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domenica 25 aprile 2021

Oh Bella Ciao! Una selezione di libri e antologie che raccontano la storia di una canzone straordinaria.

 Lo scorso anno, durante l'infinito lockdown durante il quale eravamo forse più storditi, ma di certo più speranzosi verso il futuro, passai circa un quarto d'ora del 25 aprile alla finestra.

 La casa milanese dove ho vissuto per otto anni era un bilocale piuttosto agevole per due persone, ma proprio in funzione di una metratura non da criceto, avevamo dovuto sacrificare l'altezza. 
 
Ergo vivevamo in un piano rialzato che ci faceva affacciare direttamente sulle teste dei passanti.

 Sorvolando sulla quantità di grasso inquinamento  che ho respirato per anni e sulla mancanza perenne di luce naturale, quando la vita era normale il  massimo problema erano gli incivili che poggiavano regolarmente le bottiglie di birra vuote sul nostro davanzale dopo una nottata di bagordi.

  Durante il lockdown invece, il piano rialzato si rivelò un limite piuttosto importante.

 Senza balconi e cortili, ci affacciavamo con le nostre tazzine di caffè su processioni di persone intente a raggiungere il supermercato vicino, ad andare nella tabaccheria di fronte, a portare a spasso il cane e insomma intente nelle poche cose previste a Sin city. 

 La gente ci fissava regolarmente inviperita dalla nostra presenza, immagino temendo fossimo delle pericolose delatrici e non delle povere criste con l'unico desiderio di prendere aria in faccia ogni tanto.

 Anche la nobile arte del flash mob e del canto non era una questione facile da esercitare in un piano rialzato e infatti l'unico tentativo in cui mi sia cimentata lo scorso anno era stato in occasione del 25 aprile. 

 Munita del mio cellulare con "Bella ciao" dei MCR al massimo del volume, mi lanciai in un cantata  nella solitudine del mio condominio abitato, non tanto da fascisti quanto da anziani, ma soprattutto sotto lo sguardo divertito e sospettoso dei malfidenti passanti.

 Non la ricordo come l'esperienza più appagante o eroica della mia vita, ma mi spiaceva far passare il 25 aprile come uno dei tanti pomeriggi di quella primavera tristissima e cantare "Bella ciao" mi sembrava un buon compromesso.

 Ho pensato quindi, a un anno di distanza, di dedicare un post a questa canzone che da sola, col solo ritornello, riesce a suscitare un'enorme sentimento di libertà, ed è ormai conosciuta in tutto il mondo come simbolo di rivolta verso l'oppressione.

LA STORIA di BELLA CIAO:

 La domanda sorge spontanea: dove nasce e come si è diffusa "Bella ciao" nel mondo come canto di liberazione?

 L'opinione più comunemente diffusa (quella che conoscevo anche io che per quel che mi riguarda l'ho imparata da mia nonna assieme ad altre canzoni random come "Il Piave") è che fosse un canto delle mondine riadattato dalle brigate partigiane, ma, ebbene sì, sembra che le mondine siano venute dopo i partigiani.

La ricostruzione delle origini è stata esplorata da ben più di un libro, tanto che potete avere l'imbarazzo della scelta tra: "Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone" di Cesare Birmani ed. Interlinea, "Bella ciao" di Marcello Flores ed. Garzanti, "Bella ciao. La canzone della libertà" Add editore e "Bella ciao. La storia definitiva della canzone partigiana che dalle Marche ha conquistato il mondo" di Ruggero Giacomini ed. Castelvecchi.

Giacomini ipotizza la nascita nel maceratese a opera della poco conosciuta resistenza marchigiana che la passò poi alla Brigata Maiella in Abruzzo dalla quale poi approdò in Emilia.

 La teoria si basa su alcune lettere che lo storico a rinvenuto nell'archivio dell'Istituto di storia delle Marche.

