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giovedì 25 luglio 2013

Letture Giapponesi. Natsume Soseki e "Il Signorino"

Come detto in precedenza, amo molto gli scrittori giapponesi.
 Anche io, giovinetta liceale, fui colpita dagli strali dei primissimi libri della Yoshimoto, che adesso scrive del sole che sorge e della luna che tramonta, ma che per me, a 14 anni, uscita rincoglionitissima dalle scuole medie, fu una rivelazione. I pensieri sconcertanti che suscitarono in me  "Kitchen" ed "N.P." ancora mi impediscono di detestare un'autrice ormai perduta nel perbenismo. 
 Perciò, anche se non è molto cool, mi sento ancora di consigliare questi due libri, specialmente agli adolescenti, specialmente di provincia e specialmente se molto rincoglioniti. Aiutano ad aprire gli occhi sul mondo, ma con trauma posticipato. Lì per lì ti sembra una storiella, poi coi giorni realizzi di aver letto di morte, incesti, genitori transessuali e omicidi.  


Lancio peraltro un appello: sono anni che cerco il film giapponese tratto da "Kitchen", senza fortuna, se qualcuno che casualmente passa di qui ne avesse un link gli sarei grato se me lo postasse.
 Un consiglio giapponese anche per persone più adulte è invece il bellissimo "Il signorino" (Bocchan in originale) di Natsume Soseki, ed. Neri Pozza 14,50 euro. 


 Ricordo con orrore una fascetta che la definiva "L'opera più leggera di Soseki" e i bambini festanti scelti per la copertina contribuivano a dare l'idea che si stesse per leggere un'operetta minore.
 ERRORE
 "Il signorino" non ha nulla di leggero, se non la scrittura meravigliosa. Soseki, che lo scrisse in meno di un mese, rievoca la storia in parte autobiografica di un bambino di buona famiglia, adorato dalla domestica che lo ha cresciuto divenuto poi un uomo schietto e privo di ipocrisie.
 La parte dell'infanzia è funzionale al contesto e al carattere estremamente peculiare che il ragazzo si ritroverà in una società, come quella giapponese, molto formale, attentissima alle apparenze e al manierismo, a discapito di qualsiasi valore. 
 A livello di trama non accade poi molto, tutta la grandezza del romanzo, sta nei rapporti rivoluzionari che il giovane, spedito a insegnare in un istituto tecnico di provincia (pieno di ragazzini volgari e maleducati) ,instaura coi suoi colleghi, da lui indicati con una serie di soprannomi ironici.
 Tutti campano di etichetta e regole gerarchiche mentre tramano, odiano, insidiano, seminano pettegolezzi e zizzania, cercando di coinvolgere il protagonista, che sconcertato da tanta falsità non riesce in nessun modo ad adattarsi al contesto.
 E' la storia di una società ingessata, ma anche di tutti i luoghi ingessati, dove i rapporti di potere sono l'unico valore fondante e schiacciano tutti gli altri. Chi non si è mai trovato in un ufficio, circondato da colleghi dai falsi sorrisi o in una classe dove spadroneggiavano persone popolari a dispetto di altre che non riuscivano né volevano cedere all'opinione comune?
 Quante volte ogni giorno sacrifichiamo un po' di noi stessi alle regole della società?
 E il messaggio rivoluzionario di questo romanzo, solo all'apparenza leggero, sta tutto nel finale. Che almeno io vorrei fosse il mio finale, sempre e comunque, ma che, sfortunatamente non lo è quasi mai.

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