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lunedì 30 novembre 2015

Felicità è un cucciolo caldo (ed essere bambini). 5 Titoli da regalare a bimbi (e ai loro genitori) questo Natale, tra teneri babbi natale, re spocchiosi, bimbi solitari e tacchine furbissime.

Sabato sono stata al Museo del fumetto a vedere una mostra molto bella sui Peanuts.  
Foto by me dalla mostra sui Peanuts
C'era una striscia in cui Charlie Brown spiegava (non ricordo se a Linus o a Lucy, ho la memoria non corta, peggio), cosa sia sentirsi al sicuro. 
 Diceva che era come quando da bambino te ne stai seduto sul sedile posteriore della macchina e ti senti al caldo e assolutamente libero di dormire, perché tanto a tutti i problemi penseranno i tuoi genitori (o chi per loro), lì davanti a guidare la macchina. E' una cosa bellissima replica Linus (o Lucy), "Peccato che ti accade quando sei un bambino e mai più per tutta la vita" risponde, a grandi linee, il pessimista cosmico, ma veritiero, Charlie Brown.
 Insomma, è per dire che questa giornata è stata un tantinello spiacevole e, malgrado abbia messo il cd delle canzoni natalizie di Tiger a palla, non è che l'umore stia migliorando. Voglio tornare sul sedile della macchina.
 Questo inizio qualunquista, fortunatamente per tutti noi, ha anche un risvolto sensato: il post di oggi è dedicato ad alcuni libri per bambini usciti da poco (o comunque negli ultimi mesi). Era un po' che non dedicavo un post alla pargolanza, e visto che natale si avvicina, mi pare un buon momento per darvi suggerimenti spero graditi.
 Let's go!

"IL PICCOLO BABBO NATALE" di Anu Stohner e Henrike Wilson, Emme edizioni:
 Chiariamo subito che Babbo Natale non è la mia creatura fatata natalizia favorita. 
 A casa mia si festeggiava infatti la Befana, fiera anziana pronta a percuoterti col bastone se osavi coglierla in fragrante mentre lasciava la calza sotto l'albero e indomita punitrice di bambini pronti a ricevere zolle di carbone (sì, poi il carbone era di zucchero, ma duro come un sasso, mai conosciuto qualcuno che lo mangiasse davvero). La dolce metà, con mio sconcerto, festeggia Santa Lucia, la quale mi stupisco che col suo asino volante e il suo piattino con gli occhi cavati in bella vista non terrorizzi i bambini lombardi. Babbo Natale a casa mia, invece, è sempre stato visto con sospetto.
 Addirittura quando i miei cugini di Napoli ricevevano doni per il 25, io e la mia sorella di mezzo rimanevamo all'asciutto ad aspettare la vegliarda romana il 6 gennaio: Babbo Natale, ci ripeteva nostra madre cercando di consolarci, non era una vera creatura fatata, ma una sordida invenzione capitalista della Coca Cola. Tale era la convinzione che, tuttora, se avessi figli, li terrei alla larga dal panciuto anziano.
 Perciò i libri che lo vedono protagonista con le sue mille problematiche da vera e propria fabbrica fordista con elfi sempre a lavoro e renne dai nasi rossi, non mi hanno mai attratto. Tuttavia, questo bel libro illustrato è di una tale tenerezza che riuscirebbe a scardinare anche i cuori più duri.
 Al Polo Nord il Grande Babbo Natale ha una vera e propria squadra di prestanti e alti Babbi Natali che fanno comunella in stile squadra di calcio. Tra di loro ce n'è uno piccino picciò che si impegna tantissimo, confeziona regali meravigliosi e i biscott più gustosi. Ma è piccolo e di anno in anno il Grande Babbo Natale gli promette che anche lui potrà portare i doni ai bambini, ma quel giorno non arriva mai. Anche quando arriva la sua grande occasione viene lasciato a casa tra i lazzi dei Babbi Natali grandi in veste da veri bulli. La rassegnazione cala su di lui, ma come insegna (inutilmente visti i risultati che si hanno sugli adulti) larga parte della narrativa per l'infanzia: sono le persone da cui non te lo aspetti che fanno le cose più grandi.
 Da lacrima. Dono sotto l'albero ideale per tutti i bimbi che credono Babbo Natale una creatura fatata in piena regola.

"LA CENA DI NATALE" di Nathalie Dargent e Magali Le Huche, ed. Clichy:
 Aaaah (aaaah di sospiro), siete già col pensiero agli stravizi natalizi? Chi mi attacca il pippone che è solo novembre ed è troppo presto ecc ecc, evidentemente non va al supermercato.
 Io stamattina sono andata a fare la spesa e ho dovuto contenermi (spendendo comunque troppo) tra trionfi di torroni e torroncini, cesti colmi di ghiottonerie, polli arrosto, liquori al cioccolato, parmigiano reggiano appeso pure al soffitto, astici, capesante, anatre e pandori ad ogni angolo. Non nascondiamocelo, natale è bello pure perché le delizie lo rendono tale.
 Sono concordi con noi i protagonisti di questa fiaba che sa molto di Lupo Alberto
 Una volpe, una donnola e un lupo hanno intenzione di fare una scorpacciata degna di nota per questo Natale: già mangiano male tutto l'anno, è ora di gnammare. Rapiscono così la tacchina più avvenente della fattoria e la portano a casa loro, decisi a conservarla fino alla vigilia di Natale, quando trionferà alla loro tavola.
 Il ratto riesce, peccato che non potessero sospettare chi si sarebbero messi in casa. La tacchina non fa rimostranze riguardo al suo destino, ma, per diana!, vuole essere nutrita a dovere e pretende di vivere in una casa calda, confortevole e pulita, non il porcile in cui si rotolano i tre!
 Volpe, donnola e lupo si ritrovano ad obbedirle: del resto una tacchina grassa e felice sarà di certo più gustosa. Non sospettano che anche vivere in una casa più bella, addobbata, piena di biscotti e amicizia, migliora l'umore e la qualità della vita. Una fiaba sull'amicizia e anche su quel che possiamo fare per rendere più piacevole la nostra vita giorno per giorno, senza aspettare per forza il cappone a Natale.
 Grande colpo di scena finale.

"OLIVER" di Birgitta Sif, Valentina edizioni:
 Molti genitori di adesso (probabilmente con l'ansia preventiva in stile Poletti "se non ti laurei a 24 anni lascia stare"), hanno l'ansia che i bambini non siano abbastanza pronti, preparati, colti, intelligenti, socievoli. 
 Perché quel bambino fa questo e il mio no? Perché al mio non piacciono i computer? Perché non è il pupo più vivace e pimpante dell'asilo nido? Parla abbastanza? Socializza? Alza la mano? No? Perché?
 Già era complicato essere un bambino un po' introverso e interessato ai libri o a giocare da solo prima dell'ansia da società social, ora penso debba essere un vero e proprio incubo. 
 Che uno voglia essere lasciato in pace e abbia i suoi tempi, non è più ammissibile: se non entri nella mischia hai qualcosa che non va. Magari, come suggerisce questo bel libro, sei solo diverso. E non nell'accezione sgradevole del termine (che, per altro, siamo noi a dargliela).
 Oliver è un bambino che non sembra avere troppi amici, quando ci sono le cene con parenti e cugini preferisce leggere e i suoi migliori amici, a cui racconta tante storie, sono alcuni peluche. I genitori spiegano il suo strano comportamento ad amici parenti con la frase "Oliver è diverso", usando quel tono misto di commiserazione e ammirazione che molti riservano alle persone che non riescono ad inquadrare (e quindi nel dubbio vengono identificate come inferiori o subdolamente superiori).
 In realtà forse Oliver non è così diverso dagli altri, anche lui vuole un amico in carne ed ossa, solo che fa più fatica a trovarlo (ma quando lo trova è per sempre!).
 Da regalare a tutti i bambini e le bambine un po' riflessivi (specialmente se hanno genitori ansiosi delle loro prestazioni nella società).