Anche Cesare Bermani invece è tra i fondatori dell'istituto Ernesto De Martino che avalla la teoria della Brigata Maiella

 Secondo lo storico, fu un caso che la canzone divenne un canto popolare di una brigata partigiana del centro Italia prima ancora che al nord, dov'era assai più popolare "Fischia il vento".

 Inoltre va ancora più indietro nel passato, riconducendola ad un canto composto dal poeta Costantino Nigra, "Fior di tomba".


 Ci tiene inoltre Birmani a sottolineare come "Bella ciao", al contrario di quanto sostenuto da molti revisionisti storici che la vorrebbero introdotta successivamente, fu davvero cantato da molte formazioni partigiane e fu un canto popolare della resistenza.

Carlo Pestelli parte proprio dagli studi di Bermani per raccontare l'intera parabola della canzone, partendo da Nigra, passando per i partigiani abruzzesi e parlando del festival dei due mondi di Spoleto dove nel 1964 sembra che si ingenerò l'equivoco mondine ---->partigiani di cui fu vittima anche mia nonna.

 Arriva quindi ai giorni nostri dove questa canzone, che accenna a un generico invasore senza entrare nello specifico, è stata prescelta nei più impensati angoli del pianeta come inno alla libertà e dove ancora e persino in Italia è osteggiato da politici di bassa lega.

 Sullo storico spettacolo del 1964 torna anche Marcello Flores che nel suo libro davvero per tutte le tasche (4,99 euro) si cimenta anche lui nella ricostruzione storica di questo canto la cui popolarità sfocia ormai nella leggenda.


PER RAGAZZ*:

 Una canzone così speciale non poteva non avere una proposta libresca anche per ragazz*.

 Lorena Canottiere è un'autrice di fumetti (splendido il suo "Verdad" ambientato durante la guerra civile spagnola del quale ho parlato qui) e illustratrice bravissima e questo suo "Bella ciao", uscito per le Edizioni EL è davvero un libro illustrato splendido da donare a ragazze e ragazzi (ma non solo).

 Un'alternativa, per più piccini, è "Bella ciao" di Gallucci editore, un illustrato forse graficamente meno bello, ma provvisto di cd allegato con canzone arrangiata dai Modena City Ramblers che può agilmente sostituire il nonno o la nonna di turno nell'insegnamento della canzone.


ANTOLOGIE DI CANTI DELLA RESISTENZA:

 Quando facevo il tirocinio universitario nella biblioteca del mio paese, mi resi conto dopo non molto tempo che qualcuno anni prima doveva aver fatto anni prima un'interessante donazione privata.

 C'erano infatti libri sulla resistenza, gli anni '70 e il femminismo molto particolari e rari che una biblioteca di paese non aveva nessun altro motivo di possedere nella sua collezione.

 Tra questi, ce n'erano molti di una collana stranissima degli anni '70 di Newton&Compton (o almeno, stranissima se pensiamo alla Newton di adesso): paperbacks poeti.

 Assieme a poeti come Garcia Lorca e Baudelaire (ma anche Mao Tse-Tung), c'erano delle antologie come "Canti della protesta femminile" o "Canti rivoluzionari nel mondo" (che, copertina un po' vintage a parte, è un testo sicuro da recuperare e leggere).

 Purtroppo, era prevista una raccolta di canti portoghesi, ma non della resistenza.

Ho provato a fare una ricerca per vedere se esistesse una qualche antologia e ho trovato alcuni titoli che mi sembravano molto gustosi.

 Il primo è questo "Cantalo forte", un saggio Gioachino Lanotte ed. Stampa Alternativa che esamina la lotta partigiana attraverso le canzoni composte e/o cantate nei due anni della resistenza e negli anni successivi. 

Un saggio politico-musicologico che riporta anche i testi e una preziosa bibliografia di riferimento.

 Esiste poi "E sulla terra faremo libertà. Poesia e canzoni della Resistenza italiana" a cura di Alberti Volpi, Stilo editore.

