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domenica 20 dicembre 2020

I consigli regalo per i libri del Natale 2020! Parte II! Neve, amori proibiti, libri censurati, Maradona, capelli rossi, Groenlandia, Francia e Napoli.

 Ed ecco, come vuole tradizione, la mia seconda tranche di consigli natalizi quasi in extremis (almeno quest'anno ho la scusa del trasferimento però).

 Quest'anno, molto più degli scorsi anni, ho regalato praticamente solo libri e fatto qualche altro dono ad hoc equo e solidale e quest'anno, più degli altri anni, mi viene da fare la persona inopportuna e insistere perché sia questo l'andazzo generale.

  I tempi sono oscuri, ma possiamo renderli migliori anche con una mirata resistenza economica e un consumo critico.

 Quindi prima di passare ai bei consigli, termino il mio pippone invitandovi a comprare i libri (in sicurezza) nelle librerie fisiche e, se questo non fosse possibile, a usare Bookdealer o Libri da Asporto (NO, non mi pakano per dirvelo!?!).

Poi, ovviamente, vale sempre che ognuno fa quel che vuole, ma insomma Bezos ha sicuramente meno bisogno dei vostri soldi delle librerie fisice, indie o di catena.

 E ora, buoni consigli a voi!


"AUTOBIOGRAFIA DELLA NEVE" di Daniele Zovi ed. Utet:


 Col bianco tuo candor, neve, sai dar la gioia ad ogni cuor.

 Bambin* di tutta Italia cantano da decenni questa canzone ostentando sicurezza anche se magari vedono la neve una volta ogni 5 anni o, peggio, non la vedono praticamente mai.

 Eppure i sogni natalizi sono colmi di valli innevate, abeti carichi di ghiaccio, laghetti sui quali pattinari e pupazzi di neve. 

 Ora, probabilmente prima del riscaldamento climatico, era un fenomeno atmosferico più frequento, ma adesso la neve ha i mitici contorni di qualcosa di ormai scomparso, dei bei tempi che furono, il sogno lontano di un’epoca migliore. 

 Un po’ tutte le caratteristiche che ha l’infanzia agli occhi degli adulti.

 Un bel regalo per questo Natale può essere questa “Autobiografia delle neve” di Daniele Zovi, ex forestale con la passione (direi non insolita per un forestale) per gli alberi e la boschività. 

Un racconto personale da seguire come orme sulla neve, di ricordo in montagna, di aneddoto in dato scientifico.

 Molto molto natalizio.


"LOVING" a cura di H. Nini, N. Treadwell, Paolo Maria Noseda e Francesca Alfano Miglietti, 5 Continents Edition:


 
Come si può non consigliare questo tenero, fantastico volume fotografico frutto del ventennale lavoro di due coniugi texani
che per caso trovarono la vecchia foto in bianco e nero di due uomini innamorati. 

 Se si pensa non tanto all’iconografia gay, ma quanto all’immagine di coppie di uomini e donne innamorat*, ci si rende conto che salgono alla memoria solo immagini moderne. 

 E’ vero che l’affetto omosessuale si mostra (e ancora tra mille difficoltà e pregiudizi, chiedetevi quante coppie gay vedete non dico baciarsi, ma tenersi per mano in pubblico) pubblicamente solo da pochi anni, ma in effetti, è davvero possibile che nessuna coppia gay abbia pensato a farsi una foto insieme prima del 1980?

 Improbabile. E questo libro lo dimostra raccogliendo foto di coppie omosessuali scattate tra il 1850 e il 1950. 

 Un libro tenero, appassionato e direi involontariamente militante perché tra i più grandi limiti ancora vigenti per una coppia omosessuale, uno dei più frustranti è di certo il non potersi dare un bacio, una breve carezza in pubblico, camminare sotto braccio o prendersi per mano.

 Tutti gesti che per una coppia eterosessuale sono scontati e vissuti dagli altri con tenerezza e dolcezza, quasi partecipazione, ma che diventano quasi pericolosi quando a compierli è una coppia gay. 

 Più affetto in questo mondo, miei cari, e regalate “Loving” a destra e a manca.

 

"LA BIBBIA AL ROGO" di Gigliola Fragnito ed. Il Mulino:


Una cosa di cui mi capacito sempre molto poco è la mancanza di comparazione tra l’epoca dell’invenzione della stampa e l’avvento di internet. 

I turbamenti, le problematiche, le fake news, il concetto di autorità, le interpretazioni personali, i complotti, presentano davvero un grande di affinità rilevante e del resto la matrice è comune: un cambiamento epocale della modalità di trasmissione dell’informazione.

 Questo saggio di Gigliola Fragnito può forse aiutare a capire il concetto partendo dalla domanda: perché la religione cattolica proibisce, al contrario del mondo protestane, la lettura personale delle sacre scritture? Quale scissione si creò realmente durante il periodo della riforma e della controriforma e che ruolo ebbe la stampa in questo senso?

 Per chi vuole capire i problemi attuali, partendo dal passato.

 

THERESE E ISABELLE di Violette Leduc, ed. Neri Pozza.:


Tra i classici che potete regalare al classico lettore che non legge libri il cui autore non sia morto da un numero accettabile di anni (è una fissa di un personaggio di "Norwegian wood" di Murakami, ma ho poi conosciuto persone che ragionano DAVVERO così), ecco la chicca: "Therese e Isabelle".

 Libro prima respinto, poi pubblicato censuratissimo in quel degli anni ’60 in francia da Violette Leduc, amica di Simone de Beauvoir, vede finalmente, all’alba del 2020, la sua pubblicazione estesa.

 Quale immane scandalo racconta? La storia, altamente erotica (ma incredibilmente poetica) tra due ragazze adolescenti all’interno di un collegio.

 Direi che era anche ora che qualcuno lo desse alle stampe. 

 

"LEGGENDE GROENLANDESI" Iperborea ed.:


Capita sempre di dover fare un fatale regalo a qualcuno che "non si conosce bene"

 Dico subito che se vi orientate a donare libri almeno dovreste avere la certezza che sia un lettore (o conoscere una sua passione x che vi orienti su un libro specifico). Se avete appurato questo piccolo particolare, visto che scegliere un libro non è mai semplice, vi consiglio una delle raccolte di leggende o fiabe nordiche della Iperborea.

 Le fiabe non rispondono alle regole standard della letteratura: parlano di fantasia e non di stile e, appunto, se non conoscete bene l'interlocutore, rimane la scelta migliore.

 Quest'anno sono tra noi le leggende groenlandesi. Della Groenlandia si sa poco e niente, indicativamente che ci abitano gli inuit e che ci sono gli igloo, forse qualcuno sa che sono un protettorato danese, ma poi il niente.

 Queste leggende restituiscono un immaginario per noi incredibile e meraviglioso, selvaggio e inusuale, lontantissimo eppure in qualche modo intuito.