"NEL PAESE DI TUTTI RE" di Tullio Corda, Il Castello editore:
 La storia è quella di un paese abitato solamente da re. Ognuno vuole comandare sull'altro e nessuno cede di un millimetro. Tutto va avanti senza soluzione e in modo litigioso finché un giorno uno straniero non si addormenta sotto un albero del loro regno: ah, finalmente un suddito!
Il problema è che quando l'ignaro forestiero si sveglia non sa, romanamente, a chi dare i resti: chi è il re?
 Perché se tutti lo sono, effettivamente nessuno lo è. Diventerà improvvisamente giudice di una contesa che sembra senza soluzioni e in effetti il finale dimostra che solo se siamo tutti disposti a cedere qualcosa allora non perderemo tutto.
 Il libro è un illustrato per bambini che dovrebbero leggere tantissimi adulti, al solito. In un'epoca in cui ci sentiamo tutti protagonistie speciali, infatti, non correremo il terribile rischio di non esserlo? Se lo siamo tutti non è nessuno, e non solo, se ognuno di noi si crede migliore degli altri per supposti meriti, la vita rischia di diventare sterile. Quanti di noi abbandonano il proprio regno per un puntiglio? In quanti non sappiamo rinunciare alle nostre posizioni e venire a più miti consigli? 
 Se avete seguito Il più Grande Pasticcere, in cui gente che sa fare cannoli alla crema ha deliri di onnipotenza in cucina, sapete di cosa sto parlando.
 Regalo ideale per pargoli tirannici e genitori che vi rendono la vita invivibile alle riunioni di classe.

"IL BAMBINO E LA SOFFITTA" di Maja Kastelic, ed. Le Lettere:  
 Le città possono essere luoghi grigi, grandi e stranianti per i bambini.
 In molti non ricorderanno (o già non ricordano più) corse nei prati, animali che sembrano selvaggi, il gusto di arrampicarsi sugli alberi e di sfasciarsi le ginocchia su una strada sterrata. In generale, esistono molte vie di mezzo, ma rimane il fatto che quando si è un soldo di cacio le città possano sembrare terribili (io sono cresciuta in un paese con parecchi boschi vicino quindi non so immaginarlo bene).
 Ne "Il bambino e la soffitta" un bimbo si guarda attorno, tutto sembra triste, gli adulti non lo considerano e si sente terribilmente solo. Poi vede un gattino e lo segue, davanti a lui si para un sentiero di fogli colmi di disegni: dove lo porteranno? Chi è l'autore o l'autrice? E perché li disegna? 
 Anche la città può diventare un posto speciale per i bambini se hanno qualcuno con cui condividere le loro avventure.
  Illustrazioni dolci e bellissime. 

Cose realmente avvenute! Me l'hanno giurato! "Ricci".

Questi giorni stanno iniziando le grandi compere natalizie.
 I clienti cominciano ad ammassare regali come provviste per l'inverno e il caos va in crescendo. No, non mi lamento perché a me, in larga parte, la confusione delle compere natalizie piace per vari motivi (non ultimo il fatto che entri a lavoro e fai tante di quelle cose che ti sembra di uscirne dopo tre secondi, insomma il tempo vola).
 I clienti però, oltre ad aumentare, moltiplicano i loro strafalcioni alla ricerca di libri di cui non hanno mai sentito parlare e moltiplicano anche il loro nervosismo (che posso anche comprendere nella calca del 24 dicembre, ma mi riesce un po' difficile accettare già da fine novembre).
 Ecco a voi, un "Cose realmente avvenute! Me l'hanno giurato!" accaduto al mio collega veneto proprio ieri.
 Cose realmente avvenute! Me l'hanno giurato! "Ricci"!

(E in serata post! Si inizia coi consigli natalizi!)



domenica 29 novembre 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Somebody that I used to know".

Ed ecco almeno una delle due vignette del fine settimana. L'altra, visto che continuo a saltarle, la pubblicherò domattina (oltre al post).
 Stasera per voi, l'ennesima pronuncia del nostro amato Goethe.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Somebody that I used to know"!



venerdì 27 novembre 2015

Perché i miei post son colmi di refusi? In che tragiche condizioni lavoro? E' colpa mia o del mondo? "La nobile arte del refuso (ecco perché il mio blog ne è pieno)", un fumetto di spiegazioni.

Ed ecco che mentre lascio le mie ospiti a cena al loro destino, posto un post che spero mi metta al riparo dal passato, nel presente e nel futuro da tutti i miei errori e refusi su questo blog.
 Vi domandate perché i miei post siano colmi di errori? Vi chiedete perché faccia le revisioni solo ore più tardi. Perché lo so che internet non perdona, ma magari dopo questo post capirete che problemi ho e in quali condizioni lavoro.
 Perciò ecco a voi un post di spiegazioni e scuse "La nobile  arte del refuso (ecco perché il mio blog ne è pieno)"!

Ps. Commentatori nipoti di Manzoni, ovviamente scherzo, vi vedo così per eccesso comico da fumetto non davvero ;)







mercoledì 25 novembre 2015

"Quella luce negli occhi" di Bennett Sims, una recensione a base di zombie, elaborazione del lutto, paura della morte, non-morti che vivono tra noi, uragani rivelatori e tentativi di non cedere alla paranoia.

 Dopo anni di dominio vampirico, adesso le grandi star della sezione horror sono gli zombie.
Ecco, non ho mai avuto un particolare interesse per questi non morti. A malapena, grazie a Zerocalcare che è fissato e li infila in ogni libro, so che esistono addirittura due teorie per la loro creazione: una vede i morti ritornare in vita, una che che vede viaggiare lo zombismo per contagio, come un virus.
 Immagino, ma vado a tentoni visto che non ne so molto, che la prima teoria sia frutto di paure antiche e la seconda di terrori moderni. I revenants medievali erano generalmente persone morte di morte violenta o a causa di qualche morbo, che tornavano pericolosamente dalla tomba per mietere vittime. E' il motivo per cui ogni tanto in qualche parte d'Europa si disseppellisce un cadavere mutilato, legato, con chiodi o mattoni in bocca, insomma, con qualche accorgimento speciale che impedisse al corpo, un corpo con ansie di vendetta, di tornare a vagare anche dopo la dipartita ufficiale dell'anima.
 Il contagio per virus appartiene (non fosse altro per la variabile che indica una medicina un po' più avanzata) all'ambito moderno: la malattia che diventa epidemia, il contagio che non ha antidoti (non parliamo dei vaccini va che qua sembrano tutti impazziti), il male che mutila il corpo non rendendoci più completamente vivi eppure neanche morti, che ci consuma da dentro.
 Entrambe le teorie raccontano bene un antico e comprensibile disagio umano: l'incomprensibilità della morte e l'incapacità di staccarsi emotivamente da chi non c'è più. 
 Gli zombie, revenants, non-morti, sono in realtà la forma allegorica e fantastica della nostra incapacità di accettare la fine della vita. Intendiamoci, come penso quasi tutti gli esseri umani la capisco benissimo, anche io mi domando che senso abbia tutto questo se ad un certo punto tutto deve finire, come si possa accettare che qualcuno che abbiamo profondamente amato e conosciuto possa sparire dalla terra. E' qualcosa a cui ci si rassegna, ma mai del tutto. 
 I libri sugli zombie però, nonostante queste possibili profonde riflessioni, mi ispirano di solito ben poco. La parte splatter sembra sempre dover essere preponderante (poi magari nei commenti mi potete suggerire libri che invece non lo sono) e io non amo molto il genere. 
 Però a lavoro era arrivato a Ottobre un libro che sembrava prendere la questione in modo diverso, si tratta di "Quella luce negli occhi" di Bennett Sims ed. Clichy.
 La storia non solo è semplice, ma non prevede neanche particolari scossoni, avventure, non ha neanche la disperata tragicità de "Io sono leggenda" di Matheson. Però nasconde ben due chiavi di lettura che lo rendono estremamente attuale e fonte di molte riflessioni.
 La storia vede una settimana della vita di Michael, un uomo che vive negli Stati Uniti del sud assieme alla sua compagna, Rachel. Il momento fotografato dal libro è di relativa calma durante la tempesta: le autorità hanno appena trovato il modo di arginare un'epidemia zombie che non si sa come sia nata né come finirà. Da una tranquilla vita in una cittadina deliziosa, Michael  si è ritrovato a vivere una vita di terrore. Barricato in casa per settimane mentre l'esercito si occupava prima di sterminare, poi di rinchiudere in centri di detenzione tutti i non morti, fa estrema fatica a riadattarsi ad una vita quasi normale quando la situazione sembra tornare sotto controllo. 
Sul libro di Matheson scrissi un
vecchio post.

