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mercoledì 15 gennaio 2014

La sindrome del Titanic e la campagna #coglioneno. Critica alla discutibile "poverata" di Niccolò Contessa su Minima&Moralia: l'eccellenza esiste davvero? E la prima classe sa cosa succede nella terza?

Stavo per scrivere un post dedicato ai colleghi parte II (che arriverà comunque domani), quando mi sono imbattuta in questo intervento di Minima&Moralia, blog culturale che gravita attorno alla Minimum Fax.
"Su coglione no" di Niccolò Contessa (premetto che è indispensabile leggere l'articolo se volete capire il resto del mio diciamo vibrante intervento).
 La campagna, non essendo io precisamente una creativa (non mi sono mai tentata perché in Italia se vuoi fare il creativo devi tenere in conto di avere molto denaro alle spalle), l'ho seguita con la coda dell'occhio. Ho visto i video, li ho trovati carini, ben fatti, con una giusta dose di ironia e un'ovvia triste verità di fondo che in realtà non so se i creativi del video volessero vederci. Ossia che in Italia chi ha deciso una decina e più di anni fa di abbandonare gli studi per vari motivi e si è dedicato a lavori più terra terra, (penso a svariati compagni delle medie) ha adesso uno stipendio migliore del mio che con occhi sbrilluccicanti speravo e pensavo nell'università. In ogni caso non era nell'interesse dei creativi questa finezza sociale quindi è ovvio che non si rilevi.
 L'intervento nel blog della Minimum Fax è pieno di stereotipi. Ci sono i giovani creativi che invece di cercarsi lo studio sfigato a Tor Bella Monaca, vogliono subito il Pigneto, c'è una massa di cretini che invece di aspirare a fare Veline e Calciatori vogliono fare i "creativi" (credo che nel vasto mondo dei creativi sconvolti di mente possiamo inserire dai designer agli sceneggiatori, dai pittori ai grafici) perché nel loro sbarellamento internettiano si sono fatti fomentare da Instangram e qualche blog e di colpo si son ritenuti creativi. Non solo, pare che costoro rifiutino l'antica pratica dell'eccellenza, quella in cui pur se siamo tutti bravi, oh, alla fine qualcuno è più bravo degli altri. Nel finale scopriamo anche che alla mia generazione manca la spinta politica.
 Allora, io sono convinta di una grande cosa. Tutti scrivono, in qualsiasi campo, di ciò che conoscono veramente. Quando escono dal proprio seminato la cosa diventa lampante come un faro nella notte. Leggendo questo intervento mi sono chiesta? Ma chi cavolo l'ha scritto? Leggo: Niccolò Contessa. Chi cavolo è Niccolò Contessa? Il malvagio web reo di mettermi pessimi pensieri in testa me lo dice subito. Fa parte di un gruppo musicale "I cani" e un'intervista mi risponde anche sul suo background sociale: "E' borghese e non se ne vergogna. "Bisogna togliersi l'idea che - siccome De André cantava di assassini poveracci e mignotte - in Italia si debba raccontare solo di assassini poveracci e mignotte. Io racconto le storie della classe media. Quella di un paese che continua a votare in massa un imprenditore ricco. Quindi non mi sembra ci sia tanto il mito del povero." (Fonte: XL Repubblica).
Alle parole "mito del povero" mi si è spalancato un mondo. Ho visto Crozza sotto le vesti di Montezemolo corrermi incontro gridandomi "Giulia Sofiaaaaaaaa facciamo una poverata!!".
 Ecco cos'è quest'intervento: una poverata. Un viaggio in un mondo di cui un "borghese" non sa niente.
 Qualche anno fa, dopo aver vinto un premio letterario, andai ad un seminario a cui interveniva anche un importante direttore editoriale. Durante una pausa presi coraggio e gli chiesi se ci fosse la possibilità di fare uno stage nella sua casa editrice, o almeno, cosa dovessi fare per tentare l'impresa.
 Lui, molto gentilmente, mi disse che tutti i loro stagisti glieli passavano dei supermegamaster, poi se qualcuno era bravo proponevano collaborazioni. Davanti al mio sconcerto, aggiunse, "Non sto dicendo che sia giusto. Io dico solo che per noi funziona così." 
Nel suo certo qual scollamento
dalla realtà, almeno Severgnini
non dice siam tutti dei cretini.
Vi dilettate mai con la lettura dei casi umani all'estero di Severgnini? A me lui come giornalista sta tanto simpatico, ma quando mi propone le sue fantomatiche storie di ggggiovani all'estero che ce l'hanno fatta, mi cadono le braccia. Tutti sono all'estero dopo megamaster in qualche privata (Bocconi e Luiss le più gettonate), tutti all'estero ci sono andati con un aereo e una casa per starci l'hanno affittata. Ma con i soldi di chi hanno fatto tutto questo? Di una famiglia che li sosteneva. Le sue arringhe su: ragazzi andate, fate, muovete (indimenticabile l'invito a fare l'università fuori sede che bisogna staccarsi dalla famiglia), non includono mai i tanti che magari non solo non possono permetterselo, ma per di più devono aiutare le famiglie di origine.
