Anni fa, appena trasferita al nord e in cerca (infruttuosa) di nuove amicizie, accettai l'invito di una collega ad andare a fare "una passeggiata in montagna".
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Io mi vedevo così |
Poiché ero abituata a chiamare montagne le in verità dolci colline laziali, pensai ingenuamente ad una specie di gita fuori porta, una scampagnata in cui avremmo camminato il giusto che ci avrebbe condotto ad una luminosa radura a pasteggiare con fave, pecorino (ok, immaginavo essendo al nord che sarebbe stata coinvolta la polenta in realtà), panini al sacco sfranti dal calore e dallo zaino e mele.
Indossai perciò delle converse estive e portai una felpa giusto per scrupolo, fosse mai che dovessimo addormentarci sotto un pero o un pino.
Ecco. Mi ritrovai a scalare 2000 metri con cumuli di neve che occhieggiavano ai lati del sentiero (neve a Giugno???), a pasteggiare in un gigantesco rifugio di montagna su un lago alpino praticamente da sola (altro che pranzo al sacco, tutti gli altri si erano portati i soldi per un luculliano pranzo a base di pesantate con gente del luogo che parlava solo in dialetto incomprensibile) e a rischiare la vita durante la discesa. Capirete infatti che le converse con la suola di gomma non sono proprio la cosa migliore per affrontare una discesa in mezzo alla neve con l'ansia della pioggia improvvisa.
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Finii così -.-" |
Ecco, fine dei miei rapporti con la montagna.
Eccezion fatta per il padre della mia amica in London che in quanto abruzzese montano provava una perversa attrazione per il Trentino Alto Adige, non penso di aver mai conosciuto una persona del centro-sud (non dico non ce ne siano) che considerino la montagna un'alternativa davvero valida al mare, almeno in estate.
Che roba è la montagna? Se magna?
Per quale assurdo motivo un essere umano dovrebbe passare le sue giornate di riposo a faticare sulle rocce quando può rotolarsi sulla sabbia e spassarsela in mezzo alle onde?
Che roba è la montagna? Se magna?
Per quale assurdo motivo un essere umano dovrebbe passare le sue giornate di riposo a faticare sulle rocce quando può rotolarsi sulla sabbia e spassarsela in mezzo alle onde?
Queste mie domande qualunquiste hanno ovviamente già delle risposte e sono retoriche (resta il fatto che a me andare in montagna non piace), ma servono per introdurre il post della giornata: libri su tragiche e/o epiche avventure montane. Potete ringraziare per l'idea il cliente che mi ha chiesto il primo libro dell'elenco: "Alive -sopravvissuti".
TABU' - LA VERA STORIA DEI SOPRAVVISSUTI DELLE ANDE di Paul read Piers ed. Sperling:
Arriva il cliente e chiede "Mi dà quel libro di montagna dove c'è la gente cannibale?" e tu dici: boh.
Poi, fortunatamente un collega ha visto il film e risaliamo al libro che racconta questa incredibile storia vera che rende credibile persino l'incidente aereo in cui hanno fatto fuori mezzo cast di Grey's Anatomy.
Per i due mesi e mezzo successivi, i superstiti dovettero fronteggiare prove gigantesche: il gelo, la neve, una valanga che li decimò durante il sonno e la fame.
Quando i viveri terminarono (quasi subito visto che c'era pochissimo cibo a bordo) dovettero iniziare a mangiare i loro compagni defunti. Ad un certo punto quando fu chiaro, anche grazie al ritrovamento di una radio funzionante, che nessuno li stava più cercando credendoli tutti morti, i più in forze di loro vennero scelti per una spedizione alla ricerca d'aiuto. Ci furono vari fallimenti e altre morti, ma infine due di loro, Fernando Parrado (che si era salvato miracolosamente ben due volte nel corso della disavventura) e Roberto Canessa trovarono un mandriano dopo dieci giorni di cammino. Il 23 Dicembre vennero ritrovati i 16 superstiti (tra i quali nessuna donna) e tratti faticosamente in salvo. Ne fu anche tratto un film e francamente spiace vista la forza che dimostrarono nel sopravvivere ad ogni costo che la cosa che rimane più impressa nella memoria sia che furono costretti al cannibalismo.
FUGA SUL KENYA di Felice Benuzzi ed. Il Corbaccio:
La mia amica che citavo nel post su "Timira" mi portò quando eravamo credo alle medie, a vedere "Sette anni in Tibet" un film che la esaltava per il tema e per la presenza di Brad Pitt (e che non esaltava me per gli stessi motivi).
Lo trovai mortalmente noioso. Il film narrava l'imprese dello scalatore nazista Heinrich Harrer mandato dal regime a scalare l'Himalaya per la patria. Una volta lì veniva catturato dagli inglesi e rinchiuso in un campo di prigionia da cui riusciva poi a scappare per rifugiarsi nella città proibita.
