalker della regina, in principio affascinata, successivamente sconvolta.
 Maria Antonietta. 
 Probabilmente uno degli esempi di linciaggio mediatico più eclatanti della storia.
 Accusata di ogni nefandezza dalla facilità con cui spendeva denaro, alle relazioni extraconiugali sia etero che lesbiche, pagò lo scotto di essere una regina non cauta e straniera in un momento storico cruciale. 
Segnale chiaro di quanto le calunnie potessero prendere forma fu il celebre "Scandalo della collana" che vide una serie di intriganti personaggi ordire una complessa truffa ai danni di alcuni gioiellieri francesi fingendo di contrattare a nome della regina.
  Il popolo, nonostante la condanna dei responsabili, considerò comunque la regina colpevole del complotto di cui era vittima.

 Aaaah volevo continuare, ma è già venuto un post lunghissimo! Magari ne farò una seconda parte, avete suggerimenti? 

Ps. Per le donne dell'antichità linciate c'era l'imbarazzo della scelta, lo so
Ps.2 Ok, ho scritto la questione della Parresia pane al pane, vino al vino. Filosofi perdonatemi.

lunedì 28 settembre 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Regali per gli amici"!

 Uno dei più frequenti motivi di reso di libri in libreria è ovviamente il regalo sbagliato.
Azzeccare il libro giusto non è facile, ma certe volte i clienti riescono a prendere cantonate micidiali. Questa settimana un ragazzo si è superato. Per la cronaca alla fine ha riso parecchio anche lui.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Regali per gli amici"!



sabato 26 settembre 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Tecniche di studio"!

Ed ecco la prima vignetta del fine settimana. Le scuole ricominciano, il settore dei classici della letteratura improvvisamente si svuota e i genitori cercano nuovi sistemi per far studiare i figli.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Tecniche di studio"!



giovedì 24 settembre 2015

A cosa servono gli amori infelici? A scrivere libri e poesie bellissimi (e incidentalmente a rendere eterni alcuni uomini e alcune donne) tra tentativi di rimorchio, ali per volare, friendzone eterne, ballerine e corvi

Francisco Goldman e la moglie Aura
 Una delle cose belle dei clienti in libreria è che, in modi perlopiù misteriosi, vengono a conoscenza di libri particolarissimi che si perdono nel marasma delle troppe, risparmiabili, uscite praticamente quotidiane.   
 Ogni tanto vengono lì, con dei papiri cicciuti e ti viene un colpo. Poi scopri che su quel papiro c'è una meravigliosa bibliografia di libri distopici rari (un ragazzo due settimane fa mi ha fatto avere l'improvvisa necessità di tre o quattro nuovi libri sul tema) o titoli che non sai quando ti sei persa.
Qualche tempo fa una ragazza andava cercando "Chiamala per nome" ed. Il Saggiatore in cui lo scrittore americano Francisco Goldman racconta la storia della sua giovanissima moglie morta in un incidente in mare ad appena trent'anni.
  La ragazza, Aura Estrada, era una dottoranda in letteratura di origine messicana e pare fosse anche una promettente scrittrice. Nonostante la morte fosse avvenuta accidentalmente la famiglia non perdonò Goldman e lo accusò di essere parte in causa nel decesso (come non ho ben capito visto che era cascata dalla tavola da surf). Allo scrittore non rimase che scrivere un libro in sua memoria, "Chiamala per nome", in cui con dolore si riappropriava della vita della moglie attraverso la scrittura.

 Rievocare grandi amori rendendoli eterni grazie ai libri è un antichissimo topos letterario, usato per mille motivi: dal rimpianto, alla nostaglia, dallo sfogo al rimorso, dalla disperazione al rimorchio.
 Di seguito una serie di casi di amori desperadi (e realmente avvenuti) resi eterni dai loro autori.

ORFEO E TEOGNIDE:
 Capostipite assoluto della disperazione amorosa occidentale per la perdita della donna amata è stato sicuramente il prode Orfeo, poeta che, sposato da poco alla bella Euridice, se la vide portar via dalla morte. 
All'epoca con gli dei che decidevano le sorti degli uomini ancora si poteva parlare, così Orfeo si trascinò negli inferi e supplicò cantando talmente bene il signore dell'oltretomba e consorte, Ade e Persefone, che essi gli permisero di riportare la moglie tra i vivi. 
 C'era da scarpinare però per riemergere dal sottosuolo e costoro misero una clausola: se Orfeo si fosse voltato a guardare la moglie essa non sarebbe mai più uscita di lì. Orfeo, come in molti sapranno, si voltò, stoltamente all'ultimo secondo, quando ormai sembrava fatta. Il finale fu terribile: la moglie non risorse, lui smise di cantare e le baccanti lo uccisero qualche tempo dopo.
 Ma greci e romani per quanto poetici conoscevano anche il magico potere del rimorchio che poteva dare la poesia. 
 Meraviglioso esempio è l'unico frammento del poeta Teognide (VI-V sec. a.C.) giunto fino a noi. Costui, nel tentativo di ingraziarsi un giovinetto da lui molto amato, Cirno, non solo gli dedica poesie, ma scrive anche una poesia per ricordarglielo, fargli notare che grazie a lui in fondo vivrà una vita eterna e che, nonostante tutto, il ragazzetto neanche lo fila. E' una critica pessima lo so, ma la poesia rimane splendida:
"Ti ho dato ali per volare sul mare sconfinato
e su tutta la terra, in alto librandoti
facilmente. Nei conviti e in tutti i banchetti sarai presente,
adagiato sulla bocca di molti.
Accompagnati da flauti dal suono acuto, uomini giovani
e decorosamente amabili canteranno te, con voce bella
e chiara. E quando, nei recessi dell'oscura terra,
verrai alle case molto lacrimate dell'Ade,
mai - neppure morto - perderai la fama
, ma sarai a cuore
agli uomini, avendo sempre un nome indistruttibile,
Cirno, per la terra dell'Ellade e per le isole
aggirandoti, varcando lo sterile mare pescoso;
e non seduto sul dorso di cavalli, ma ti condurranno
gli splendidi doni delle Muse dalla corona di viole.
E per tutti quelli cui sta a cuore, anche tra i posteri,
tu sarai ugualmente motivo di canto, finché ci saranno la terra e il sole.