 Farete un'ottima e raffinata figura e potrete sempre farvelo poi prestare (così magari avrete anche una scusa per conoscere meglio l'altra persona, insomma, il Covid prima o poi finirà).


"BREVE STORIA DEI CAPELLI ROSSI" di Giorgio Podestà, Graphe edizioni:

Questo piccolo, grazioso saggio, è il regalo del Natale per tutti i rossi che conoscete. 

 Io sono provvista di madre e gemella di madre rosso peldicarota e ho letto con gusto questo grazioso libercolo pieno di aneddoti su questa variabile genetica che molte gatte ha dato da pelare ai suoi possessori nel corso della storia.

 Simbolo di bellezza, ma anche di stregoneria e di supposta malvagità (quante lacrime sono state versate dai liceali sul povero rosso malpelo, condannato a morire in miniera solo per aver osato nascere rosso in Sicilia).

 Un’idea originale che risolverà tutti i vostri contatti color tiziano.

 

"NAPOLI" a cura di LAN, Benoit Jallon e Umberto Napolitano, ed. Quodlibet e "Maradona. 101 pillole di saggezza", Alcatraz edizioni:

 Per ragioni anagrafiche non posso esimermi, come ogni anno, dai consigli mirati su Napoli.


  Anni di parenti partenopei mi hanno insegnato che non bisogna farsi trovare impreparati sul tema e così ho due consigli: uno più intellettuale e uno nazionalpopolare.

 Per l’intellettuale non si può non consigliare “Napoli. Super modern” che racconta Napoli attraverso la sua architettura a cavallo tra gli anni ’30 e gli anni ’60.

 Lo inserirei a titolo nel classico “Mi consiglia un BEL regalo?” che ci veniva chiesto in libreria a totale caso per far bella figura con qualcuno. Farete una bella figura e sarete anche originali (e con questa chiusa, posso candidarmi a scrivere articoli per “Vanity Fair”).

Il consiglio nazionalpopolare, invece, non può non coinvolgere Maradona.

 Avendo un padre napoletano so di riflesso cosa questo sportivo abbia significato per Napoli. 

 Come ho scritto su fb, mi ricordo benissimo mio padre che nel 1990, carica me, mia madre e mia sorella in macchina per strombazzare in giro per lo scudetto del Napoli. Solo che eravamo a Bracciano (Roma) ed eravamo gli unici. Ma la gioia era tale che valeva un momento da film alla Kusturiza.


Se permane un livello di adorazione che sfora nella venerazione non dipende certo solo dal calcio, ma da quello che Maradona ha saputo dare,
in senso lato, ai napoletani: un riscatto. 

 Una città povera, bistrattata dal ricco nord (che sta uscendo solo in questi anni da quel certo razzismo verso il meridione), posta in condizione di minorità e persa tra mille difficoltà, ha avuto il regalo di essere prima, di trionfare quando non avrebbe mai pensato. 

 Maradona ha letteralmente regalato un sogno e se non merita venerazione questo, non so cosa possa farlo.

 Si potrebbero consigliare millemila libri sul Pibe de Oro, ma ho scelto le 101 pillole di saggezza edite da Alcatraz edizioni perché è secondo me il libro più adatto a tanti tifosi, magari poco avvezzi alla lettura e che però vogliono conservare alcune parole del loro idolo. 101 aforismi che svelano l’affinità incredibile che lo legava a Napoli.

 E voi che libri regalerete a Natale?

lunedì 14 dicembre 2020

I consigli di Natale 2020! Parte I! Downton Abbey, anni incerti, raccolte di gialli, Lovelace e Babbage, Vienna e Paolina Leopardi.

Causa trasferimento ormai prossimo venturo (io vi dico, se volete augurare qualcosa di male ad un vostro nemico, vi consiglio di raccomandargli un trasferimento tra regioni durante una pandemia), in questo periodo ho poco tempo per dedicarmi alla mia attività favorita: i libri.

 Non temete, presto ne avrò anche troppo di tempo libero, quindi potrei tornare ai fasti dei 3-4 post a settimana! 

 Ma bando alle ciance, voi siete qui non per i miei lamenti, ma per i consigli natalizi!

 Credevo di non avere molto da consigliare e invece i libri, grazie al cielo, non finiscono mai e sono qui con la mia prima tranche del 2020.

 Il mio consiglio aggiuntivo, se ovviamente potete farlo in sicurezza, è di andare direttamente in libreria a procacciare il vostro tomo o di avvalervi di due novità: Bookdealer e Libri da Asporto.

 Forza, che quest'anno bisogna resistere in tutti i modi, anche coi regali!


"GLI ANNI INCERTI" di Emiliano Incerti ed. Effequ:

Non lasciatevi ingannare dalla copertina (non me ne vogliano i grafici, ma certe volte mi chiedo: perché?), quel coniglio indaco non esprime il potenziale di questo bel romanzo in cui due lui e una lei (in un ordine amoroso molto sparso e molto misto) attraversano un'infanzia e una giovinezza letteralmente mano nella mano, uniti contro il mondo.

 Tutto inizia quando sono neonati. Gerry nasce a NY, figlio di una figlia dei fiori italiana che cerca la libertà in America tra acidi, woodstock e amore libero; Giulia ad Assisi figlia di due genitori attempati, (con picchi di religiosità) e Guido invece a Livorno, terzo figlio maschio di una giovanissima coppia decisamente proletaria.

 I tre si ritrovano, bambini, nella stessa scuola elementare livornese è inizia per loro un'amicizia appassionata che non si affievolirà mai negli anni. 

 Amore e amicizia scolorano più di una volta qui e lì, in fidanzamenti, notti appassionate, allontanamenti, viaggi e pericoli e devo dire che Emiliano Dominici riesce in diversi voli piuttosto pericolosi. 

 Innanzitutto regge benissimo una storia, tutto sommato, abbastanza lunga (368 pag), senza mai annoiare, senza dare l'impressione di aver perso tempo in meandri poco interessanti o di aver intrapreso strade poco convincenti. Inoltre, rende credibile quella che è un'ossessione di molti scrittori: il rapporto a tre.

 La coppia è un qualcosa di sviscerato in lungo e largo, quando si tenta però di approcciare il mondo delle relazioni a tre si finisce spesso in regioni esplorate malissimo

 Si dà sempre l'idea che il fattore sessuale sia preponderante o che, fatalmente, uno dei tre sia l'anello debole della catena, oppure che la catena si fondi su una serie di amori non corrisposti che stanno insieme finché qualcosa non la tende fino a distruggerla.

 Dominici riesce invece a raccontare una relazione tra tre persone come se fosse esattamente quel che è: una relazione. Senza pruderie, ma piena d'amore, di stato di necessità reciproca, di storia comune, di comunione. E' il bel romanzo che vi consiglio per questo natale: fresco, scorrevole, interessante.

Bravò.