 L'eccellenza millantata da Contessa in Italia non esiste e volendo è proprio questo il problema di fondo di #coglioneno. Ci può essere eccellenza vera se tutti partiamo dalle stesse possibilità. Un ragazzo, bravo a scuola, che si sforza di fare l'università, lavorando per aiutare la famiglia o per non gravare, che quindi non può concedersi Erasmus, stage gratuiti e costosi Master, ha le stesse possibilità di un suo coetaneo meno bravo, ma benestante?
 Non sto parlando di gap sociali rilevanti tipo l'industriale e il povero, parlo del figlio unico di una coppia medio borghese e il primo figlio di tre di una piccolo borghese. Sono cose che le borse di studio che in Italia sono ridicole, arrivano dopo mesi e vengono continuamente tagliate non possono sempre colmare.
 Certo, qualcuno ce la fa. Talvolta il genio (più che altro scientifico) senza grandi possibilità splende comunque. Ma l'eccezione non può essere presa come prova dell'eccellenza, perché l'eccezione, brilla in mezzo a tanti eccellenti "non veri". Il mio non è un vaneggiamento dovuto a un qualche livore (ma quando vedi dei compagni di università che fuori corso, con la media più bassa della tua, ma un master da 24.000 euro fanno lavori immensamente migliori del tuo un po' di mal di stomaco ti viene), c'è fior fior di saggistica, abbastanza ignorata al riguardo. Come "Le trappole della meritrocrazia" di Carlo Barone o "La fine dell'uguaglianza" di Vittorio Emanuele Parsi che analizza l'interessante e, secondo me, sottovalutato nesso dell' "invidia sociale". L'antipolitica, i forconi, i forcaioli, il grillinismo, tutto questo astio, che per ora è verso la casta politica è in realtà la premessa per un odio sociale più vasto, verso un mondo in cui "l'eccellenza" non esiste davvero. E' eccellente chi se lo può permettere, chi può aspettare di diventarlo, chi può comprarsi titoli di studio sempre più elevati all'estero, chi non viene da un contesto sociale disagiato. Lo studio non è più (o quasi) un vero ascensore sociale.
 Contessa peraltro dice che la campagna è paradossalmente di destra perché non propone un cambiamento, ma pretende solo un lieve cambiamento dello status quo. Non vuole che si abbatta il capitalismo diciamo, ma che pure i creativi possano avere del denaro per il loro lavoro. In verità io continuo a vedere nei tre video una provocazione (magari interessata perché appunto i famosi creativi avranno avuto la famosa visibilità) e non un'arringa politica, anche perché, se lo avessero fatto avrebbero potuto trovare una facile sponda citando l'art. 36 della costituzione "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa."
 In più aggiunge vede nella nostra generazione di "creativi" (la mia e la sua, i quasi o appena trentenni) "Un totale disinteresse al discorso politico, a una qualsiasi forma d'intervento o anche solo di dibattito collettivo".
 Allora, questo è quello che io chiamo "Sindrome del Titanic". Non nel senso che stiamo affondando, ma per la divisione in classi di viaggio. Avete presente il film, quando Leonardo di Caprio, dalla terza classe va a fare il damerino in prima e viceversa Kate Winslet va a tracannare rum in terza? Sembra che viaggino su due navi diverse, eppure sono la stessa identica nave. Leonardo non si stupisce più di tanto nel vedere lustrini e pizzi, mentre lei al cospetto di persone stipate in mezzo ai tubi, sporche all'inverosimile cade dal pero. Ma davvero siamo tutti sulla stessa nave?
 A me sembra che Contessa sia in una classe diversa dalla mia. Io vedo tutti i giorni miei coetanei (di cui molti creativi, anche perché ho amici raccolti in un percorso di tipo umanistico e non scientifico) che si affannano in discorsi politici collettivi, fanno parte di partiti, circoli, associazioni, centri sociali, di organizzazioni per la salvaguardia di qualcosa, Libera, Emergency ecc. Quasi tutti cercano disperatamente di unirsi per qualcosa di migliore. E' vero, non c'è la massa, ci sono tante piccole masse che ancora non riescono a fare rete perché manca un grande collante collettivo, ma non perché si sia individualisti.
 Ma magari non siamo individualisti solo in terza classe e io ignoro cosa succede di sopra. E di sicuro non so cosa succede di sotto, perché io di sicuro vengo vista da altri come una privilegiata. Ci sono tante classi (anche di creativi) sotto di noi, è bene ricordarselo quando si cerca di muovere una critica sociale a tutta la barca.