Ma io da te non ottengo rispetto, neppure poco;
con le parole tu mi inganni, come s'io fossi un bambino"

CATULLO:
Fosse vissuto all'epoca nostra Catullo sarebbe diventato uno di quei giornalisti o scrittori con la penna sempre avvelenata e puntuta.
 I carmi che non fanno leggere a scuola sono pieni di livore e invettive verso una serie di nemici politici e scrittori o nemici in generale.
 Come accade quando si va un po' troppo cercando la propria nemesi, Catullo incappò in una donna bella, libera, volitiva e piuttosto capricciosa (o almeno è così che ce la consegna alla storia): Clodia da lui ribattezzata poeticamente Lesbia.
 Questa matrona apparteneva alla classe alta di Roma (suo fratello, Clodio, era tribuno) e aveva una decina di anni in più del poeta che trattava, stando almeno a Catullo, come un giocarello senza cuore. Lo prendeva, lo lasciava, lo lasciava lo prendeva, aveva relazioni coi suoi amici, si faceva implicare in scandali politici di vario genere. Ricca e indipendente, una volta vedova fece fruttare il suo patrimonio, cosa che le permise, nonostante fosse una donna di godersi la vita e gestirla come meglio voleva.
 Catullo la ama, la odia, si excrucia, si odia, le manda mille baci e poi cento e insomma rimane vittima di una delle prime femme fatali della storia. A cosa servono gli amori infelici? A scrivere poesie bellissime.

CESARE PAVESE: 
Constance Dowling. Pavese puntava alto
 Se nella storia è esistito un poeta che si possa definire sfigatissimo con le donne, ebbene, quello è stato Cesare Pavese.
 La sua tristissima storia affonda le radici in una presa in giro primigenia, talmente famosa tra gli studenti di liceo, che De Gregori lo cita persino in "Alice": "E Cesare perduto nella pioggia sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina". Nel 1925, liceale, aveva atteso per ore sotto un diluvio una ballerina di cui si era innamorato, beccandosi un cosmico malanno.
 Da lì fu una serie di delusioni amorose che manco Emma Marrone.
 Prima si innamorò di Tina Pizzardo, antifascista che lo ammirava moltissimo che lo respinse più volte, nonostante le numerose proposte di un Pavese che non se ne faceva una ragione. Poi venne una giovanissima Fernanda Pivano: tentò la proposta di matrimonio anche con lei, ma niet.
 Ci fu dunque Bianca Garufi, partigiana con cui tentò di scrivere un libro a quattro mani (fallendo), anche con lei, che divenne poi una delle prime persone (non donne, persone) in Italia ad interessarsi accademicamente di psicologia, fallì.
 Infine venne la volta di Constance Dowling, bellissima attrice che pare lo illuse mentre nel frattempo aveva una relazione con un collega. A lei è dedicato "La luna e i falò". Non bastò, ormai quarantenne una relazione con un'aristocratica diciottenne per risollevargli il morale.
 Ricordo che già diciottenne rimanevo perplessa dall'incredibile dicotomia: grandissimo scrittore e poeta, ma incapacissimo a relazionarsi. Non riuscivo a comprendere se fosse Pavese ad avere qualcosa di strano o fosse semplicemente sfiga, ai posteri l'ardua sentenza.

WILLIAM BUTLER YEATS:
 Come Catullo e Pavese, anche Yeats subiva il fascino di donne volitive  o meglio subì quello della stessa donna che con convinzione lo respinse per tutta la vita: Maud Gonne.
 Maud Gonne fu un'instancabile sostenitrice dell'indipendenza irlandese, finì in carcere, ebbe due matrimoni e due figli, Iseult, dal primo marito, un politico irlandese, e Sean MacBride a cui venne conferito il premio nobel per la pace nel 1974 e partecipò come i genitori (il padre fu anche giustiziato) alla causa irlandese.
 Yeats la incontrò nel 1889 e se ne innamorò immediatamente, ma lei come si dice ora nel linguaggio ggggiovanile lo friendzonò subito, a vita e senza rimedio.
  Lui infatti le fece ben cinque proposte di matrimonio durante il corso della vita e, non pago, cercò di impalmare almeno la di lei figlia una volta ventenne (essa, imitando la madre, si negò). 
 I due ebbero comunque un rapporto strettissimo e Yeats ne fece la musa principale delle sue passionali poesie. Quando, cinquantenne, il poeta si arrese e sposò una giovane appassionata di occultismo, i loro rapporti non mutarono tanto che si videro fino a pochi giorni prima la morte del poeta le cui spoglie sarebbero rimaste in Francia se Maud non si fosse prodigata per riportarle in Irlanda.
 Certe volte dietro i grandi rifiuti e i grandi amori si celano misteri. Il rifiuto ostinato di Maud è uno di questi.