"DOWNTON ABBEY. Il ricettario ufficiale di Natale" ed. Panini e "AFTERNOON TEA" di Marina Minelli:

Quest'anno, vai a capire perché, una delle poche cose che riescono a rilassarmi è la passione per i reali (e incomprensibilmente per i gioielli, ora so riconoscere un diamante taglio cuscino) quindi non potevo esimermi da un doppio consiglio a tema aristocrazia inglese.

 Il primo, "Downton Abbey. Il ricettario ufficiale di natale", mi sembra assolutamente adatto a questa annata, nella quale il tempo in casa sovrabbonda e c'è tutto il tempo per dedicarsi a elaboratissimi manicaretti in salsa dickensiana. Arrosti, salse, biscotti e pudding per ricreare (fosse mai che ci riusciamo) una calda e scintillante atmosfera natalizia.

 "Afternoon Tea" di Marina Minelli (lei è una delle mie scoperte della quarantena, una royalwatcher che non fa gossip e racconta un sacco di aneddoti storici interessantissimi) racconta invece la nascita del rito per eccellenza: quello del tè pomeridiano inglese. 

 Chicche storiche, allestimenti e ricette in questo libro autoprodotto (credo sia il primo libro autoprodotto che consiglio) per parenti e amici appassionati di vere facezie britanniche.


AA. VV. "IL GRANDE LIBRO DEI GIALLI NATALE" ed. Mondadori:

 Questa raccolta è una vera, debordante, sorpresa. 

 Al contrario delle solite antologie che ripropongono, per carità in modo meritorio, ma un po' stantio, sempre gli stessi racconti classici, qui c'è stato un grande lavoro di cura e selezione. 

 Il libro si divide in sezioni "Un piccolo natale pulp", "Un piccolo natale classico", "Un piccolo natale spaventoso" ecc. e propone racconti gialli non solo classici, ma anche contemporanei, in una carrellata davvero gustosa.

 Secondo me è la chicca del Natale sotto l'albero per tutti coloro che amano i gialli. Anche il prezzo (25 euro) è davvero proporzionato al contenuto. 

Certo, è un po' cicciotto, ma sotto l'albero e in libreria farà la sua norcina figura.


"VITA E LETTERATURA DI PAOLINA LEOPARDI" di Elisabetta Benucci ed. Le Lettere:


Forse non tutti sanno che Leopardi aveva una sorella.
 

 Io ne ricordavo l'esistenza perché, in effetti, alle superiori, la mia professoressa aveva speso qualche parola per questa donna dall'intelligenza vivissima, costretta da due genitori oppressivi a vivere una vita da semireclusa, avvolta in vesti nere e mortificanti, fino alla loro morte (abbastanza tardiva). 

 Brillante, ma bruttina, vide tutte le numerose trattative matrimoniali nei suoi confronti infrangersi su qualche scoglio. Di un papabile marito s'innamorò, ma lui le preferì una vedova avvenente, con altri le cose non andarono in porto per ragioni varie ed eventuali e così si ritrovò sola tra le mura familiari, impossibilitata a vivere una vita sua (il fratello almeno aveva potuto scappare a gambe levate appena aveva potuto). 

 Fu solo verso un'età abbastanza avanzata che poté vivere la vita che desiderava, viaggiando per l'Italia, correndo incontro alla vita che i suoi genitori le avevano precluso. 

 Una biografia per conoscere questo personaggio particolarissimo e ingiustamente dimenticato.


"UN INVERNO A VIENNA" di Petra Hartlieb ed. Lindau:

 Delizioso romanzo, primo di una tetralogia dedicata alle stagioni (gli altri non sono ancora stati tradotti, ve lo dico perché ora io trepido per vederli), con uno spirito natalizio che più natalizio non si può.

Ambientato in una Vienna al tramonto dell'impero, ancora lontana dagli orrori nazisti (ma qui e lì le crepe iniziano a notarsi), vede protagonista una giovanissima bambinaia di provincia che riesce fortunosamente a farsi assumere dal drammaturgo Arthur Schinztler per badare ai suoi due figli.

 Il racconto procede in modo quasi fiabesco, ovattato come la molta neve che cade nel corso della storia, ma è un vero incanto natalizio, con tutti i crismi: la storia d'amore, una splendida libreria, i sogni e le paure di una ragazza il cui destino dipende dalla benevolenza dei padroni e una Vienna meravigliosa come sfondo.


"LE MIRABOLANTI AVVENTURE DI LOVELACE E BABBAGE" di Sydney Padua ed. Mondadori:

 Sapevo dell'esistenza di questo fumetto da almeno una decina di anni, quando lo scovai durante la mia tesi sul cyberfemminismo. Finalmente hanno tradotto anche in Italia le avventure steampunk di Ada Lovelace e Charles Babbage. 

 Insieme i due posero le basi dell'informatica, Babbage creando la prima macchina differenziale e Lovelace, matematica, (figlia di una matematica e di Lord Byron), il primo sistema di programmazione.

 In questo fumetto avventure fantascientifiche si mescolano ad aneddoti e curiosità storiche, in un mix delizioso per amanti dell'epoca vittoriana, del genere steampunk, della fantascienza e delle storie rocambolesche.

 (Adatto anche a nipotin* avventuros* e dall'animo scientifico).

giovedì 3 dicembre 2020

La sorelle Mitford. Storia di sei sorelle che si gettarono a capofitto nella vita e nel mondo tra guerre, ideologie, letteratura ed estremismi.

 Trovo ci sia un certo filo comune nella vita degli autori e personaggi che hanno vissuto la loro infanzia e giovinezza in condizione di particolare isolamento familiare.

Tendenzialmente sono sospesi tra due estremi affascinanti: non avendo avuto un forte condizionamento all’omologazione coi propri coetanei diventano persone particolarmente originali, ma rischiano anche di liminare verso un certo estremismo personale.

 Probabilmente ci saranno svariati studi scientifici in merito, ma non essendo una psicologa, mi attengo alle prove letterarie.

Le sorelle Mitford, da questo punto di vista, sono molto interessanti.

 In Italia non sono molto conosciute, ma in Inghilterra sono personaggi così impressi nell’immaginario collettivo da essere diventate anche le protagoniste di una serie di romanzi storici by Jessica Fellowes, editi da noi da Neri Pozza. 

 E sempre Neri Pozza ha edito in Italia una bellissima, coinvolgente, lunga (eppure troppo breve) biografia: “Le sorelle Mitford” di Mary S. Lowell, il cui unico difetto è una certa piaggeria cerimoniosa.

Si trattava di sei sorelle (e un fratello, l’indispensabile maschio senza il quale titolo ed eredità finiscono al primo parente maschio, pure se di vertordicesimo grado come si vede bene in “Downton Abbey”), figlie del David Freeman-Mitford, barone Redesdale e di sua moglie Sidney.

 A parte il figlio maschio, che ebbe un cursus honorum di studi abbastanza normale, (prima di morire in guerra nonostante vaghe simpatie naziste), le sei sorelle furono cresciute in casa, con rapporti abbastanza limitati con l’esterno e la convinzione della madre che il corpo fosse in grado di guarire da solo (quindi anche con pochi medici in giro e solo in casi estremi, tipo l’appendicite).

