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lunedì 29 giugno 2015

Piccole recensioni tra amici! Quando la serendipità funziona male: tra Alligatori, ladri di libri, esistenzialisti francesi, province americane e perdenti, tre libri che non mi hanno convinta!

 Ed ecco un nuovo piccole recensioni tra amici!
Horace Walpole, glorioso "coniatore" della serendipità
Considerando che ci sono una graphic novel, un giallo e un romanzo non di genere, la cosa principale che accomuna questi tre libri è l'assoluta serendipità.
 Non sono libri che volevo leggere, ma che per varie circostanze mi sono ritrovata tra le mani quando non avevo nulla che potesse soddisfare i miei bisogni lettori, ed è probabilmente il motivo per cui nessuno dei tre mi ha fatto impazzire.
 In genere io amo anche affidarmi al caso, perché il caso mi ha donato tra i libri più belli che abbia mai letto (mentre la scienza della ricerca mi ha dato grandi delusioni), in questo caso il fato non è stato benevolo con me.
 In generale quanti di voi si affidano al caso come metodo di scelta dei libri?
  Devo dire che un tempo ero assai più spericolata e mi lanciavo nel vuoto, adesso sono più scientifica e ho la mia brava wishlist da depennare con calma, pazienza e qualche centinaio di anni a disposizione.
 Ma vabbeh, bando alle ciance! Ecco il magro raccolto!

UNA CANZONE PER BOBBY LONG" di RONALD EVERETT CAPPS ed. Mattioli 1885:
 Mah. Mah. Mah. Premetto che questo era proprio il genere di libro che, se non per ragioni di
necessità (ore in cui non avevo nient'altro da leggere, ma che in qualche modo dovevo far passare), non avrei mai letto.
 Io detesto le storie ambientate nella provincia americana dove non succede niente e si annidano anime perse schiacciate dalla vita. Un po' perché mi riesce difficile immedesimarmi, un po' perché le trovo mortalmente noiose, un po' perché fondamentalmente non succede mai niente se non il fatto che le anime perse continuano incessantemente ad essere perse.
 "Una canzone per Bobby Long" il cui linguaggio tra il becero e lo slang deve aver fatto impazzire il traduttore (diciamo pure che il linguaggio è la cosa migliore del libro), parla di due amici sulla cinquantina, Bobby e Byron, intelligentissimi e acculturati, ma alcolizzati, senza famiglia, fissati col sesso e senza un preciso scopo nella vita.
 I due sono stati giovani di ottime speranze, (uno dei due ha persino un dottorato), ma poi, ad un certo punto, la vita li ha schiacciati rendendoli degli emarginati che non fanno nulla per togliersi dalla loro condizione di emarginazione.
 Qualcosa in loro è morto, sarebbe interessante capire cosa, ma l'autore decide che è meglio concentrarci su un'altra storia edificante: quella di Anna, la figlia adolescente e abbandonata a sè stessa, della loro migliore amica, Lorraine, la quale muore improvvisamente davanti a loro.
 Anna, che ha abbandonato la scuola e vive arrangiandosi, giunge cercando la madre defunta e finisce per rimanere a vivere insieme a loro in un quartiere malfamato di New Orleans. Qui si lascia convincere a riscriversi a scuola ecc ecc ecc
 La trama è assai banale, i personaggi più interessanti. Personalmente avrei gradito di più sapere perché due persone che potevano avere un avvenire luminoso non sono state in grado di reggere il peso della vita. Peccato che l'autore abbia pensato fosse meglio farmi capire come funzionano le borse di studio negli Stati Uniti d'America. Voto 2 stellette e mezzo.
 (Ps. Se qualcuno che lo ha letto è riuscito a non strillare alla settantesima volta in cui appare la parola "passerina" mi faccia sapere).

"LA VERITA' DELL'ALLIGATORE"di MASSIMO CARLOTTO ed. E/O:
 Avevo letto un'unica cosa di Carlotto, vari anni fa, il famoso "Arrivederci amore ciao". Non mi dispiacque, ma lo trovai curioso, somigliava più al trattamento di un film (che infatti ne avevano tratto ed era assai migliore) che ad un romanzo: veloce, secco, senza tanti fronzoli, ma anche troppo. ero ben disposta verso questo libro con protagonista l'Alligatore, pregiudicato per motivi politici (ma più che altro incastrato), poco dedito alla violenza, con nessuna voglia di uccidere qualcuno, e una forte etica. Ecco, l'etica è la cosa che ho più apprezzato di questo libro la cui trama, graziosa, procede in un modo troppo schematico.
Comunque, l'Alligatore viene contattato da un'avvocatessa preoccupata per un suo cliente, un ex omicida con un passato di tossicodipendenza, scomparso durante la giornata lavorativa a pochi mesi dalla fine della condanna. L'Alligatore accetta di cercarlo e, risalendo a lui, scopre un omicidio fresco fresco di cui lo scomparso sembra di nuovo l'autore: trattasi di una donna che frequentava e che, guarda caso, era uno dei giudici popolari che lo aveva condannato tanti anni prima. Inizia così un'indagine che scava nel passato e negli ambienti dell'alta borghesia padovana, tra medici inappuntabili, avvocati irreprensibili, festini sadomaso, ricatti, bustarelle, e quell'omertà che però al nord viene pacatamente passata come "riservatezza" (che insomma fa più nobile). 
 Ripeto l'etica di fondo è la cosa migliore: gggente coi soldi e senza morale che fa pagare i suoi errori a gggente che forse non ha una morale, ma di sicuro non ha i soldi. L'importante è sempre l'apparenza, poi chi ne paga le conseguenze non è affare di chi può permettersi di rimanere pulito.
 Il problema del libro, che pure ha dei bei personaggi, è che procede per confessioni-fughe-confessioni-fughe-confessioni-fughe. Cioè, si saltabecca solo da una confessione estorta all'altra, senza guizzi particolari e senza neanche quella caratterizzazione che permette ai libri di Montalbano di procedere sullo stesso schema senza risultare pedante. Anche perché poi, alla quarta confessione pensi: ma questi confessano tutto così lungamente, così tanto, così riccamente senza un problema?
 Dopo un po' pare una puntata di Dragon Ball con Majin-Bu che ti spiega il suo perfido piano per filo e per segno mentre intanto le ore passano e passano e passano. Voto quasi 3.


"IL LADRO DI LIBRI" di A. TOTA e P. VAN HOVE ed. Coconico Press:
 Il titolo libresco di questa graphic novel, il fatto che sia ambientato durante il periodo glorioso e dorato degli esistenzialisti francesi tra Sartre, Nizan, Camus e Simone de Beauvoir, mi avevano attratto nonostante il tratto molto pesante, in bianco e nero (e talvolta un po' scopiazziato da Pazienza) non mi attirassero troppo. Il risultato è NI.
Daniel Brodin è un giovane di buona famiglia con un'ossessione cleptomane per i libri. Si sente insoddisfatto dalla sua esistenza borghese, vorrebbe essere un poeta, ma non si osa, e il giorno in cui capita ad un reading provocatorio in cui l'intellighenzia invoca nuove voci poetiche dal popolo, lui finisce per declamare una poesia italiana semisconociuta raccogliendo consensi.
 Spaventato dall'improvvisa possibile notorietà, scappa e finisce tra i bassifondi parigini dove entra in contatto con una sorta di peggio gioventù: arraffoni, ladri, nullafacenti fieri di esserlo in opposizione alla dittatura borghese del consuma produci crepa. Tra loro, lui che si è sempre sentito un pesce fuor d'acqua, trova comprensione e sollievo: finalmente sa chi vuole essere. Un provocatorio signor nessuno. Ma l'ansia di riconoscimento e il desiderio di diventare un intellettuale rimane e in qualche modo lo rende cieco di fronte alla sua mediocrità finendo per precipitarlo in un destico tragico e imbarazzante.
 La storia rende molto bene un personaggio mediocre che, credendosi assai più di quel che è, si perde drammaticamente. Il problema è che non ho per niente apprezzato il punto di vista un po' snob nei confronti del periodo esistenzialista francese. Sartre e gli altri vengono passati come degli snobboni alla ricerca del giocarello intellettuale con cui farsi belli, loro ricchi, famosi e su tutti i giornali che si divertono con un poveraccio, come per metterlo nella loro collezione di stranezze. Mi è sembrata una grande ignoranza storica, soprattutto in considerazione delle biografie degli intellettuali di quel periodo, a cominciare da Camus, nato poverissimo e diventato scrittore solo grazie alla tigna di un irripetibile insegnante nell'Algeria coloniale. Va bene il contrasto, ma al contrasto c'è un limite.

