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giovedì 30 giugno 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Clown".

Ed ecco a voi in piena settimana una vignetta realmente avvenuta lo giuro che racconta un episodio di una serie abbastanza frequente: il rapporto pupo-libraio.
 Non nel meraviglioso momento pedagogico del consiglio e della scoperta, ma quello del ludico intrattenimento. 
 I genitori non riescono a domare il pargolo e così investono il libraio di turno di varie funzioni e poteri: può essere il poliziotto cattivo o il poliziotto buono.
 Per carità io ho fior fior di colleghe felici di spupare bambini random, ma io non ce la faccio. Se mi metto a fare scenette e proferisco frasette sembro il clown di "It".
 Vabbeh, cose realmente avvenute! Lo giuro! "Clown"!


Ps. Per "metodo Montessori" mia madre intendeva ironicamente sistemi educativi sbrigativi, poco ortodossi, ma molto efficaci.

mercoledì 29 giugno 2016

Il dolore può avere amici: "Rosalie lightning", un viaggio nel regno dei morti per riuscire a cantare di una figlia che non c'è più.Perché i vivi devono trovare il modo di uscire dall'Ade, ad ogni costo.

 Tutte le volte che sento parlare di una morte prematura  (bambini o ragazzi) ho una serie di domande check che affollano la mia mente.
 
"Angelo ferito" by Hugo Simberg
La mia prima domanda è:
i genitori avranno almeno un altro figlio o figlia?

 La seconda domanda, indipendentemente dal fatto che li conosca o meno è più una preghiera: fa che abbiano almeno un altro figlio.

 La terza domanda è: saranno abbastanza giovani per avere un altro figlio?
 E appena realizzo che non lo sono e magari in effetti il figlio morto era figlio unico, passo a:  perché non hanno deciso di avere almeno due o tre figli? Non hanno pensato a un'eventualità del genere?

 Insomma precipito in un vortice che per me prevede un baratro di salvezza e speranza solo quando i genitori orfani di figli hanno ancora della prole.
 Il che, considerando che io non ho mai pensato di avere figli e che pure se mi lanciassi nell'impresa dubito ne avrei più di uno, è abbastanza surreale.

 Certe volte vaneggio e penso: vabbeh, facciamo che verso i 36 anni faccio un figlio, non sono ancora vecchissima. Poi il mio cervello aggiunge: beh, potresti esserlo se ne vuoi avere due o anche tre.
 L'aggiunta immagino che debba il 90% della sua provenienza dalla convinzione propria della mia prolificissima famiglia che vede nel figlio unico uno sventurato privo di fratelli e sorelle (tra i top delle disgrazie) per il resto della sua esistenza.

 Il 10% invece so per certo che viene da quella sequela di succitate domande: E se? E se ne ho solo uno e poi? Conscia poi del fatto che i figli non è che siano bambole intercambiabili, quindi se ne perdi uno e ne hai un altro la perdita non sarà meno irreparabile.

 Perché ho fatto questo lungo e contorto preambolo?

Perché è molto difficile trovare le parole per recensire le parole di questo straziante memoir di Tom Hart, fumettista e illustratore americano sposato con un'illustratrice e padre di una bella bimba bionda: Molly Rose.

 Probabilmente la consapevolezza che l'autore ha avuto un'altra bimba ha reso sopportabile la lettura del suo libro "Rosalie Lightinging" una graphic novel autobiografica, ed. Beccogiallo, che racconta la perdita della sua primogenita, morta per una di quelle inesplicabili malattie infantili all'età di due anni.

 La sera prima era molto agitata e la mattina dopo era morta. 

 Tom Hart lo dice subito e senza giri di parole, senza introduzioni, la realtà cruda e drammatica di una storia avvenuta una manciata di anni fa dall'altro capo del pianeta ti colpisce come un ceffone a cui non riesci a credere.
 Forse è anche per questo motivo che per tutto il tempo speri che una risposta ci sia: aveva una malformazione, una malattia fulminante, una qualsiasi cosa irrimediabile. Tuttavia Hart non dà spiegazioni lasciando intendere che fosse una disgrazia non solo incomprensibile, ma anche priva di un motivo a cui attaccarsi.
 Rosalie è morta. Punto.

 Da lì parte un abisso dal quale Hart e sua moglie Leela cercano di risalire dichiarando in qualche modo guerra al lutto. 

 Non si lasceranno divorare dal mostro oscuro che si è preso la loro bambina, loro ce la faranno, attraverseranno la terra dei morti mentre sono ancora in vita, proprio come Orfeo e ne usciranno per riveder le stelle.

 Non è una storia facile, ma paradossalmente non è privo di speranza.

 Il dolore, si dice, non ha amici.

 Invece, Hart e sua moglie risalgono dal baratro grazie all'amore incondizionato di chi li circonda. Una rete di amici disposti a tutto: a ospitarli in casa, ad ascoltarli, a non lasciarli mai soli, a non permettere che loro pretendano di rimanere soli.
  
  Mentre quella rete li sostiene,  i due cercano un modo per risalire, per capire se in effetti questo esista.
 Così, giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di tristezza (cit.) si mescolano alla ricerca spasmodica di un simbolismo panteistico che in qualche modo sopperirebbe alla loro mancanza di fede (non ci sono molti riferimenti religiosi o mistici nel libro, la qual cosa lo rende ancora più umano): chiunque li incontri ha la storia di un familiare morto in giovane età da portargli, un modo paradossale per incoraggiarli e dir loro che la vita sfortunatamente o fortunatamente non rimane impantanata in quell'istante. 

Il sito di Hart è
lhttp://www.tomhart.net/rosalie.html
 Cercano risposte nei paesaggi, nelle ferite dei loro amici, nei presagi immaginari che si trovano ad elencare cercando di rappezzare i ricordi della loro ultima notte con la loro bambina.

 E su tutto troneggia una casa che non riescono a vendere, un enorme parassita da cui non sembra esserci liberazione: poco prima della morte di Rosalie avevano deciso di terminare la loro vita di indigenza a New York per trasferirsi in Florida, ma il loro appartamento appare invendibile per una serie di assurdi motivi.

 Pensi distrattamente tutto il tempo che ci sia un parallelismo maledetto tra la casa in cui è morta la loro bambina e il fatto che la terra desolata del lutto non abbia un confine e una fine.
 Poi ti ritrovi a pensare che li ha tenuti ancorati al suolo terrestre, alla vita quotidiana che non ha rispetto per il dolore e va avanti imperterrita, impedendo loro di vagare in un cielo notturno e potenzialmente fatale.