 Se sia stata questa infanzia tutto sommato molto tranquilla, ma anche molto isolata, a scatenare l’immaginazione di queste sei ragazze molto intelligenti, è un dubbio che sorge spontaneo in relazione, soprattutto ad alcune di loro.

 La maggiore, Nancy Miford, era la classica ragazza brillante e arguta che, una volta debuttato in società ci sguazzò dentro con insolito fervore. Si innamorò delle persone sbagliate (per orientamento sessuale o per poca corresponsione), sposò un uomo abbastanza sbagliato perché si stava avvicinando ai trenta e troppi treni erano già passati invano, e scrisse alcuni famosi libri, piuttosto arguti, sul dorato mondo della nobiltà inglese.

Il più famoso rimane “L’amore in un clima freddo” che racconta le vicende di Fanny che assiste al disfacimento della ricca famiglia Montdore. Lady e Lord Montdore, dopo molti anni di matrimonio, riescono ad avere una sola adorata figlia, Polly, e la crescono viziatissima tra gli agi riponendo in lei grandi speranze (matrimoniali). Tuttavia, pur essendo molto bella, la ragazza risulterà poco attraente ai suoi coetanei gettando sua madre nella disperazione: se non si sposerà, a cosa sarà servito tutto ciò che hanno fatto per lei?

 Le cose precipitano quando Polly, con un abile colpo di scena, decide di sposare un suo zio acquisito, da poco vedovo e abbastanza attempato. I suoi genitori la diseredano e sono costretti a cercare il primo parente maschio disponibile per addossargli tutta la loro fortuna, ma anche le loro morbose attenzioni.

 Il libro sembra, da un certo punto di vista, rispecchiare pienamente quanto si racconta di Nancy Mitford: è brillante, arguto, spiritoso, sa cogliere le evidenti contraddizioni e follie di un sistema che si basa su matrimoni e figli, figli e matrimoni. 

Tuttavia a me non è piaciuto particolarmente: mi sembra manchi la giusta profondità che dia un senso al tutto. 

Ha le vesti di una sorta di satira che però non affonda davvero il coltello nella piaga. Del resto Nancy nel belmondo rimase tutta la vita, rimanendo fedele in qualche modo alla sé stessa che era stata da giovane, nel bene, ma anche nel male.

 L’ho trovato freddo, proprio come il titolo e il finale è, a mio parere, abbastanza agghiacciante.

 Non fu però l’unica sorella scrittrice. Altre si tentarono e quella che lo fece con maggior successo fu Jessica, detta Decca, la sorella comunista, autrice di un’autobiografia (a cui purtroppo ha dedicato un solo volume che si interrompe troppo presto), “Figlie e ribelli”, in cui racconta la sua infanzia e la sua prima giovinezza.

 E’ da lei che  la Lowell pesca a piene mani per raccontare il tedio dell’isolamento al quale le sorelle erano costrette, ingegnandosi con continui giochi tra di loro. Jessica cercò di convincere la madre a mandarla a scuola, ma ci riuscì solo per brevissimo tempo e venne ritirata quasi subito, dopo un innocuo gioco tra bambini.

Passò quasi tutto il suo tempo a desiderare il mondo esterno, tanto che, ragazzina, aprì in banca il conto “Fuga da casa”, sul quale riversò i soldi di varie paghette e regali per anni. Giovanissima, si appassionò al socialismo e venne a sapere che un altro suo lontano parente, il giovane Edmond Romilly, nipote di Churchill, era un fervente comunista. Riuscì a incontrarlo, fortunosamente, solo anni dopo, quando, dopo aver debuttato in società, si ritrovarono allo stesso tavolo.

 Bastò una cena e pochi mesi dopo, con uno stratagemma, riuscirono a raggiungere la guerra civile spagnola. Fu addirittura mandato un cacciatorpediniere a recuperarla, ma non ci fu modo di dissuaderla. Tutto ciò che ottennero fu che si trasferissero a Parigi, dove si sposarono e vissero per qualche tempo in condizioni di relativa povertà.

 La sua è una vita avventurosissima. Dopo poco decisero di raggiungere gli Stati Uniti, dove svolsero i lavori più disparati, sempre in un crescendo di incoscienza giovanile, fedeltà agli ideali e genuina voglia di divertirsi e prendersi DAVVERO gioco del sistema.

 Se Romilly morì giovane in guerra, lei ebbe ancora molti e molti anni che passò tra battaglie per i diritti civili, figli, matrimoni, inchieste sul lucro nel sistema funerario americano (libro che la rese famosissima e che mi piacerebbe leggere), comunismo e molto altro. Il suo libro è un vero gioiello (purtroppo, come dicevo, si interrompe troppo presto).

 Mettendo a confronto i due libri, a mio parere, è lampante la differenza di intenti e personalità tra le due sorelle.

 Delle altre, due furono un po’ meno straordinarie:

 Pamela si dedicò alla campagna, si sposò, divorziò ed ebbe una lunga relazione con una donna, la cavallerizza italiana Giuditta Tommasi (che è stranamente omessa nella biografia, dove, a quanto sembra, va bene parlare di nazismo, ma non di lesbismo, che insomma sappiamo sempre che è meglio fingere che le lesbiche non esistano).

 La più giovane, Deborah, divenne duchessa dopo che suo marito, a seguito della morte del fratello maggiore in guerra, ereditò titolo e magione alla Downton Abbey.

 Ultime, ma non certo per importanza, vengono Diana e soprattutto Unity, le sorelle naziste.

 Diana era ritenuta, per l’epoca, di straordinaria bellezza e fece, giovanissima, un ottimo matrimonio con l’erede Guinness, a cui diede due figli. Pochi anni dopo però, si innamorò di Oswald Mosley, un politico britannico che, parabolò da idee conservatrici a idee fasciste, fondando quello che fu il partito fascista britannico.

 La sua storia è molto interessante per comprendere la fascinazione che parte della nobiltà inglese ebbe, tutto sommato, nei confronti del nazifascismo. Non solo Edoardo VII, il re che aveva abdicato (e forse pensava di tornare sul trono grazie a Hitler), ma se ne parla anche in “Quel che resta del giorno”, in cui il duca mostra simpatie naziste davanti alle quali lo sconcertato e fedele maggiordomo non sa come comportarsi.

 Prima dell’eroica resistenza inglese agli attacchi nazisti, ci fu anche la tentazione di un’alleanza o di una non belligeranza coi tedeschi, e la storia di Diana e di quello che divenne il suo secondo marito è davvero interessante in questo senso.

 Ma ancor più interessante è la figura di Unity, il vero personaggio da tragedia greca (o farsa suprema) della schiera di sorelle. I genitori, che la concepirono inquietantemente a Swastika, le appiopparono anche un nome improbabile, Unity Valkirye, che non promise bene sul resto della sua esistenza.