Sì, al momento c'è ancora la possibilità di incontrare qualche zombie, ma la polizia ha precise regole d'ingaggio e lo stato si è preoccupato di emanare un corposo opuscolo dal titolo "Occhio al morso" in cui spiega ai cittadini cosa fare in caso di avvistamento, di sospetto (esistono anche i portatori sani del virus) e consiglia degli esercizi di defamiliarizzazione: un non morto non è più un nostro caro, perciò quando lo vedremo muoversi contro di noi per aggredirci non importa che ci sia stato madre, fratello o figlio, ora è un aggressore da uccidere.
Michael impiega il suo tempo dell'ultimo mese a combattere la paranoia per eventuali attacchi improvvisi, il terrore degli uragani che potrebbero spazzare via definitivamente i non morti liberi (o liberarli dai centri di quarantena causando l'apoteosi dell'epidemia e la fine dei vivi) e l'aiuto al suo amico Matt che cerca ostinatamente suo padre, morso tempo prima.
 La loro ricerca si basa su una peculiarità di queste creature: non si sa se i non-morti siano parzialmente vivi, (è il motivo per cui li stipano in quarantena invece di ucciderli), se siano morti o una nuova specie umana (come in Matheson), di certo si sa che essi tornano nei luoghi che sono stati cari alla loro memoria. Non hanno coscienza, ma a quanto pare vaghi ricordi o istinto del ricordo, sì.
 Ecco, il lato molto interessante della storia è che se se da una parte invita ad una profonda riflessione sul nostro rapporto col lutto, su ciò che lasciamo in sospeso con chi muore (e che chi muore lascia con noi), sull'incapacità di aver saputo dare un senso a rapporti troncati di netto dall'imperscrutabile,  dall'altro descrive molto bene le paure di questi giorni.
 Immagino che se avessi letto questo libro un mesetto fa non avrei notato questa chiave di lettura, eppure post Parigi, si avverte la potenza delle paranoie di Michael. 
 Michael vive un momento di fortissimo spaesamento dovuto alla fine del mondo che ha sempre conosciuto e alla sua incapacità di adattarsi al nuovo. la cosa più forte è che il libro non descrive un mondo distrutto, ma una cittadina in tensione e sospensione. 
 La fine della normalità è segnata, bisogna adattarsi alla presenza di nuovi individui, di un male che non credevamo potesse esistere e di cui non conosciamo la cura (i non morti sono vivi e hanno coscienza o sono cadaveri che agiscono sul puro istinto?). 
 Michael passa giorni chiuso in casa, alla fine dell'emergenza più grave, mentre la sua compagna è più fatalista, si fa coraggio e lo incita ad affrontare il problema. Ma lui è preda di pensieri catastrofici, diventa incapace di leggere, vorrebbe trovare una spiegazione filosofica al tutto, ma non si decide ad aprire Kant o Hegel che potrebbero forse dargli il conforto di un'interpretazione, ma non il sollievo della soluzione. Vive nel terrore del contagio, nell'ansia di una fuga dei non morti da qualche centro di detenzione, di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, cibo per zombie in fuga. E al contempo ne subisce un fascino perverso, il desiderio di voler diventare loro per capire cosa si nasconda dietro i loro occhi vitrei, dietro le loro pupille di latte.
 Vi ricorda qualcosa? La paura di queste giornate che sembrano in bilico su qualcosa di drammatico, in cui tutto procede normalmente, ma con uno strano retrogusto, (aò a me anche le pubblicità di Natale sembrano fantascientifiche adesso) come se stessimo tentando di distrarci. Anche per Michael e Rachel vivere normalmente è il loro modo di combattere qualcosa che non capiscono e di cui non sanno l'origine, su cui, tra l'altro, hanno anche opinioni radicalmente diverse.
 E anche noi come Rachel e Michael stiamo aspettando che un uragano rivelatore.
 Lo consiglio, con un'avvertenza: è un libro che procede ad una giusta lentezza, non immaginate momenti eroici e neanche particolarmente devastanti, il dramma è tutto in un attesa che sembra senza un vero senso, in pensieri che girano terribili su loro stessi.

Ps. Segnalo la particolarità stilistica dell'inserimento di numerose note a piè di pagina in cui vengono aggiunti pensieri e ricordi ulteriori del narratore. Devo dire che personalmente avrei preferito fossero inserite organicamente all'interno dei capitoli, anche se l'autore tenta di darne una giustificazione filosofica in linea con l'argomento zombesco.


martedì 24 novembre 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Bristol"!

Oggi non ho avuto il tempo di finire il post, perciò mi è parsa cosa buona e giusta finirla di saltarli e mettere una bella vignetta. Si tratta di un bellissimo cose realmente avvenute!Me l'hanno giurato.
 Ultimamente si è diffusa tra i clienti questa fissazione, a mio parere davvero molesta, del non dirti più a voce il titolo e l'autore del libro che cercano. No, tu DEVI leggerlo dai foglietti incomprensibile che ti mostrano o peggio ancora, ritrovarlo perso in una mail chilometrica, in una chat di whatsapp, in un post su un blog o su un articolo di giornale di tre pagine.
 Certe volte questa indolenza si rivolta loro contro, come nella vignetta di cui sotto.
 Cose realmente avvenute! Me l'hanno giurato! "Bristol"!


lunedì 23 novembre 2015

5 rapidi consigli per attirare un lettore (preferibilmente adolescente) che non legge nella trappola della lettura. Tra classici da evitare, radiodrammi, trappole astutissime, scandali ad hoc e veri tentativi d'imitazione!

Le vedi. Le riconosci. 
Mmm mio figlio legge solo gli status di fb e poi ha mal di testa, che dice, per
convincerlo a leggere gli prendo Ibsen?
Sono quasi sempre donne perché, anche se il numero di padri che si occupano più tempo dei figli cresce di generazione in generazione, abbiamo ancora di che smaltire decenni in cui le donne rimanevano a casa e gli uomini continuavano a lavorare (o comunque anche se le donne lavoravano era compito loro occuparsi comunque della prole e della casa).
 Con quell'aria trafelata e vagamente compulsiva che possiedono le madri ancora ostentatamente attaccate al benessere della figliolanza, nonostante quest'ultima tenti di sfuggire loro con tutte le proprie forze, esse si guardano attorno spaesate.
 Tu attendi. E' questione di poco e la preda cadrà nelle tue mani. Gli occhi spalancati e l'aria quasi vergognosa: "Senta", ti dicono, "Mio figlio fa il liceo e non legge, potrebbe consigliarmi un libro che lo convinca a farlo?".
 Tadadadan tadadadan
 Ecco, questa domanda, apparentemente semplice, è la mater domandae, il sacro Graal dei librai e dell'editoria: se sapessimo cosa far leggere ai non lettori per appassionarli, praticamente tutti i nostri problemi sarebbero risolti (e scommetto che anche la società ne beneficerebbe).
 Ma no, non è così semplice, si può procedere solo per tentativi. Anche perché ogni non lettore è diverso e bisognerebbe conoscerlo. Alcuni magari non leggono per pigrizia, altri perché non hanno nessunissima intenzione meglio la morte, altri semplicemente non sanno neanche loro perché.
 Di seguito vorrei dare alcuni consigli per genitori di non lettori (e non solo genitori, potete applicarli a qualunque non lettore).
 E' ovvio che neanche io ho le risposte pronte, ma ci sono alcune dritte che di certo non sono risolutive, ma possono aiutare.
 Forza, ho ciarlato abbastanza, andiamo!