 Non ci sono molte parole per descrivere un dolore così grande e in realtà è questo il motivo per cui, nonostante l'immensa tristezza che emana questa storia, dovreste leggerla: perché Hart riesce dove quasi tutti cadono. Racconta un dolore che soffoca moltissimi, impossibile da rendere, da rappresentare, da proporre al mondo.
 Hart è riuscito dove fallì Orfeo: ha cantato per la sua amata e l'ha riportata dal regno dei morti, perché noi potessimo conoscerla. 
 E lo ha fatto per chi, incapace di cantarla come lui, potesse trovarvi la rappresentazione di un dolore che altrimenti blocca, per sempre, nello stesso regno di chi ci ha abbandonato contro la sua volontà e nel quale non possiamo sostare perché non gli apparteniamo, anche se lo vorremmo disperatamente.

lunedì 27 giugno 2016

Piccole recensioni tra amici! Gatti venuti dal cielo, Crocchette e panzerotti innamorati, mescalina, komplottari e Philip Dick.

 Nelle ultime settimane tra ritorni a casa, seggio, pride e robe varie che sto organizzando alla fine ho trascurato principalmente le recensioni, quasi che non fosse più un bookblog.
Ricordo a chi si collega ora che il simbolo delle Piccole
Recensioni tra amici sono le stellette dell'incantevole Creamy
 In verità nel frattempo ho letto, in quel mio modo bulimico e senza senso che mi contraddistingue e ho anche stilato una piccola lista di libri da consigliarvi per l'estate (che se aspetto un altro po' l'estate è finita).
 Nel frattempo cerco di recuperare un po' con un piccole recensioni tra amici. 

 Ho in coda la recensione dell'ultimo (che poi è il primo) di Murakami (nel frattempo vi suggerisco di comprarlo, merita) e quella di una graphic novel straziante che vedrete di sicuro domani e vi dico già di preparare fazzoletti.

 Ma bando alle ciance, ecco a voi un bel triplete!


IL GATTO VENUTO DAL CIELO di Hiraide Takashi ed. Einaudi:

 Libro che mi aveva incuriosito sin dalla sua uscita, lo avevo successivamente scansato data la mia poca propensione animalara.

 A me quando la gente impazzisce per un gattino puccioso o ancor peggio per un cane coccoloso (almeno i gatti li trovo esteticamente belli, i cani neanche quello) mi parte la follia, praticamente non reggo neanche lo screensaver che mi parte ogni tanto sul cellulare in cui tra prati e palme, appare un cucciolo di cane con gli occhi chiusi.

 Priva di questo cheap della tenerezza verso i cuccioli della terra, alla fine, nonostante il mio amore per qualsiasi cosa venga tradotto dal giapponese all'italiano, avevo rinunciato alla lettura. 

 Fortunatamente esistono ancora le biblioteche e, dovendo fare un lungo viaggio in treno, mi son detta: why not?

 La recensione è: MAH

 Nel senso: è un grazioso racconto lungo che davvero non mi spiego perché si ritenga degno di essere romanzo. Non ne ha la struttura, non ne ha la volontà, non ne ha l'approfondimento né i personaggi.
 Si tratta del frammento di vita di una coppia: uno scrittore (non si comprende se sia autobiografico e quanto) e sua moglie. I due hanno la fortuna di vivere nella depandance di un'enorme proprietà dotata di un grandissimo giardino con un olmo maestoso.
 I due amano molto la loro casa, la situazione bucolica in un contesto cittadino e persino la stradina adiacente "il vicolo del fulmine" da cui un giorno sbuca una gattina randagia di cui si appropria il figlioletto dei vicini.

Passano i mesi e la gatta diventa bigama: passa le giornate dai vicini e le nottate da loro finché ad un certo punto non muore.

  La descrizione del rapporto tra i due e la gattina, ma soprattutto le loro vicissitudini affittuarie (ad un certo punto i due anziani padroni di casa decidono di smembrare la proprietà) rendono molto bene il senso di un momento specifico e precario dell'esistenza.

 La vita, da un certo punto di vista, è fatta da periodi ora brevi ora lunghissimi nei quali ci adagiamo in cerca di rassicurazione, certi che se ci sforzeremo di farci piccoli piccoli, nessuno ci noterà e potremo continuare nella nostra placida routine, indisturbati.
 Il pregio maggiore di questo libro è la straordinaria esattezza con cui fotografa l'istante in cui invece la vita ci scopre e ci intima di darci una mossa, alzarci e sloggiare verso nuove lande.
 In una raccolta di racconti avrebbe potuto essere un piccolo gioiello, proposto da solo, non so, dà una sensazione strana, come di incompletezza e non gli giova. Talvolta la definizione di un'opera non è solo un'etichetta editoriale.
 Consigliato a chi ama i racconti, le piccole storie poetiche (ma non stucchevoli) e ovviamente a chi ama i gatti, anche se, in effetti, non è una trama a solo uso e consumo gattaro.

 VITA BREVE E FELICE DI UNO SCRITTORE DI FANTASCIENZA di Philip Dick e AAVV ed. Feltrinelli:

 In questa annata che sta vedendo la ristampa da parte di Fanucci di molti dei capolavori di Philip Dick (tra cui l'inedita "Esegesi") e "Io sono vivo voi siete morti" da Adelphi (che spero di leggere a brevissimo), avendo letto qualche suo libro, ma essendomi sempre interessata poco alla sua biografia, ho deciso di saperne un po' di più.

 In biblioteca ho razzolato una bella e purtroppo fuori commercio raccolta di scritti biografici e autobiografici che Dick e altri scrissero principalmente quando l'autore era ancora in vita. 

 Ci sono molti punti in comune, principalmente sul modo noncurante di descriversi, con "On wrinting" di Stephen King. 
 Con la forte differenza che Stephen King sin da bambino dimostra una forza di volontà e una chiarezza di intenti così massiccia da rendergli sostenibile il peso del suo lavoro, del suo talento, del successo e anche delle visioni interiori e dei sogni da cui sono scaturiti i suoi libri.
 Prolifico e americano come lui, proveniente da un contesto sociale non propriamente ricchissimo, al contrario di King, Dick raggiunse una serenità economica solo nell'ultimo periodo della sua vita, saltabeccò tra vari matrimoni (ben cinque, mentre anche lì il buon Stephen sta con Tabitha da una vita) e un precario equilibrio psichico sospeso tra alcune diagnosi di schizofrenia e abuso di anfetamine con l'amichevole partecipazione di LSD e mescalina. 

Siccome la mescalina è la stessa droga che, assunta una sola volta da Sartre gli donò allucinazioni di crostacei ed aragoste malvagie per mesi, tendo a pensare, dopo aver letto questo piccolo incantevole libro, che le visioni che ossessionarono il buon Dick siano da ricondursi alle succitate sostanze e a un sistema nervoso non proprio a prova di bomba.