Unity Mitford

 Da ragazza sembra fosse brillante, spiritosa e originale, e scoprì. grazie a Diana e al marito le idee fasciste della quale divenne fervente sostenitrice. Convinse i suoi a inviarla, per il suo anno all’estero, non a Parigi come tutte le altre sorelle, ma a Berlino e lì, non appena ebbe imparato il tedesco, iniziò una minuziosa opera di avvicinamento a Hitler.

Pedinandolo in uno dei suoi ristoranti favoriti, riuscì a farsi rivolgere la parola e col tempo entrò nella sua cerchia più ristretta. Il loro rapporto divenne così intimo che non solo Eva Braun fu  gelosissima di lei, ma girarono voci che avesse avuto un figlio segreto da Hitler o che lui volesse sposarla.

  Il suo sogno era un’alleanza tra Inghilterra e Germania e lavorò alacremente anni per questo. Quando però divenne evidente che ci sarebbe stata una dichiarazione di guerra, sospesa tra la fedeltà alla patria e quella verso Hitler, si sparò alla testa.

 Incredibilmente sopravvisse e venne rimpatriata con l’aiuto del dittatore che teneva moltissimo a lei. Non fu, ovviamente, più la stessa, e morì una decina di anni dopo per complicanze dovute alla ferita.

Diana Mitford 
 La cosa interessante è che lei e Decca, politicamente ai due antipodi, erano anche, reciprocamente, sorelle preferite, anche per la vicinanza d’età. 

 Quando anni dopo Decca scriverà la sua autobiografia, non riuscirà, nonostante le distanze siderali tra di loro, ad averne un ricordo o un giudizio negativo. Anche questo è notevole nel suo libro: la mancanza di tesi e lo spazio a quell’ambiguità dei sentimenti che ti consentono di voler bene a qualcuno che non vedi da decenni e che ha commesso le azioni peggiori. I fratelli e le sorelle sono anche questo.

Leggere “Le sorelle Mitford” è una grandissima avventura, trepidante, piena di colpi di scena, di azioni incredibili e avventurose, di guerre e prigioni, ideologie e prese di posizione. Furono tutte, indubbiamente, delle donne non solo brillanti, ma anche abbastanza coraggiose da gettarsi nella vita.

Da un certo punto di vista fanno tenerezza i genitori.

 Come molti genitori di persone particolarmente intelligenti e spericolate, sono invece pacatissimi e ordinari (pur con qualche fondamentale stranezza che ha comunque impostato il corso degli eventi) e non si capacitano dei continui colpi di testa della loro prole.

 La mela, si dice, non cade lontano dall’albero, ma certe l’albero sottovaluta la sua natura.

domenica 29 novembre 2020

Com'è prendere la patente da adulti e ai tempi del Covid? "Le avventure della patente. Un'avventura faticosissima"

 Finalmente, dopo un vero secolo, sono riuscita a produrre il nuovo fumetto.

 Come ho accennato varie volte, dopo il lockdown, mi sono messa in testa di prendere la patente e mi sono lanciata in questa, per me, titanica impresa. Causa attese da covid non ho ancora una data per la prova pratica, ma non si può dire che in questi mesi non mi sia impegnata.

 Da tutto ciò ho partorito un luuuuuungo fumetto, come non ne facevo da tempo (anche se ho un luuuungo progetto in pentola per tempi migliori). 

 Come scoprirete alla fine del fumetto sono impelagata in una questione ancor più complessa della patente (ci vuole poco dite voi) e ci sarà un bel fumetto anche per questo, appena avrò visto la luce.

 Bene. Ora godetevi "Le avventure della patente. Un'avventura faticosissima"!
















martedì 27 ottobre 2020

This is Halloween! Il programma della settimana sui social de I dolori della giovane libraia! E non dimenticate di inviare le vostre storie di fantasmi!

 Ed ecco, con un giorno e un evento di ritardo (la testa in questo periodo è altrove), il programma delle settimana di Halloween su ig e fb!

 So che alcuni che leggono il blog non possiedono i social, ma una mia amica che non possiede fb mi ha assicurato che le dirette lì si possono seguire senza dover necessariamente avere un profilo.

 Posto quindi il programma e un invito a unirvi al grande evento di venerdì sera: una diretta fb in cui leggerò, assieme a mia sorella di mezzo e consorte, le storie di fantasmi (intese anche come creepy, strane, assurde) che chiunque potrà inviarmi sui social o via mail.

Unitevi! Sì, quest'anno sono andata pesante coi festeggiamenti social di Halloween, ma l'ho fatto scientemente per due motivi: 

1) Mi distraggono in un momento molto complicato.

2) Spero distraggano anche voi in un momento molto complicato.

 Teniamo duro. Non dobbiamo far cedere i nervi ora. Ce la faremo.





domenica 11 ottobre 2020

Ma quindi i libri che avevo portato in vacanza com'erano? "Fiori sopra l'inferno" di Ilaria Tuti, "A Venezia...un dicembre rosso shocking" di Daphne du Maurier e i

Con circa un mese e mezzo di ritardo
, finalmente, nel bel mezzo del mese di Halloween, trovo il tempo di recensire i libri che ho portato in vacanza con me.

 Giuro che non si tratta di lassismo né (solo) del solito carico di lavoro a lavoro, ma di una lunga serie di questioni delle quali vi renderò partecipi lungamente nei prossimi mesi quando avrò bisogno di secchiate di sostegno morale.

 Nel frattempo, mentre la seconda ondata sembra tornare a sommergerci, cerco di mettermi in paro almeno con quello che ho letto nelle ormai lontane vacanze (anche se mi sembrano finite ieri, quest'anno il sentimento del tempo si è totalmente inceppato).

 Forza, ce la faremo, ce la faremo, ce la faremo. Intanto leggiamo ed halloweeniamo!

Informazione di servizio: 
 "Dal primo ottobre sto consigliando su fb e instagram un libro al giorno per il mese di Halloween. In molti ormai mi chiedevano consigli senza che bisognasse per forza fare una ricerca filologica dei miei 2000 post a tema e li sto accontentando. Se passate sui profili social del blog, troverete post e dirette video."


  A VENEZIA...UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING di Daphne du Maurier:

 Ho visto solo lo scorso anno l'omonimo film tratto dal racconto di Daphne du Maurier (poi, omonimo per modo di dire visto che in inglese non ha ovviamente questo strano titolo buffo) e di primo acchito non mi era particolarmente piaciuto. Lo avevo trovato molto molto lento e mi aveva annoiato prima della fine.

 Il racconto della du Maurier è invece una forma condensata della storia e riesce a tenere un ritmo particolarmente incalzante, oltre a essere un curiosissimo thriller, molto molto originale.

 La storia è quella di questa coppia inglese che si è concessa una vacanza a Venezia per riprendersi dalla morte inaspettata della propria figlia a causa di una malattia. Hanno un altro figlio, maschio, che sta in collegio, ma non è di grande consolazione ai genitori che adoravano la figlioletta perduta.