 E voi ne avete letto qualcuno? Volete smentirmi (felicissima eh soprattutto per i romanzi si va a gusti personali)? Testimoniate!

sabato 27 giugno 2015

4 Trame distopiche partorite dalla mia mente dopo la visita al famoso Expo milanese. A che serve tutto questo? E perché mi dà tutta quest'ansia? Tra alieni, scrittori, Luna Park infernali, carestie, guerre e capitalismo quattro scenari fantascientifici da terrore.

 Quando andavo alle superiori, la professoressa d'inglese, ci propinò un libretto di racconti fantastici e di fantascienza da leggere e tradurre tra casa e scuola. 
Il primo, (probabilmente l'unica lettura in inglese che mi sia rimasta impressa), parlava di un gruppo di umani in gita su vari pianeti. per la loro sicurezza, viste le strane creature che avrebbero incontrato, venivano tenuti al sicuro da solite sbarre. 
 Con estrema meraviglia fissavano gli alieni oltre le inferriate ed erano felici di essere protetti. Il racconto terminava con gli umani che partivano e gli alieni felici e soddisfatti di aver potuto ospitare uno zoo con creature provenienti da un altro pianeta. Erano gli umani le strane creature e le inferriate una gabbia in cui contenerli.
Ieri sono stata all'Expo. E non è stato bello.
Nel mio immaginario l'Expo rimandava a quelle favolose esposizione ottocentesche in cui si mostravano automi e si faceva a gara per mostrare il progresso tecnologico e le innovazioni dei singoli paesi. 
 L'Expo milanese, (su cui vorrei fare un fumetto), è tutto tranne che questo. 
Sembra una riuscitissima fiera del turismo intersecata con una fiera dell'artigianato, intersecata con Gardaland, il tutto dentro bellissimi padiglioni pieni di niente o di roba da vendere. Detta tra noi, se fossi venuta dall'estero, a vedere questa massa di niente mi sarei alquanto arrabbiata.
 In compenso, mentre vagavo per questo famoso Decumano (parola che fa strabiliare tanti per la poesia, ma i lettori penso la colleghino a "Il Signore degli anelli" e agli Hobbit), la mia mente, in questo strambo trionfo di capitalismo travestito da sostenibilità (travestito male tra l'altro), probabilmente per la riuscitissima scenografia, è riuscita a partorire varie trame distopiche o fantascientifiche che tale evento potrebbe suscitare.
 Perché, ve lo giuro, ad un certo punto mi sono sentita come l'essere umano nella gabbia che guarda le creature aliene da fuori. A vedere le persone divertirsi come a Mirabilandia quando avremmo dovuto parlare di come nutrire il pianeta, mi sono sentita aliena alla mia stessa specie, ed è stata una sensazione stranissima.
 Ecco i miei 4 papabili libri ispirati all'Expo.
 Eccole per voi, pensateci bene se volete andarci.

CAPITALISMO et RELIGIONE:
 Mentre camminavo tra i padiglioni di stati che se non sono in guerra tra loro poco ci manca, non riuscivo a pensare al favoloso spirito di comunione tra i popoli che questi eventi planetari, tra le altre cose dovrebbero ispirare, tramite la reciproca conoscenza e interazione.
  ho pensato che in effetti c'era una cosa che univa i popoli a prescindere da tutto: i soldi. Soldi soldi soldi soldi.
Davanti a yemeniti che cercavano di vendermi collane con una certa insistenza, vietnamiti che avevano portato tre manciate di riso e migliaia di gadget, davanti a hostess di paesi africani che a qualsiasi domanda sulla provenienza dei rari cibi esposti ti rispondevano stizzite che quelle cose erano solo in esposizione e quasi niente ne sapevano,
 Mentre riflettevo su questa illuminazione grandiosa come la scoperta dell'acqua calda, osservavo le hostess yemenite completamente velate con i soli occhi scoperti e guardavo gli espositori uomini porgermi del miele da assaggiare. Il miele era buono, ma la mia domanda era: chissà che penseranno di me. Mi offrirebbero comunque 'sto miele se non volessero smerciarmene un litro (in modo neanche cortese tra l'altro).?Così la mia mente è partita per la tangente e ho partorito una trama distopica in cui il mondo, ormai completamente colonizzato dal sistema capitalista, riesce a mantenere il controllo sulle masse tramite l'uso estremo della religione.
 Se le religioni diventano fanatismo e i movimenti, gli indumenti, le leggi, la moralità, tutto insomma, è controllato da una sorta di organo morale superiore, i cittadini sono costretti in una tale quantità di regole da non avere scampo. Come possono combattere un sistema economico se sono costretti a mangiare solo determinate cose, a rientrare a certi orari, a lavorare esattamente da tot ora a tot ora, a percorrere sempre lo stesso determinato percorso? Un mondo che non lascia scampo. Prega, produci, compra, respira.

ESPERIMENTO ALIENO o LETTERARIO:
 Devo dire che la fiera di Rho, posta tra il nulla e delle tangenziali, dà la sensazione straniante di trovarsi in un tipico non-luogo all'americana.
Questa specie di cittadella dell'Expo, lunga un km e mezzo e piena di padiglioni dalle forme particolari, alcuni bellissimi, altri un po' effetto Disneyland, dà una certa sensazione di straniamento. Dopo un po' di ore che sei lì dentro, con tutto quel biancore, quella pulizia, musica di sottofondo, hai la sensazione di trovarti in una specie di villaggio dei Puffi o di paesaggio alla playmobil. Inizi perciò ad entrare in un'ottica da Truman Show, in cui inizi a porti delle domande fondamentali sulla vita: perché sono qui? A cosa serve tutto questo? Come può esistere un mondo in cui la cosa più importante sembra nutrirsi di nutella al prossimo padiglione?
 E quale mente ha potuto concepire un expo in cui, mentre guardi la ricchezza delle sementi e della biodiversità c'è gente che si ingozza di panini del MacDonald? Come si può parlare della fame nel mondo con un pancake olandese in bocca? Dove sta la povertà vista dall'opulenza? L'impressione di assurdità è talmente totale che si entra in un paradosso: questo posto non può esistere sul serio. E' troppo finto, una cosa talmente letteraria nella sua organizzazione (i ricchi che mangiano mentre fingono di preoccuparsi della fame nel mondo) che non può che essere un esperimento partorito da una mente aliena che ha creato il nostro mondo al solo scopo di osservarci da lontano e capire a quale evoluzione o disevoluzione possiamo giungere. Altra alternativa, sono diventata il personaggio cosciente di un romanzo distopico e ora sono terrorizzata dal sapere come andrà a a finire.