23 commenti:

  1. Premesso che Contessa o lo si ama o lo si odia, e che è uno che non conosce mezze misure (infatti de I Cani mi piacciono molti i testi, che per certi versi ironizzano su quelli che sono i fan della stessa band, ma trovo insopportabili musica e arrangimenti), condivido quasi tutta la tua critica, ma una cosa sostanzialmente corretta la dice: "[i video della campagna] concepiscono l’intervento collettivo unicamente come somma di interventi individuali". Ecco, questo passaggio l'ho trovato verissimo. Perchè alla fine, posto che lo status quo è quello che dice lui (domanda superata dall'offerta, mercato in mano al compratore), uno si indigna, si incazza, linka il video ma un secondo dopo sta esattamente come prima: e cioè che nessuno gli offre un posto di lavoro fisso e ben retribuito per fare il creativo. E guardacaso, gli unici che conosco che ce l'hanno - almeno in campo "artistico" - sono proprio quelli che considero "eccellenti" (e uno di questi, guarda un po', è emigrato addirittura in Giappone - anche se più per passione personale che non per fuggire da Colleferro). Ora, il problema dov'è? L'esempio che sto per fare, purtroppo, avvalora l'analisi del borghese di prima classe di cui sopra.
    Con la mia band ci siamo detti "ok, è tempo di fare le magliette nuove, ci serve una grafica nuova". Questo significa spargere la voce che cerchiamo un grafico, con determinate caratteristiche e conoscenze (l'immaginario del rock 'n' roll è esattamente una specializzazione, molto di nicchia), e specificare che paghiamo sennò quelli bravi, giustamente, si pensano che una band squattrinata bene che vada ti regala un cd. Ovviamente, il mio pensiero è corso ai tre eccellenti di cui parlavo, ma a quel punto mi sono fatto una domanda: quanto cazzo mi costano? Quello andato in Giappone mi ha chiesto 400 euro (specificando che li vuole in prodotti alimentari italiani: ha nostalgia di porchetta e romanella, il ragazzo!), una cifra parecchio fuori budget per noi. E' vero che è il primo a cui mi sono rivolto perchè, per me, è semplicemente perfetto sia per capacità grafiche, sia per la specializzazione. Ma, giustamente, mi fa pagare la sua eccellenza. E non mi va di chiedere il prezzo 'da amico'. Per cui dovrò scandagliare bene tutte le conoscenze, tutti i portfolio, e sperare di beccarne uno meno bravo - ergo meno costoso - ma con la perfetta specializzazione. E pagarlo di meno, possibilmente trovando il modo di commissionargli meno lavoro (magari facendogli adattare un lavoro che ha già fatto, cosa che ci è capitata con la grafica delle prime magliette: in quel caso ce la cavammo con 50 euro e il risultato fu una gran figata).
    Questo per dire cosa? Beh, semplicemente, che non se ne esce. E che, seriamente, per fare il creativo oggi ci vuole il culo parato (che sia un posto fisso ottenuto grazie all'eccellenza, il partner che lavora alla banca d'italia, ecc.), c'è poco da fare.