Nel film invece la coppia si trova a Venezia per lavoro (lui è un architetto e sta restaurando una chiesa) e la figlia è morta in un incidente domestico annegando in un lago nel grande giardino di casa.

 A Venezia i due incontrano due misteriose sorelle, una delle quali è cieca e sostiene di avere poteri psi e di poter vedere lo spirito della bimba. La bimba sembra essere molto preoccupata e vorrebbe che i genitori andassero via il prima possibile da Venezia.

 L'uomo è convinto che le due siano delle ciarlatane, ma la moglie le prende sul serio e, per la prima volta dopo mesi, sta meglio. Peccato che lo spirito, vero o falso che sia, ha ragione e i due in effetti farebbero meglio ad andare via da Venezia il prima possibile.

 L'atmosfera è inquietante, Venezia il posto affascinante e al contempo spaventoso che alcuni autori anglosassoni credono sia, e il finale un vero inaspettato (e folle) capolavoro.

 Se non lo avete letto e amate i gialli all'italiana e gli horror un po' di maniera ve lo consiglio caldamente.


UN'INDAGINE IMPERFETTA di Susan Hill:

Mi sento in dovere di scrivere due righe perché nessun altro possa cadere nel mio stesso errore fidando nella bellezza delle sue novelle gotiche: questo giallo è ORRENDO. 

 Nelle sole prime 80 pagine Susan Hill riesce a concatenare una tale serie di disgrazie e omicidi inquietanti da poterci riempire 10 libri. Il tutto aggravato dal fatto che niente di quello che succede sempre avere un nesso logico con la scena immediatamente precedente.
 Uno di quei libri che è fuori commercio per un buon motivo. NON cercatelo.


FIORI SOPRA L'INFERNO di Ilaria Tutti ed. Longanesi:

 Ero particolarmente entusiasta di leggere un libro di Ilaria Tuti visto che tutti mi decantavano la bellezza del suo ultimo romanzo, "Fiore di roccia", ma questo nostro libresco incontro non è andato come speravo.

 La storia aveva ogni potenziale per piacermi: un giallo con vaghe venature horror, descrizioni molto rarefatte di luoghi splendidi e un po' perturbanti, come le misconosciute campagne friulane, una certa attenzione sanguinosa, ma non morbosa ai dettagli.

 La storia di questo strano serial killer che sembra seguire una sorta di logica tortuosa, collegata ad un gruppo di bambini che spia nei boschi, era anche affascinante, ma è falcidiata dalla parte poliziesca.

 Non c'è un solo personaggio del gruppo investigativo che ispiri la minima simpatia.

 La protagonista, Teresa Battaglia, una donna che soffre di un passato non ben rivelato e ha una malattia non ben rivelata che nasconde ai colleghi, è insostenibile.

 Non capisco per quale motivo logico dovrebbe ispirare rispetto una donna perennemente sopra le righe e molto molto antipatica che maltratta immotivatamente il nuovo arrivato in commissariato, reo, poveretto di non essere un montanaro e di venire dalla città.

 Sarà che in generale disapprovo e anche disprezzo questo modus operandi (dai contorni vagamente patologici) molto in voga nei luoghi di lavoro che mira a rendere il più possibile un complicato inferno l'inserimento dei nuovi venuti (manco fosse una colpa essere assunti), ma era davvero difficile sostenere l'incomprensibile bullismo della faccenda.

 La storia, che ha un debito abbastanza evidente con la scrittura di Camilla Lackberg (tragico e strano avvenimento del passato che ha ripercussioni imprevedibili sul presente), mi è anche piaciuta, come, dopo il mio viaggio in Friuli dello scorso anno, ho amato l'ambientazione, ma davvero è difficile leggere un libro in cui tutti fanno a gara per essere il più antipatici possibile.

 Da una parte ho anche voglia di leggere i successivi, dall'altra l'idea di trovarmi a leggere i deliri dell'ennesimo sociopatico di genio mi è onestamente molto respingente. Forse anche no.
 

mercoledì 23 settembre 2020

Una storia d'amicizia o una battaglia per cambiare classe sociale? Una recensione della tetralogia de "L'amica geniale" di Elena Ferrante

 Ci ho messo anni a decidermi a leggere la tetralogia de "L'Amica geniale". Avevo letto un paio di libri della Ferrante e, a esser buoni, li avevo trovati fastidiosi, quindi mi riusciva difficile pensare che di colpo potesse aver scritto qualcosa di nettamente superiore.

Foto presa da Repubblica Napoli
 Poi, complice la vacanza sulla costiera sorrentina, mi sono fatta coraggio ed effettivamente, come moltissimi, ho letteralmente divorato i 4 libri in, credo, meno di una settimana.

 Prima di scrivere questa recensione, ne ho spulciate un po’ delle millemila già presenti su giornali e web, e ho notato che tutte tendono a concentrarsi sul rapporto tra Lila e Lenù.


 Ovviamente, dirà chi lo ha letto, su cosa ci dobbiamo concentrare visto che questa amicizia che dura mezzo secolo è, fondamentalmente, l’ossatura stessa della storia?

 In realtà, forse per una certa affinità di ansie e inquietudini personali con la narratrice, Elena Greco, detta Lenù, a me è sembrata molto rivelatrice una frase che lei stessa, con un certo sconcerto, si ritrova a pensare, rimuginando ormai in là con gli anni su un raccontino scritto da Lila alle elementari come di una quasi opera letteraria perduta, a metà del quarto libro: "Se il genio che Lila aveva espresso da bambina con la Fata blu, turbando la maestra Oliviero adesso, in vecchiaia, sta manifestando tutta la sua potenza? [...] L’intera mia vita si sarebbe ridotta soltanto a una battaglia meschina per cambiare classe sociale".

In effetti ci sono due cose che voglio assolutamente dire in questa recensione.

La prima è che sì. Io credo che la vita di Lenù e la tetralogia siano fondamentalmente il racconto di un titanico sforzo di una ragazza straordinariamente intelligente per cambiare ceto sociale.

Nata in una famiglia povera, ma non poverissima come quella della sua amica Lila, con padre usciere del comune, madre casalinga, due fratelli e una sorella (alla quale viene cercato di dare un vago ruolo nell’ultimo libro), Lenù studia con incredibile cocciutaggine. 

 Studia, mossa da un sentimento non ben definito che ha confusamente a che fare con la sua amicizia con Lila, figlia dello scarparo del loro poverissimo rione, bambina brillantissima, dal carattere tanto forte, quanto despotico.

L’amica geniale” è un titolo volutamente ambiguo perché se in prima battuta il lettore tende a credere che si tratti di Lila, bravissima a scuola, pronta d’ingegno, con grande e originale inventiva, nel corso del libro diventa evidente che sono entrambe e vicendevolmente le loro amiche geniali.

E non è poco, è tutto.