PROSCIUGAMENTO DELLE RISORSE NATURALI:
Se ben avevo capito, i vari paesi del mondo dovevano proporci delle loro idee su come rendere la nostra esistenza sostenibile su questo pianeta.
 L'unica cosa che ho capito, tra chef stellati, spot turistici e foto dei presidenti dei paesi africani poste in bella vista in ogni padiglione o cluster, è che tutti i paesi vogliono entrare nella ricca mensa del commercio globale: produrre, esportare, arricchirsi, produrre, esportare, arricchirsi. In tale ottica mi sfugge totalmente la questione della sostenibilità dove sia finita.
 Ho pensato a quei famosi temi delle elementari in cui dovevo scrivere che, se non fossimo stati attenti all'ecologia, avremmo consumato tutte le risorse del nostro pianeta entro un certo anno. Vagando per l'Expo, mi è sembrato di vedere un enorme countdown scorrere velocissimo e ho immaginato una sfrenata crescita globale che avrebbe portato all'esaurimento delle risorse entro il 2025. Dieci anni di autonomia e poi l'inizio di un'enorme carestia. La carestia porta mooooolto nervosismo e moooolto desiderio di impadronirsi delle risorse altrui, e tante guerre, e alleanze, e guerre e morti e cataclismi. Insomma, ho immaginato la terza guerra mondiale.

LUNA PARK INFERNALE:
 Considerando che il famoso albero della vita pare uscito direttamente dalla scenografia di Gardaland e che ad un certo punto del pomeriggio ho dovuto assistere ad un pacchianissimo spettacolo per bambini, lungo il Decumano, a base di pupazzi testimonial dell'Expo, poveri cristi costretti in giganteschi e caldissimi pupazzi a forma di Heidi, Calimero, Ape Maia e altre icone infantili di largo consumo, ad un certo punto mi è sembrato di stare al Luna Park. C'erano anche gli spettacoli a orario, i concertini, i balletti, la musica dance a palla di alcuni padiglioni, i gioiosi camerieri di ogni paese che cercavano di invitarti a mangiare nei loro costosissimi ristoranti (Messico, sei stato davvero fastidioso).
 Insomma un Luna Park. Solo che non finiva mai, lunghissimo, col padiglione dell'Oman che pareva una ricostruzione di cartapesta del palazzo di Aladin e quello del Qatar a forma di cesto di paglia, quello dell'Ecuador colorato con mille mila catenelle e gente gente gente in ogni dove. Ad un certo punto ho pensato che se avessi cercato l'uscita non l'avrei trovata. Come in quei libri horror in cui entri in un posto da cui non puoi più uscire perché hai attraversato una porta dimensionale o ti ha inghiottito come un essere vivente. L'Expo come Luna Park mostruoso in cui divertirsi per forza, una specie di palese dei balocchi che ti tiene prigioniero, per sempre-empre-empre.

Conclusion
 All'ingresso c'è questo padiglione sul divino alito della terra.
Entri e sei in una specie di museo delle storie naturali britannico ricostruito: tutto legno, colonne di legno, soffitto a cassettoni e una specie di archivio formato da pile di cassettini a muro, alcuni semiaperti. Lascia a bocca aperta. Poi ti avvicini, e se sei una come me, provi a spostare i cassettini semiaperti e scopri che non esistono.
 E' tutto finto. il cassetto non scorre, c'è solo il pezzo davanti attaccato a fingere una semiapertura. E allora capisci tutto il trucco dell'Expo: un'esteriorità grandiosa per nascondere un contenuto inesistente.
   Anche questo abbindolamento bovino delle masse è molto distopico: come sono belle queste strane cose del passato, anche se sono posticce, anche se non sono niente. 
 Pensare di esporre erbari e bestiari antichi era troppo complesso immagino, troppo di sostanza. La gente è lì per divertirsi, del resto.

Ps. Faccio presente che, prima di andarci, io non avevo nessuna idea precisa dell'Expo, quindi partivo scevra di pregiudizi, anzi, mi aspettavo grandissime cose e meraviglie. Che peccato.

mercoledì 24 giugno 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Saluti dalla Russia"!

Ogni tanto la libreria somiglia a dei quadri di Salvador Dalì. Tu pensi che tutto sia normale, poi un leone ti esce dall'armadio.
Cose realmente avvenute! In questo caso ve lo stragiuro (ho anche il responsabile alpha dotato di pecora marchigiana che può testimoniarlo, come vedete)! "Saluti dalla Russia"!


lunedì 22 giugno 2015

Perché la narrativa italiana non è più capace di scandalizzare? Mondi che non comunicano, talenti che non nascono, piazze distopiche, tweet schizofrenici per provare a dare una risposta a una domanda troppo difficile.

Non molto tempo fa un cliente in libreria ci ha posto una domanda che a lui pareva tanto semplice e invece ha ingenerato il panico in me e nei miei colleghi. 
 Il quesito recitava: "Ciao, vorrei leggere un libro come quelli che scriveva Pasolini, ma che parli dell'Italia attuale".
Spiegandosi meglio, cercava una sorta di critica del sistema Italia, non solo politico, ma anche sociale, rarefatto in un romanzo. La domanda era:  chi eravamo noi adesso?
 Dopo varie proposte, tra l'altro, più che altro di saggistica, abbiam dovuto cedere all'evidenza. Noi, non solo non abbiamo Pasolini, ma manco un epigono, un imitatore, un millantatore. Noi, adesso non abbiamo niente.
 Il 20 Giugno sono accaduti due fatti che probabilmente non avrei collegato se non avessi un account twitter schizofrenico. 
 C'è stato quella specie di family day a Roma, dove al grido di "morte al gender" della gente ha pensato che valesse la pena scendere in piazza per dire no ai diritti altruim nello specifico ai matrimoni gay (in un misto di calunnie, fascismi, fantascienza degni di distopie alla "V per Vendetta"), e la notte bianca della lettura, "Letti di notte".
 La bacheca di twitter perciò aveva un assurdo mix di gente che mi diceva quanto profondamente l'avesse colpita l'ultimo libro di Missiroli o di come si stesse commuovendo ad ascoltare il reading nella libreria di quartiere, misti a tweet apocalittici di omofobi che additavano i gay come sterco del demonio o di militanti Lgbt che invocavano un fulmine definitivo su piazza San Giovanni.
 Erano ovviamente due eventi diversissimi, ma accadevano in contemporanea e non si parlavano in nessun modo. Non c'era un solo nesso da nessuna parte. Voi direte, che nesso vuoi che ci sia tra una notte dedicata ai lettori e ai libri e una piazza di omofobi?
 In realtà il nesso c'è eccome: viviamo nello stesso identico paese e siamo soggetti alle stesse identiche leggi, viviamo insieme, non in due compartimenti stagni.
 Ho ripensato allora al tizio che chiedeva il libro inesistente di un Pasolini contemporaneo inesistente e mi sono posta due domande.
1) La realtà e la letteratura hanno smesso di comunicare in questo paese?
2) Esiste ancora quello che Gramsci chiamava intellettuale organico? Esistono gli intellettuali impegnati (non i radical-chic, gli impegnati davvero)? 