 Un'antologia di poesie e canzoni della e sulla resistenza italiana con una divisione tematica e la scelta di inserire anche grandi poeti accanto alle canzoni diffusesi spontaneamente nelle brigate partigiane (proprio come "Bella ciao"):

 A onor di cronaca inserisco anche la raccolta "Canti della resistenza italiana" di A. Virgilio Savona e Michele L. Straniero ed. Laterza. E' degli anni '80 e probabilmente non facilissima da reperire, ma nell'attesa che qualcuno colmi il vuoto,

 Infine un saggio Laterza molto più recente e reperibile: "Bella ciao. Canto e politica nella storia d'Italia" che esamina la storia d'Italia dal punto di vista delle canzoni politiche del paese.


E ovviamente innaffiate il tutto con una larga dose di:








mercoledì 21 aprile 2021

Le recensioni di mezzo. "La donna dalla gonna viola" di Natsuko Imamura, un'ossessione senza finale

 Per il grande ritorno delle recensioni di mezzo, ne approfitto per mettervi in guardia da "La donna dalla gonna viola" di Natsuko Imamura ed. Salani.

 Io, come sa chi segue il blog da sempre, amo molto la narrativa giapponese quindi tendenzialmente cerco di leggere tutto quello che esce e, sarò sincera, raramente ne vengo delusa. MA. Ma qualche volte accade e "La donna dalla gonna viola" è una di queste.

 Si tratta di un romanzo di cui è davvero difficile, se non impossibile, cogliere il senso logico nella sua parabola che ci trascina percorrendo varie strade senza imboccarne nessuna con reale convinzione per non approdare poi da nessuna parte.

 Ma partiamo dalla trama. 

 La narratrice è una misteriosa donna dal golfino giallo che tutti i giorni osserva con fare da stalker l'altrettanto misteriosa donna dalla gonna viola.

  Entrambe non se la passano benissimo. La donna dal golfino giallo lavora in una ditta di pulizie per alberghi, mentre quella con la gonna viola campa di lavoretti saltuari e in generale sembra avere difficoltà a prendersi cura di sé stessa.

 Entrambe vivono ai margini e passano tutto il loro tempo libero in un giardinetto dove alcuni bambini passano il tempo a inventare una patetica prova di coraggio che consiste nel toccare la spalla alla donna dalla gonna viola.

 La donna dal golfino giallo all'inizio ha un piano che noi poveri lettori possiamo comprendere: cerca di far assumere la donna dalla gonna viola nella stessa azienda di pulizie dove lavora anche lei. In tal modo potrà avvicinarla e diventarne amica. E ok, ci siamo.

 In qualche modo questa cosa accade veramente, ma la donna con la gonna viola contro ogni aspettativa vive una sorta di momento di gloria: le capo servizio la prendono subito in grande simpatia e non solo la promuovono, ma la mettono a parte di tutto il vasto mondo del taccheggio delle inservienti.

 A quanto sembra tutte loro ladreggiano cibo e piccoli oggetti o accessori, tipo shampoo e asciugamani, dalle camere che puliscono per poi dare la colpa ai clienti ormai involati.

Natsuko Imamura (a destra)
 al premio Akutagawa
Anche il tizio che dirige questa sorta di azienda (o comunque gestisce le inservienti nell'albergo) inizia a subire il fascino della donna dalla gonna viola che, col passare dei giorni, acquista sicurezza e si imbellisce, sotto lo sguardo sconcertato della donna dal golfino giallo.

 Per motivi che non sono chiari e che non vengono nemmeno ben spiegati, la donna dal golfino giallo, dopo aver pregato per mesi che l'altra venisse assunta per farsela amica, finisce per non avvicinarsi mai a lei procrastinando a oltranza il momento.

 Se però tutto si può spiegare con una diversa introspezione del personaggio nella narrativa giapponese (che sarebbe anche materiale interessante da analizzare a livello di critica letteraria), quello che davvero non ha senso è il finale che danneggia drammaticamente una trama già di suo abbastanza monotona.