EDGAR ALLAN POE:
Nevermore craaaa nevermore craaa
 Nell'iconografia del caro Edgar non può mancare il tristerrimo corvo che gli ricorda, ineluttabile: "Mai più".
Virginia Clemm
Lui, solo e triste in una notte invernale, pensa alla sua dolce Lenora morta, apre la porta e sente il suo nome nel vento. Chiude la porta e un corvo comincia a gracchiare "Nevermore". Insomma, una tragedia.
 Tragedia ispirata alla morte dell'unica giovanissima moglie di Poe. A 26 anni il nostro decideva di compiere un atto fortunatamente oggi illegale: sposò la sua cugina carnale e tredicenne, Virginia Clemm.
 Costei che fu ampiamente cornificata in vita con scrittrici e potesse varie, nel 1842 mentre cantava gioiosa ebbe la rottura di una vena e le fu diagnosticata la tubercolosi di cui morì quattro anni dopo lasciando Poe nella desperazione.
 Nonostante i bagordi amorosi avuti mentre la moglie era in vita, Poe non si riprese mai più dalla perdita e le dedicò la disperata poesia "Il corvo" ed alcuni racconti, tra cui l'angoscioso Eleonora.
 Romantic tragedy.

mercoledì 23 settembre 2015

La domanda da non fare mai: vuole un sacchetto? Parte II. Con contributi e testimonianze da librai e libraie desperadi.

La scorsa settimana ho postato un fumetto sulla domanda da non fare mai ai clienti: vuole un sacchetto?
 Tale semplice illazione crea nelle masse sgomento, sconcerto e soprattutto soverchia irritazione. Su fb molti librai e libraie sono intervenuti per palesare i loro drammi e le loro esperienze al riguardo. Erano talmente tanti e alcune risposte così folli che non si poteva non disegnare una seconda parte!
Ed ecco perciò: la domanda da non fare mai, parte II!!





martedì 22 settembre 2015

Signora mia, questi giovani non studiano più. Ma è proprio vero?Sul serio studiare è rimasta una "Passione ribelle" per pochi? Non lo è sempre stata? Una critica ragionata al nuovo pamphlet della Mastrocola.

 E' l'argomento della settimana: la novella miss Italia in carica, diciottenne e per questo, teoricamente fresca di studi, ha dichiarato che le sarebbe piaciuto tanto vivere nel 1942, un periodo su cui molto si è scritto.
 
 Ok, c'era una guerra che ha fatto una cinquantina di milioni di morti, ma in fondo lei era una donna e in guerra non ci sarebbe andata (forse pensa che si sia svolta come nel medioevo con la castellana che filava a casa, mentre il prode cavaliere pugnava sugli Urali).
 Mettere alla berlina una diciottenne che non sa quello che dice, quando il mondo è pieno di persone che credono alle scie chimiche e alla teoria del gender, è un po' assurdo, soprattutto perché non credo le miss Italia precedenti pozzi di scienza. Se non altro, direte voi, avevano il buongusto di dichiarare che volevano la pace nel mondo senza avventurarsi in improbabili nostalgie storiche.
 Questa gaffe megagalattica si ricollega ad una sorta di instant book di Paola Mastrocola appena uscito per Laterza: "La passione ribelle".
 In questo pamphlet, l'autrice, che ha notoriamente insegnato in scuole pubbliche (ma non lo fa più da 16 anni) punta il dito contro la scomparsa dello studio.
 Si studia davvero a scuola? E come si studia? I genitori di adesso vogliono davvero che i figli studino o vogliono principalmente che si trovino un buon lavoro?
 Vista anche la gaffe della nuova più bella d'Italia, si capisce bene che il tema è pressante, vivo ed effettivamente calzante: studiamo tutti o quasi più a lungo, ma la qualità è scesa. Che ne sarà di noi? Lo studio e la riflessione svaniranno?
 Peccato che questo libercolo pur dicendo delle cose innegabilmente giuste, sembri frutto più che di uno studio, di un sentito dire.
 Andiam con ordine. Cose molto azzeccate, secondo me, del libro:
1) I genitori sono diventati dei grandi nemici dello studio dei figli. Non tutti ovviamente, ma è vero, per molti genitori lo studio è secondario rispetto a tutto il resto. Ho dato per due anni ripetizioni alle bambine di una famiglia alto-borghese con madre sciura insopportabile che mi costringeva a far fare loro tutti i compiti del fine settimana in un pomeriggio perché le pargole dovevano andare in montagna, a sciare, in barca, dai nonni, e in altri posti ben più interessanti. Pargole che già studiavano in modo ridicolo in una scuola privata ridicola.
 Non è un metro di giudizio, ma forse lo sono le decinaia di madri che si lamentano coi librai della lunghezza dei libri che gli insegnanti osano propinare ai figli.
2) Il tempo per lo studio è aggredito da altro. E' innegabile che avendo la perenne possibilità di stare connessi, diventa molto più difficile fare un pomeriggio di studio filato senza interruzioni. Non  è che secondo me, per questo, la gente non studi, ma la concentrazione di certo ne risente.

Cose che il libro toppa completamente.

