lunedì 16 novembre 2020

Piccole recensioni tra amici! "La forma del silenzio" di Stefano Corbetta, "Zanne" di Sarah Andersen e "L'archivio del diavolo" di Pupi Avati.

 

Mi scuso per la protratta assenza, ma presto spiegherò in quale enorme casino io sia impelagata (sì, nonostante il più o meno lockdown, no ovviamente non è niente di legale giuro!) e quali conseguenze avrà nei prossimi mesi.

 Nel frattempo approfitto per un piccole recensioni tra amici e presto dovrebbe arrivare un post sulle sorelle Mitford e finalmente un nuovo fumetto. Vediamo quanto la mia vita si complicherà ulteriormente.

 Anche per questioni organizzative sto quindi dedicando un po' più tempo a facebook dove ho iniziato con alcune dirette, ovviamente a tema libresco, e vorrei mettere presto su un progettino con le mie sorelle (ormai Kardashian, Ferragni e Willwosh hanno segnato la via dei format con fratelli dello stesso sesso).

 Ovviamente continuerò con le recensioni, ma in questo momento vorrei avere l'esercito di Ghost Writer che ogni buon Stephen King merita.

Buona lettura!


"LA FORMA DEL SILENZIO" di Stefano Corbetta ed. Ponte alle Grazie:

 E' una sorta di noir molto rarefatto in cui la cosa più interessante non è tanto la trama, che parte bene, ma poi sul finale si perde un po', quanto la curiosa, è il caso di dirlo, assonanza tra scrittura e tema del libro.

La storia racconta infatti la scomparsa del piccolo Leo, di 6 anni, dall'istituto per bambini sordi di Milano, nel quale è stato portato dai genitori, convinti che sia il modo migliore per lui per ricevere una giusta educazione.

 Siccome è il 1964 e i tempi non sono avanguardisti (e se mi si concede, in Lombardia la Chiesa ha le mani in pasta da un po' troppe parti), nell'istituto viene vietato l'uso della lingua dei segni (sì, in un istituto per bambini e ragazzi sordi) e Leo si trova di colpo in un ambiente ostile, lontano dai genitori e dall'amatissima sorella, Anna, incapace di comunicare con quasi chiunque altro. Un giorno di neve scompare, qualcuno forse l'ha visto allontanarsi, chissà magari voleva tornare a casa, e di lui non si sa più niente.

 Anni dopo, Anna riceve la visita di suo ex compagno di classe del fratellino che fornisce nuovi indizi sulla scomparsa e lei inizia a riavvolgere il filo degli eventi.

 Se l'incipit è molto interessante e la tematica davvero particolare, l'indagine non riesce a mantenere un buon livello di tensione forse a causa di vari ed eventuali elementi sentimentali che smorzano quello che, con una dose di ferocia, poteva essere uno di quei gialli crudeli sulle solitudini della città meneghina. 

Ma bisogna anche dire che probabilmente la ferocia non era l'obiettivo dell'autore che sembra voler riprodurre l'idea del silenzio con pochi dialoghi, molti pensieri, paesaggi innevati e ricordi che si perdono nelle nebbie del tempo.

 Non il mio genere, ma potrà piacere a chi ama scoprire nuovi autori italiani.


"ZANNE" di Sarah Andersen ed. Beccogiallo:

 Prima prova di Sarah Andersen fuori dai fumetti umoristici (o almeno, prima prova tradotta in Italia).

 La forma narrativa brevissima è rispettata, stavolta però la protagonista non è lei in versione superdeformed, ma una vampira centenaria darkettona che si innamora di un licantropo un po' hipster boscaiolo (che in effetti è la declinazione più licantropesca versione anni 2000 che si riesca a immaginare).

 La vita di coppia di una coppia sovrannaturale, sospesa tra la voglia di cedere all'istinto della propria specie e la quotidianità dell'innamoramento, è la miccia che rende interessante questa ennesima variazione sul tema.

 Di fumetti lui/lei, anche umoristici, ce ne sono a bizzeffe e inventare qualcosa di nuovo che possa renderlo interessante non è cosa da poco. Inoltre, immagino che questa idea sia un omaggio della Andersen verso quella che è un'ossessione che condivido con lei: halloween.

 Azzeccato anche il formato del libro, piccino, con copertina rigida e un vago design retrò. Molto vampiresco.


"L'ARCHIVIO DEL DIAVOLO" di Pupi Avati ed. Solferino:

 Tocca dirlo. Tanto era stato grazioso il primo libro, "Il signor Diavolo", con la sua inquietante commistione di orrori di provincia, creduleria popolare, forse davvero sovrannaturale, e i danni del radicamento politico del cattolicesimo nel nord-est, tanto questo secondo libro è davvero confuso, strano, inutile e oggettivamente incredibile.

Incredibile nel senso che seriamente non si può credere che l'editor del libro non abbia avuto il coraggio di dire ad Avati (che sottolineo, di solito, nella sua produzione sovrannaturale e horror io amo e superamo) che va bene tutto, ma l'intero libro si regge su una cosa non credibile: nessuno sa se l'archivista è vivo o morto, e se è davvero lui ad andare in archivio, perché NESSUNO va mai in archivio.

 Adesso. Davvero. Io capisco che gli archivi sono visti come posti inquietanti e persino io ho fatto un fumetto in cui invitavo Dario Argento ad ambientarci un inquietante film a base di omicidi tra i compactus, ma non è possibile che NESSUNO vada mai in archivio se non l'archivista. E soprattutto che NESSUNO veda MAI l'archivista se non vagamente.

 E la strana spiegazione per la quale: la scala è stata murata durante la guerra, ma tanto c'è il montacarichi, è un po' assurda. 

Va bene che le leggi sulla sicurezza sul lavoro negli anni '50 non dovevano essere all'avanguardia, ma varie domande sorgono spontanee: se il montacarichi si rompe, l'archivista come torna su? Fa letteralmente la morte del topo perché tanto nessuno va in archivio e sa se è vivo o morto? 

E se proprio non ci interessa niente dell'archivista-topo, i documenti del ministero di grazia e giustizia saranno ben importanti no? Se scoppia un incendio che si fa? Si lascia bruciare carta e ministero perché hanno murato la porta?

 Ma poi dici, vabbeh, stiamo parlando di un archivio di un buco di posto, può essere tutto, ma questo è l'archivio del ministero di grazia e giustizia!

 Poi un'altra cosa curiosa è questa faccenda che l'archivista lavora di notte e di giorno va a casa a dormire (che io dico, a sto punto fate qualsiasi altro lavoro perché soli, in un sotterraneo, tutte le notti, in compagnia di enormi pantegane, manco il Fantasma dell'opera o il Conte di Montecristo). A livello di organizzazione di lavoro di un ministero, tanto più quello di grazia e giustizia, mi pare un attimo strano, però su questo, al limite, potevo anche accettare la licenza poetica.

 Questa falla fondamentale, attorno alla quale gira tutto il libro, che ha varie trame, non tutte ben spiegate, che a un certo punto si uniscono tra loro, in vari picchi di malvagità democristiana, lo rende molto debole, come debole lo rende la non ben sfruttata intuizione dei sogni cimiteriali fatti in contemporanea da più persone sparse per l'Italia (tipo Sense8).

 Un peccato, però, visto come finisce, ci sarà di sicuro un seguito. Possiamo quindi sperare che sia il solito problema di tutti i film numeri 2 di una saga: non sono veri film, ma film di servizio per cercare di sviluppare la trama (e non ce la fanno mai).

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