 Fortunatamente per lui i komplottari non hanno ancora scoperto la sua pagina di wikipedia, altrimenti gli toccherebbe lo stesso triste destino del buon Tesla:vedersi arruolato in un delirio che va da improbabili alleanza massoniche-ebraiche-komuniste-kapitaliste-gay guidate da alieni rettiliani che hanno fondato una colonia terrestre migliaia di anni fa.
 O forse, nonostante il forte fascino che potrebbe avere su di loro il celebre 2-3-74 (durante il febbraio-marzo del 1974 Dick fu vittima di una potentissima crisi mistica/allucinatoria che lo condizionò per tutta l'esistenza e che tentò di analizzare per anni nella succitata "Esegesi"), qualche voce della sua esistenza gli è effettivamente arrivata. E preferiscono ignorarlo.

 Perché potrebbe distruggere il loro castello di carte immaginarie gettando il velo dell'idiozia: a nessuno piace sentirsi dire che i propri deliri non sono altro che una trama interessante per un libro di fantascienza, che può raggiungere picchi favolosi se capita nelle mani di un genio o profondi abissi di beceraggine se colpisce menti non atte a distinguere con ragionevole successo la fantasia dalla realtà.

PANZEROTTA E CROCCHETTO di Ana Oncina ed. Bao Publishing:

 Premessa, se prima di leggere questo fumetto vi premunite di un piatto di crocchette e/o panzerotti (a seconda di cosa preferite) è meglio.

Svolgimento; sono i "Simple e Madama" spagnoli, una giovane coppia che si conosce, va a vivere insieme e si immerge in una quieta quotidianità ricca di piccole avventure.

 Oh, non è il fumetto della vita e non pretende neanche di esserlo, ma il tratto semplice, le storie che possono condividere tutti i trentenni d'Europa (l'autrice è spagnola, ma vi assicuro che fino a metà potete tranquillamente pensare che viva a Torino o Milano o Parigi o Londra o Berlino) tra concerti, ostelli, viaggi low cost, animali domestici, romanticismo ucciso da piccoli infausti eventi, paste bruciate e allergie ai gatti, lo rendono ipnotico.

 Perciò è tutto un "Anche a me succede!" "Anche tu sei così!" "Pure il mio fidanzat*/convivente/compagn* è identico!"

 Il tutto condito da una gigantesca spruzzata di Kawaii visto che l'autrice appunto si immedesima in una graziosa panzerotta e rende il suo fidanzato una crocchetta (anche commestibile tra l'altro).
 Consigliatissimo a chi si sente in very love come regalo di compleanno o ancor meglio regalo senza nessuna ragion d'essere.
 Compratelo, tornate a casa e dite distrattamente "Mah, ti ho preso una cosetta".
 La giornata, vedrete, si illuminerà.

domenica 26 giugno 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Gatte morte".

 Pardon, sono due giorni che non aggiorno, ma ieri è stata giornata di Pride (e per la prima volta sono stata su un carro ohoho grazie LezPop!) e niente siamo arrivati ad oggi con una vignetta fresca fresca di giornata.
 Non racconto mai molto le battute o le follie inter-colleghi, ma potrebbero essere un filone molto interessante e da esplorare, vedremo.
 In tutto ciò, sappiate che nei prossimi giorni farò finalmente un po' di recensione. So che dalle ultime settimane non è parso molto, ma ho letto un bel po' di libri!
 Ma bando alle ciance, godetevi la vignetta di oggi: Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Gatte morte"!


giovedì 23 giugno 2016

Cosa passa il convento? Le cinque tendenze libresche del momento: Islam in tutte le salse, Io io io e ancora fortissimamente io, running selvaggio, Kent Haruf e diete molto smart.

 Una delle cose che mi lascia più perplessa quando leggo le classifiche di vendita dei libri, è il perenne stupore nei commenti.

Il tono di solito è: com'è possibile che Greta Menchi sia terza? E' inaccettabile che le 50 sfumature vendano più del commento a Dante di Sermonti! Fabio Volo primo in classifica?? Dovrebbe esserci Galimberti!

 La perplessità è dovuta allo strambo fenomeno per cui chi commenta le classifiche fa parte della nicchia di lettori forti e non della massa che fa numero, come se la massa, una volta soddisfatto il suo bisogno di possedere il tomo che gli serve, resettasse l'esistenza del mondo dei libri e del fatto che, nel bene o nel male, ne hanno brevemente fatto parte.

 Da cosa dipende questo incredibile fenomeno (a cui il post ha dedicato anche un articolo qualche giorno fa)?

1) Fattore contingente. Ho un esame (penso che le case editrici di concorsi dovrebbero fare un altarino al ministero della pubblica istruzione dai TFA al concorso a cattedre), mi serve il manuale di preparazione, lo compro, lo uso, ciao.
 Altro esempio: voglio imparare una lingua, mi serve un dizionario ecc.

2) Fattore di interesse specifico. Sono un appassionato di escursionismo e compro tutti i libri che riguardano percorsi in montagna, in collina e in pianura e anche un po' di narrativa di viaggio ambientata oltre i 1000 m.

Coda per firmacopie Benji e Fede da laRepubblica Torino
3) Fattore moda. I libri, per molti versi, non differiscono da altri beni di consumo. Hanno certo un fattore di imprevedibilità elevato (se ci fosse la formula perfetta, non ci sarebbero tirature invendute), ma anche loro patiscono le mode.

 Basti pensare all'esplosione del settore erotismo quando la James ha fatto il botto, (e alla precedente esplosione di lolite sexy all'epoca di Melissa P.) o al periodo in cui l'horror scoppiava perché tutti avevano un romanzo sui vampiri nel cassetto (perché c'era "Twilight").

 Una cosa che ho sempre pensato è che non solo non abbia senso criticare quello che non si è mai davvero letto (manco dieci pagine), ma non ce l'ha neanche ignorare cosa legge la stragrande maggioranza delle persone. 
 Sarebbe come mettersi i paraocchi per non vedere come sono vestiti gli altri: non è che devi vestirti allo stesso modo, ma almeno sai cosa sta facendo il resto del mondo.
 Proprio per questo ho deciso di stilare un elenco di 5 libri/argomenti che in questo periodo vanno superfanta di moda, così saprete cosa caspita ha tra le mani il vostro vicino di treno o di casa o di macchina o di ufficio o, prestissimo, di spiaggia.

RUNNING:

 Ricordo ancora quando mia madre, invece di spedirmi a pallavolo, come avrei sperato ("E' un covo di vipere, mi diceva"), mi inviava invece a praticare lo sport più noioso del mondo se non sei versata in nessuna delle sue, pur numerose, discipline: l'atletica.

Passasse il salto in alto, (lividi a ripetizione sulla schiena, ma superato il metro e dieci), passasse quello in lungo, passasse il lancio del peso e del disco (alla fine ero finita a fare quello che aveva anche un suo perché se non dovevi interromperti ogni tre secondi col terrore di prendere in fronte uno dei pulcini della scuola calcio), c'era una cosa che proprio non sopportavo: correre. 