La risposta alla prima domanda, personale, ma voi mi direte spero cosa ne pensate nei commenti, è che SI' la letteratura e la realtà in questo paese non si parlano più. Non so da quando visto che devono aver smesso assai prima che io raggiungessi l'età della ragione, ma non riesco a ricordare un solo libro, inteso come romanzo (la saggistica, a sprazzi illumina parti di realtà, ma è un'altra cosa), che dia un affresco della società italiana. Ne è una prova evidente il fatto che nessun libro sia degno di scandalo da decenni.
 Un tempo i libri venivano processati per oscenità, creavano dibattiti, litigi accesi sui giornali, polemiche da stadio, adesso la colpa sarà anche dei lettori meno impegnati, ma seriamente, per quale libro dovrebbero infuocarsi i lettori italiani?
 Non posso menzionare un solo libro italiano che abbia scandalizzato le masse. Scandalizzare, una parola che praticamente manco si usa più e che pure, tra le connotazioni negative date dal dizionario ne ha una che negativa non lo è affatto: "turbare la coscienza di qualcuno".
 Potete effettivamente dire che un libro scritto negli ultimi 20 anni vi abbia "turbato la coscienza"? No perché a me l'hanno turbata "Gli indifferenti" di Moravia, "Teorema" di Pasolini (io ho dei problemi col concetto di borghesia), ma non ho preso in mano un solo romanzo italiano che mi abbia dato da pensare.
 Perché è questo che manca quando la letteratura parte per una sterile tangente immaginifica e dimentica completamente il contatto con la realtà: i libri smettono di dar da pensare. Che non basti leggere per essere colti o per farsi una coscienza critica lo sappiamo tutti, molto dipende da cosa leggiamo, oltre che dagli strumenti che abbiamo per comprenderlo, ma ora manca la materia prima, quei libri che ti diano da pensare, ti mostrino la realtà.
 Un libro non scandalizza per le scene di sesso o di violenza, (se lo fa facciamoci due domande), un libro scandalizza quando mostra quelle piaghe della realtà che non vogliamo vedere.
 La coscienza si turba solo quando tu mostri il reale di cui tutti sanno che preferiscono ignorare. Non basta provocare per creare uno scandalo, quella provocazione deve colpire esattamente una ferita che tentiamo di coprire, il nostro punto debole.
 Per fare un esempio, "Sottomissione", il romanzo di Houellebecq uscito recentemente in Francia colpisce violentemente un punto scoperto dei francesi, il terrore di un'inculturazione passiva.
 L'unico libro italiano che abbia ingenerato un dibattito popolare negli ultimi anni, ossia "Gomorra" (che non per niente ha dato vita all'unico autore che tenta di fare il mestiere dell'intellettuale tout court), svelava all'Italia non solo un sud in mano alla criminalità organizzata, ma una gioventù misera e abbandonata, campi fumanti acido brucati dalle bufale di cui noi mangiamo le mozzarelle, regioni intrise di morte letteralmente alle radici.
 Ci colpiva nel vivo e non solo perché raccontava fatti reali (ci sono pacchi di libri che lo fanno), ma perché lo faceva in modo da colpire la nostra coscienza, da far entrare quel fatto nel nostro vissuto. Ci poneva delle domande sconcertanti.
 Il fatto che il 20 Giugno migliaia di lettori in Italia twittassero beati e felici mentre accadeva una roba di una gravità enorme a Roma (provate a pensare se avessero marciato per il no al matrimonio agli ebrei o alle persone di colore), mi ha fatto domandare se i lettori in Italia non manchino anche per questo. A cosa serve leggere sempre e solo per svago? A cosa serve scrivere sempre e solo per svago?
 Perché il problema non è solo dei lettori, ma, ovviamente, anche degli autori.  
Indubbiamente nell'editoria esistono mode come nelle case discografiche.
 Negli anni '70 i cantautori italiani furoreggiavano al punto che Gianni Morandi dovette mettersi a studiare al conservatorio in attesa di tempi migliori, ora per trovare un cantautore devi andare ai festival indie e sperare, nella massa pretenziosa, che qualche cosa di vagamente ascoltabile emerga.
 Perciò immagino che, in tempi di crisi dell'editoria, l'ultima cosa che ti viene in mente di fare è pubblicare un romanzo che sappia descrivere gli italici vizi e le italiche virtù (quel tipo di libro che penso sempre, ingenuamente, che dovrebbe vincere il premio Strega). 
 Tuttavia per tortuose che possano essere le vie della pubblicazione, il dubbio che sorge spontaneo dando un'occhiata alla gittata continua di romanzi in libreria è che manchi la capacità generale di farla questa critica.
  Il romanzo che descriva i vizi e le virtù non esiste perché forse non esiste chi sa scriverlo.
 Detta così pare che aspetto il corrispettivo italico de "Il grande romanzo americano", in realtà l'altra sera ho visto, per assoluto caso, "Made in Italy" di Nanni Loy in tv, un film degli anni '70 che descriveva in numerosi episodi, come tanti splendidi cortometraggi, piccole storie che dicessero qualcosa sull'evoluzione sociale degli italiani.
 Ebbene, uno solo di quegli episodi bastava come trama di un romanzo di critica di costume, non troppo lungo, affatto noioso, molto popolare e raffinato al contempo.
 Ma allora com'è che mi ritrovo circondata da romanzi o troppo pretenziosi o assolutamente pieni di niente? Dov'è stato l'errore? Quando i lettori di Letti di Notte e quelli della piazza omofoba non solo hanno smesso di parlarsi, ma di essere a conoscenza gli uni dell'esistenza degli altri?
 Perché l'editoria non è più in grado di turbare le coscienze?
 Io non penso che esistano tempi in cui nascono persone più talentuose, penso che la nascita di un fermento culturale, l'emersione, ma anche lo sviluppo di determinati talenti venga spesso da una forza esterna, da un contesto favorevole o stimolante, dalla voglia di esplodere.
 Un'epoca tiepida, che si compiace di sè stessa, non ha dubbi. E non c'è niente di più stupido che non dubitare mai.

 Sono domande praticamente sui massimi sistemi, eppure penso che sarebbe interessante un dibattito del genere (che fa molto dibbbbbbattito post cineforum in una sala semideserta con la gente che dorme rivoltata sulle siede, però oh, ogni tanto ce vò, se no che caspita leggiamo a fare?).

domenica 21 giugno 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro!"Eneide"!

Giugno, quel meraviglioso mese in cui orde di genitori e ragazzini calano in libreria alla ricerca dei libri da leggere per l'estate. L'anno scorso feci un post sulla molestia dei genitori che peraltro diede vita ad un flame di madri inviperite per l'eccessivo carico di lavoro dato da malvagi insegnanti alle loro stanche creature. Non mi ripeterò quest'anno.
 In compenso mi regalano tante perle per voi. Ecco la prima (in serata la seconda).
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Eneide"!



venerdì 19 giugno 2015

Le feste dell'estate, il mondo dell'editoria, gli alti ideali e l'amara realtà. "Le feste editoriali da dentro sono solo un'illusione", un fumetto di consapevolezza.

Il mondo dell'editoria è una di quelle cose ideali che ho sempre immaginato come qualcosa di alto e meraviglioso. Con gli anni, ovviamente, l'ideale mi è passato, ma non ho mai approfondito cosa si celasse davvero a monte della filiera. 
 Ieri mi è capitato di andare con una mia amica alla fiesta estiva di una casa editrice, ero assai entusiasta, ma ho scoperto che tra immaginario e realtà le cose sono ancora più crudamente diverse di quel che si immagina. Di cui sotto il fumetto di quella pensavo sarebbe stata una serata megaesaltante e invece boh.
 "Le feste editoriali da dentro sono solo un'illusione", un fumetto di consapevolezza.







giovedì 18 giugno 2015

Camilleri, Montalbano e la cucina. Esperimentone da book-cook-blogger: un'intera cena che mangerebbe l'amato commissario siculo, che insomma, alla follia letteraria non ci può (e non ci deve) essere fine!