NON TRATTATELI COME DEGLI IDIOTI:
 Ok, nessun genitore degno di questo nome tratta suo figlio come un idiota con intenzione. Immagino, anche perché ho una sorella young adult, che certe volte anche il padre e la madre migliori soccombano alla disperazione e si aggrappino a qualsiasi espediente possa convincere il pargolo a prendere in mano un libro e, dio lo voglia, acculturarsi. 
Una delle agghiaccianti iniziative che vanno molto di moda tra i genitori, ve lo giuro, è comprare gli audiolibri.
 Ebbene sì. Gli audiolibri generalmente sono fatti per persone ipovedenti o cieche, per anziani che necessitano di avere compagnia, per bambini piccoli (tipo le fiabe sonore) che non sanno leggere. Ultimamente mi pare di capire che, complice le ore passate in macchina, molte persone li sentano mentre guidano, un po' come i vecchi drammi radiofonici.
 Ecco, adesso sappiate che i genitori comprano gli audiolibri per convincere i figli a leggere. Mi scuserete, ma io, personalmente, penso non solo che sia un'idiozia, ma anche che sia completamente inutile (per ascoltare un libro serve ancora più concentrazione che per leggerlo), e, dulcis in fundo, che sia prendere i propri figli per stupidi.
 Nell'ottica di questi genitori infatti c'è il tentativo di rendere il più facile possibile un'esperienza come la lettura in modo da allettare i figli e far passare loro la paura. Ragazzetti di sedici anni.
 Ora, io mi metto nei panni di questi adolescenti. Mia madre mi torna a casa con Sciascia o Carofiglio su cd e dice: "Tesoro ti ho preso un audiolibro, perché non provi a sentirlo"? Tempo dieci minuti e i cd sono spariti nel caos della cameretta, io acceso il pc per chattare o mi sono messa a vedere in streaming la mia serie tv preferita.
 Ecco, vostro figlio non è stupido, non trattatelo come tale e smettiamola di pensarlo come un bambino di dieci anni pronto a bersi i vostri consigli. A quell'età non vuole i vostri consigli, anzi. 

STATE LONTANI DAI CLASSICI COME LA PESTE:
 Antitesi ugualmente dannosa del genitore armato di audiolibro, sono i genitori e gli adulti che cercano di invitare i ragazzini alla lettura partendo non dalla base, ma dalla cima. 
Essi si appropinquano verso di te e chiedono "Mio figlio non legge, vorrei convincerlo, secondo lei questo va bene?". 
 Bene che va il genitore di turno ha in mano "Il giovane Holden", male che va (e di solito va male) ha per le mani Franzen, Hemingway, Fitzgerard o Cechov.
 Non so cosa permetta anche solo di pensare come ad uno che a dire tanto legge uno status di fb e poi ha mal di testa, possa piacere "Guerra e pace". 
 Immagino che una buona parte la giochi un certo narcisismo: mio figlio sotto sotto non è che intelligente, è proprio un genio, una scheggia, perciò gli basterà aprire "La diceria dell'untore" di Bufalino per rimanerne rapito immediatamente. Il difficile è proprio aprire quella maledetta prima pagina, poi insomma il resto verrà da sè. Ecco non proprio. 
 Se c'è un modo per allontanare un ragazzino dalla lettura, ancor più che prenderlo per stupido, è proporgli un tomo che sarebbe pesantissimo anche per un lettore allenato. Il punto è che i non lettori non ritengono la lettura interessante e, diciamoci la verità, voi avreste trovato interessante "I malavoglia" come prima lettura della vostra vita?
 Quindi, tenete lontani i classici dai non lettori come la peste. Non è ancora pane per i loro denti.
 Sì certo, voi avete letto anni fa che il famoso tal dei tali non leggeva mai finché qualcuno non gli ha regalato "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", ma ragazzi, magari poteva essere vero in un'epoca pre-televisione, pre-internet, adesso è un po' come la storia della modella che è stata scoperta per caso mentre vendeva pomodori agli angoli delle strade. Una farloccata romantica insomma.

DISSEMINATE TRAPPOLE:
Cosa deve leggere questa gente dunque? Questi ragazzini, ma anche non ragazzini, come possono essere convinti? Ebbene, siate astuti, soprattutto nel caso di adolescenti e di coniugi riluttanti, gente con cui insomma condividete la casa e che potrebbe avere difficoltà ad accettare un vostro consiglio senza mostrarsi riottoso. Disseminate trappole.
 Vostro marito non si stacca dalla partita di calcio manco se crolla il tetto? Esistono decine di libri sul calcio che potranno piacergli (anche illustrati, che all'inizio tocca prendere la faccenda alla lontana).
 Regalateglielo o fateglielo trovare direttamente a casa senza un motivo. Vostro figlio muore dietro "Walking dead"?  Fategli trovare uno dei libri della saga sul tavolo una mattina accanto al cornetto, infilategli il primo de "Il trono di spade" dentro lo zaino. E fumetti. Fumetti come se piovesse. Non c'è uomo che resista a "Tex", non c'è ragazzino che non tenti la strada di Zerocalcare. E smettetela di vedere nei manga il demonio: offritevi di pagargliene due o tre al mese in cambio della lettura di un libro a tema giapponese. La kappa edizioni sta persino editando dei romanzi con copertine e formato da manga, penso anche loro con lo stesso intento: trarre in inganno e tentazione i loro solerti lettori.
 Ma come? Vedi i film di Miyazaki e non vuoi sapere il maestro dell'anime da dove ha preso le sue idee? Fidatevi, ogni essere umano ha i suoi punti deboli e nessuno sfugge alle antiche regole: ogni libro ha il suo lettore e ogni lettore ha il suo libro.

SCANDALO! SCANDALO!:
Ho raccontato questo episodio su fb. 
Mi trovavo nella libreria del mio paese, durante una delle mie vacanze a casa, quanto vedo questi due adolescenti che armeggiano disperatamente con un libro di Moravia. "Aò ma te lo ggiuro, il professore diceva che a un certo punto questo se fa non solo la moje, ma pure la fia!", "Ma stai a scherzà?" "Ma che ne so, io sto a pagggina 150 e qua ancora nessuno ha scopato...".
 Ebbene, quel professore forse non avrebbe passato l'esame di didattica all'università un'altra volta, ma aveva capito una regola fondamentale del marketing che tenta di acchiappare i non lettori: l'odore di scandalo. 
 Lo dimostrano "Via crucis" e "Avarizia", i due libri sugli scandali vaticani in cima alle classifiche in questi giorni: lo scandalo vende sempre e attira anche chi in tutto l'anno apre solo la Domenica Sportiva o Tv sorrisi e canzoni.
 Lo scandalo convince i ragazzini a leggere Moravia fino in fondo e non siamo puritani, se volessimo, hai voglia a leggere cose scandalose (o spiegare a scuole che una roba che per noi ora è acqua fresca all'epoca causava svenimenti): una delle funzioni della letteratura è proprio quella, svelare la realtà e dare scandalo (da non confondersi con lo scandalo stupido e fine a sè stesso). 
 Prima si rende una cosa interessante, prima le persone si interesseranno.

PREVENIRE E' MEGLIO CHE CURARE:
 Lo dicono tutti, se si inizia a leggere da bambini, si leggerà anche da adulti.  
 Esistono certo i lettori tardivi, ma sicuramente abitare in una casa piena di libri, con genitori lettori e un libro di stoffa da mozzicare a pochi mesi di vita (esistono libri fatti apposta per i neonati che non possono leggere, ma possono apprendere esperienze sensoriali), vi eviterà pellegrinaggi disperati quando ormai il pargolo ha quindici anni e nessuna intenzione di prendere in mano un oggetto che ha sempre interpretato come la più epica delle punizioni.
 Inoltre, fate un adeguato mea culpa: voi leggete? E quanto? Il coniuge legge? E quanto? Quante storie fate per comprare l'elenco di libri che l'insegnante vi ha chiesto di procurare al pargolo? Quanti peana alzate all'immane fatica a cui questo povero liceale viene sottoposto?
 Il buon esempio è sempre la miglior via. Magari a furia di vedervi leggere a qualche parente non lettore verrà voglia per osmosi. Leggere è anche un gesto d'imitazione. Facciamoci imitare.

