sabato 9 aprile 2016

Noi quel libro non lo teniamo! Una riflessione sulla funzione (presunta o reale) pedagogica delle librerie, l'etica, la censura del catalogo e le responsabilità dei grandi rifiuti partendo dal caso del libro di Riina jr.

In questi giorni, come anche i sassi sapranno, Bruno Vespa ha intervistato il figlio di Totò Riina nel suo programma. 
 La cosa ha suscitato una tale indignazione che anche chi, come me, non ha mai visto una puntata di Vespa manco per sbaglio, manco per vedere l'ormai famoso plastico di Cogne, ormai ha la bacheca fb intasata di post indignati da più parti.
 Voglio dirlo per prima cosa: il fatto che Vespa, uno che sta lì da vent'anni a invitare cani, porci, politici, nani, ballerine e chiunque altro passi per l'Italia, sia giunto a invitare il figlio del mafioso più potente e spietato della storia italiana, non mi stupisce.
  Come non mi stupisce che quella che avrebbe potuto essere una prova giornalistica sia finita in vacca.
 Intervistare il male e ciò che ci gira attorno ha un senso nel momento in cui tentiamo razionalmente di ricondurlo ad un contesto di realtà e moralità condivisa.
  Il male talvolta non ha una vera concezione di sé stesso. C'è un tipo di male che è conscio di trovarsi in una posizione giudicata negativa (come poi consideri ed elabori la questione è un'altra faccenda) e quello che è fermamente di convinto di trovarsi dalla parte giusta della questione. Il compito del giornalista è smascherare questa convinzione.
 Non molto tempo fa la giornalista Franca Leosini che tutti ci tengono a ricordare perché intervista i peggiori criminali d'Italia perfettamente truccata, ingioiellata e in tailleur, fu molto criticata per aver scelto di intervistare l'uomo che sfregiò Lucia Annibali.  
 Io in genere non guardo la Leosini perché mi mette ansia, però quella sera ero a casa e girando mi ritrovai su Raitre. Quello che vidi non fu un'intervista accomodante e neanche una simpatica chiacchierata tra la sciura che offre the con la collana di perle e un criminale compiaciuto.
  La Leosini con molta pacatezza e grande preparazione incalzò per due ore l'uomo con una serie di domande che non facevano che metterlo al muro (il fatto che a sua volta lui fosse un avvocato rendeva particolarmente forte la schermaglia) in un crescendo che non lasciava scampo né a lui né a chi lo guardava. Quella che potevamo vedere era l'evidenza di una mente che ragionava su un piano etico completamente avulso da quello comune. 

 Questa evidenza mancava nell'intervista di Vespa, il quale, continuo a dire, non è mai stato un giornalista in questo senso, quanto un animatore di salotti. Una cosa assai utile quando tenti di far rilassare il politico di turno per rendergli dimenticabile il fatto che si sta confessando davanti a mezza Italia e non dentro una casa privata, ma insomma, è un'abilità completamente diversa.
 A seguito di questa ospitata tutta Italia ha scoperto che il figlio di Riina ha scritto un libro in cui svela la vita familiare della propria famiglia a quanto pare, normale e affettuosa.
 A parte che non ci vuole una grande conoscenza criminale per sapere che i cosiddetti mostri non sono sempre dei disadattati incapaci di amore verso la propria prole, la domanda sorge spontanea: come ci si poteva aspettare si esprimesse il figlio di un mafioso? Per giunta italiano?
 Vespa è sempre quello che qualche settimana fa ha ospitato il padre di un ragazzo accusato di aver torturato e assassinato un amico per pura noia. Un signore che difendeva la sua creatura davanti all'indifendibile riportandoci ad una visione distorta dell'antica diatriba antigoniana tra il diritto del sangue e dello stato.
 L'indignazione nel caso di Riina è stata ovviamente maggiore per l'insieme dei linguaggi simbolici che comporta nel sistema più vasto della percezione culturale della mafia, ma vedo più di una lontana parentela con l'incredibile difesa del padre del presunto assassino torturatore. In entrambi i casi la famiglia e la visione che se ne ha rispetto al resto della comunità degli esseri umani con cui condividiamo la terra è preminente rispetto a qualsiasi legge morale ed etica e civile.

 Ma torniamo al punto; Riina jr pubblica questo libro, alcune librerie iniziano a rifiutarsi di venderlo appendendo cartelli e raccogliendo plausi in ogni dove.

 La domanda è: ha senso rifiutarsi di vendere un libro del genere?