Se Lenù riesce nel suo percorso tenace nella vita, se non si arrende al liceo, all’università, al suo costante sentirsi fuori posto, è perché Lila rappresenta sempre e comunque un margine di confronto, uno specchio che conferma la sua esistenza in un mondo senza punti cardinali. 

 E lo stesso avviene per Lila. Se sempre, anche quando le viene imposto di lasciare la scuola, quando si trova costretta a sposarsi adolescente per sfuggire alle attenzioni di un camorrista, quando lavora in una fabbrica di insaccati in condizioni di schiavitù, se non si arrende mai è perché ha una sorta di punto fisso in Lenù.

Se Lila e Lenù sanno di esistere nello stesso istante, allora il gioco della vita, per entrambe, funziona. E infatti la storia inizia quando Lila decide scientemente di sparire e Lenù deve ricordare nei minimi particolari tutta la loro storia insieme, da principio, perché sente di avere ancora lo specchio nel quale rivedersi in caso di bisogno.

E’ una storia feroce di enorme amicizia, ma ha anche molto a che fare con la rappresentatività. In molti trovano estremamente tediose e anche capziose le polemiche sulla rappresentatività delle minoranze o anche delle donne nei film o nei media. Ma la rappresentatività costituisce un immaginario saldo a cui aggrapparsi: se ti vedi, esisti.

 Lila e Lenù si incontrano, si riconoscono e questo dà loro modo di costruirsi una vita fuori dai canoni ideali del rione. Tutte le loro coetanee e amiche d’infanzia, si sposano e mettono su famiglia molto giovani, alcune lavorano se c’è necessità, ma nessuna esce dal seminato che è stato loro accuratamente preparato. Come anche gli uomini.

 Sono le uniche a distinguersi e a combattere con tutte le loro forze (perché servono, costantemente, un’incredibile quantità di forze per non lasciarsi schiacciare dal sistema) ed è la loro ostinata amicizia, il loro confronto bellicoso e ineluttabile che rende possibile la loro ribellione.

 Hanno però due obiettivi diversi. L’obiettivo di Lila è cambiare le cose in un rione sempre più in mano alla camorra, dove lo stato non esiste (e se esiste non ha una forma che risulti comprensibile né efficace in un mondo che risponde ad altre leggi e dinamiche), e per raggiungerlo sa che l’unica possibilità è salvarsi ad ogni costo.

 Si salva da un camorrista sposando in fretta e furia un marito che detesta sin dal primo momento. Si salva dal marito scappando in un altro quartiere e finendo a fare l’operaia. Si salva dall’essere un desiderio sessuale desiderando ardentemente e contro ogni logica un’altra, sbagliatissima, persona. Si salva da un presente di miseria studiando una materia complicatissima, che non conosce nessuno.

Si salva, si salva e scappa. E se alla fine sembra che le rimanga poco tra le mani rispetto alla gigantesca fatica che l’ha perseguitata per un’intera esistenza, dovremmo pensare a quale sarebbe stato il suo destino se si fosse arresa in uno qualsiasi di questi momenti.

Salvarsi è assolutamente imperativo, anche quando il premio finale è in proporzione misero e ingiusto.

L’obiettivo di Lenù è invece lo stesso obiettivo di Nino Sarratore, l’oggetto dell’amoroso contendere tra le due ragazze, il gattomorto forse meglio descritto al maschile da parecchi decenni a questa parte. Entrambi mirano ad elevarsi socialmente. La differenza è che la prima non ne ha una vera coscienza, il secondo persegue il suo obiettivo con studiata ferocia.

Che Nino Sarratore sia detestatissimo l’ho letto ovunque (ho visto anche magliette contro di lui), eppure, diciamoci il vero, nessun uomo, forse esclusi il povero Franco Mari ed Enzo, fa un’ottima figura all’interno della storia. Gli uomini del rione sono prigionieri come le donne di un sistema patriarcale fondato sulla mascolinità tossica: devono primeggiare, devono picchiare, devono sottomettere, devono dimostrare.

I padri di Lenù e Lila sono quasi pupazzi sullo sfondo. I mariti di entrambe le ragazze non sono alla loro altezza e si comportano, seppure con le dovute differenze di status e cultura, allo stesso modo: si attendono una moglie che li riverisca e riversi ogni energia nell’accudimento dei figli e del focolare domestico.

Gli unici personaggi maschili che non cercano di soffocare le intelligenze delle due ragazze sono: Michele Solara, il camorrista (quando sei all’apice della catena alimentare puoi permetterti di infrangere le regole perché nessuno può dubitare della tua integrità) e Nino Sarratore che, nonostante dissemini, soprattutto in gioventù, episodi in cui reagisce in modo infantile alla superiorità di Lila e Lenù, in età adulta, tutto sommato sarà lo sprone che porterà Lenù a scrivere ancora, a liberarsi di un marito lamentoso, a credere in un futuro da scrittrice.

Ovviamente lo fa in base ad un suo calcolo personale. Tanto Lenù si affida alla corrente e riesce nella sua ascesa sociale grazie al suo talento letterario, tanto Sarratore (che non ha il jolly del talento) si prodiga in ogni modo per raggiungere il suo obiettivo.

E’ non solo un trasformista della politica, ma anche della vita. Tiene il piede in mille correnti diverse, in mille relazioni diverse, tra mogli, amanti, compagne, figli disseminati qui e lì con una certa assoluta scienza. Solo Lila, osserverà Lenù molti anni dopo, è sfuggita a questa sua ossessiva persecuzione della sua irresistibile ascesa.

Perché Sarratore ha accettato una relazione che poteva compromettere la sua ascesa?, si chiede, rodendosi, Lenù, che lo ama sin dall’infanzia. E teme sia accaduto perché, al contrario di tutte le altre donne con le quali si rapportava in relazione a ciò che loro potevano dargli, Nino era sinceramente innamorato di Lila.

Visto il personaggio in prospettiva, è difficile vederci un sentimento sincero. Sembra invece una sbandata giovanile, di quelle che prendono insensatamente e che, a posteriori, vanno ridimensionate e dimenticate.

Tuttavia è facile giudicare Sarratore con gli occhi di Lenù. 


Se Lenù non avesse potuto fare affidamento su un talento e un buon matrimonio, cosa sarebbe stato di lei? Sarebbe diventata forse un’insegnante di liceo e i suoi sogni di una vita migliore, più stimolante e indipendente, cosa sarebbero diventati?

Ciò che Sarratore persegue con feroce calcolo, a Lenù arriva quasi per grazia ricevuta. Lo dirà lei stessa nel libro di aver sempre avuto una grande fortuna. Di certo nessuna fortuna sarebbe venuta a visitarla se non avesse studiato con ostinazione e non avesse lottato, anche da adulta, per essere una donna libera, ma resta il fatto che la massima di Moll Flanders rimane, come sempre, attualissima.

La dignità ce l’ha chi può permettersela”.