 Che ne pensate? Ciarlerie della notte o c'è un fondo di verità nel mio sparlare?



domenica 22 novembre 2015

Cose realmente avvenute!Lo giuro! "Sciascia and the Kolors".

Ed ecco, dopo un fine settimana per me all'insegna dello zucchero (sono stata alla sagra del torrone), ecco che vi posto una vignetta. Una sola, ma, a mio parere, una delle migliori perle degli ultimi mesi. Le assonanze tra autori e altra gente con nomi simili hanno già fatto le loro vittime, ma mai così illustri.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Sciascia and the Kolors"!




venerdì 20 novembre 2015

Piccole recensioni tra amici! Un trittico di novità, (una novità per questo blog): "Woody" di Baccomo, "La strana biblioteca" di Murakami e "Ospiti Paganti" di Sarah Waters!

 E dopo una serie di post molto seri, ecco che finalmente riesco a buttare giù un nuovo "Piccole recensioni tra amici". In questo caso sono tre recensioni di libri usciti nell'ultimo mese o giù di lì, una vera rarità per me.
Una vecchissima (1988) iniziativa Feltrinelli.
Si vendevano libri al chilo!
 Ogni tanto mi interrogo se non dovrei stilare una serie di elenchi di libri appena usciti che mi interessano.
 Tipo: "Questa settimana è arrivato in libreria questo questo e quest'altro, sembra interessante!".
 Da una parte ammetto che non lo faccio per pigrizia e al contempo eccesso di scrupolo: fare una serie di segnalazioni sensate richiede molto tempo e, comunque, se non ho ancora avuto il tempo se non di leggere, almeno di campionare i libri, temo di dare giudizi non veritieri e consigliarvi porcherie o palle memorabili.
 Inoltre, io tendenzialmente leggo poche novità. Non c'è un motivo preciso, l'ho sempre fatto. A meno che non esca un libro da me lungamente atteso (come la riedizione di questi giorni di "On writing" di Stephen King ed. Frassinelli) o dei miei scrittori favoriti, sono sempre piuttosto guardinga nei confronti delle novità di narrativa (con la saggistica sono più possibilista). Il mio unico sistema di scelta dei libri rimane la fascinazione che la trama può avere su di me, (classici a parte che continuo a leggere con costanza).
 Cosa ne pensate? Credete che una rubrica sulle nuove uscite secondo me meritevoli gioverebbe al blog? Attendo consigli!
Intanto eccovi le mie tre recensioni nuove nuove! Buone letture!


"WOODY" di Federico Baccomo, ill. Alessandro Sanna ed. Giunti:
 Come ben sapete, io non ho una particolare passione per gli animali. Praticamente nessuno nella mia famiglia ne ha mai posseduti e penso che quindi in questo giochi molto l'abitudine, specialmente dall'infanzia.  
Per questo trovo doppiamente bravo Baccomo aka Duchesne che ha smesso di raccontarci i drammi degli studi legali e della gente che sta bene per scrivere una storia piccola (ma più lunga avrebbe stonato), simile ad una fiaba crudele.
 Woody è un cane di razza basenji (a me ignota) di mezza taglia, allegro e innamorato della sua padrona, ovviamente. Adora le sue coccole, le carezze, le uscite e il suo mondo si svolge in funzione dell'adorato oggetto del suo amore. 
 La quale però ha a sua volta un oggetto del suo amore che non è molto amorevole, anzi, è piuttosto violento e, talvolta, la picchia. Woody dal suo punto di vista di cane vede tutto in modo molto preciso: padrona picchiata da "Fili amore" (il suo fidanzato), padrona da difendere, Fili-amore da allontanare e azzannare.
  Ma Woody, che ha solo seguito il suo istinto di difesa (che negli esseri umani vittime di violenze viene annichilito) viene bollato per questo come "Cane pericoloso".
 Per lui inizia un'avventura terribile, fatta di incomprensione, carcerieri, compagmi di prigonia e di una speranza che non vuole e non può morire: la sua padrona tornerà e lo riporterà a casa, lui ne è assolutamente certo.
 E' una storia piccola, ma davvero davvero davvero commovente, anche per chi, come me, ha l'empatia animale che gli difetta. L'espediente narrativo del punto di vista animale è stato usato più e più volte nella letteratura e anche stavolta non tradisce. Bravissimo Baccomo che ha scelto di non dare pensieri "umani" e magari "filosofici" al cane, ma di restituirci pensieri frammentati e istintivi, puri e senza complicazioni: certe volte realtà che noi ammantiamo di complessità sono molto più semplici e ci vogliono menti semplici per comprenderlo davvero.


"LA  STRANA BIBLIOTECA" di Haruki Murakami ill. di Lorenzo Ceccotti ed. Einaudi :
 Uscita perfetta per Natale perché, la storia, cortissima e illustrata benissimo da LRNZ è un regalo coi controfiocchi agli appassionati dello scrittore giapponese. 
 Quindi, dal punto di vista del marketing, nulla da eccepire. E neanche da quello dei disegni, appunto favolosi e inquietanti che lasciano comunque enorme spazio all'immaginazione, e dell'impaginazione a suon di donuts succulenti.  
Il racconto lascia un po' l'amaro in bocca per un solo motivo: è troppo corto. 
 Eppure nella sua piccolezza ha tutti gli elementi che gli amanti di Murakami adorano: una storia che parte normalissima e finisce in mondo parallelo, la grande apparizione dell'uomo-pecora, sempre più alter ego letterario e psicanalitico dello scrittore, ragazzine bellissime e inquietanti e quella magia assoluta che Murakami sa infondere alle descrizioni del cibo.
 Allora. L'ideale sarebbe mettersi a leggere questo libro con una scatola di donuts freschi, croccanti e belli oleosi (ma in Italia è ancora difficile), in assenza almeno ben scongelati, in assenza di ciambelle fritte glassate e possibilmente calde. Secondo me, questo renderebbe la vostra esperienza di lettura una delle più indimenticabili della vostra vita. 
 Comunque la storia è quella di un ragazzino amante delle biblioteche e ansioso di scoprire il sistema di funzionamento delle tasse nell'impero ottomano.
Per soddisfare questa sua curiosità si ritrova a chiedere aiuto ad uno strano bibliotecario che non sembra proprio una persona raccomandabile e, in effetti, forse non lo è. Non vi dico di più perché la storia è brevissima.

 Sul retro del libro, l'Einaudi suggerisce una chiave di lettura simbolica: il potere della lettura che riesce a trascinarci con forza fuori dalla nostra vita vera, certe volte con una potenza tale da renderci impossibile ritornare alla realtà.
  Per chi legge abitualmente Murakami c'è anche la possibilità che il ragazzino non sia così fantasioso. La seconda teoria è sorretta dalla mancanza di un paio di scarpe di cuoio. Cosa sto dicendo? Leggete e capirete. Da collezione e da avere. Ora addento una ciambella, pardon.