 Il finale non ha senso perché è accidentale e studiato al tempo stesso. Non voglio fare spoiler, ma sostanzialmente, dopo il momento di gloria la donna dalla gonna viola diventa invisa alle altre a causa della sua relazione col loro direttore.

 Accade poi una cosa accidentale e imprevista che però collima con lo scopo dell'ossessione della donna dal golfino giallo.

 Va bene che i complottari dicono che le coincidenze non esistono, ma in questo modo si vanifica il meccanismo già di suo non molto coerente dell'intera storia che in patria ha incredibilmente vinto il premio Akutagawa e immagino sia stato tradotto proprio in funzione del prestigioso riconoscimento vinto in patria.

 Per leggerlo, si lascia leggere (soprattutto e più che altro se amate la narrativa giapponese, altrimenti rischia di essere anche abbastanza noiosetto), ma non rimane assolutamente niente.

 Anche il millantato gioco psicologico funziona nella prima parte, nonostante la protagonista respingente, ma non trova senso nel finale che, se da una parte è provocato da quella che è un'autentica stalker, dall'altra sfocia in un caso che non poteva essere previsto manco in "Minority report".

 Quindi a conti fatti anche questa ossessione che non sappiamo dove nasce né perché né a cosa miri non è un motore abbastanza forte per rendere questo romanzo convincente.

 Davvero sarei curiosa di sapere quali erano le alternative per il premio Akutagawa, ma chissà magari mi sfugge qualcosa, come quella volta che un'indignata Dolcemetà tornò dal cinema dopo aver visto "Lady Bird", candidato all'oscar e favoleggiò per svariati giorni sulla possibilità che ci sfuggisse qualcosa che poteva essere colto solo con occhi americani.

Ecco, magari è qualcosa del genere, intanto per me è un no.

lunedì 12 aprile 2021

La Dolcevita di Dolcemetà! "Uaak uaak"

Ho appena scoperto per puro caso che Paint 3D mi consente con gran gioia di colorare un minimo le vignette. E' stato come scoprire la pietra filosofale (che un giorno il sogno di colorare un intero fumetto possa diventar realtà?). Intanto eccovi la versione ricolorata come una persona che pubblica fumetti su internet nel XXI° secolo (più o meno) di una delle avventure della Dolcevita di Dolcemetà.

 Non ricordo se avevo già presentato questo nuovo filone, ma sono le avventure di Dolcemetà, una lombarda a Roma. Si sta già ambientando bene, è soprattutto affascinata dai modi di dire.

 La Dolcevita di Dolcemetà! "Uaak Uaak"!





domenica 11 aprile 2021

Finalmente è arrivato il turno di mio padre! "Il puerpero", una storia confusa

Finalmente stasera ho vinto la pigrizia e ho usato lo scanner, questo vuol dire che nei prossimi giorni posterò in una veste finalmente decente un po' di fumetti che ho postato sparsi su fb in questi ultimi mesi.

 Mi ha spinto a tale incredibile gesto il fatto che domani mio padre verrà vaccinato e diciamo è un po' ansioso (non è tanto per il vaccino, lui è ansioso per tutte le cose mediche in generale).

 Ecco a voi una vignetta della sera! "Il puerpero"!






mercoledì 7 aprile 2021

Il male che ci avvolge come polvere. "La casa impura" di Ono Fuyumi, un romanzo horror o una lezione sulla narrativa dell'orrore?

 Sarebbe molto interessante usare "La casa impura" di Ono Fuyumi, (appena uscito per Atmosphere Libri), durante un corso sulla letteratura horror poiché si tratta di uno strano romanzo, benissimo scritto, estremamente metaletterario, che indaga, attraverso una trama meticolosa, le grandi domande alla base del genere.

  La protagonista è una scrittrice di romanzi horror che per anni è stata anche curatrice di una raccolta di racconti dell'orrore. 

 Per questo motivo, nel corso degli anni, molti fan le hanno inviato storie sovrannaturali delle quali erano protagonisti (o sostenevano di esserlo) nella vita reale.