 Non era tanto o solo la fatica, quanto la noia estrema dell'essere costretti a correre col fiatone e i polmoni in fiamme anche per un'ora (quando l'allenatore trovava conveniente farci arrivare fino alla frazione più vicina passando per campi).

 Anche per questo non ho mai capito la passione imperante per quello che un tempo si chiamava jogging,  e ora ha mutato verbo ed è diventato running (se magari qualche linguista è in ascolto mi spieghi la differenza e come sia mai stato possibile). Cosa c'è di così magico nella corsa? (Posto ovviamente che fa bene e costa poco e niente?).

 Non lo so ancora, ma se faceste un salto nella sezione sullo sport vi accorgereste in tre secondi netti che una nuova febbra attraversa le masse: ora si runna e se non runni, se non gridi di gioia facendoti cospargere di colori lavabili alle color run, se non sfidi te stesso in maratone indette per qualsiasi causa, se non sogni di arrivare alla maratona di New York, allora non sei nessuno, baby.
 Nell'attesa di sapere quando passeremo ad altro, immagino che la Nike abbia dedicato un santuario al dio del run, meritevole di aver fatto dimenticare boiocottaggi, critiche no global e Naomi Klein.


KENT HARUF:

 Premetto che non l'ho letto perché idealmente me lo sto conservando per l'estate e premetto anche che sono anche fiduciosa sul fatto che meriterà. Tuttavia io rimango sempre basita quando mi accorgo delle recensioni a ondate.

 Wuuuum tutti recensiscono in massa l'ultimo minimum fax wuuuuuum tutti recensiscono in massa la nuova saga familiare ebraica wuuuuum tutti recensiscono l'ultimo imperdibile classico polacco che nessuno traduceva da quarant'anni wuuuuum

 Per carità, ci sono dei libri che spiccano nella massa (proprio come fu "Stoner" fa parte di questi), però io sono fatta in modo riottoso e quando vedo troppo entusiasmo collettivo mi prende male e mi si guasta l'aspettativa.

 Non è fare bastian contrario è che praticamente mai nella vita ho guardato la classifica per comprare un libro e prima di aprire un blog non avevo mai letto i suggerimenti di nessun altro (ebbene sì, predico bene, ma razzolo in questo caso, molto male), perciò quando qualcuno vuol convincermi a tutti i costi che o leggi questo libro o "Maria io esco" allora inizio a innervosirmi.

 In ogni caso la sua trilogia è la trilogia dell'estate, se volete "Il libro più letto di tutti" (non ci crederete, ma richiesta abbastanza frequente in libreria) sappiate che, tolto il solito Montalbano e i vari youtuber, è questo.

ISLAM:

E' il tema del momento ed escono una tale quantità di libri che, ve lo dico, se avete una minima competenza su una qualche sfaccettatura dell'Islam e delle società islamiche, mandate il vostro manoscritto, qualcuno di sicuro ve lo pubblicherà.

 Se c'è una cosa davvero ammirevole della sezione di attualità è che guardarla per più di dieci secondi trasmette la stessa identica ansia dell'ascoltare uno speciale di Mentana in loop: titoli catastrofisti si mescolano a opinionisti che a loro volta si aggiungono a storie di vita vissuta dei sopravvissuti, degli ex carnefici, di quelli che hanno sempre resistito di quelli che cianciano senza sapere di cosa stanno parlando.

 Ecco, si va a ondate e da Parigi in poi gli uffici editoriali hanno vessato autori per titoli commissione o pubblicato qualsiasi cosa fosse pubblicabile con dentro la parola Islam. Sfogliandoli tutti, i pro, i contro, quelli che dicono che la Fallaci era Cassandra e quelli che invece ci giurano che un giorno ci prenderemo tutti per mano e faremo girotondi attorno al pianeta, non si capisce comunque niente.

 Viene il dubbio che o nessuno sa di cosa stiamo parlando davvero o che l'argomento è troppo mastodontico per essere affrontato come un servizio del tg su carta.


DIETA SMARTFOOD:

 Non chiedetemi cos'è, non lo so. So solo che vende.

Mi rifiuto ormai di star dietro alle innumerevoli diete  che di colpo la gente si mette a seguire: quella a punti, a calorie, coi semi, senza semi, coi latticini, senza, la paleolitica, la proteica, la giapponese, la senza muco, quella con la candeggina, quella anticancro, con le fibre, senza fibre, col vino, senza vino, con l'ammoniaca, fruttariana, vegetariana con correzione alla sambuca, pescetariana con una spolverata di manzo, quella turbo, del supermetabolismo, dei sei chili in un mese, del gruppo sanguigno, dei capelli biondi, dell'autoconvincimento, di Barbara D'Urso, del dietologo di Madonna, di Madonna stessa, della cioccolata, dell'eterna gioventù, dei fiori, crudista, nudista, podista, salutista ecc. ecc. ecc.

 Per qualche motivo misterioso, che di sicuro ha a che spartire con l'effetto pecoronaggine, adesso vi basterà mettere la parola smart nel titolo e convincerete le masse che stanno per dimagrire in eterno.

 Non chiedetemi cosa comporti, perché sono dell'opinione che quando ci si mette a dieta seriamente, sarebbe il caso di andare dal nutrizionista e/o dal dietologo.


IO IO IO:

 Mmm, di cosa parlerà mai la narrativa italiana contemporanea? 
 Date un'occhiata alla cinquina dello Strega e lo saprete:
 Sermonti gli dà di autobiografia, la Stancanelli ci è arrivata con uno di quei classici libri che spero la storia dimentichi nell'arco di due anni (ossessione costruita a tavolino che potrebbe agilmente risolversi se la protagonista si trovasse qualcosa da fare), Albinati porta un romanzo la cui lunghezza dovrebbe essere permessa solo a Joyce e parla della sua adolescenza (e di quella dei mostri del Circeo suoi compagni di scuola), Affinati, il cui nome quasi sincronico con Albinati pare messo apposta per confondere la clientela, autore di una biografia su Don Milano. La vita, quindi, di UN uomo. L'unico originale rimane quello di Meacci che ha per protagonista un cinghiale improvvisamente senziente.

 Non è annata di affreschi sociali, non è annata di rapporto col prossimo, del dolore altrui, di romanzi corali, di sentire comune.

 Io, io, io, l'interiorità individuale, individualità interiore, come volete chiamarla tira.