  Dunque, come tutti gli esseri umani routinari di questa terra, ho alcuni miei riti.
 Uno di questi, per molti anni,specialmente quelli infelici in cui mi avrebbe migliorato la giornata anche una moneta da 1 centesimo trovata per strada, erano "le serate Montalbano". 
Queste serate prevedevano la visione dell'ennesima replica del commissario in tv o la prima delle nuovissime puntate, e, a contorno, un menù speciale che prevedeva due dei miei piatti favoriti: spaghetti coi pomodorini freschi, il basilico e il parmigiano (piatto che potrei ingurgitare in quantità industriale) e le fragole con la panna. Tanto Zingaretti compariva ad allietare i nostri dopocena sono in estate e non c'era bisogno di molto altro.
 Questo per dire che Montalbano mi ha sempre ispirato cibo e, considerando la minuziosa descrizione dei piatti che esso divora ogni volta che ha bisogno di pensare o che deve interrogare un teste a casa sua, non era difficile che accadesse.
 Camilleri è probabilmente l'unico scrittore italiano che scateni in me qualche tipo di fangirlata (oltre a Zerocalcare) e ho avuto la ventura di vederlo una volta sola, anni fa, in condizioni inquietanti. Io ero giovane, grassottella e amavo molto una specie di mantellina nera col colletto alla coreana che credevo mi rendesse molto elegante (probabilmente avevo l'aspetto di una salsiccia col mantello di Robin) e mettevo nelle grandi occasioni, cosa che ritenni di dover fare quel piovosissimo pomeriggio.
 Una mia zia, che aveva la fissa molto teatrale di partecipare a tutti gli eventi che considerava di grido, mi trascinò alla presentazione del libro di uno scrittore di cui non ho memoria a cui partecipava anche Camilleri. Ho cancellato dalla memoria quale libro fosse, ma mi è rimasta vividamente impressa la presenza di Bruno Vespa e altro ignobile vippaggio (non doveva essere un gran libro, condivido). Alla fine, in mezzo a gente che champagnava, mi trascinai con una copia de "Il re di Girgenti" da un Camilleri che doveva chiedersi da solo che caspita ci facesse lì, e chiesi se poteva firmarmela.
Cena finale con altarino
 Un pomeriggio vagamente straniante che si concluse con un autografo che temo di essere l'unica della famiglia a sapere che abbiamo nella libreria di casa.
 Insomma, lovo molto Camilleri. Perciò, oltre ad aspettare che i dvd de "Il commissario Montalbano" vadano in svendita per potermeli comprare tutti, sono vittima di cose da fan come tentare di prenotare un fine settimana nella casa di Montalbano a Marinella (oh, tutti abbiamo un lato letterarial-trash) o l'acquisto di libri come "I segreti della tavola di Montalbano" di Stefania Campo ed. Il leone verde edizioni.
 Il leone verde è una casa editrice che cito ogni tanto e fa dei volumetti deliziosi  in cui unisce cibarie e letteratura: di cosa si nutrivano i grandi scrittori? E quali erano davvero i sapori citati nei nostri libri preferiti? 
 Lo trovo un modo per rendere più viva e tridimensionale un'esperienza di lettura che ci è piaciuta tanto da volerci entrare con più forza. Certo, non tutte le pietanze lette nei libri rischiano di dare la stessa sensazione.
 Ricordo un libro sulle ricette di Natale di Kay Scarpetta, la detective protagonista dei romanzi di Patricia Cornwell. Un'altra mia zia (sono piena di zie, e quando dico piena, intendo piena), appassionatissima della serie, lo comprò fiduciosa per poi ritrovarsi tra le mani una serie di porcate agrodolci all'americana immangiabili per un sano stomaco italico.
 Tuttavia, chiunque legga Camilleri sa che Montalbano mangia solo cose deliziose, arancini di dimensioni bibliche, spaghetti al nero di siccia, fritturine di pesce che si sciolgono in bocca, caponatine, la famosa (e per me misteriosa), pasta 'ncasciata, giganteschi cannoli e raramente, quando proprio un pastore è in buona, qualche capretto con patate condiviso in un casale di pietrazze.
 Perciò è stato un attimo: ho visto il libro ed è stato mio.
 Per dare un senso a questo acquisto compulsivo ho pensato di tentare un esperimento da food cook-blogger: dopo aver acquistato (quasi) tutto il necessario eseguirò tre ricette montalbanesche, realmente consumate dall'amato commissario, e vi posterò ingredienti e risultato finale qui, proprio come una Sonia Peronaci qualunque.
 Tenete presente che, avendo ascendenze (tra le altre) sarde, io mi reco sempre in quella simpatica isola e perciò non ho mai messo piede in Sicilia, perciò magari per i palermitani e i catanesi che mi leggono 'sti piatti sono più semplici della panzanella, ma per me sono robe esotiche.
 Siete pronti a questa giallozafferanizzazione del blogghe?

PASTA ALLA NORMA CON PESCE SPADA:

Ingredienti

Maccheroncini
Pomodori maturi
Cipolla
Melanzane
Pesce spada
Vino Bianco
Basilico
Olio
Sale

 Non capivo perché la chiamassero alla Norma se non era prevista la presenza della ricotta (momento purismo alla Carlo Cracco), ma in realtà a piattazzo delizioso finito, forse, ho compreso la furbata: il pesce spada, nella salsa, finisce per sgretolarsi assumendo le fattezze di granuli di ricotta belli solidi e sostanziosi.
Comunque, prendete le melanzane, tagliatele a tocchetti e friggetele, poi mettetele da parte. Prendete la cipolla, sminuzzatela e fateci un bel soffritto, poi lanciateci dentro il pesce spada tagliato a tocchetti e sfumate col vino bianco. Quando il vino è evaporato, unite i pomodori tagliati a dadini e girate finchè non si è creata una bella salsina profumosa e assolutamente delicious. A quel punto preparate la pasta e, una volta cotta, unitela alla salsa di pesce e pomodori assieme alle melanzane. Mescolate il tutto e guarnite col basilico. Da bava alla bocca.

POLPETTE DI NEONATA:

Ingredienti:

Pesciolini
1 uovo
farina
prezzemolo
aglio
olio
sale e pepe

 Allora, io i pesciolini non li ho trovati. L'unica cosa che aveva l'unico supermercato col banco pesce in un raggio di metri accettabile, erano le alici (e sono stata anche fortunata perché di solito non hanno manco quelle). Spero si possano considerare pesciolini, alla fine sò pesci e sò piccole.
 Comunque, prendete questi pescetti e puliteli (togliere le capocce e le lische a 400 grammi di alici non è stato bello), poi sminuzzateli e unite la farina e l'uovo. Dovrebbe venire un composto abbastanza consistente (a me non è venuto e ho aggiunto pan grattato in quantità) che potrete pallottare in morbide polpette da friggere. Servite con un bel limone vicino per condire.