"GLI OSPITI PAGANTI" di Sarah Waters ed. Ponte alle Grazie:
 Non ho mai amato molto Sarah Waters. Questa autrice inglese, osannata da molti e apprezzata anche da grandi scrittore non di "genere" (per genere intendiamo "genere storico" e "tematica lgbt"), come Stephen King, astutamente messo a ciarlare in copertina dalla casa editrice Ponte Alle Grazie, ecco mi è sempre stata molto indigesta.  
Ha infatti una vera passione per le descrizioni lunghe, lente, molto particolareggiate che io personalmente non amo. Trovo che troppa descrizione, anche a fin di bene, nel senso che nel suo caso permettono un'immedesimazione perfetta nei diversi periodi storici, tolga spazio all'immaginazione.
 Questo "Gli ospiti paganti" è il primo suo libro che riesco vittoriosamente a terminare e mi ha confermato tutti i motivi per cui è molto amata dai suoi fan e poco da me.
 La storia è quella di Frances Wray alto borghese inglese decaduta a seguito di una serie di sfortunati eventi: suo padre ha mandato in rovina la famiglia con investimenti sbagliati e i suoi due fratelli maschi sono morti durante la prima guerra mondiale. E' il 1922, Frances non ha neanche trent'anni, ma vive già come un'anziana zitella assieme a sua madre, una donna che non si è mai rassegnata alla perdita del loro status sociale. La trama prende le mosse da una loro decisione disperata: nonostante sia socialmente riprovevole, hanno bisogno di affittare alcune stanze della casa e giunge così una giovane coppia di sposi, "gli ospiti paganti" del titolo.
 La loro irruzione risveglierà la vita che Frances credeva sopita. Dopo un passato da suffragetta, addirittura un arresto e una grande e contrastata storia d'amore, Frances si è adattata ad una vita non sua, fatta di riti minuziosi e grandi lavori domestici (che, ve lo dico, sono descritti in modo talmente minuzioso che anche voi sarete in grado di pulire una casa vittoriana alla fine del libro), l'arrivo dell'allegra coppietta porterà a varie conseguenze: risveglio dei sensi, relazioni illecite, aggressioni e infine anche un omicidio.
 La storia ha una trama semplice e una lingua incredibilmente densa. Il lato migliore del libro è che vi verrà voglia di vedere la Londra degli anni 20 (e in assenza di andare nella Londra attuale), il peggiore è che alla fine della giostra è davvero "tanto fumo e poco arrosto".
 In ogni caso un buon libro per passare qualche pomeriggio di lettura senza impegno. particolarmente indicato per chi ama le ambientazioni storiche e "Downton Abbey".

Voi ne avete già letto qualcuno? Ve ne ispira almeno uno? Testimoniate!

Perché e quando la Quiet generation è diventata inquieta? Alcune riflessioni, immagino inutili, sui fatti di Parigi, sul perché dei giovani decidono di ucciderne altri, di lasciare un mondo che consideriamo perfetto, sulla crudeltà umana, sulla guerra civile spagnola e un enigmatico consenso.

 Devo dire che in questi giorni molto confusi e molto convulsi, a parte decidere di pubblicare la vignetta domenica, non ho scritto nessuna opinione rispetto a quanto avvenuto a Parigi (e alle sue conseguenze).
 