 Non ne faccio una domanda commerciale, ma più etica e sociale che è poi il motivo per cui alcuni librai hanno compiuto questa scelta.
 Dirò la mia. A mio parere no, non ha senso. Per vari motivi:
1) Anche prima della diffusione della stampa a caratteri mobili, è stato impossibile placare la diffusione di materiale giudicato (per vari motivi) proibito dalla autorità. Anzi, se possibile, la proibizione e la persecuzione hanno reso solamente un favore alla clandestinità rendendo molto più inafferrabili produttori e fruitori.
 Questo, lo ripeto, ancor prima di Gutenberg. Figurarsi cosa può succedere ora con internet.
2) Ok, mi direte, però se teniamo questo libro in vetrina si lancia un messaggio errato.
 Giusto. Ma c'è una bella differenza tra lucrare mettendo il libro esposto su tutte le vetrine che danno sulla strada e farne un'esposizione ragionata assieme a tutti i classici contro la mafia, alla biografia di Falcone e quella di Borsellino e alle opere di Nando dalla Chiesa. Stiamo sempre lì a ciarlare sul valore in più che possono dare le librerie in quanto luogo non solo commerciale e poi non si coglie un'occasione per fare un servizio in questo senso.
 Alla persona che entra e chiede il libro (e se non lo trova da te lo trova su internet non ti preoccupare) si possono suggerire altre letture che diano una bella visione d'insieme e non solo di parte e magari aumentino il contrasto tra l'immagine da famiglia idilliaca e quello che però succedeva a causa della famigliola felice.
3) Scegliere il catalogo è un compito importante delle librerie e ogni libraio, specialmente se indipendente, ha i suoi gusti, le sue motivazioni e le sue necessità al riguardo. Tuttavia bisognerebbe farsi delle grosse domande su quello che chiamerei "il valore pedagogico delle librerie".
 E' giusto che un esercizio commerciale si senta in dovere di assumere anche una funzione educativa?
Ottimo libro al riguardo è "Etica bibliotecaria"
di Riccardo Ridi. Editrice Bibliografica
 E se sì, non ci dovrebbe essere un dibattito al riguardo?
 Il mondo delle biblioteche affronta da sempre molte questioni etiche riguardo alla delicata scelta di alcuni libri del catalogo. Come far fronte alle proteste dei comuni che improvvisamente vogliono mettere mano al catalogo (magari epurando libri che considerano portatori di qualche ideologia)? 
 Ed è giusto, per dire, che si tengano libri sulla supremazia della razza bianca, che faccia bella mostra il "Mein Kampf" o perle antisemite di vario genere? E' giusto tenere in catalogo opere come "Elogio letterario di Anders Breivik" di Richard Millet che difende (in modo provocatorio ok, ma posso assicurarvi che è pesante) la persona che ha massacrato 70 giovani a Utoya? E' giusto tenere opere che dietro una patina religiosa appena velata si rivelano apertamente omofobe e seminatrici di odio?
 D'istinto ci verrebbe da dire: caspita! Certo che non è giusto!

 Ma ci stiamo addentrando in un campo molto pericoloso:
A) Nessuno ci può garantire che un giorno il bibliotecario di turno non sia un suprematista bianco che decida di escludere alcuni titoli a lui non graditi.
B) Arrogarsi il diritto di decidere cosa gli altri debbano avere a disposizione da leggere o meno è un potere molto pericoloso.
 Anche perché, ripeto, non è che non si trovi il modo di leggere quello specifico libro. Lo si troverà e lo si leggerà solo senza la possibilità di avere mezzo consiglio, senza buttare un occhio al resto di quel che campeggia nella sezione sulla criminalità organizzata, di ben altro tenore.
 Invece di proibire il libro sarebbe assai più utile organizzare degli incontri pubblici in cui si parla dei motivi per cui quel libro è stato scritto, del perché Riina jr lo abbia scritto in quel modo e di cosa voglia dire comprarlo e leggerlo.

Ovviamente posso sbagliarmi. Soprattutto se le librerie che dichiarano di non vendere il libro si trovano in Sicilia, dove il rifiuto ha una valenza sociale molto forte perché è un No che vuol dire non solo non vendere, ma anche esporsi.
 Il punto, secondo me, è sempre lo stesso. Non ci ricordiamo mai abbastanza quanto il libro sia un oggetto di potere e non solamente un passatempo. Da grandi poteri, diceva lo zio del caro uomo ragno, derivano grandi responsabilità. Sfuggirgli non è mai la scelta giusta.