CANNOLI SICILIANI:
Ecco l'altarino Montalbano
creato al lato della tavola

Ingredienti (del ripieno):

Ricotta di pecora
Zucchero
Zuccata (non pervenuta)
Vaniglia
Cioccolato fondente
Scorza arancia candita
Latte

Ok, ho barato, la parte solida del cannolo non l'ho fatta io, ma comprata ignobilmente al supermercato di fronte casa (c'è un limite all'abnegazione). Il mio unico apporto alla ricetta è stato mischiare ricotta e zucchero assieme a gocce di cioccolato e scorzette di arancia candita.
 A rendere ancora più ignobile questo mio tradimento da discount contro questo dolcetto megafantadelizioso, è il fatto che non ne sono rimaste prove provate. Il tempo di dire alla mia dolce metà che dovevo fare una foto per il blog e il corpo del reato era già scomparso dentro le guance da procione. E' stato breve, ma intenso.

 Queste sono solo tre delle fantastiche, fattibilissime ed economiche ricette che il commissario trangugia con amore e IN SILENZIO. La prossima replica di Montalbano replico, anche se ora ho la cucina che grida vendetta (ma questa è un'altra storia).

sabato 13 giugno 2015

Cartoline dalla libreria! I più frequenti (e inutili) indizi forniti dai clienti per identificare il mysterioso (anche per loro) libro anelato!

Ed ecco che ritorno a trasmettere su questi schermi.
Celeberrima immagine che gira
su internet da un bel po'
Questi giorni sono stati un po' difficoltosi (ossia, avere un pc fisso e il tempo di starci è stato impossibile), ma ecco che sono di nuovo qui.
Comunque, poiché ho passato molto tempo in treno e sono riuscita a disegnare copiosamente e, per rimediare alla scarsità di post settimanali, ho deciso, questo sabato, non di propinarvi una sola stitica vignetta, ma una serie di cartoline dalla libreria, come quelle che feci in occasione di Natale.
Sono tutte accomunate dall'essere tra i più frequenti indizi dati clienti quando devono chiedere un libro di cui non ricordano praticamente nulla.
 Indizi, tanto inutili, quanto, talvolta, completamente inspiegabili e surreali.
Questa è solo la prima tranche, perché ci sono, a quanto pare, tante cose che colpiscono la clientela, ma quasi mai esse sono il titolo e l'autore.
Bando alle ciance! Tutte per voi: "Cartoline dalla libreria - Gli indizi dei clienti"!




mercoledì 10 giugno 2015

Intervista a Sebastiano Mauri, autore del gustoso "Goditi il problema" e del fondamentale "Il più bel giorno della mia vita", libello che spiega davvero a chiunque perché il matrimonio omosessuale è non solo il diritto fondamentale di una minoranza, ma un passo enorme per la civiltà di una nazione intera!

 In Italia, come ripeto spesso Cassandra style, la narrativa a tematica Lgbt o con protagonisti gay e lesbiche è assai bistrattata. Mentre all'estero è ormai editorialmente accettato che un libro possa avere anche un protagonista non eterosessuale (e una storia al contempo decente), in Italia 'sto concetto rimane misterioso.
Sebastiano Mauri
 Eppure, nonostante tutto, anche l'Italia ha avuto i suoi gloriosi autori gay, senza scomodare Pasolini, abbiamo avuto Sandro Penna e il mai troppo ricordato Pier Vittorio Tondelli, scrittore fantastico la cui omosessualità era parte fondante di libri che certo non sono ricordati per essere narrativa a tematica Lgbt.
 Insomma, editori, un tempo c'era assai più vita su Marte, sarebbe tempo di ripeterla.
 Nel frattanto, dal nulla indistinto, fortunatamente è emerso qualche autore (ovviamente non siamo ancora abbastanza avanti per avere anche autrici lesbiche, magari nel 2080 ci arriveremo) di quei libri che al cinema sarebbero l'equivalente di una brillante e divertente commedia un po' più all'americana e ogni tanto all'italiana.
 Trattasi di Matteo B. Bianchi (già intervistato), di Luca Bianchini, (che ha raggiunto la gloria con "Io che amo solo te" commedia dai toni queer all'italiana) e Sebastiano Mauri che, due anni fa, ha dato alle stampe "Goditi il problema" ed. Rizzoli.
 "Goditi il problema" era la passione di un mio collega che lo straconsigliava a tutti, ma io mi son decisa a prenderlo solo con un buono regalatomi da mio padre, ed è stato un ottimo acquisto. Martino, il protagonista, è figlio di quelle famiglie ricche e fricchettone al contempo, ha un fratello (molto etero) e una sorella maggiori, due genitori un po' eccentrici, una fidanzata storica con cui ha rotto dopo dieci anni e un segreto che si porta appresso da quando era bambino: è omosessuale, ma non riesce a confessarselo fino a quando, in America per lavoro (è aiuto regista), scopre di non trovare particolarmente interessante una meravigliosa modella che gli si offre e capisce che forse è ora, non solo di riesumare il problema, ma anche di goderselo. 
Inizia così una sarabanda di episodi assurdi tra follie familiari, follie lavorative (Hollywood è un brutto posto), fidanzati sudamericani e favolose etero che tentano su di lui strane conversioni con la forza della coercizione.
 Conquistata da tale romanzo, ho letto con giuoia il secondo libro "Il giorno più felice della mia vita", un libello in cui, con ironia, smonta capitolo per capitolo le obiezioni folli degli omofobi.
 Voi, amici e amiche etero, non potete capire il delirio che dobbiamo passare: colleghi e amici che pensano siano state approvate le unioni civili (quando? come?) e non capiscono perché non ci sposiamo, gente che fa manifestazioni per proteggere i figli da noi (non ho mai capito il nesso, esiste una brigata gay per il rapimento dei figli degli etero?), gente che ci accusa di robe al limite del malthusiano (non procreando porteremo all'estinzione l'umanità, come se essere gay o lesbica ti rendesse biologicamente sterile, ehi, l'utero ce l'ho pure io!) e follie varie.
 A voi farà ridere, per noi è una tragedia e Mauri finalmente ha scritto un libro grazioso, for dummies, senza stereotipi, su questo scollamento tra i diritti civili, le persone gay e la responsabilità dello stato (e dei suoi cittadini). LEGGETELO, è un imperativo categorico!
 E intanto leggete anche l'intervista che mi ha gentilmente concesso e di cui lo ringrazio, anche per la cortesia, la velocità e la disponibilità dimostrate.
L'INTERVISTA A SEBASTIANO MAURI TUTTA PER VOI!


Cosa leggevi da bambino?

Leggevo molto da piccolo, i classici dell’infanzia per lo più. Tra quelli che ho più amato ricordo L’isola del tesoro, Gianburrasca, Ventimila leghe sotto i mari, Il mago di Oz, La storia infinita, Momo. Alle medie, non ricordo come sia cominciata, leggevo soprattutto classici sull’olocausto. I diari di Anna Frank, Quando Hitler rubò il coniglio rosa, Se questo è un uomo, Un sacchetto di biglie.

Tu hai vissuto e vivi molto all'estero, quali differenze vedi tra la narrativa a tematica Lgbt italiana e straniera?

Nei quindici anni che ho vissuto in paesi anglosassoni leggevo quasi esclusivamente in inglese per migliorare la mia conoscenza della lingua, e ora che sono tornato in Italia, per non perderla, continuo a leggere tendenzialmente in inglese. Il risultato è che conosco molto poco la narrativa Lgbt italiana. Preferisco non avventurarmi in paragoni o generalizzazioni. 
 Essendo mezzo italiano e mezzo argentino, e avendo vissuto lungamente negli Stati Uniti, mi sento spesso straniero, o almeno non propriamente autoctono, dovunque io sia. In fondo, non mi dispiace mantenere questo scarto prospettico anche ora che sono tornato a vivere a Milano, la mia città natale. Amo molto Tondelli e Pasolini, ma i miei scrittori di riferimento sono David Sedaris, Augusten Borroughs, Jeanette Winterson, Jonathan Ames.