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    1. condivido quasi tutta la tua critica, ma una cosa sostanzialmente corretta la dice: "[i video della campagna] concepiscono l’intervento collettivo unicamente come somma di interventi individuali"

      Quoto il blog-friend impossiball: anche io condivido le critiche che muovi al clima di 'poverata' dell'intervento di Contessa, però in una cosa imho ci ha preso: siamo tutti consapevoli che il mondo fa schifo, che il sistema non funziona, che così com'è non si vive e, a parte i ricconi, tutti gli altri son stritolati, ma... non c'è un vero sentimento collettivo, diffuso, "politico" che contro le storture del sistema si debba lottare con le unghie e coi denti tutti insieme, invece che accettarlo pianamente riducendo la lotta al video cool da condividere sui social (per quanto bellino il video sia).

      Lo so che ci sono persone impegnate anche nelle nostre generazioni (io ho una manciata d'anni più che 30), ma, come dici anche tu, manca la rete, manca una visione d'insieme, una coscienza di massa, un non-so-che che trasformi gli individualismi in qualcosa di globale che diventi davvero un'opposizione concreta e reale al sistema, e non solo un velleitario parlarsi addosso.
      Manca forse l'ingenuità, la convinzione profonda che il mondo si possa cambiare e il sistema modificare. A nostro modo forse siamo generazioni disilluse (di sicuro molto più di quelli che nel '68 si ricoprivano di fiori e si disfacevano di LSD. Io sono sempre stata molto critica verso la mitizzazione di quegli anni, però un'impressione l'ho sempre avuta: che loro, tanti di loro, almeno ci credessero, nelle loro ingenuità. Noi? Sappiamo almeno cos'è, l'ingenuità?)

      Dopodiché è vero che il nostro mondo sottoposto al sistema invivibile sta sobbollendo. E sobbolle, sobbolle. L'impressione che prima o poi il coperchio salterà ce l'ho anche io. Bisogna però vedere fin dove potranno condurci, prima di convincerci a farlo saltare. Se devo guardare a che cavolo ci siamo sciroppati negli ultimi 20 anni rimanendo sempre zitti e mosca, senza dare scrolloni di sorta, ho idea che il tempo del bollore durerà ancora a lungo, purtroppo... :-\