8 commenti:

  1. "Questo uccide quello", scrisse un tale, Victor Hugo, parlando attraverso il personaggio di Frollo. Poi, nota un po' fessa, Cocciante e Panella parafrasarono:
    "La stampa imprimerà la morte sulla pietra
    la Bibbia sulla Chiesa
    e l'uomo sopra Dio.
    E questo uccide quello"
    Il libro è uno strumento potente, senza dubbio, e viene pubblicato di tutto da sempre. E' il senso critico delle persone, che valutano cosa è giusto e cosa sbagliato, a dare una interpretazione e una collocazione al tomo.

    Quanto all'intervista, il problema non era Riina jr (per quanto le sue risposte fossero evasive e imbarazzanti), ma di come è stata condotta da Vespa. Da sempre si intervistano i criminali, solo che lui si è comportato come quando intervista i politici, con domande innocue per loro, concordate, sicure.
    Ha fatto vedere i filmati della strage di Capaci e di quella di Palermo, ma con le domande è andato morbido.

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  2. Per quanto riguarda lo specifico dell'intervista non voglio aggiungere nulla, se non invitare chiunque ne abbia voglia a recuperare le affermazioni che oggi Roberto Saviano (e già qualche giorno fa Marco Damilano) ne ha fatto in proposito in quella bellissima trasmissione televisiva che si chiama TvTalk (per la prima volta qualcuno si è davvero concentrato sul messaggio che Salvatore Riina ha voluto mandare e non sul come esso è stato veicolato da Bruno Vespa). Per ciò che riguarda la vendita e l'offerta del libro: è vero, oggi come oggi, in cui ognuno con estrema facilità può comprare ciò che vuole, l'ostracismo commerciale non ha molto senso; ma sono convinta che il nodo focale stia più che altro sull'ostracismo ideologico, e in particolare sulla particolare immagine che di sé un esercizio commerciale come una libreria vuole trasmettere. E allora da chi vive in una città in cui è necessario, coraggioso, e sacrosanto, soprattutto per un esercizio commerciale (che può soggiacere come saprete a racket di ogni tipo) dichiararsi apertamente contro ogni manifestazione mafiosa; contro l'idea di una mafia onorevole, fatta anche di affetti familiari e rispettoso ossequio, che conseguentemente può ancora colpire il cuore di tante persone che in essa vedono l'unica manifestazione di ordine e controllo possibile (potrei raccontare conseguenze di questa intervista sulla mia città e sulle sue realtà più "deboli" che difficilmente nel 2016 chi non vive a quotidiano contatto con queste realtà potrebbe immaginare). Una libreria non è un servizio pubblico come lo può essere una biblioteca, atta a garantire ogni scelta democratica in fatto di libri, è giusto che possa e debba esprimere una sua ideologia di fondo, nel bene e nel male aggiungo (come giustamente tu prospetti). Sarò troppo influenzata dalla mia realtà, ma sono convinta che si possano, anche commercialmente parlando, veicolare certe tematiche senza necessariamente lasciar spazio a ridicole strategie di marketing quale è il libro di Salvatore Riina, che nulla di utile aggiunge al discorso della mafia e dell'antimafia: l'unica cosa che fa è presentare il lato "umano", che molti disperatamente cercano, in chi mai nulla di umano ha manifestato nel suo agire, e che però ad oggi per molti rappresenta l'unica alternativa possibile.

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    1. Una libreria non è un servizio pubblico come lo può essere una biblioteca, atta a garantire ogni scelta democratica in fatto di libri, è giusto che possa e debba esprimere una sua ideologia di fondo, nel bene e nel male

      Concordo.
      E trovo validità nel discorso sul messaggio ideologico di cui una libreria si fa portatrice nel momento in cui rifiuta il ritratto oleografico della famiglia mafiosa come luogo degli affetti e dell'onore.

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  3. Allora, mi pare chiaro che se una libreria siciliana compie un gesto di rifiuto ha una valenza simbolica molto diversa dallo stesso gesto compiuto a boh Pescara.
    Il punto è che, non è che se le librerie si rifiutano di vendere il libro allora il libro non lo legge nessuno. Semplicemente chi vuole va su internet, se lo mette nel suo bel cestello di Amazon o chi per lui e via così. Mi pare quindi un po' la tecnica dell'occhio non vede, cuore non duole.
    Ovviamente non suggerivo a nessun collega di fare l'eroe e di invitare in loco un giornalista e il figlio del boss per un confronto. Nel mio immaginario aveva senso discutere di questo libro e di come era stato scritto con un rappresentante di libera o di un'associazione contro le mafie, con giornalisti che di giorno in giorno si espongono sul tema e ne capiscono.
    In quel caso la libreria allora ha un più. Coglie l'occasione per discutere oltre che decidere se vendere o meno un libro. Il libro c'è, dalla circolazione non sparirà neanche se tutti i librai d'Italia non lo vendono visto che c'è internet. E allora parliamo, parliamo e parliamone in un modo sensato, con persone competenti, in modo lucido, la tecnica del far finta che una cosa non esista se non la vendiamo non mi pare abbia molto senso.