Il buon Tiziano Treu
1) Il mito della formazione eterna.
 Forse l'ha scritto male, forse non conosce il mondo del lavoro dopo il pacchetto Treu, forse non sa cosa dice, ma ad un certo punto la Mastrocola punta il dito sulla "formazione eterna", una sorta di mitica entità in cui si crogiolerebbe una generazione pur di non lavorare. Per fare l'esempio dice: diploma, laurea, dottorato, post-doc, uno stage, due stage ecc.
 Peccato che lo stage non sia formazione, ma un forzato periodo di lavoro, spesso a tempo pieno, spesso non pagato o pagato male, che nel nostro pazzo mondo a base di precariato è diventato una regola a cui non puoi sfuggire. Non so, forse immagina orde di ragazzi che dicono "Che palle lavorare con uno stipendio, meglio fare uno stage gratis, così posso continuare a formarmi!".

2) I ragazzi non sanno/vogliono studiare.
  Tutte le generazioni precedenti, pensano che le successive studino male. Penso anche io, in effetti, che la preparazione che avevano i nostri nonni all'uscita dalle superiori fosse infinitamente maggiore della nostra, ma non credo che la colpa sia per forza degli studenti.
Il buon Alfieri
 Meno pretendi da una persona, meno quella persona si sentirà autorizzata a darti. La Mastrocola lo dice, ed è, secondo me, vero.
 Se uno studente si sente preso per scemo o trattato coi guanti con risibili riduzioni scolastiche dei classici, se i genitori mimano infarti al pensiero di un'analisi logica, mi pare evidente che si finisce per percepisce una cosa sola: posso pure non farlo.
 Poi, ovviamente, ci sono quelli che lo fanno a prescindere perché gli piace, quelli, di solito non in agiate condizioni economiche che lo fanno con una speranza (studenti non considerati dalla Mastrocola), quelli che non lo farebbero mai manco se fossimo all'epoca di De Amicis.
  E' la media generale che si è abbassata, ma non penso sia perché abbiano di meglio da fare (c'è sempre stato di meglio da fare, mi sbaglio o Alfieri si legava a una sedia gridando "Volli sempre volli fortissimamente volli"?), accade perché c'è una giustificazione sociale al non studio molto più forte.
 Mi farei sfiorare dal dubbio che ci si voglia più capre e conformi, mediamente mediocri, mediamente incapaci di pensare ad un mondo diverso (eppur affascinati, come dimostra il perenne successo di libri come "Nelle terre estreme" di Krakauer o "Walden, Vita nei boschi", letti principalmente dai giovani che a quanto pare non leggono e non studiano).

3) Finiremo tutti molto male.
Le consiglierei la lettura di
"Galassia Gutenberg" così vede che un
certo impatto sociale l'invenzione della
stampa ce l'ha avuto, e non leggero.
 C'è un lungo pezzo sul fatto che essere ottimisti per forza forse sia un errore. Dopo aver glissato sul fatto che l'invenzione della stampa non è stata impattante per la società quanto quella di internet (ma dice anche di non amare molto la storia quindi viene il dubbio che non abbia mai avuto interesse ad approfondire una questione del genere), sostanzialmente la Mastrocola dice che abbiamo tutti bisogno di sentirci rassicurati e nessuno fa più predizioni fino in fondo. Se una cosa deve andar male, bisogna dire che ci andrà. Condivido. Però. 
 La palla di vetro non ce l'ha nessuno. Keynes, dice lei, affermava che i suoi nipoti avrebbero lavorato tre ore perché la tecnologia ci avrebbe liberato dal giogo lavorativo, ciò non è successo. Vero. Ma non sono successe tante altre cose che potevano a priori finir male, come una pessima risoluzione della guerra fredda, per dire.
 Il compito dei sociologi non credo sia cassandrare per forza. Penso che un ragionevole raggio di speranza possa sussistere senza diventare gente che non vuole affrontare la realtà.

Cosa manca di fondo a questo libro.
C'è una cosa che manca in questo libro, enorme, gigantesca: una anche solo vaga analisi socioeconomica del nostro tempo. La Mastrocola si sfoga verso genitori e nuove generazioni, ma la sua, alla fine, sembra la sterile polemica di una nonna che non comprende più i giovani. Molto strano per una che ha scritto un libro, "Non so niente di te" che puntava esattamente al problema: l'invadenza del denaro nelle nostre vite.
 Non farò nessun discorso pauperistico, non credo per forza che il denaro non dia la felicità ed essere poveri e poco ambiziosi sì (e viceversa). Penso che però in un'età fortemente capitalista come la nostra, in cui il denaro ha un posto così centrale in termini di possibilità di vita, scrivere un libro in cui la scomparsa dello studio e il dominio del denaro non siano messi in correlazione sia un errore enorme.
 Il punto non è che si studia di meno, perché si vogliono studiare solo le materie che ci danno un lavoro danaroso.
 Il punto è che questa società non consente a chi vuole studiare materie poco danarose di sopravvivere.
 Chiunque volesse dedicarsi solo allo studio o a materie poco redditizie dovrebbe scontrarsi contro una forte pressione sociale, un'impossibilità di fondo se non si dispone di denaro precedente (alias genitori, rendite, eredità o boh) e alla consapevolezza che i propri figli pagheranno cara questa scelta.
 Come analizzava benissimo il professor Giovanni Solimine in un suo, sì, riuscitissimo pamphlet al riguardo "Senza Sapere", in Italia si studia meno anche perché leggere e studiare non sono più ascensori sociali.
 Pretendere di dedicarsi ad una vita di studio è impossibile per la maggior parte delle persone che appartengono a strati sociali medio-bassi. Il discorso della Mastrocola infatti ha il grande difetto di rivolgersi ad un pubblico medio-alto senza prendere in considerazione il fatto che è sempre stato così! La storia della letteratura, diciamocelo, non è fatta di indigenti.
 L'esempio che lei fa del suo protagonista di "Non so niente di te", che rinuncia ad una vita di successo per pascolare le pecore è studiare è calzante nel momento in cui il punto focale non è lo studio, ma il coraggio di imporre un modo di vivere diverso, non conforme, in un panorama sociale che ti spinge sempre in avanti, puntando all'ego di alcuni e al bisogno di altri. Ma in questo caso, lo studio, in una società immobile, non è salvifico. 