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    2. @impossiball (di cui, anche in privato su fb voglio sapere il nome del tuo gruppo!!), sulla questione della mancanza di rete e individualismo politico hai ragione. E' non un punto dolente, è IL punto dolente, che se tu divide tu imperat lo sapevano anche i romani e per loro ha più o meno sempre funzionato benissimo. Il punto però è che Contessa attribuisce tale psicodramma ai creativi, tirandosi peraltro fuori dalla categoria in modo sorprendente. Di lui creativo, incapace di far rete o di concepire una forma di attivismo complessivo, non parla (ma forse perché non ha bisogno di mandare catene di sant'antonio su linkedin come i mitici poveri, lui a Testaccio ci abita già e già eccelle) e se vuoi fare l'intellettuale senza manco metterti in gioco c'è proprio una falla nel ragionamento. Secondo me l'intento dei tizi di #coglioneno era un po' gettare il sasso in uno stagno, non avevano idee più ampie. Del resto in che modo avrebbero potuto metterle in pratica? Niente finora è riuscito a compattare il frammentatissimo mondo della mia generazione e neanche io, con tutti i miei buoni propositi, riesco a immaginare cosa potrebbe. Davvero, fatico a capire se manca un leader storico, un pensiero fondante storico, un collante storico. Io non credo sia solo individualismo, ma una serie di inquietanti contingenze a cui però, condivido in pieno, ci abbandoniamo come se opporsi fosse impossibile. Io ho sempre avuto una mia teoria al riguardo che risiede nei maligni anni '80. C'è stato un salto generazionale che ha creato una sorta di buco nella continuità politica. Non c'è nessuno a insegnare e raccordare e pure fustigare, si è perso tanto tempo fondamentale. Ho più fiducia (triste fiducia) che tutte le esperienze politiche scollate di adesso, possano essere un modo per incollare tra loro quelli che verranno dopo di noi. Ma è una mia teoria ovviamente.

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  2. Il punto in cui molti di noi si ritrovano abbastanza trasversalmente è che appunto avendo studiato si ritrovano vecchi su un mercato del lavoro che ci vorrebbe in eterna età di apprendistato per costare meno al datore di lavoro, se non addirittura niente.
    Purtroppo questa realtà, eterna piaga categorie professionali a più lungo decorso (medicina, avvocatura, architettura) si sta pian piano contagiando a tutte le altre, non esclusi i lavori subordinati.
    Un esempio? i nuovi contratti di tirocinio formativo che da alcuni datori di lavoro sfruttano al limite del criminale per assumere personale (giovane e prestante) con tutti gli oneri per il lavoratore di un contratto a tempo determinato, ma pagandolo come un tirocinio, senza ferie, senza malattia, senza permessi e a metà del salario. E non per fare il veterinario, ma il commesso o il barista. (!)
    Ora dunque, a parer mio tante belle parole sull'eccellenza servono solo a spruzzare deodorante ideologico sulla coprologica giungla del mondo del lavoro, dove ai piani bassi è una gara ad azzerbinarsi di più (se si hanno appunto le spalle coperte) per sperare di raccogliere qualche briciola, mentre qualcun altro ingrassa sopra le teste altrui col beneplacito del controllore.
    La campagna l'ho trovata simpatica e cavalca un grande leit motiv di tanti liberi professionisti: perché i clienti ricorrono ai nostri servizi e si scandalizzano per una parcella di 500 euro (di cui la metà sfuma subito tra tasse, previdenza sociale e spese vive) per magari un mese di lavoro, quando gli stessi pagano senza fiatare la chiamata dell'idraulico, o il dentista? o si concedono di cambiare macchina e cellulare più spesso di un commesso viaggiatore? Mentre dal canto loro i pagamenti per il loro lavoro lo esigono, puntuale e possibilmente con le dovute maggiorazioni del caso?
    Facendo per un attimo una livorosa generalizzazione, c'è qualcosa di profondamente sbagliato nella concezione (tutta italiana peraltro) del lavoro altrui, che non sarebbe sufficiente una nuova costituzione intera per sradicare.

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    1. "perché i clienti ricorrono ai nostri servizi e si scandalizzano per una parcella di 500 euro (di cui la metà sfuma subito tra tasse, previdenza sociale e spese vive) per magari un mese di lavoro, quando gli stessi pagano senza fiatare la chiamata dell'idraulico, o il dentista?"

      Guarda, ti rispondo con le parole di Gianluca Diegoli: "Il problema è sempre di domanda, offerta e forza contrattuale. L'idraulico risolve un problema urgente, immediato, tangibile, di cui tu non sai nulla. Il creativo o il freelance risolve un problema che non è urgente, immateriale e su cui tutti dicono la loro."