Poi non so, ho letto, come penso molti altri le vite dei miei praticamente tutti coetanei, uccisi al Bataclan e come già per la strage in Turchia qualche mese fa, di giovani che andavano a sostenere il popolo curdo, mi è presa una grande tristezza, e, anche se non era assolutamente necessario al mondo, ho deciso di scriverci in post.
  In questi giorni ho letto decine di editoriali, stati di fb, dichiarazioni di governi e alleanza, tentativi di analisi più o meno onesti.
 Mi hanno colpito due cose principalmente:
1) Nel 2001 ero abbastanza grande per ricordarmi come all'indomani la reazione emotiva e di odio fu molto più forte di quella odierna.
2) Nessuno ci sta capendo niente.
 Ovvio, non penso che comprendere le mille ragioni di una tragedia del genere, di ciò che ha portato tutti a questo punto sia una cosa facile. Potrei facilmente ricordarmi e ricordare tutte quelle inutilissime eppure affollatissime marce per la pace a cui ho partecipato al liceo. Potrei ricordare che si andò insensatamente a destabilizzare regioni che non andavano destabilizzate perché gli americani (e questa è una loro colpa collettiva) sono incapaci di votare presidenti degni di questo nome e potrei anche riportare alla memoria una strage che assurdamente nessuno ricorda.
 Non è la prima volta che l'Europa viene colpita, ce la vogliamo ricordare la strage del 2004 in Spagna? Quasi 200 persone morte sui treni dei pendolari? Perché io sì, e undici  anni siamo di nuovo qui e pure peggio di prima, visto che mezzo Nordafrica è in fiamme.
 Allora, se ci si mette a ricercare le grandi verità storiche e geopolitiche è ovvio che al nocciolo non solo non ci arriveremo mai, ma pure se dovessimo arrivarci (e a me pare che nessuno ci vada manco vicino, mi ricordo una presentazione di Loretta Napoleoni a cui ho partecipato in cui lei faceva un quadro politico-economico internazionale che pareva inattaccabile concludendo che l'Isis voleva solo un suo stato e mai avrebbe fatto attentati), non penso che sarebbe comunque facilmente risolvibile.
 Ho un'idea della realtà un po' più complessa di quella enunciata da alcuni nostri politici e non politici che confondono videogioco e realtà e inneggiano a bombardamenti definitivi, ignorando, oltre a una serie di regole diplomatiche e di tensioni internazionali un dato ineluttabile: l'Isis è tra noi non perché i terroristi si nascondano infingardi nelle orde di profughi che arrivano, Isis è tra noi, perché alcuni di noi, europei, giovani principalmente, si lasciano affascinare o rapire da un regime religioso (o come vogliamo definirlo), come quello che propongono.
 Se posso dire la mia, in tutti gli articoli che ho letto ho trovato tre enormi e gravissime mancanze, davvero enormi in confronto a quella che è stata la storia europea che ha già conosciuto regimi totalitari, liberticidi, crudeli e annichilenti.
  1.  Ci si concentra enormemente sulla religione di appartenenza e quasi per niente su ciò che questa religione può voler dire per questi individui al di là del sacro.
  2.  Il discorso è completamente slegato da qualsiasi riflessione economica.
  3.  Non si guarda indietro al nostro passato se non in modo confuso e particolaristico senza riuscire a mettere insieme gli elementi in un quadro di insieme.
 Perché dunque, questi giovani coetanei dei giovani che hanno ucciso, trovano affascinante una sirena di violenza, sangue e religione?
 La mia opinione è che gli esseri umani siano in gran parte delle persone incredibilmente deboli e rancorose. Lo dimostrano tutti i giorni e lo hanno dimostrato in ogni momento buio della storia e non fingiamo, sono stati tanti: il desiderio di dimostrare la propria superiorità sui propri simili è sempre stato gigantesco.
 Le religioni e i regimi totalitari hanno questa grande somiglianza: sono totalizzanti. Ti portano una ricetta già pronta e ti dicono: se seguirai le mie regole e le mie indicazioni, non solo non avrai nulla da temere, ma sarai anche legittimato a sentirti superiore al prossimo e a perseguitarlo. Non tutte lo fanno così esplicitamente, ma se neghiamo un dato così enorme alla base allora non si capisce niente.
In "Persepolis" di Marjane Satrapi ci sono
alcuni episodi rivelatori del sentire comune.
La famiglia che si para vestita di tutto punto
come se fossero sempre stati ferventi credenti
quando prima non gliene importava nulla, perché
questo li rende socialmente preminenti. O l'uomo
che vieta il viaggio per l'operazione al cuore al
parente di Marjane. 
 Questa è una cosa che si comprende molto bene quando, per qualche motivo, si è minoranza perseguitata. Per perseguitata non intendo necessariamente uccisa o costretta a nascondersi, ci sono altre forme, più in sintonia con il nostro vivere democratico: si chiama tolleranza. E' il grande favore che quella parte di popolazione che, per qualche motivo (economico o semplicemente numerico per dire) è in una condizione di superiorità rispetto ad altri, fa a questi altri. Io ti tollero, ma ricordati che ti sono superiore.
 Non mi sono mai illusa sull'intima bontà degli esseri umani. A parer mio, negli uomini c'è un'enorme la tendenza alla sopraffazione dell'altro, complicata da propensione alla vanità che necessita di un bisogno di riconoscimento da parte di altri di questa superiorità. La conquista più grande della civiltà è, a parer mio, riuscire a educare gli esseri umani a non sentire questa necessità. Ovviamente questa è la parte più difficile. 
E qui veniamo ad un altro punto che molti analisti hanno considerato solo in parte. Non so perchè. L'età di tutti i coinvolti: i terroristi e le vittime dei terroristi. Sono quasi coetanei e vanno in una fascia d'età che varia principalmente dai 25 ai 35 anni. Si potrebbe definire anche un fatto generazionale. 
Manifesto per l'arruolamento di volontari
francesi per il fronte popolare nella guerra
civile spagnola
Tutti a chiedersi:
capiamo un siriano che ne ha viste di cotte e di crude, un iracheno che si è sentito invaso, un libico che si è trovato confuso, ma chi glielo fa fare ad un giovane cresciuto in Europa, con uno stile di vita occidentale, libero, pieno di possibilità, con welfare che ha le sue falle, ma comunque esiste ad andare a farsi ammazzare (e ammazzare) in Siria? O, nel caso delle donne, a ricoprirsi di dodici strati di velo e finire a fare anche le schiave sessuali?
 Dunque, ricordo che sono anni che ogni tre per due, più di un sociologo ha cercato di fare il colpaccio tentando di trovare una definizione a effetto per definire la mia generazione. Finì che qualcuno decise che eravamo i Millennials, ma ricordo che per un periodo andò di moda anche "Quiet generation", la generazione tranquilla.
 Ci vedevo un velo di disprezzo, noi in fondo bambagiati, in fondo vezzeggiati, in fondo così viziati da non avere le forze o la voglia di mutare nessuna delle situazioni spiacevoli del nostro tempo. Che poi, non avevamo neanche il diritto di dire che essere sfruttati lavorativamente era spiacevole, che il sistema capitalista stesse partorendo mostri sempre più giganteschi, che le disuguaglianze sociali crescevano in modo esponenziale, che davvero forse eravamo bambagiati, ma avevamo davvero meno possibilità dei baby boomers. La nostra era comunque la migliore delle epoche storiche.
 Così la quiet generation stava zitta, ma a quanto pareva non lo era poi tanto.
 Ci sono dei periodi storici che vanno a risacca, si accumula si accumula si accumula e poi ad un certo punto parte come un elastico di colpo. Non erano forse giovani quelli che fecero la marcia su Roma? Non c'erano centinaia di interventisti ventenni durante la prima guerra mondiale? Non vennero ragazzi e ragazze da tutto il mondo a combattere su entrambi i fronti una guerra civile che si svolse sanguinosissima in Spagna negli anni '30? Una popolazione dilaniata e frotte di giovani che affluivano da tutta Europa e certo non solo per aiutare il fronte popolare. E ancora giovani pronti ad immolarsi durante la rivoluzione di Mao, la stessa gioventù nazista.
 Le condizioni storiche erano diverse, ma l'età era la stessa. E allora, cosa fa sì che ogni tot di tempo generazioni che sembravano tanto quiete si scoprano improvvisamente inquiete, agitate da incubi che non credevano di avere?
C'è un libro che secondo me è rivelatore e ci risponde senza cercare troppe scuse. Si chiama "Hitler e l'enigma del consenso", un saggio di Ian Kershaw sull'inquietante adesione quasi totale del popolo tedesco al regime nazista. Cosa spinse un intero popolo verso un delirio di sangue e onnipotenza che nulla lasciava presagire?
 Le stesse cose predette: insoddisfazione, frustrazione dopo i trattati della prima guerra mondiale che vedevano pesanti ripercussioni economiche e morali su una nazione orgogliosa. Il terreno era fertile perché qualcuno in grado di proporre "un'idea" che aggregasse e ispirasse le masse stanche e nervose trovasse consenso.
 Ne trovò fin troppo visto che la Germania non ha praticamente avuto resistenza, e ad ogni livello sociale, segno che non era solo un'oligarchia a guidare o una popolazione dal basso a richiedere. Tutti si lasciarono trascinare per una serie di motivi che si annodarono al punto da rendere possibile l'orrore.
 Ora tutto riappare, come una gigantesca trappola. Quindici anni fa c'erano dimostrazioni di proporzioni epiche contro la globalizzazione, un fenomeno che sconcertava, sui quali ci si interrogava, le coi conseguenze sgomentavano. Poi, qualche repressione qui e lì e tutto è sparito.
 Ma ne sono svaniti gli effetti? Una società che collassa a più livelli, la sparizione di punti di riferimento, un mondo con distanze sempre più brevi e certezze ormai sempre più inesistenti e generazioni precedenti che si appoggiano alle successive con un peso enorme. Il tutto mentre un'economia di mercato sempre più spinta e un individualismo sempre più gigantesco ci suggerivano che tutti gli -ismi erano uguali, tutti sbagliati, la causa unica dei mali del mondo.
 Così ogni volta che si provava ad avanzare un'opinione diversa, un'obiezione, ci si sentiva rispondere "E' già successo, abbiamo già visto. E' inutile che credi in questo, è inutile che lotti, è inutile che provi a cambiare. Piuttosto, adattati a questo sistema che dona ricchezza a tutti, se solo quei tutti si impegnano e vogliono".
 Ma era una menzogna. Perché non solo non è vero che tutti possono accedere davvero alla ricchezza, ma non è neanche la ricchezza la misura giusta delle nostre vite (e qui vado citando un saggio scritto a più mani da Sen, Fitoussi e Stielgliz "La misura sbagliata delle nostre vite").
  E così il risentimento si monta a smarrimento in persone molto fragili, socialmente svantaggiate, strette nelle maglie molto pretenziose e  mentre in altre, frustrate da una mancanza di riconoscimento  o semplicemente ansiose di dimostrare la propria superiorità (non fingiamo che non sia anche un nostro problema, l'omofobia, la violenza contro le donne, hanno tutte la stessa radice: la volontà di imporre la propria supremazia frustrata su qualcuno che riteniamo inferiore) è scusa per testare e comprovare la propria onnipotenza.
Gerda Taro 
  In questo senso credo che lo stesso martirio, la volontà di morire dopotutto giovani in guerra, ne faccia parte: per morire bisogna avere una determinazione fortissima, e il desiderio di annientare l'altro può essere un deterrente abbastanza vanaglorioso e potente. 
 E perché prendersela coi propri coetanei o quasi?
 Perché ogni guerra ha un preciso nemico, e in questo caso è un doppio. Un doppio verso il quale si provano sentimenti ambivalenti, perché ricorda tutti i giorni la possibilità se non di un'altra vita, di un'altra scelta che, in un regime totalitario e fanatico non può e non deve esistere. E' qualcuno con cui condividiamo l'appartenenza alla stessa generazione, qualcuno a cui, volenti o nolenti siamo legati e con cui, volenti o nolenti dobbiamo confrontarci.
Uno dei pochi articoli che mi è piaciuto di questi giorni titolava "Ora siamo noi i nostri padri", nel senso che per anni abbiamo campato sulle conquiste delle generazioni passate e ora dobbiamo lottare per mantenerle.
 Ecco, io penso che sarebbe stato più giusto dire "Ora siamo noi i nostri nonni", perché sono stati loro a ricostruire qualcosa di buono dopo la seconda guerra mondiale, nell'intento che tutto ciò non tornasse mai più. Hanno costruito un'Europa che si basasse sulla fratellanza e non possiamo dire, viste le innumerevoli nazionalità dei ragazzi del Bataclan, che non ci siano riusciti.
 Ma poi la ricostruzione si è interrotta, tante cose sono rimaste a metà in tutto il mondo. La strage di Suruc, in Turchia, che ha visto l'uccisione, a opera di un kamikaze di 18 anni, di 32 ragazzi della federazione dei giovani socialisti in partenza per alcune opere sociali verso Kobane è anch'essa figlia di questa interruzione.
 C'è bisogno di una grandissima forza di volontà per distruggere quel bisogno di sopraffazione del prossimo, di vanità, di imposizione delle nostre regole agli altri e passa, in primo luogo, per l'autocritica, per la comprensione dell'enormità di ciò che stiamo facendo. 
Uno degli ultimi selfie dei ragazzi uccisi a Suruc
 La generazione quieta non lo era poi così tanto, e ora, anche secondo me, dovremmo portare il fardello di reggere l'enormità del colpo subito, il tentativo di destabilizzare il mondo che abbiamo sempre conosciuto. E magari migliorarlo, perché il nostro non è più il migliore dei mondi possibile.
 E per me, la base molto più che religiosa è sempre economica.
 Finché non esisterà un mondo economicamente giusto, ci saranno sempre sirene di guerra che trascineranno i tanti smarriti o fragili o, non prendiamoci in giro, anche gli ansiosi di essere crudeli, a cui sembra di sentire finalmente una voce, una direzione, una causa.
 Il modo per lasciare, secondo loro, il loro segno sul mondo.