4. Il problema sembrerebbe solo dei ragazzi.

Pare che siano gli studenti e i ragazzi a non leggere e studiare.
  Direi che questa mancanza di pensiero critico vada in giro da almeno una trentina d'anni. Sento parlare del vuoto pneumatico dell'Italietta berlusconiana da quando vado alle elementari. Un mix micidiale di gente senza arte né parte (o con arti e parti poco raccomandabili) che si ritrova al potere grazie a seni prorompenti e adulazione del capo, modelli di vita passati da una tv indecente (non indecente per le veline, ma per tutto il resto), signori nessuno che fanno migliaia di euro solo per aver fatto mezza puntata del Grande Fratello, edonismo al massimo, le tre I ecc.
 Ora del vuoto berlusconiano non si parla più. Di colpo è colpa dei cattivi social network che ci costringono ad una vita connessa. Non penso. O non penso che il problema sia solo quello. Rispolveriamo la vecchia teoria e magari un'analisi più profonda del "I ragazzini di oggi leggono poco perché l'introversione viene condannata socialmente" ci scappa.
 Pasolini scriveva che "E' la falsa tolleranza a rendere i giovani nevrotici". Io un pensierino al riguardo ce lo farei.

Un ultimo appunto, se posso sull'adagio: "All'università ORA non si studia, non come ai miei tempi."
 La Mastrocola lancia un lamento a nome dei prof universitari costretti a corsi innumerevoli che non consentono loro di studiare come vogliono. 

Io ho frequentato La Sapienza (posso dirlo, l'hanno fatta altre centinaia di migliaia di persone), ci mettevo quasi due ore ad arrivare e due ore a tornare a casa, ossia 4 ore della mia vita sui mezzi, perché non potevo permettermi una stanza in città.
 Spesso e volentieri giungevo e lezione non c'era, era stata spostata, ricordo un esame il 27 luglio a cui il prof non si presentò (ce ne furono altri annullati, ma quello in particolare mi rovinò le vacanze), esoneri mai visti né conosciuti (visto che pare ci sia abbondanza di esoneri secondo lei), professori che iniziavano lezione e sparivano a metà dimenticandosi di avere una classe in attesa (successo), libri che si pretendeva comprassimo perché frutto degli studi meravigliosi del prof (peccato che uscissero dopo la sessione e lui pretendesse che saltassimo la sessione per aspettare i tempi della casa editrice) ecc. ecc. Potrei continuare all'infinito.
 Non ho mai visto i miei prof oberati da mille corsi, non ho mai fatto esami da 100 pagine e basta (e ne ho fatti 52, quindi forse erano mediamente meno cicciuti di quelli fatti da lei, ma sono almeno il doppio).
 Non solo, ho anche avuto la sventura di viverci per un anno con una prof universitaria.
 Una che si alzava la mattina, studiava quel tanto, non andava quasi mai a lezione (annullandola all'ultimo of course), si scocciava se doveva andarci e passava il suo tempo a fare i suoi comodi.
 Un caso probabilmente non è indicativo, ma sono finita proprio a coabitare con questo insopportabile esemplare che molti dubbi ti fa venire sullo studio universitario, e non per la quantità di opprimente lavoro degli insegnanti.
 Perciò prima di lanciare il peana dell'insegnante oppresso, io lancerei anche il peana dello studente universitario oppresso, che da questo libro, pare venga coccolato e studi 100 pagine per sbaglio e pure male. Per onestà intellettuale, direi che non è che è proprio così.

domenica 20 settembre 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "E quindi?"

Dopo questa domenica piena di persone diciamo peculiari, ecco che arriva una bella vignetta che rientra nella vecchia storia dei poteri da chiaroveggenti di cui dovrebbero essere dotati i librai.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "E quindi?"
E un pensiero particolare oggi va a quella coppia cinese che parlava solo tedesco e non comprendeva come non riuscissimo a comunicare.




sabato 19 settembre 2015

Intervista a Cristina Obber, l'autrice del bel "L'altra parte di me" un libro per gli YA e per i loro genitori, perché non si decide quando, dove e perché arrivi l'amore. L'unica cosa importante è che lo sia.