      (poi non è che creda che sia giusto, ma se guardiamo la situazione attuale è così)

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    2. Secondo me non è così facile. Non è che tutti quelli che vogliono fare o si dicono creativi siano veramente tali. Nel senso che se il mercato non fosse craccato, avresti ragione tu con la storia della domanda e dell'offerta. Ma il mercato di una cosa immateriale come la creatività è molto malato. Ci sono tanti di quei canali preferenziali, di imbucamenti, stage che hai solo con master carissimi, conoscenze pregresse di madri, padri, fratelli ecc. per cui l'eccellenza non viene davvero fuori e il mercato non è davvero aperto. Non so se ti ricordi la querelle sulla figlia di Ichino assunta a 24 anni (o giù di lì) in Mondadori. Una povera precaria dell'editoria di 36 anni disse: "Forse è successo perché è la figlia di Ichino" e ci fu una levata di scudi (a cui partecipò anche Citati) in cui tutti dissero "Ma no è eccellente, bravissima preparatissima". Tutti evitarono accuratamente di cogliere il punto: "Ok, è bravissima, ma te ne saresti accorto pure se non fosse stata la figlia di?".
      Per lavori immateriali è fondamentale che il mercato sia pulito, altrimenti per me 'sta storia della domanda e dell'offerta è solo una grande cavolata. L'offerta per alcuni c'è sempre, per altri mai. E allora che mercato è? E' truccato.

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    3. Che la domanda sia largamente inferiore all'offerta a me sembra talmente evidente che non c'è proprio da discutere. Detto questo, nel mercato del lavoro odierno le segnalazioni (ho detto segnalazioni, non raccomandazioni) sono il principale canale di ingresso, c'è poco da fare. E non è mica sbagliato: io azienda preferisco prendere una persona fidata, o perchè la conosco direttamente o perchè mi viene raccomandata da qualcuno fidato. Per cui la figlia di Ichino magari è brava davvero, ma siccome è la "figlia di" uno subito pensa alla raccomandazione, quando magari si tratta appunto di una segnalazione.
      Per cui, secondo me, nel mercato del lavoro odierno una buona rete di contatti e una buona reputazione (online e offline) sono assolutamente indispensabili.

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    4. Non so impossiball, ma secondo me il denaro non è un buon modo per scremare l'eccellenza. Chi fa la Bocconi sa che ancor prima di terminare avrà millanta ottimi stage a cui attingere, chi fa La Sapienza non ce li avrà mai e non perché necessariamente la prima sia migliore della seconda. Dal mio punto di vista, forse non riesco a spiegarmi, ma un conto è farsi una rete di conoscenze proprie, un conto è avere la spinta decisiva per entrare in taluni posti. Se avessi i soldi necessari, farei immediatamente uno di questi megamaster, non perché penso di imparare qualcosa, ma perché so che verrei imbucata da qualche parte. E' così che si seleziona l'eccellenza?

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    5. Ti giro la domanda: le cose oggi girano così, come si fa a cambiarle? Chi avrebbe interesse a farlo?

      Ecco.