 Probabilmente è uno specchio dei tempi anche questi, ma allora, come mai, a me sembra che nessuno di questi romanzi e quasi nessuno di quelli che escono quotidianamente riesca a colpire davvero lo spirito dei tempi?
 Il dolore degli altri e gli altri in generale non sembrano molto di moda (e probabilmente anche per questo oltre che per l'indegno disinteresse del premio più importante d'Italia per la narrativa di genere, De Giovanni è stato bellamente bistrattato).

mercoledì 22 giugno 2016

Cartoline dalla libreria: "Il reso"! Quando un cliente riporta un libro per farselo cambiare non sempre le cose sono semplici come possono sembrare. Anni, violini, scontrini, onore e Machiavelli, per voi!

E dopo aver a lungo combattuto con lo scanner ecco a voi una nuova serie di cartoline dalla libreria!
 C'è una di quelle tipiche azioni da negozio che mi sono accorta di non aver mai sviscerato: il reso.
 Persona compra cosa, ci ripensa e legittimamente la riporta indietro riavendone un buono.
 Ecco, quest'azione semplice e a piena tutela del consumatore, può assumere al solito, contorni insensati, grotteschi, strani e ovviamente infuriati.
 Perché? Per come? Dite che esagero?
 Vi lascio di seguito una serie di cartoline, tutte realmente avvenute negli anni, a voi l'ardua sentenza.
 Cartoline dalla libreria! "Il reso"!

Ps. Sì lo so, in una vignetta ho sei dita -.-















lunedì 20 giugno 2016

La paura viene dallo spazio, dalla terra o da un luogo inafferrabile? "Quell'estate di sangue e di luna" di Baldini e Fabbri e quella capacità di cogliere un frammento del terrore cosmogonico che Lovecraft descrisse con una precisione inquietante.

 Durante il mio quarto anno delle elementari, le maestre della mia scuola (uso il femminile perché non ricordo l'esistenza di un maestro maschio e pure ce ne fosse stato uno, in questo caso, la maggioranza era così schiacciante da vincere) concepirono un progetto a dir poco monumentale.

Per un intero anno, con eserciti di madri e qualche padre, allestirono una gigantesca recita collettiva delle quarte, dedicata alle tradizioni popolari italiane.

 Funzionava così: si prendevano due o tre bambini da ogni classe e li si assegnava a una scenetta riguardante la tradizione regionale. Ora, non ricordo se ci fossero proprio tutte tutte le regioni, ma molte di esse furono coperte.

 I più invidiati erano coloro che si erano beccati la Campania e le streghe di Benevento: avevano una sorta di rito alla Macbeth con tanto di finto paiolo e finto noce e recitavano formule magiche che, in un'epoca pre-Harry Potter, ci affascinavano incredibilmente.

 Quelli più compianti erano le vittime della Lombardia: c'era una sorta di scenetta con un falegname vessato dal padrone e una canzoncina di risposta di cui non capivamo bellamente niente. Si trattava di "Sciur padrun dali beli braghi bianchi, forà li palanchi fora li palanchi" (vado a memoria, io poi coi dialetti nordici sono una frana, sembro un giapponese che cerca di parlare inglese). Ci era completamente ignoto di cosa stessimo parlando e solo anni dopo scoprimmo che stavamo pretendendo denaro (e non assi di legno).

  A me e alla mia allora (e ancora) migliore amica toccò una storia misteriosissima: "L'ultimo covone".

 Sostanzialmente eravamo un gruppo di contadini che si svegliavano molto prima delle sei (e noi, increduli ci fosse un orario precedente all'alba, pensammo per mesi si trattassero delle sei del pomeriggio) e andavano a mietere l'ultimo campo di grano di uno di noi.

 Mieti e mieti arrivavamo ad un ultimo covone, che, per gentile concessione del padre di uno di noi, era davvero un gigantesco e biondo covone di grano. Tra l'altro, con alta probabilità, essendo il nostro un paese anche con campagna, ma non di campagna, il primo che molti di noi toccavano.

 A quel punto dovevamo mettere in scena una cosa che francamente mi è rimasta assolutamente misteriosa finché ieri, nella noia del seggio, un bel libro di Eraldo Baldini e Alessandro Fabbri me ne ha svelato il senso: dovevamo dare la caccia a uno di noi.

 Sostanzialmente un ragazzino, che per il resto dei suoi anni scolastici venne soprannominato "il capretto", doveva essere travestito da capra e noi dovevamo fingere di cacciarlo dietro al covone, ucciderlo e portarlo infine in trionfo.

 Ve lo giuro provammo questa scena per mesi e mesi (ancora ricordo le battute), fui persino costretta a mettere in scena un assurdo balletto popolare, ma nessuno capì che caspita stessimo facendo e perché. 

 Ci voleva "Quell'estate di sangue e di luna" più di vent'anni dopo a dare un senso a quell'anno di capretti e covoni scolastici.
  Un libro che si inserisce con successo in un filone poco esplorato o esplorato malissimo nella narrativa italiana: le inquietanti estati dei ragazzi.
La scorsa estate ci avevo scritto  un post su questo genere fortunato  e in molte parole dicevo quello che Alison Bechdel ha tradotto in una sola frase: "Si dice che le case in cui abitano degli adolescenti, attirino i poltergeist".

 Il motivo è presto detto: i fantasmi, il perturbante e lo straordinario, si insinuano nelle pieghe dell'esistenza e non c'è piega più profonda di quella che attraversiamo durante l'adolescenza, persi in una terra che è quella conosciuta e confortevole in cui siamo cresciuti e al contempo inizia a mutare forma in modo velocissimo lasciandoci sconcertati e, per la prima volta, impotenti.

 I 4 ragazzini protagonisti del libro di Baldini-Fabbri stanno per vivere quello che pensano sarà il momento più emozionante delle loro esistenze: è il 1969 e l'uomo stava per mettere piede sulla luna.

 Siccome c'era ancora un vago concetto di sogno collettivo, non si strillavano cose inconsulte come "Aaaaah tutti quei soldi per andare sulla luna, pensate ai pampini e alle famigghie che moiono di fame!!", l'atmosfera è elettrica. Non si parla di altro, i giornali seguono le vicende degli astronauti, si pronosticano pesti spaziali, improbabili virus lunari e quarantene fantascientifiche a causa di sconvolgimenti causati dall'eventuale polvere lunare portata sulla terra dai prodi avventurieri.

 Ed è in questa settimana che in un paesello dell'Emilia Romagna si scatena letteralmente l'inferno.

 La natura inizia a mostrare segni di sovvertimento, gli uccelli migrano fuori stagione, la terra puzza, le mele si deformano, i cocomeri si riempiono di vermi,  strane morti devastano la popolazione, i cani impazziscono, i bambini scompaiono...
 Cosa sta succedendo?