"Fuga sul Kenya" racconta una storia meno epica, ma assai simile e spettacolare.
L'autore, Felice Benuzzi, era infatti un funzionario coloniale in Etiopia che nel 1941 venne anch'esso catturato dagli alleati e spedito in un campo di prigionia in Kenya. Lì, alle pendici del monte Kenya, escogita un piano: scappare dal campo, arrivare in cima alla montagna, piantare l'italica bandiera e lasciare alcuni reperti raccolti. Per riuscire però gli servono viveri, attrezzature e complici. Così la spedizione si allarga ad un medico, Giovanni Balletto e prima ad un poliziotto che viene però trasferito poco prima della spedizione e così sostituito da Enzo Barsotti che però per problemi cardiaci non riuscirà a partecipare in toto.
La storia è rocambolesca: i tre riescono a scappare, ma scoprono che non conoscendo bene il territorio hanno scelto una via troppo impervia, inoltre Enzo sembra non riuscire a proseguire e il tempo passa mentre i viveri diminuiscono.
No, non finisce male, anzi, a tarallucci e vino. Avventure dalla seconda guerra mondiale.
LA MORTE SOSPESA di Joe Simpson ed. Il Corbaccio:
Scritto da uno dei due protagonisti della vicenda narra un evento avvenuto nel 1985 durante la scalata della Siula Grande sulle Ande. Joe Simpson e Simon Yates sono due alpinisti inglesi che raggiungono la vetta della Siula e poi iniziano a scendere in cordata (spero si dica così, alpinisti non ammazzatemi).

Yates lega allora Simpson e decidono di scendere calandosi lungo il fianco della montagna, ma ad un certo punto, senza accorgersene (a causa delle condizioni climatiche) giungono ad uno strapiombo dove Simpson rimane sospeso. Dopo aver tentato in ogni modo di issarlo alla fine per non essere trascinato con lui, Yates taglia la corda che lo tiene legato all'amico che precipita per 45 metri.
Solo che. Simpson non si sa come, nonostante i 45 metri e la gamba rotta, non muore e riesce a tornare al campo base dove trova un disperato Yates che è tornato con gran fatica e ossessionato dai sensi di colpa.
Persino io conoscevo la storia di Reinhold Messner accusato di aver abbandonato il fratello Gunther durante la scalata del Nanga Parbat, ma, se ho ben capito, nel diciamo codice etico degli scalatori (che somiglia molto a quello dei navigatori) è ammissibile che per salvarsi, in condizioni estreme, sia lecito sacrificare l'anello debole della catena.
In ogni caso Yates fu accusato pesantemente per la sua scelta e Simpson scrisse il libro (da cui è stato tratto anche un documentario) anche per difenderlo. Scrisse che non aveva avuto scelta e al posto suo si sarebbe comportato allo stesso modo.
EVEREST 1996 di Anatoli Bukreev e ARIA SOTTILE di Jon Krakauer:
Il libro dell'alpinista Anatoli Bukreev e di Jon Krakauer giornalista (e alpinista) diventato famoso alle masse grazie a "In to the wild" rappresentano un caso estremamente interessante, poiché raccontano lo stesso drammatico evento a cui hanno partecipato entrambi, ma ne riportano versioni differenti, con differenti accuse.
La vicenda del contendere riguarda due spedizioni che divennero poi una sola molto corposa per raggiungere la cima dell'Everest. Si trattava della fine degli anni '90, l'alpinismo estremo era ormai una questione di grandi numeri. Prima c'erano solo scalatori solitari, iniziavano a nascere imprese assai costose che organizzavano gruppi organizzati guidati da scalatori esperti e sherpa per alpinisti esperti, ma non professionisti. Scott Fischer che fu la vittima più famosa delle nove che rimasero uccise nell'evento, aveva appunto una società del genere e si ritrovò a salire assieme al collega Bukreev e al suo gruppo.
Il dramma si consuma tra il 10 e l'11 maggio 1996.

Bukreev fu l'unico ad uscire alla ricerca dei dispersi, dati ormai per morti, e ne trasse tre in salvo. Un altro si salvò da solo raggiungendo da solo il campo base il giorno successivo semiassiderato.
Fischer non ce la fece. Rimasto indietro con uno sherpa, lo convinse a proseguire senza di lui e fu trovato solo la mattina dell'11 sempre da Bukreev, ormai morto. Il suo corpo fu ritrovato nel 2008, ma la famiglia espresse il desiderio che rimanesse lì, tra i ghiacci.
Il dibattito sulle eventuali colpe umane della tragedia coinvolse Krakauer e Bukreev e i loro sostenitori e detrattori, ma si interruppe presto. Nel 1997 una valanga uccise a 37 anni Bukreev mentre scalava l'Annapurna.
Sì lo so, ho scelto tutti casi estremi. Per la montagna si possono citare le imprese di Bonatti o i resoconti dei grandi, c'è tempo e ci saranno post, non temete!