Com'è nata l'idea del tuo primo fortunato libro, “Goditi il problema” e quanto c'è di autobiografico?

Ho scritto la storia di Martino Sepe pensando a un film, solo che l’ho scritto sotto forma di romanzo. E una volta finita la sceneggiatura il romanzo, per mio sommo gaudio, Rizzoli si è offerto di pubblicarlo. Direi che è autobiografico anche nelle parti inventate di sana pianta, che sono molte. Martino Sepe, il protagonista di Goditi il problema, sono io anche quando il suo percorso si distacca completamente dal mio. La sua schizofrenia amorosa, le sue paure, le sue speranze e i suoi dolori, sono miei. Abbiamo un rapporto simbiotico da gemelli identici, istintivamente connessi, anche se lontani.

Il tuo secondo libro “Il giorno più felice della mia vita” è un libello che smonta con grande intelligenza tutte le obiezioni che vengono portate in Italia contro l'approvazione delle unioni omosessuali. 
 Dopo il voto irlandese il tema è tornato con forza nel dibattito politico, tu pensi che vedremo mai le unioni civili anche in Italia e quando?

Le unioni civili le vedremo per forza in Italia, direi entro il 2015, perché già riceviamo forti pressioni dall’Onu e la Comunità Europea per colmare il vuoto istituzionale intorno ai diritti delle coppie same-sex. Il punto è che le unioni civili rimangono pur sempre uno stato di apartheid: istituzioni speciali per cittadini speciali. 
 Il traguardo, invece, e credevo che la rivoluzione francese ci avesse già insegnato questa lezione, è l’uguaglianza, la libertà e la fratellanza per tutti i cittadini della Repubblica. Io mi riterrò soddisfatto solo quando in Italia ci sarà il matrimonio egualitario. Stesso nome, stessi diritti, stessi doveri.

Cosa stai leggendo in questo periodo?

Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti, Panti: A woman in the making di Rory O’Neill e La vita che scorre di Emmanuelle de Villepin.

Molti ragazzi e ragazze omosessuali, nel loro percorso di accettazione, leggono tantissimi libri a tematica gay. Anche tu hai vissuto questo periodo o c'è stato comunque un libro che ha avuto un significato particolare per te in tal senso?

Sì, assolutamente. Nei momenti in cui ero più sperso, i libri mi hanno aiutato moltissimo. 
 È fondamentale leggere storie in cui ci si può riconoscere. Storie in cui non ci sente esclusi, ignorati o usati come espediente tragicomico. Ti fanno sentire meno solo, e quindi più forte. In quel senso sono stati importanti per me i libri di David Leavitt, Gore Vidal e Edmund White.

I tuoi libri preferiti?

Barrel Fever e Naked di David Sedaris, Running with Scissors e Dry di Augusten Burroughs. Oranges are not the only fruit di Jeanette Winterson.

Progetti scrittori prossimi venturi?

Quest’estate riprenderò a scrivere il mio secondo romanzo, ancora incentrato attorno a Martino Sepe  (protagonista di "Goditi il Problema" ndcs) e la sua stravagante famiglia. Solo che questa volta, invece che tra New York e la Brianza, sarà ambientato tra l’Argentina e il Benin.

Hai o hai avuto delle librerie favorite?

Al liceo, la mia mecca era La libreria dello Spettacolo, mentre quella che ho più frequentato negli anni è stata la storica Milano libri
 Ultimamente amo molto una piccola libreria, sempre a Milano, molto energica e creativa: Il mio libro di Cristina di Canio.

Tu ed altri due autori italiani, Matteo B. Bianchi e Luca Bianchini, descrivete tutti e tre un mondo Lgbt molto simile, con uno stile divertente e ironico. Da cosa pensi derivi la vostra somiglianza stilistica?

Non saprei, forse abbiamo visto troppi film di Woody Allen.

Hai degli scrittori a cui ti ispiri o da cui, negli anni, ti sei ispirato?


Oltre ai vari autori già menzionati sopra, aggiungerei il grande Alan Bennet, sagace maestro d’ironia. Non ho mai letto qualcosa di deludente scritto da lui.

 Sperando che l'intervista vi sia piaciuta, ringrazio ancora tantissimo Sebastiano Mauri (mi raccomando date un'occhiata ai suoi libri, valgono super la pena!)

martedì 9 giugno 2015

Un giallo per l'estate. Le mie recenti letture gialle come ideuzza per l'estate.Tra scambi di persona, inesorabili, libri malvagi e ladri gentiluomini perché il caldo concilia il mistero.

 Lo scorso fine settimana ho avuto la ventura di starmene per ben un giorno e tre quarti al mare, ove oltre a dormire, ringraziare Iddio per essermi risparmiata un weekend con canicola infernale in città, guardare il mare, mangiare come un porco e abbronzarmi un minimo, sono riuscita nell'impresa di leggere ben tre libri.
Ovvio che ciò non sarebbe stato possibile se essi fossero stati dei romanzi russi del diciannovesimo secolo o delle pietre miliari della letteratura italiana, ma io, personalmente, al mare, specialmente se devo starci poco tempo e rilassarmi al massimo, preferisco dilettarmi.
 E secondo me il massimo rendimento in tal senso lo donano i romanzi gialli.
 Nulla è più piacevole che starsene sdraiati a indovinare pigramente un omicidio avvenuto nelle primissime pagine, a dipanare un mistero che in momenti di maggior lucidità magari risolveremmo alla decima pagina, ma, ottenebrati dal sole e dal sonno, ci tiene incollati fino alla fine. 
 I gialli sono il cibo del lettore estivo.
 Per questo darò conto delle mie recentissime letture in tal senso nel caso voleste qualche spunto per la spiaggia (non so come funzioni in montagna, mi spiace, sotto questo punto di vista sono nazionalpopolare: l'unica vacanza vera che posso concepire è rotolarsi su una spiaggia, le camminate in montagna a rinvigorirsi, cogliere bacche e more e guardare stambecchi, non riesco a percepirle come tali).
 Pronti? Via!


"GLI INESORABILI" by Edgar Wallace ed. Gremese (temo fuori commercio): 
Gli autori del neo-Sherlock Holmes forzuto e piacente aka Robert Downey Jr. accompagnato dall'altrettanto piacente Jude Law (un uomo che sta sfiorendo rapidamente, mia nonna la chiamerebbe "la bellezza dell'asino") dovrebbero confessare di aver ampiamente saccheggiato questo romanzo che ho casualmente trovato su una bancarella a 3 euro.
 Malgrado sia scritto in modo estremamente moderno, "Gli inesorabili" risale agli anni '20 ed è opera di Edgar Wallace, uno dei primi giallisti moderni, assai amato da Stephen King, autore di numerosissimi libri e sceneggiature, tra le quali quella del celebre "King Kong".
 Cosa accade ne "Gli inesorabili"? Un brillante ispettore, Robert Long, riesce a catturare il più famoso truffatore di banche del Regno Unito, il misterioso Clay Shelton, che verrà impiccato giurando vendetta. Puntualmente infatti tutto i coautori della sua cattura e del suo processo, dal poliziotto che si trovava assieme a Long al giudice, vengono uccisi in date preannunciate. Ma se Shelton è morto, chi è che commette gli omicidi? Long ha nella mente la fumosa idea che possa esistere una misteriosa organizzazione "Gli inesorabili", pronta a tutto per vendicare il truffatore e continuare la sua opera. Ma da chi è composta? E perchè?
 Non manca nulla: la storia d'amore, rapimenti, l'omicidio perfetto, l'intrigo familiare, un certo approfondimento psicologico dei personaggi. Da leggere e cercare subito altro di Wallace.