 Chi ha letto Lovecraft saprà riconoscere l'idea primaria: un omaggio assolutamente non velato ad uno dei suoi racconti più belli: "Il colore venuto dallo spazio".
 Se non lo avete letto, recuperatelo, è un capolavoro. 
 Nella storia, il terreno di una fiorente fattoria viene colpito da un meteorite (o una qualche "cosa" proveniente dallo spazio) e numerosi studiosi accorrono a studiarlo. Nel frattempo però i proprietari impazziscono lentamente e la terra mostra segni di putrescenza e quasi malvagità.

Cos'è davvero quel "colore" venuto dallo spazio? 
 Un alieno, una materia incompatibile con la nostra terra, quella che oggi chiameremo una bomba radioattiva, un mostro o qualcosa di più profondo, inafferrabile, incomprensibile?


 Baldini e Fabbri riescono in una doppia  impresa:

1) Omaggiare un racconto senza stravolgerlo o scopiazzarlo, ma arricchendolo.
 Quante volte davanti a un racconto ben riuscito ci prudono letteralmente le mani perché avremmo voluto leggerne di più? Quanto malediciamo il, secondo noi, pigro scrittore che non ha avuto voglia (sempre secondo noi) di allungare il brodo?
 "Il colore venuto dallo spazio" che è opera non di un grande, ma di un grandissimo, faceva un po' parte del gruppo.
  E' ovviamente misurato, ottimo e soddisfacente, ma l'idea di fondo era così potente da farti dire: "Lovecraft che caspita! Un romanzo!".
 Probabilmente Baldini e Fabbri se lo sono detti e se lo sono scritti, inserendo l'evento in un contesto rurale più popolato e a noi italiani ben più familiare e riconoscibile.

 2) La seconda impresa è essere riusciti a domare un racconto cosmogonico.

 Baldini e Fabbri sanno di non essere Lovecraft e, consci dei propri mezzi, pare si siano detti a monte: "Ok, ci è impossibile riprodurre quella sensazione di vuoto e terrore universale che lo scrittore americano riusciva a trasmettere, preda a sua volta di un terrore verso qualsiasi cosa gli fosse sconosciuta (che poi fosse reale, immaginaria, probabile o estremamente improbabile non importava, tutto era sullo stesso terrificante piano). Tentiamo di afferrarne almeno un piccolo frammento alla nostra portata".

Comunque mi sono resa conto di non aver mai scritto
un post su Lovecraft. Considerando che sento un sacco
di lettori forti dirmi "Ah, mai letto, non mi piace molto
il genere", penso sia giunta l'ora di convincervi che non
si tratta di "narrativa di genere" ma di "narrativa geniale"
 Il punto di vista non è più quello adulto, ma di un gruppo di ragazzini, gli unici, assieme agli anziani, a trovarsi sulla soglia di qualcosa: i primi su quella della propria esistenza, i secondi su quella della morte.

 Sono loro, uniti come si dice spesso, da una curiosa somiglianza, le uniche persone di un paese impazzito per il dolore a capire dove si annidi il male e come porvi rimedio.

 Ci saranno molte vittime, una particolarmente predestinata, perché l'universo ha da sempre una grande costante: quando qualcosa è inspiegabile, la colpa la si deve comunque attribuire a qualcuno e quel qualcuno è sempre chi non rientra negli schemi. 

Solo chi non si adegua all'ordine, a quanto pare, è la causa del disordine.

  Ed è quello il frammento che Baldini e Fabbri sono riusciti ad afferrare nella grandezza di Lovecraft.
 L'idea che possa esistere una massa oscura e incontrollabile al genere umano, di una colpa che non ha una forma umana, ma appartiene ad un mondo che potremmo dire magico, oscuro, religioso, sacro, demoniaco, incomprensibile. L'idea che la paura abbia sede in qualcosa di più esteso, tentacolare, impossibile da combattere se non con i suoi stessi, oscuri, mezzi.

Ho visto che in questi giorni è presa ai blog e ai giornali la smania dei "consigli per l'estate", io sono ancora un po' indietro, ma prendete questo come primo dei miei suggerimenti.

 Assicuro che non c'è una stagione migliore per leggerlo e magari fatemi sapere!

Ps. Sì sono sopravvissuta a brevi ferie particolarmente elettorali e ai seggi. Stavolta l'incubo dello scrutinio è stato assai più contenuto: alla fine eravamo così stupefatte della nostra velocità che avevamo quasi voglia di andare a bere per festeggiare!

giovedì 16 giugno 2016

Post di servizio per le brevissime vacanze casalinghe di qualche giorno (con foto commovente da paesello del centro Italia da film anglosassone inclusa).

Scrivo codesto post di servizio al volo e in nottata per dire che sono in vacanza a casa qualche giorno.

 Come tutte le volte sono sballottata tra un parente e l'altro, tra un amico e l'altro, tra un nuovo imperdibile locale/cinese/giapponese/qualcosese che ha aperto e dove mi trasportano le mie sorelle, il saccheggio dei negozi di vestiario che qui vengono la metà che al nord, il tutto accompagnato da quel sempiterno senso di colpa per non avere abbastanza tempo da dedicare a tutti.

 Proprio per via della mancanza di tempo non aggiornerò il sacro blog qualche giorno (spero di riuscirci sabato anche perché devo recludermi nuovamente ai malvagi seggi elettorali per il ballottaggio).

 Detto ciò, Goodnight!

Ps. Su fb e instagram invece continuerò a essere attiva!

Una foto pubblicata da idoloridellagiovanelibraia (@idoloridellagiovanelibraia) in data:

lunedì 13 giugno 2016

Eravamo tutti Bataclan, perché non sono tutti Pulse? Una riflessione sulla strage di Orlando a base di omofobia e terrorismo. (In Appendice un Cose realmente avvenute! Lo giuro! Perché insomma, tocca pure ridere un po').

Ebbene.
 La vignetta di oggi era in realtà pronta per ieri, ma poi, come avrete visto e saputo se abitate su questa terra, è arrivata la terribile notizia della strage nel locale gay a Orlando in cui sono state uccise 50 persone per mano di una persona che ora stanno cercando di capire se fosse terrorista, omofoba o terrorista e omofoba.

 Mai come in questo caso mi pare che questa categorizzazione sia assolutamente senza senso. 

 Perché mai un terrorista e un omofobo che ammazza 50 persone dovrebbero avere una definizione diversa? Lo scopo degli omofobi non è forse lo stesso dei terroristi? Seminare il terrore? Incutere timore? Eliminare chi riteniamo non si conformi alla nostra moralità, ai nostri desideri o stile di vita?