C’è un secondo elemento che rende Sarratore e Lenù distanti nel loro atteggiamento. Quando si entra all’interno di un altro ceto sociale, l’attrito è fortissimo.

In Lenù assume la sensazione di una costante inferiorità, un mondo nel quale non è mai abbastanza raffinata o intelligente. Durante l’università, la Normale di Pisa, viene presa in giro per il suo aspetto e il suo accento, sospettata di furto, ha pace solo quando qualcuno “garantisce” per lei, come i suoi due fidanzati, entrambi benestanti e conosciuti. Perché il bel mondo l’accetti ha bisogno di qualcuno che validi e in qualche modo giustifichi la sua intrusione.

Lenù lo sa e si chiude a riccio, cerca di adattarsi, di rubare il modo di stare al mondo, ma è un esercizio che risulta difficilissimo a chi lo pratica senza esservi nato.

Qualche mese fa lessi un articolo bellissimo, “Il lavoro culturale ha bisogno di una lotta (creativa) di classe”, in cui l’autore descriveva benissimo quello che sente Lenù e che, devo dire, sento anche io.  Racconta come il lavoro culturale in Italia sia mediamente appannaggio delle classi sociali superiori, un gruppo ristretto di persone provvisto dello stesso milieu, qualcosa che hi giunge dall’esterno, pur con grosse dosi di recitazione ed immedesimazione (le stesse che, a vagonate, usa Nino Sarratore), non può assolutamente replicare.

 Gli outsider, come in tutti gli ambienti progressisti, vengono accettati, ovvio, ma raramente vengono davvero assorbiti. Serve un qualcosa di straordinario come un talento geniale, una carriera sfolgorante, un qualcuno di geniale e sfolgorante che attraverso matrimonio o amicizia “garantisca” per te.

 E questa sensazione che Lenù ha sin dalle scuole medie, che si sviluppa già al liceo classico, con la professoressa Galiani decisa a vendicarsi della poveraccia che crede abbia rubato il fidanzato alla sua figliola cresciuta con ogni cura, esplode all’università e soprattutto nell’enorme confusione del periodo successivo.

 

Quando gli anni ’60 e ’70 arrivano coi loro slogan e le loro anche sincere (sul momento) rivendicazioni sociali, di colpo sembra che le differenze di classe possano essere appianate.

 O almeno, sembra a chi queste differenze non le ha mai davvero subite (la figlia della prof Galiani, la sorella del marito di Lenù, Franco Mari che è uno dei personaggi più coerenti e tra i miei preferiti) lasciando perplesso chi, come Lenù, non riesce a non vederci della maniera o chi, come Lila, teme di essere usata per scopi politici e poi lasciata al suo destino.

 E nessuno dei tre né Lila né Lenù né Sarratore si fida.

 La prima perché mentre gli altri parlano di operai E’ l’operaio, ma per sua natura non può diventare un operaio di stampo ideologico, la seconda perché sa quanto possa essere doppia la natura di chi proviene da un ceto sociale superiore e cerca di tenere una mente aperta lottando contro uno spirito di autoconservazione di classe (lo stesso che avrà lei nel quarto libro quando sua figlia scapperà col figlio di Lila, devo dire forse la parte peggiore della serie) e Sarratore perché avendo un atteggiamento più utilitaristico e meno utopico delle varie ideologie dominanti, sa che prima o poi, tutte, vanno ad esaurimento.

 Alla fine, fondamentalmente i tre, pur con percorsi diversi, riusciranno a distinguersi dalla gente del rione che avrà destini più o meno infelici tra malattie, post terrorismo, manovalanza della camorra, povertà.

 La cosa forse che rimane interessante è che tutti vi riusciranno anche perché avranno con la propria prole un tipo di rapporto poco esplorato nella letteratura contemporanea. Adesso le cose sembrano solo due: distacco e freddezza totale o l'alone mistico dell’amore assoluto e inspiegato.

 Tutti e tre invece amano i propri figli, ma nessuno di loro gli sacrifica o ne fa il centro della propria esistenza. 

 Lila lo fa per un breve periodo col primogenito, ma si rende presto conto che l’educazione può poco se l’ambiente e l’indole sono di altro genere. 

 Lenù ama le proprie figlie, ma ama anche avere una propria esistenza. Quindi non sacrifica alla loro tranquillità un matrimonio ormai arenato né si fa scrupolo di portarle a vivere in un rione povero di Napoli quando potrebbero vivere nell’agio coi ricchi nonni genovesi. Sbaglia? Ha ragione?

 Malgrado trovi il pezzo delle figlie adolescenti il peggiore del libro, penso che il finale del loro rapporto sia giusto e in qualche modo onesto.

  Lenù è una donna indipendentissima e il rapporto con le figlie non poteva essere di natura diversa. E intendiamoci, io non do nessun giudizio morale. Anzi. Forse perché sono cresciuta con dei genitori molto simili, mi trovo costantemente spiazzata dalla retorica della maternità amorosissima, dai genitori iperpresenti, dalla cappa di attenzioni costante. Mi sembra assurdo sia l’unico modo per essere genitori e che sia l’unico modo degno di essere raccontato per non passare come dei genitori indegni.

Cosa penso dunque di questa tetralogia (scusate la recensione lunghissima)? 

Che ha un’enorme fascino perché la Ferrante è riuscita in due cose, rare:

1) Indovinare tre personaggi in modo vividissimo e farli interagire tra di loro in modo continuo e convincente (i personaggi secondari sono talmente poco caratterizzati che fino alla fine alcuni li ho confusi).

2) Raccontare quello che stranamente viene poco raccontato in un paese come l’Italia: la quasi estraneità tra ceti sociali e l’incredibile attrito quando qualcuno tenta l’ascesa.

 La complessità e in qualche modo la tragicità dello scontro dovrebbero essere forieri di storie, invece ci si concentra quasi sempre sulle grandi tragedie interiori della borghesia o del mondo quasi pasoliniano dei ceti più bassi. 

 Qui e lì si appiccano sentimenti di categoria (il piccolo borghese con grandi ambizioni, l’operaio che vorrebbe ma non può, il provinciale che si inventa imprenditore e soccombe, il ricco borghese che ha qualche sicuro problema con mogli e figli ecc), ma non si indaga mai sull’ambivalenza di questa coesistenza. 

 Sul fatto, ad esempio, che può interessare una scalata sociale per alcuni fattori culturali, per una maggiore ricchezza di prospettive, ma che al contempo si possono disprezzare alcune pieghe decadenti, alcune pose artefatte, il totale distacco dal mondo reale. In questo senso il personaggio di Lenù è assolutamente perfetto.

Spiace, e lo dico sinceramente, che non si possa sapere di più sull’autrice. Perché anche se l’opera esiste oltre l’autore, alcuni sentimenti hanno sete di spiegazione e di approfondimento, anche solo per il gioco tra Lila e Lenù, per vedersi rappresentati, per avere la certezza che qualcun altro esiste come te in quel momento e in qualche modo sta giustificando la tua esistenza stessa.