 In Italia i libri per i giovani adulti, Young adult, under 18, adolescenti o come ci si ingegna di chiamarli escono in quantità industriale. Tra le trilogie amorose (ora anche sestologie) con nomi praticamente identici e copertine indistinguibili, scopiazzature di Hunger Games e tentativi pseudodidattici di impegno civile, non si può dire che il settore soffra. Eppure.
Dal film "La Kryptonite nella borsa"
 I libri per YA con protagonisti Lgbt sono ben pochi e la stragrande maggioranza provengono dal mondo anglosassone, come "Will ti presento Will" di John Green (lo stesso di "Colpa delle stelle" sì), "Trevor" di James Lecesne o "Ash" di Malinda Lo.
 I libri sul tema frutto di autori italiani credo si possano contare sulle dita di una mano sola: oltre al bel "L'uovo fuori dal cavagno" della bravissima Margherita Giacobino, c'è qualche tentativo di matrice autobiografica come "La kryptonite nella borsa" di Ivan Cotroneo (che però parla dell'infanzia, che i gay non nascono già adulti, come Atena che esce dalla testa di Zeus) o "Tutta colpa di Miguel Bosè" di Sciltian Gastaldi.
 Circa un annetto fa, a questa troppo misera lista, è andato ad aggiungersi "L'altra parte di me" di Cristina Obber, ed. Piemme.
 Il libro narra la storia d'amore tra due ragazze adolescenti alle prese con problemi molto più grossi di quelli in cui si imbattono gli adolescenti in genere.  
Francesca infatti viene da una famiglia bene di Bassano del Grappa, una di quelle dove i genitori sono ricchi, colti, aperti e più o meno di sinistra.  Dopo aver conosciuto su fb Giulia che abita in Puglia con la madre e, al suo contrario ha già avuto una storia con una coetanea, e si è dichiarata con sua madre, Francesca pensa di fare coming out con i suoi. In fondo sua madre e suo padre si dichiarano aperti e contro l'omofobia, la prenderanno bene, no?
 Eh no, perché forte è la convinzione in troppi genitori che un figlio gay o lesbica sia qualcosa di innaturale, che a loro non può capitare, che è una fase, che uno deve solo trovare sé stesso, che da una famiglia "normale" un figlio omosessuale non può venire fuori. Mettici pure che abiti in una profonda provincia nordica e le tue amiche non abbiano un'apertura mentale degna di questo nome e il patatrac è fatto.
 "L'altra parte di me" è un perfetto manuale di quello che sono costretti a passare molti adolescenti Lgbt tra la famiglia che li osteggia, le storie a distanza, genitori che non accettano, nonni che di colpo si allontanano, episodi di omofobia da parte del resto del mondo solo per aver osato tenersi per mano in spiaggia. 
 Un libro che, secondo me, più che gli YA dovrebbero leggere i genitori degli YA, soprattutto quelli che davanti ad una trama del genere storcono il naso al grido di "A me non può succedere, non mi interessa".
  Anche perché Cristina Obber non è un'adolescente lesbica, ma una assai brava giornalista e scrittrice, etero, che si occupa di tematiche femminili trasversali (il suo libro precedente, "Siria Mon Amour" raccontava la storia di una ragazza italo-siriana costretta ad un matrimonio combinato) e ha dimostrato di saper comprendere alla perfezione non solo lo stato d'animo, ma anche gli ostacoli che il mondo pone, senza motivo, sul cammino di tanti ragazzini e ragazzine che vorrebbero solo essere liberi e felici come i loro coetanei.
 Di seguito, vi lascio con un'intervista che mi ha gentilmente concesso e di cui la ringrazio moltissimo!

Cosa leggeva da bambina?


Piccole donne, Pollyanna, Tom Sawyer, I ragazzi della Via Pal, gli estratti dei classici su “L’Enciclopedia della donna”. Eravamo una famiglia semplice ma con la casa piena di enciclopedie, pagate a rate per anni- compresa una raccolta Rizzoli in tantissimi volumetti blu -che conservo ancora- che mi hanno fatto scoprire presto Tolstoy, Victor Ugo, Jane Austen.


Cosa sta leggendo in questo momento?


In questi giorni sto leggendo tre libri diversi, a seconda del momento, tra cui "Fra me e te", conversazioni tra madre e figlia, tra Mariella Gramaglia e la figlia.


Un romanzo che vorrebbe assolutamente consigliare?


In questo momento renderei obbligatoria la lettura di Goliarda Sapienza, “Larte della gioia”, che da’ respiro alla vita e all’amore, di questi tempi particolarmente offuscati. Organizzerei letture pubbliche in Piazza San Marco, per cominciare.


C'è un romanzo in particolare che la colpì quando lei era una “giovane adulta”?


La Storia” di Elsa Morante, che ho portato all’esame di una maturità elettrotecnica. L’ho ricomprato di recente, perché la MIA copia è andata perduta, probabilmente prestata. Ricordo che nel periodo in cui la leggevo Elsa Morante tentò il suicidio e mi parve qualcosa di naturale, come se me lo aspettassi.


All'inizio del libro si legge che “L'altra parte di me” è stato ispirato da due ragazze incontrate davanti alla macchinetta del caffé. In che modo? E' la loro storia?


Vi sono alcuni momenti tratti dalla loro storia. 
 Le ho conosciute in università a Milano, sembravano una coppia appena formata, molto tenere tra loro in ogni pausa tra una lezione e l’altra. Di fronte ad un abbraccio ho chiesto da quanto stavano insieme e mi hanno risposto Sette anni.
 Erano in fase Ikea, stavano cercando casa per andare a vivere insieme. E’ stato lì che ho sentito che bisognava raccontare dell’amore che funziona, che dura, che vince. Che diventa un progetto di vita, una felicità possibile.


Lei, oltre a scrivere questo libro, è stata anche al pride milanese lo scorso giugno.
 Per quale motivo ha scelto di lottare per i diritti Lgbt?