 Durante le stragi di Parigi si scrisse in ogni dove che i terroristi volevano colpire il nostro modo di vivere: la libertà di uscire a mangiare in un ristorante etnico, di ascoltare un concerto metal, di andare a vedere il calcio allo stadio.
 In questo caso cosa c'è di differente? 
 Che invece di colpire una maggioranza di persone, questo tizio si sia concentrato su una minoranza che, in fondo, sta sulle scatole a tutti gli estremisti di tutte le religioni monoteiste (e anche a molta gente che non ha manco bisogno del paravento religioso)?
 Stamattina la mia bacheca di fb era piena di messaggi di cordoglio e solidarietà, ma anche di posizioni senza senso: "Ah, se i gay non si recludessero in locali tutti "per loro" non sarebbero un bersaglio facile (risulta che qualcuno abbia mai detto agli ebrei di non recludersi nelle sinagoghe o ai cattolici di non andare in Chiesa la domenica?)", "Ah, ma se fossero più discreti questo non accadrebbe, lo diciamo per loro."
 No, forse lo dite per voi, perché è sempre la storia che "Non sono io a essere razzista, siete voi che siete negri".

Disegno della fumettista Patrizia Mandanici (storica
disegnatrice di Legs Weaver)
http://patriziamandanici.blogspot.it/
 Il fatto che si cerchi di definire (a livello mediatico, poi ovvio che per le indagini questo abbia un peso anche per comprendere se questo tizio aveva agganci di vario genere ecc) se questo fosse un terrorista o un omofobo x la dice lunga su quello che sottilmente in sotto testo si pensa: se colpisce la maggioranza è terrorismo, se colpisce la minoranza è omofobia
 No, è sempre terrorismo, "solo" la motivazione è diversa.
 Anche noi meritavamo ci si dicesse come un sol uomo e una sola donna: "Non permetteremo ai terroristi di incidere sul modo in cui vogliamo vivere". 

Non c'è nessuna differenza tra il Bataclan e il Pulse. 

 Semmai la differenza sta nella diversa percezione dell'avvenimento: nel primo caso tutti si sentivano colpiti, nel secondo, vabbeh, è omofobia, non è proprio una cosa che mi riguarda, hanno pensato in tanti.

 E questo pensiero è il motivo per cui abbiamo dovuto aspettare anni una legge sulle Unioni Civili, per cui non esiste ancora una legge contro l'omofobia in Italia, per cui abbiamo dovuto sopportare mesi di incivili discussioni alla Camera, al Senato, a lavoro, sul tram, in famiglia, su leggi che avrebbero dovuto riguardare la nostra vita.

Ill. di Alessandro Baronciani
http://alessandrobaronciani.blogspot.it/
Quando si tratta di combattere per un diritto di una minoranza, la minoranza è sola.

 Quando la maggioranza capisce che il sistema democratico le conferisce il "privilegio" di decidere cosa farne della minoranza, allora la questione diventa di tutti.

 Finché il punto sarà "noi e loro" e non sarà "il mio diritto è anche un tuo diritto", "il mio dolore è anche il tuo dolore", stiamo pur certi che di Pulse ce ne saranno eccome.

Il problema non è solo l'omofobia, il problema più dilagante è l'indifferenza o il magico "non sono fatti miei". Finché il mondo non sarà un posto più giusto, sono sempre fatti di tutti, siamo sempre implicati.

 Come diceva De Andrè in una frase molto abusata: "Anche se voi vi credete assolti, siete per sempre coinvolti".

 Scusate lo sfogo, so già che tra una settimana mi pentirò anche di averlo scritto perché questo è un blog che parla di altro, chi capita qui merita francamente di avere due minuti di sollievo dal delirio generale e magari farsi una risata. 
 Vi lascio (direte voi in modo completamente insensato, ma insomma oggi  non ci stavo proprio che mi privassero pure della vignetta) con un Cose realmente avvenute! Lo giuro! proveniente direttamente dal delirio scolastico di questi giorni.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Devastazione"!



sabato 11 giugno 2016

Piccole recensioni tra amici!! Periodo di magra ahimè tra gialli che non sono gialli, pettegolezzi di paese che non fanno un'indagine, recensioni troppo nerd per i comuni mortali e soliloqui palloserrimi in un'Italia che non esiste.


 In questo sabato molto speciale, (festeggio l'anniversario con la dolce metà, difatti codesto post è stato scritto eccezionalmente non all'ultimo momento, ma addirittura con un giorno di anticipo!!) ecco che scodello un nuovo "Piccole recensioni tra amici" eccezionalmente vicino al precedente.

 Negli ultimi tempi ho letto parecchio, ma sono stata un po' sfortunata. 
 Escludendo "Giro di vite" di Henry James non sono incappata in niente di particolarmente memorabile, anzi, ho avuto cospicue delusioni.
 Vabbeh, ogni tanto gira così, è un periodo di magra.

Del resto questo blog esiste anche per questo motivo: recensire perché almeno voi possiate evitare di perdere tempo con libri, almeno per me, tranquillamente rinunciabili.


 Siete pronti a scoprire quali? 


"LE DONNE DELLA PRINCIPAL" di Lluis Lach ed. Marsilio:

Allora, devo capire: per quale arcano motivo è stato venduto come giallo un libro che giallo non è?
 Ho capito che c'è un morto e un poliziotto, ma non è che bastino a fare un giallo, se no potremmo mettere nel settore almeno un quarto dei libri della sezione di narrativa generale.
 Ecco, la faccenda di essermi trovata tra le mani un libro che doveva essere un giallo e invece è una saga familiare in pieno realismo magico style, mi ha non solo destabilizzato, ma proprio indisposto. 

 Va bene che alcune storie sono un po' borderline, ma qui la storia è quella appunto delle tre donne della Principal: nonna, madre e figlia tutte e tre di nome Maria.

 In realtà l'ultima è solo quella a cui arriva la soluzione del mistero letteralmente su un piatto d'argento, mentre la prima è la matrona che salva (non viene spiegato come, ma ok) da un insetto infestante, le preziosissime viti della Principal, la tenuta di famiglia che il padre le aveva rifilato convintissimo che fossero spacciate.
 L'intera storia ruota attorno alla seconda Maria e all'amore della sua vita: il palafreniere Llorec, un avvenente ragazzo bisessuale che ogni quattro pagine ci viene ricordato che tendenzialmente preferisce gli uomini, ma vabbeh alla padrona non si dice di no (ogni tre pagine).
 Il mistero, davvero flebile, è quello di un uomo trovato morto durante la Guerra Civile proprio davanti alla Principal. Un cold case che un poliziotto decide di dover per forza risolvere per amore della sua antica passione per i libri gialli (che ci sia una nazione sconvolta dai postumi della guerra civile che versa in uno stato di polizia viene citato, ma è secondario).
 Il punto è che il caso si risolve da solo e la maggior parte delle pagine sono concentrate sulla pruderie alla base di tutta la storia che vede una quantità di persone omosessuali in grado di sfondare qualsiasi statistica ragionevole.
 Giuro che ho preso questo libro affidandomi all'unica frase a sfondo giallo apposta sul retro copertina. Ignoravo il resto della trama. E, nonostante non sia scritto male (anche se verso la fine, quando l'ultima Maria "scopre" il colpevole diciamo che la storia inizia a sgravare e a parlare per frasi fatte), il mio è un NO. Lasciate stare. 
 Dedicatevi ai gialli veri o alle saghe familiari vere o almeno alle storie che lasciano qualcosa e non si concentrano morbosamente su particolari alla Novella 2000.