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  4. Dubito fortemente che il Salvatore Riina che ha voluto rivedere l'intervista prima che andasse in onda avrebbe accettato e permesso che il suo libro si discutesse in rapporto a qualche rappresentante dell'antimafia. Ma capisco cosa vuoi dire e hai ragione. Il mio parere è che però certi messaggi si possano veicolare senza necessariamente far da tramite a un libro che con tutta evidenza non lascia nulla di sé ai lettori (nulla di buono quantomeno) e che è stato costruito ad hoc solo per un magna magna generale, editoriale e mediatico.
    Massimo, vedo che anche tu sei palermitano e colgo immediatamente l'ironia del tu commento, ma se Roberto viene a sapere che lo hai definito "un concorrente di Riina sul fronte letterario"... Insomma ci sarebbe da ridere :D

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  5. L'errore di Vespa infatti è stato proprio a monte (ma immagino le sue mani sudaticce in ansia da scoop fregarsene della cosa): o l'intervista si fa in un determinato modo o non si fa. Invece pur di salottare con share, si è letteralmente piegato a tutte le richieste. Questa è la differenza che c'è tra le famose interviste di Biagi (io citavo la Leosini perché lei sembra tutta quieta e salottiera e invece è tostissima e non fa sconti) e la sua diciamo "ospitata" (perché questo era, penso potesse esserci al suo posto la D'Urso e non ci saremmo accorti della differenza).
    Quando invece parlo delle eventuali inimmaginifiche presentazioni in libreria, ripeto che non lo immagino lì a discutere con un rappresentante di Libera, ci mancherebbe. Immagino magari un rappresentante di Libera che spiega al pubblico dove sta il messaggio mafioso nella narrazione e anche nel modo in cui si è preteso di condurre l'intervista. Una lettura critica diciamo. Se no ripeto, continuiamo a cianciare del valore aggiunto delle librerie fisiche e in questo caso qual è? Non vendiamo il libro? Ripeto gesto di valore simbolico molto forte in Sicilia di sicuro, ma in molti altri posti dove col linguaggio mafioso non si ha dimistichezza (e magari la mafia sotto sotto c'è comunque) sarebbero più utili altri gesti oltre al rifiuto.

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  6. Certo è vero che altrove da questo punto di vista andrebbero sviluppati determinati "anticorpi". Forse una bella analisi, come dici tu, è quello che ci vorrebbe, ma in fondo lo si potrebbe fare a partire da qualsiasi pubblicazione sull'argomento e/o intervista già fatta. Come ti dicevo quello che mi fa rabbia è l'idea di speculazione su questo testo che si è creata, sia da parte dell'editore, sia da parte di Vespa. L'altro giorno un approccio del genere l'ha tentato ad esempio Saviano, mettendo a confronto l'intervista di Salvatore Riina con quella di qualche anno fa di Angelo Provenzano (figlio di Bernardo Provenzano): il risultato è stato molto interessante. (Aggiungo anche che l'intervista ad Angelo Provenzano è stata fatta da un giornalista molto competente di Servizio Pubblico).

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  7. Scusa, tu apri la lista delle motivazioni dicendo "Non ne faccio una domanda commerciale", ma io mi chiedo perchè. Secondo me una libreria ha il sacrosanto diritto di decidere di non voler partecipare attivamente al successo commerciale di un'opera. Se lo vuoi comprare, benissimo, ma da un'altra parte. Io i soldi alla casa editrice, che comprendono le royalties che verranno passate all'autore, non li voglio dare. Tutto qui, non vedo il problema.

    Il cartello fuori dalla vetrina poi è un dipiù, un messaggio che si vuole lanciare, ma bisogna stare attenti a come lo si lancia perchè può fare il boomerang, tornare indietro, diventare virale, e far vendere di più il libro, come appunto sta succedendo.
    Bastava non tenere il libro e non mettere il cartello.

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