Diciamo che quando incontro dei diritti violati mi arrabbio, a prescindere. Io i diritti li ho e li voglio per tutti. 
 Girando le scuole in tutta Italia dal 2012 con il libro "Non lo faccio più", che racconta dello stupro vissuto da chi lo subisce e da chi lo infligge, mi sono resa conto quanto tra ragazzi e ragazze delle superiori fosse ancora viva una omofobia lieve, non apparentemente violenta, di cui a volte non sono nemmeno consapevoli di soffrire.
 Qualcosa che conosco bene tra la mia generazione ma non pensavo così ancora interiorizzata tra i banchi di scuola. E’ stata questa esperienza di discussione nelle scuole che ha creato i presupposti dentro di me affinché affinché mi dicessi: ecco di cosa dobbiamo parlare, non di omofobia ma di amore. Se ti avvicini all’amore, all’omoaffettività, scopri che non ha niente di speciale, che è semplice e naturale come l’eteroaffettività, e l’omofobia si sgretola di conseguenza.


Venezia è stata protagonista di un caso che ha fatto molto clamore. Il sindaco ha infatti stilato una lista di 49 libri per bambini da ritirare dalle scuole in quanto portatori della fantomatica "teoria del gender". Cosa pensa, da scrittrice, di questa storia?


Già la parola censura mi fa venire i brividi, di per sè. Che poi si censurino dei libri -mi domando se avendoli letti- che raccontano ai bambini di amore e rispetto per gli altri e per se stessi, di cos’è l’identità, è inaccettabile in qualunque società.
Non mi basta l’alibi dell’ignoranza, non mi bastano le scuse. Questo è un atto gravissimo di non civiltà e proprio in una città che storicamente si è aperta al mondo e che accoglie il mondo.
Credo che l’allarmismo creato intorno a una inesistente teoria del gender dimostri soprattutto quanto, non avendo tempo per informarci, ci lasciamo influenzare da slogan e tecniche di manipolazione mediatica per quanto misere ancora efficaci.


Ne “L'altra parte di me” appaiono moltissimi piccoli episodi di omofobia sia all'interno della famiglia che da parte del mondo esterno, che purtroppo la stragrande maggioranza delle persone Lgbt ha sperimentato. Come è riuscita a immedesimarsi così bene in due adolescenti lesbiche?


Cristina Obber
 Sono una persona curiosa, sono sempre entrata nelle vite degli altri con grande empatia, e questa mia caratteristica mi viene in aiuto ogni volta che scrivo. 
 Ogni personaggio porta con sé un collage di emozioni ed esperienze che ho incontrato nella mia -lunga- vita relazionale.
  Conosco le difficoltà che hanno incontrato negli anni amiche lesbiche e amici gay miei coetanei, mi è capitato di raccogliere confidenze anche di giovanissime/i e che sono riaffiorate durante la stesura e si sono intrecciate con gli episodi di cui mi hanno parlato le due ragazze che hanno ispirato la storia. E poi quando scrivi tu diventi i tuoi personaggi, a me almeno accade così. Nel periodo di lavoro più intenso giravo per strada sentendomi una ragazza lesbica e innamorata, me ne rendevo conto all’improvviso, percepivo una sorta di confusione, piacevole e stimolante. Sono stata un’adolescente ribelle, sono una donna ribelle, conosco quella forza, mi appartiene. 
Quando ho scritto la scena in cui Francesca scrive Lesbica sul muro della sua stanza, in quella rivendicazione di sè, quella Francesca ero io. 


La famiglia di Francesca fa parte della buona borghesia e almeno apparentemente sembra molto politically correct. Quando però la figlia fa coming out, la loro reazione è fortemente negativa. Secondo lei perché molte famiglie che sembrerebbero preparate si dimostrano in realtà ostili?


La cosa più difficile, soprattutto da adulti, è ammettere le nostre contraddizioni
 Per questo i genitori li ho fatti di sinistra e colti, aperti e liberi soltanto a parole. Perché se non ci sforziamo di ascoltare il nostro ombelico e ammettere le nostre difficoltà continueremo a esserne vittime, come accade ad Valeria e Antonio, che rimangono spiazzati.
 Siamo generazioni cresciute con l’omofobia dentro, come ho scritto su un pezzo per il blog La27esima ora del Corriere della sera (http://27esimaora.corriere.it/articolo/mi-turbava-immaginare-due-uomini-che-si-baciano-vi-racconto-perche-non-e-piu-cosi/). 
 Ho voluto scavare molto nei sentimenti dei genitori proprio perché essere omofobi non è una colpa, la colpa sta nel non volerlo ammettere e ripartire da sé per diventare non solo genitori migliori ma persone più serene. Loro impiegano quattro anni a capire che l’amore della figlia non è una minaccia ma una benedizione. 
 Quattro anni di quella che nel libro chiamo la “fatica inutile”, una sofferenza per Francesca ma anche per tutta la famiglia che non aveva ragione d’essere. 
 Sono molti gli adulti che mi scrivono ringraziandomi per averli fatti riflettere sul loro essere eventualmente preparati a sentirsi fare coming-out dai figli. Molti ammettono di riconoscersi nelle difficoltà di Valeria e Antonio. Credo che i genitori di domani saranno migliori rispetto a questo, meno stereotipi, più modelli di riferimento, significa meno paura e maggiore serenità per tutti.


Lei ha portato il suo libro in giro per moltissime presentazioni in Italia. Quali sono state le reazioni dei lettori e delle lettrici? C'è qualche storia che l'ha colpita in particolar modo?