"UN RAGAZZO ITALIANO" di Philippe Besson ed. Guanda:

  Molti molti anni fa (ommioddio sono sempre di più!) lessi un bellissimo libro, molto particolare e molto commovente: si intitolava "Un amico di Marcel Proust" (anche se curiosamente mi viene sempre da chiamarlo col titolo originale che era "In assenza degli uomini").

 Era la straziante storia d'amore tra un ragazzo in licenza dal fronte della prima guerra mondiale e il figlio quindicenne dei padroni della tenuta da lui, figlio della cuoca, sempre adorato da lontano.
  La storia si svolgeva solo durante le notti di due lunghe e brevissime settimane nelle quali i due facevano moltissimo sesso e si innamoravano o meglio, il primo era già perdutamente innamorato del secondo, il quale, perso nelle nebbie eterne della giovinezza, faticava a mettere a fuoco i suoi sentimenti, surclassati dal lato carnale.

 Marcel Proust appariva, riservato e un po' viscido, durante il giorno, preso in goffi tentativi di seduzione del succitato quindicenne, bellissimo e spietato.
 Trama particolare, scrittura struggente. Se non lo avete letto recuperatelo.
 In memoria di questa vecchia piacevole lettura, quando in biblioteca ho trovato un altro suo libro, "Un ragazzo italiano", sono rimasta entusiasta e l'ho subito afferrato.

 Due parole: DIO MIO. In alternativa una: PERCHE'????

 Era davvero del tempo che non leggevo un libro così lento, stupido e pretenzioso. 

 La storia è quella di Luca, ventottenne trovato annegato nell'Arno.  
 Le voci narranti sono tre: il morto che racconta la verità, la compagna del morto, Anna, che si scopre post mortem tradita, cornuta e mazziata e Leo, l'amante (maschio) del morto, un marchettaro da stazione.
 Il punto dovrebbe essere che non si conosce mai davvero la persona che amiamo, ma viene demolito dall'idiozia con cui la trama è portata avanti. 
 A parte che è lentissimo, il problema principale è che Philippe Besson ha un'idea dell'Italia a metà tra la cartolina e il fantastico, così tutti i personaggi hanno cognomi di pittori e musicisti, pasteggiano con chianti e tipici piatti italiani, hanno famiglie numerose che mangiano insieme la domenica in villini fuori città circondati da viti e passano il tempo a discutere di statue, letteratura e arte (impagabili i continui riferimenti a Dante). 
 Una roba che neanche se uno avesse solo amici col dottorato in storia dell'arte e filologia.
 L'idea di cimentarsi in romanzi ambientati in paesi non d'origine penso sia motivo di grande fascino per molti scrittori.
  Questi molti scrittori dovrebbero capire però che non basta passarci un mese della propria esistenza e, certe volte, neanche un anno, per arrivare a distinguere la realtà di un luogo dall'idea fantastica che abbiamo di lui.
 (Da rileggere al riguardo il mio vecchio post sull'Italia terra d'amore e lasagne agli occhi degli scrittori stranieri di passaggio).

"CINEMAH presenta IL BUIO IN SALA" di Leo Ortolani ed. Bao Publishing:

 Ho iniziato  a leggere Leo Ortolani agli albori della conoscenza. 
 Non per merito mio, ma per merito di un mio zio, appassionato di tutto ciò che di nerd esistesse sulla terra: fumetti, giochi di ruolo, statuine di Warhammer, carte Magic e compagnia cantante.

Grazie a lui ho letto per anni Lupo Alberto e praticamente tutta la produzione di Ortolani, autore che negli anni ha alimentato le mie speranze che un giorno avrei combinato qualcosa: in fondo lui era un geologo finito a fare il fumettista.
 Famoserrimo per Rat-Man, la sua ultima opera è una raccolta di recensioni di film che negli ultimi anni Ortolani è andato a vedere assieme ad amici, parenti, figlie, amici o in solitaria.

 Ovviamente fa molto ridere (capolavoro quella di "Cinquanta sfumature di grigio"), il problema è che Ortolani va a vedere solo film nerdissimi-issimi-issimi. 

Il risultato è che, a meno che tu non faccia proprio parte della nicchia che si sveglia ascoltando la sigla di Mazinga, se in pausa pranzo non leggi la tua raccolta personale di "X-Men" e la sera non ti cimenti in cene a base di piatti hobbit, per ridere ridi, ma hai visto un film su quindici.
 Straconsigliato agli appassionati di Ortolani, dei fumetti e del Cinemah Nerd.
  Per tutti gli altri: vale la pena, ma mettete in conto un cineforum di un mese per la piena comprensione del testo.

giovedì 9 giugno 2016

"L'importanza di chiamarti amore", il tragico fumettoso riassunto dell'ultima opera di uno dei grandi misteri dell'editoria italiana: Anna Premoli. Quando una storia d'amore tra bocconiani, tira fuori il bolscevico che c'è in te.

Aaaah e ce l'ho fatta!!
 Dopo due giorni passati a correre e disegnare (correre tra lavoro e seicento cose che sto organizzando), sono esausta, ma ho finalmente terminato il tragico fumettoso riassunto dell'ultima opera di Anna Premoli: "L'importanza di chiamarti amore".

 Si tratta di una storia d'amore tra bocconiani il cui pregio principale è farti salire la voglia di prendere una falce in una mano, il martello nell'altra e cominciare la rivoluzione bolscevica. 
 Se una ha già una pessima opinione di chi frequenta la Bocconi concependoli come una massa di figli di papà ingiustamente favoriti nel lavoro (ogni tanto qualcuno mi dice che conosce qualche squattrinato che la frequenta, immagino che ci siano diverse concezioni di squattrinamento), ebbene, questo libro conferma il pregiudizio e, se possibile, lo peggiora.

 Quella che ci regala la Premoli è l'agghiacciante ritratto di una figlia di papà che ritiene la madre, nata non ricca, una cafona ripulita e si illude di essere ribelle perché si fa due tatuaggi, due piercing e il fidanzato che non vede mai fa il musicista.
 Il protagonista maschile praticamente non è pervenuto, una sorta di yes man che immagini una ventina di anni dopo tradire la moglie perfettina e insopportabile tra mille sensi di colpa.
 Al solito, quando penso di non poter leggere niente di peggio, il peggio appare.
 Perciò ecco a voi: "L'importanza di chiamarti amore", il nuovo tragico fumettoso riassunto di cui non potevate fare a meno!