Dunque, volevo citare molti libri, ma alla fine, per quanto lungo e contorto sia stato il post, non sono riuscita a citarne nessuno. Di seguito, quelli che avevo in mente:
- "L'enigma del consenso"
- "Persepolis" di Marjane Satrapi 
- "La banalità del male" di Hanna Arendt
- "L'uccisore" racconto di Eraldo Baldini
- "Gerda Taro. Una fotografa nella guerra civile spagnola" di Irme Schaber
-  "La guerra civile spagnola" di Paul Preston

Continuo a ricordare che questo mio post tanto lungo, quanto penso inutile, non vuole indagare le cause di una guerra, ma i motivi di alcune decisioni. E, soprattutto, non ho alcuna pretesa di aver ragione. Vorrei solo capire.

martedì 17 novembre 2015

La cronaca nera, "La promessa" di Durrenmatt e la mancanza di immaginazione. Cosa rivela l'animo umano nel suo momento più nero? E perché non siamo più capaci interpretarlo?

Ogni tanto quando vedo il tg (le rare volte che capita visto che ne trovo il contenuto ormai schizofrenico con servizi sulla situazione in Siria e subito dopo interviste a cani e gatti eroi), mi prendo quei momenti di panico alla Zerocalcare alle prese col bestiometro.
 Mentre lui teme le intercettazioni che potrebbero qualificarlo quale persona mostruosa perché si permette considerazioni se non altro poco divulgabili  su fatti tristi e gravi della vita assieme al fido amico Secco, io temo le temibili frasi dei giornalisti tv sulle infingarde ricerche degli indagati per qualche reato.
 "Tra le sue ricerche su internet preferite c'è una passione per i casi di cronaca nera fin troppo sospetta."
 Ora, io non sono come una mia compagna di servizio civile che nutriva una vera ossessione per quei giornalacci trash come il mitico "Cronaca vera" i cui titoli e servizi veleggiano al limite della fantascienza, del buongusto e della linguistica, però devo dire che un po' per ragioni scrittorie un po' per antropologica curiosità, qualche articolo di cronaca nera me lo leggo.
  Accompagnata dal terrore che prima o poi qualcuno qualifichi questo mio tentativo di decriptare l'animo umano come qualcosa di strano (tanto per cambiare), in realtà mi rendo conto che non solo la realtà supera la fantasia, ma spesso non ne è neanche all'altezza.
 Nei libri è raro che un assassino non venga scoperto ed è impossibile che esso non abbia un vero movente. Anzi, il movente di solito è il filo che gli investigatori risalgono per scoprire chi si nasconda dietro. Nella cronaca nera vera odierna questo movente è spesso assente o talmente futile da farti preoccupare: possibile che dei personaggi di carta abbiano più raziocinio di una persona in carne ed ossa o c'è qualcosa che non va?
 Ebbene, con molto colpevole ritardo ho finalmente letto il libro che risponde a questa mia perplessità. Il libro è "La promessa" di Durrenmatt, sottotitolo significativo "Requiem per il romanzo giallo".
Ammetto, avevo rinviato la lettura di questo breve e lucidissimo romanzo perché, per qualche strano motivo, pensavo fosse noiosissimo. Ovviamente non lo è. E non solo, ma parte da un presupposto a cui ho sempre pensato molto: la variabile del caso che sembra non essere mai prevista nei romanzi e neanche nella realtà.
 Ne avevo parlato in un vecchio post (uno dei miei post preferiti, L'abisso che getta uno sguardo su di noi) sulle persone scomparse. Mi sono sempre domandata: uno ripercorre esattamente passo per passo tutte le minuzie della vita di una persona per comprenderne la fuga o eventuali motivi di attrito con qualcuno, ma cosa ne sappiamo che proprio quel fatidico giorno non sia accaduto qualcosa di incontrollabile, di imprevedibile? Qualcosa che sfugge alla nostra logica e rende il caso irrisolvibile?
 E' da questa esatta mossa che parte questo breve romanzo che vede un vecchio poliziotto svizzero in attesa di essere spedito in Giordania, alle prese con l'ossessione personale di una promessa fatta durante il suo ultimo caso.
 In un bosco ai margini di un paesello, viene trovata uccisa una bambina bionda e con la mantellina rossa, il suo omicidio ricorda quello di altre due bambine assassinate negli anni in precedenti in altri cantoni. Matthai promette ai genitori della bambina che troverà l'assassino e, effettivamente, nelle ore immediatamente successive, viene incarcerato un ambulante che ha tutti i numeri in regola per essere il sospettato number one.
 Ha trovato la bambina, è sporco del suo sangue, vende vari oggetti metallici, tra cui rasoi, non ha un alibi e negli anni precedenti ha anche subito un'incriminazione per una liaison con una quattordicenne. Insomma gli manca solo la scritta lampeggiante in testa.
 Matthai però non è convinto, solo che prima che gli sia data facoltà di approfondire, l'uomo si suicida in cella e il caso viene chiuso lasciandolo col dubbio di non aver mantenuto la sua promessa e con l'ansia che in giro sia rimasto un assassino di bambine.
 Il caso verrà risolto? La promessa è stata mantenuta? E fin dove può spingerci l'ossessione per la verità?
 C'è questa cosa che gli articoli di cronaca nera non fanno più (o non so se abbiano mai fatto) e che, invece, io mi aspetto aspetto sempre prendano in considerazione: lo scatto di immaginazione. 
 Non intendo romanzare storie vere che coinvolgono persone e soprattutto vittime reali e che ritengo sciacalleggino fin troppo. Quello che mi stupisce sempre è la ricostruzione del contesto in modo se non artificioso, spesso pregiudiziale, con lo stupore davvero ormai incomprensibile (nel senso che mi stupisco di come i giornalisti dal Circeo in poi continuino a mimare sconcerto) davanti al ragazzo di buona famiglia che commette un reato, l'insistere sul taglio di capelli di una ragazzetta che purtroppo muore per droga, (perché taglio di capelli strano uguale chissà quale nefandezza) oppure il frettoloso applicare "delitti passionali" o addirittura "delitto gay" (fantastica definizione di questi giorni) in giro.
 Non sembra che interessi tanto tentare di comprendere una certa cornice, riuscire anche a stupirsi di qualcosa che ci riesce incomprensibile, interrogare il caso. Quello che sembra importante è trovare un assassino e una volta trovato cercare una colpa ben precisa, spesso stereotipata.
 Ormai non ci vedo neanche più un bisogno di rassicurazione, ma una precisa volontà di chiudere gli occhi. Si uccide per gelosia (!), il delitto passionale viene bollato come delitto addirittura d'amore, il parricidio manco viene nominato quando accade. Non abbiamo più omicidi, solitamente abbiamo gente in preda al raptus.
 Eppure uno dei grandi temi della letteratura è sempre stato l'omicidio, cercare di comprendere cosa spinga un essere umano ad ucciderne un altro, tentare di comprendere dove si annidi la complessità dell'orrore. Ma "Delitto e castigo sembra passato invano e "La promessa" è indicativo dello scatto avvenuto lungo un secolo.
 All'inizio il commissario fa questa avventata promessa ai genitori della vittima anche perché messo alle strette, un po' ci crede, un po' la popolazione tenta di farsi giustizia da sola chiedendo alla polizia di consegnar loro un ambulante. La folla decide il colpevole, la folla lincia, la folla sa.
 Ma la realtà è sempre più profonda, peccato che tutti lo dimentichino, tutti tranne la letteratura, quella buona, che rimane sempre più sola a indagare dolori, motivazioni e moventi, e a interrogarsi sul nulla quando lo trova, perché non mi illudo, non tutto ha sempre una spiegazione, talvolta gli esseri umani si comportano come pessimi articoli bidimensionali. Talvolta, non sempre.