Le reazioni sono le più diverse. Mi piace quando ragazze lesbiche o ragazzi gay si fanno autografare il libro chiedendo una dedica per la mamma, o quando dei nonni lo vogliono regalare ai nipoti perché nel libro il personaggio della nonna sottolinea come anche quanto questi legami siano fondamentali nel percorso di crescita di un’adolescente.
Mi ha commosso un padre, a Torino, che mi ha chiesto la dedica al figlio diciannovenne che aveva appena fatto coming out. 
 Questo padre parlava con gli occhi lucidi: “Mio figlio me l’ha detto solo adesso, ma lo ha capito quando aveva 11 anni. Sto malissimo per non averlo saputo prima, perché per me non sarebbe stato un problema, ma lui aveva paura a dirlo e io non gli sono stato vicino in tanti anni in una cosa così importante”.
 Non parlarsi può anche significare negarsi una felicità già a disposizione.


In Italia, l'editoria per giovani adulti a tematica Lgbt, non è ancora così diffusa, come ad esempio, negli Usa. Lei ha avuto difficoltà nel pubblicare “L'altra parte di me”? Pensa che le cose cambieranno?


Piemme ha accolto subito con favore questa storia fin dai primi capitoli, volevano sapere cosa sarebbe successo a questo amore, hanno condiviso il senso che volevo dare al libro. 
C’è stato qualche tentativo di censura per le pagine in cui si racconta la prima volta tra le due ragazze, ma questo perché non siamo abituati a rapportarci con la sessualità lesbica e c’era timore di creare turbamento. Alla fine hanno compreso le mie ragioni e la delicatezza con cui ho raccontato la passionalità tra le ragazze non fa che restituire un’immagine di sessualità autentica e semplice, lontana dagli stereotipi sessisti alimentati dai tabù. 
Qualche problema si riscontra in libreria, dove un libro così viene difficilmente consigliato perché considerato di nicchia, adatto soltanto ad un pubblico omosessuale, mentre è rivolto, come ogni storia d’amore, a chiunque. Le cose stanno cambiando, ma a passi troppo piccoli.


Tra i suoi libri precedenti ce n'è un altro che mette al centro un forte scontro generazionale su una tematica fondamentale: le differenze culturali che ci sono tra le prime e le seconde generazioni di migranti. 
 Si tratta di “Siria mon amour”, che parte da una storia vera. Com'è nata l'idea di questo libro?


Siria mon amour è tratto dalla storia vera di Amani El Nasif, una ragazza italo-siriana che a 16 anni è stata portata in Siria con l’inganno per un matrimonio combinato a cui si è ribellata. Conoscevo Amani fin da quando era bambina, non è stato difficile riuscire a immedesimarmi nel suo dolore per raccontarlo. 
L’ho rivista dopo anni, mi ha detto in poche parole cosa le era successo in Siria e io le ho detto subito "Queste cose bisogna raccontarle, non devono più accadere, devi scrivere un libro". Lei ha risposto "Ma io non so scrivere" e io le ho detto "Ma io sì". E così abbiamo cominciato ad incontrarci, soprattutto in skype. 
 E’ stato un lavoro bellissimo anche se emotivamente molto faticoso; iniziavo un capitolo ricordando qualcosa che mi aveva raccontato e a volte mentre scrivevo mi scendevano le lacrime. Poi le spedivo il testo e piangeva anche lei, mi chiedeva come avevo fatto a trovare le parole. 
 Quando scrivi il tuo personaggio diventi tu, ma lei esisteva, da piccola era la migliore amica di mia figlia Giulia, le volevo bene, il suo dolore era diventato mio. 


Come mai ha deciso di dedicare la sua scrittura a temi di stampo sociale e civile?


Non l’ho deciso, è accaduto. Non lo faccio più è nato un pomeriggio in auto, da una notizia alla radio di uno stupro di gruppo tra minorenni. Mi sono detta Forse ai ragazzi non glielo abbiamo spiegato bene cosa significa subire una violenza così grande, forse se glielo spieghiamo con le parole di una ragazza che lo sa, non lo faranno più. In quel momento mi sono chiesta cosa restasse addosso ai maschi dopo, e così ho pensato che avrei voluto incontrarli in carcere.


In cinque minuti avevo tutto il libro in testa.

Come Siria non amor tutto è partito da un moto di rabbia nella pancia. 
Questi tre libri in fondo sono legati da un filo che si chiama ribellione. Quella delle ragazze, la mia. 


Ci sono progetti letterari prossimi venturi?


Ho tre cose che scalpitano, sono in modalità ascolto per capire a quale voglio dare spazio per prima. "Siria non amour" l’ho iniziato nell’estate 2011 in Corsica. L’altra parte di me nel 2013 a Formentera. Entro la fine dell’estate avrò la mia risposta.


giovedì 17 settembre 2015

"La domanda da non fare mai" un esasperato fumetto sul terribile quesito che ha il potere di imbestialire le genti all'istante: vuole un sacchetto?

Oggi avevo iniziato a disegnare il reportage di Rimini, ma si è rivelata una cosa troppo luuuunga per questo pomeriggio, così ho virato verso un problema molto sentito da tutte le persone che lavorano in negozio: il dramma dei sacchetti/buste.
 Ci sono delle cose che a quanto pare mandano il sangue al cervello all'istante. Puoi sopportare il capo che ti vessa, l'imbecille che ti insulta, la moglie o il marito che ti esaperano, l'amico che ti fa aspettare 40 minuti sotto il portone, il tram che ti appieda per tre corse, ma la domanda "Vuole un sacchetto?" risveglia torbidi istinti di ira primordiale.
 La faccio breve e vi rimando direttamente al fumetto "La domanda da non fare mai", un insieme di cartoline dalla libreria, come già ho fatto in occasione del Natale e degli indizi dati per ritrovare i libri senza sapere titolo o autore.
 Buona fumettosa lettura!






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