 "LA GIOSTRA DEGLI SCAMBI" di Andrea Camilleri ed. Sellerio:
 Vabbeh Camilleri non ha bisogno di recensioni, almeno per me. Tutto quello che scrive scorre una facilità e una gioia nel leggere che è rarissima.
  Le ultime trame di Montalbano però, pur essendo sempre godibilissime nei pomeriggi di mare pigro, sotto un sole troppo caldo e la sola voglia di rilassarsi, leggere e dormire, insomma 'ste trame non erano sublimi. I primi Montalbani, senza l'ansia della vecchiaia e della morte, con i personaggi sempre un po' statici, ma con ancora qualche evoluzione privata (Mimì che si sposa, il piccolo Francois, Livia che ancora spera di essere impalmata, ma inspiegabilmente rimane attaccata a Boccadasse come il pesto ai tagliolini), con indagini più articolate, erano di sicuro più avvincenti. Con gli anni Montalbano si è dato alle fimmine, al tradimento, a perdersi in omicidi di cui avrebbe indovinato il colpevole persino Catarella. "La giostra degli scambi" è invece, finalmente, godibile nella lettura e anche avvincente.
 Un misterioso sequestratore narcotizza di seguito due giovani impiegate bancarie, senza però far loro nulla. Il negozio di un commerciante a cui piace fare la bella vita viene dato alle fiamme, l'allarme viene dato dal commesso perché da un mese a Lanzarote e non torna. Beato lui, diremmo noi, peccato che nessuno ne sappia niente da troppo tempo e forse non è più in vacanza. Cosa succede a Vigata? La mafia non tollera che non gli si paghi il pizzo? Un maniaco si aggira indisturbato nelle vie? Una strana organizzazione terroristica contro le banche ha intenzione di rovinare gli istituti della zona?
 Vorrei potervi dire che vi regalerà due piacevolissimi pomeriggi estivi, ma lo divorerete in uno -.-.

"IL MISTERO DEL LIBRO MALEDETTO" di Ugo Cundari ed, Cento Autori:
 Io ho un debole grosso come una casa per tutti i libri in cui sono implicati i bibliofili, specialmente se hanno un risvolto malvagio.  
 Tutti pensano che le persone appassionate di libri siano buone, dolci, tenere e vecchieggianti, quando invece la passione per i libri può assumere i contorni di un'ossessione che di buono non ha niente. 
 Senza contare che molti criminali, fidando di ingenti quantità di denaro, sono appassionati d'arte o libri antichi (fate una ricerchina su internet e vedete chi è uno degli attuali più grandi bibliofili in Italia, un indizio: è in galera con accuse mafiose).
 Un libro dal titolo (forse un po' banale) "Il mistero del libro maledetto" non poteva che attirare la mia perversa attrazione per i libri malvagi, inoltre era edito "Cento Autori" casa editrice napoletana che ha scoperto De Giovanni (oggi esimio giallista, un tempo appassionato scrittore delle imprese del Napoli).
 Allora, partiamo dalle cose buone: l'idea di base, quella di una pianta in grado di scatenare un'epidemia e di un tomo antico,  che tutti misteriosamente cercano, è muy graziosa. 
 Il protagonista è Elemire Caccioppoli, investigatore di successo, ma  dalla triste infanzia in orfanotrofio nonostante il cognome importante, quello di un importantissimo matematico morto suicida all'estero (che ricorda vagamente Pontecorvo), in lotta contro un passato misterioso, è ben strutturato, come anche i co-primari della sua agenzia di investigazione.
 Inoltre la cosa di gran lunga più apprezzabile è l'affresco di quella Napoli che viene poco raccontata eppure esiste: una borghesia barocca dai molti cognomi stranieri, una nobiltà decaduta che detta legge, un mondo ovattato che si muove ai limiti della legalità pur legando poco coi bassifondi. Napoli sono anche i salotti ottocenteschi ormai polverosi, i riti praticamente borbonici ancora vivi e potenti, le ville magnifiche, gli intellettuali raffinati fino all'estremo. 
 Purtroppo. Le cose negative: l'autore cerca di essere spiritoso in molti punti, ma l'ironia non è il suo forte, cosa che rende molti dialoghi evidentemente artificiosi, inoltre la seconda parte è inutilmente confusionaria. La trama c'era, lineare, sdoppiare il piano di investigazione tra l'investigatore Caccioppoli (tra l'altro, l'unico investigatore straricco che la storia ricordi) e il giornalista Ungaro, è non solo inutile, ma molto, come dice a teatro "telefonato". Non ho capito poi la critica sul controllo dell'informazione nel finale. L'autore è giornalista e comprendo ci tenesse, ma non c'entrava poi molto. 
 E' un'opera prima, si può migliorare (molto sul piano dei dialoghi e del controllo della trama), anche perché il protagonista merita. 

"RAFFLES" di ERNEST HORNUNG ed. CASASIRIO:
 Cercando in quel del Salone del Libro di Torino, libri che appagassero la mia voglia di gotico estivo (vd. post), sono incappata in questa riedizione di "Raffles" il primo libro della nuova collana "Morti e stramorti" della Casa Sirio Editrice. Come si evince dal nome abbastanza parlante, vengono rieditati libri che sono stati seppelliti da anni di fuori commercio. 
Intendiamoci, molti si strappano le vesti a sapere dell'esistenza di questo misterioso limbo in cui vanno a finire la stragrande maggioranza dei titoli, ma basterebbe entrare in una libreria dell'usato per capire che ci sono troppi cadaveri che non andrebbero resuscitati. 
 Comunque Raffles era tra gli eletti che meritavano di tornare tra i nostri schermi. Ma a chi appartiene codesto nome? Ad uno dei primi ladri gentiluomini della storia.
 Raffles è uno di quegli alto-borghesi inglesi che popolano così bene le commedie di Wilde: eleganti, scarsamente lavoratori (il vero dandy ottocentesco non lavora, spende, spande e vive di rendita grazie a misteriosi parenti che muoiono donando loro sterline in quantità che prima o poi finiscono), amanti del lusso, piacenti e spiritosi. 
 Raffles è uno di loro, come se non bastasse gioca magnificamente a cricket, cosa che lo rende particolarmente popolare nel circolo londinese dei gentiluomini, ed è assai bello. Ma. E' un ladro. Dopo aver sperperato la sua fortuna, oberato da debiti di gioco, diventa ladro per necessità e scopre che non solo è portato per il "mestiere", ma gli piace quel brivido di onnipotenza che lo attraversa quando compie qualcosa di illegale.
 La storia non è lineare, ma si divide in piccoli racconti sulle singole imprese, fino al finale da film. Il narratore è il suo secondo, Bunny, un giovane gentiluomo che, come lui, diventa ladro dopo aver sperperato tutti i suoi averi, e prova verso Raffles un'amicizia profondissima e un'ammirazione che provocano in lui un profondo dissidio interiore: come si può essere ladri e gentiluomini al contempo?
 L'autore era il cognato di Conan Doyle che molto apprezzava il suo lavoro, pur rimanendo perplesso sulla liceità della sua
diffusione: l'eroe non dovrebbe mai essere il ladro.

 Li avete già letti? Vi incuriosisce qualcosa? Ah, e avete qualcosa da consigliarmi? Siamo solo a metà giugno, la via è lunga!