 Un giorno riceve la lettera di una sua lettrice, Kubo, che le racconta di essersi appena trasferita in un nuovo condominio, ma dopo appena pochi giorni ha iniziato a sentire in casa alcuni strani rumori. Dopo molto osservare, si era resa conto che provenivano principalmente da una stanza, dove era riuscita a intravedere il pezzo di un particolare kimono come pendere dal soffitto.

Leggendo, la scrittrice si rende conto di aver ricevuto, anni prima, una lettera con una storia simile e si capisce che si tratta dello stesso condominio. A quel punto decide di contattare Kubo e di indagare assieme a lei sui motivi cha avrebbero potuto la casa ad essere infestata dai fantasmi e se, soprattutto, si può parlare di fantasmi.

 Il libro infatti viaggia sempre sul sottile crinale del dubbio: ciò in cui la scrittrice e Kubo si imbattono è in effetti qualcosa di sovrannaturale o la loro è semplice suggestione?

 La trama prosegue seguendo il filo di ogni bravo romanzo o film horror: per comprendere ed estinguere le cause del male bisogna arrivare all'origine.

 Iniziano quindi separatamente una meticolosa opera di ricostruzione: chi abitava prima nell'appartamento? E' solo l'appartamento di Kubo a sembrare infestato o anche il resto del palazzo? E se invece fosse il terreno a contenere la radice del male?

 Si procede quindi in una selva di dubbi, di suicidi pregressi, di dicerie, pettegolezzi, famiglie distrutte, malattie. E più si va avanti più sembra che l'origine del male si sposti nel tempo: forse era una famiglia disgraziata, forse un edificio in fiamme, un ragazzino malato, una spada maledetta.

 Ma quanto a fondo bisogna andare per capire dove si annida il male? E perché alcuni fatti drammatici dovrebbero contenere uno specifico seme malvagio? Cosa causa il perdurare di una maledizione?

 I dubbi delle due protagoniste sono gli stessi dubbi di un lettore appassionato di horror o di uno scrittore che si trova ad affrontare una trama.

Cosa determina l'insorgenza del male? E perché decidiamo che uno specifico suicidio, una morte disgraziata o un incendio doloso debbano per forza essere connessa a qualcosa accaduto molti anni prima?

 Nel libro gli anni passano inesorabili. Le due donne cambiano case, chiedono aiuto, cercano testimonianze, e seppur scettiche iniziano con terrore a guardare ai malanni dai quali entrambe, in tempi diversi, sono afflitte. Normale routine o l'effetto di aver in qualche modo sfiorato il male?

 Diceva un famosissimo passo di Nietzsche che se a lungo guardi l'abisso, anche l'abisso ti guarderà ed è forse la morale del libro e del fascino che la narrativa dell'orrore ha sui lettori.

 La scrittrice e Kubo sono attratte e respinte allo stesso tempo dall'idea di seguire il filo rosso che dovrebbe svelare loro chi infesta la casa di Kubo.

 Tuttavia, più l'indagine si fa approfondita maggiore è la sensazione che le disgrazie concatenate non siano altro che un reciproco guardarsi tra abissi.

 L'idea che il male sia un contagio è alla base di altre storie. Da "The Ring" che crea un vero e proprio nesso tra un virus reale e un virus fantasma, a pellicole come "Il tocco del male" in cui un demone passa di corpo in corpo attraverso un semplice tocco.

Ed è un'idea affascinante perché, forse, è l'unica parte reale delle storie dell'orrore.

  Il male arriva dalle vie più impensate, attecchisce dove trova un terreno fertile, perseguita, porta alla pazzia, rende gigantesche cose microscopiche e viceversa. 

 Il libro si ferma un passo prima della soluzione, proprio come un buon trattato di narrativa dell'orrore dovrebbe fare, lasciando la domanda finale al gusto del lettore: è tutto vero e il male può prendere una forma che possiamo capire e combattere, oppure è solo un'incredibile suggestione che rimane attorno a noi come una polvere, una nuvola da attraversare senza rimanere indenni?