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    6. Allora, io personalmente la vedo in questo modo (giusto o sbagliato che sia) per pura esperienza personale.
      Non sono un creativo in senso stretto, mi occupo di informatica, ma sono un libero professionista, quindi magari quello che scrivo vale solo in parte.
      Con 2 soci ho provato a far partire una start-up quasi 15 anni fa e, complice la prima crisi, complice un grosso cliente che è fallito e non ci ha pagato, ho ripiegato verso la consulenza pura.
      Prima di trovare il primo incarico (malpagato) ci sono voluti 6 mesi buoni di incontri quasi quotidiani; ero arrivato davvero quasi a zero con il conto in banca.
      Dopo aver lavorato per 3 anni buoni come uno schiavo (seriamente, mai meno di 10 ore al giorno, spesso fine settimana compresi) per compensi risibili, ho deciso che non ne valeva la pena e ho iniziato a rifiutare incarichi.
      Ovviamente il mio reddito sul breve termine è diminuito e ho dovuto tirare la cinghia per un po'; però, vuoi per fortuna, vuoi perché avevo il tempo e la voglia di scremare i lavori rifiutando quelli sottocosto, ho potuto trovare le risorse per svolgere solo i lavori che venivano pagati correttamente.
      Questo cambio di atteggiamento ha portato i clienti che prima mi chiamavano per lavori malpagati a contattarmi solo per lavori di profilo più alto, perché mentre prima mi percepivano come una figura da chiamare in caso di bassa manovalanza, da quando ho iniziato a rifiutare di occuparmi della bassa manovalanza si sono resi conto che ero in grado di fare anche altro.
      E quelli che mi dicevano "ma mio nipote/cugino/amico me lo fa per 50euro!" ottenevano sempre la stessa risposta: "accidenti! 50euro è un prezzo imbattibile! le consiglio di rivolgersi a suo nipote/cugino/amico" (è un mercato molto inflazionato anche quello dell'informatica)
      Ripeto, non so quanto questo si possa applicare al discorso, ma credo che parte essenziale del gioco della domanda e dell'offerta sia scegliere a quali domande si applica la nostra offerta.
      Ho sgobbato parecchio per creare il mio portfolio e potermi fare delle buone referenze, però alla fine ha funzionato.
      E se spiace dover ripiegare (l'ho fatto anch'io, fare il consulente non è così divertente come creare il proprio business) credo che si debba ingoiare il rospo.
      In tutti i mercati c'è qualcosa di craccato, anche in quelli che si occupano di beni materiali: pensi che gli appalti si vincano sempre in modo pulito?

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    7. Bluzer grazie per l'intervento (da cui tra le altre cose deduco che il numero di informatici che legge questo blog continua a crescere ;) ), è una buona fotografia e anche un buon modo per proprorre una forma di resistenza. Uno dei commenti sul blog di minima&moralia, faceva notare che se tutta questa gente lavora gratis, il problema non è la mancanza di offerta (altrimenti non lavorerebbero), ma tutto il mercato che si fonda su basi insensate. Sugli appalti in realtà entra in gioco la corruzione e per quanto secondo me, accettando raccomandati o solo stagisti da certe università in qualche modo corrompi il mercato, non è proprio la stessa cosa.
      Grazie davvero! :)

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    8. Prego :-)
      Concordo che il paragone con gli appalti è esagerato e che entrano in gioco altre logiche, era solo un modo per esemplificare velocemente il fatto che non è solo il mercato immateriale ad essere craccato.

      Vorrei comunque portare alla luce che esistono anche aziende che offrono esempi positivi e ho avuto la fortuna di lavorare per una di esse per un certo periodo.
      In questa azienda venivano presi regolarmente stagisti neolaureati con contratti di 6 mesi e rimborsi spese di 800euro al mese.
      In media 1 stagista su 3 veniva assunto in via definitiva dopo i 6 mesi.
      Considerato che questa azienda è una multinazionale con logiche piuttosto complesse e che di solito ai nuovi assunti ci vuole un anno per essere ragionevolmente autonomi, direi che uno stage retribuito di 6 mesi è una buona opportunità.
      Magari è un caso raro e forse di nuovo si applica al mercato dei creativi in modo marginale, ma è solo per far sapere che non sono tutti cattivi :-)

      PS: grazie a te! le tue segnalazioni sui libri sono prezione e il modo in cui le introduci tramite i fili conduttori dei singoli posti è affascinate; sei un appuntamento quotidiano irrinunciabile.

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  3. Mi ricollego al commento qui sopra di blunzer e poi rispodo alla gggiovane libbbraia. Il problema è centrato in pieno quando si dice: "L'idraulico risolve un problema urgente, immediato, tangibile, di cui tu non sai nulla. Il creativo o il freelance risolve un problema che non è urgente, immateriale e su cui tutti dicono la loro".
    Potrei allargare il discorso dicendo che, in molti casi (specie nel campo dello spettacolo) il creativo/artista ha l'utilità di un asciugatore di scogli. Se andate in un pub per bere una birra e c'è anche la musica dal vivo, a voi cambia qualcosa? No, a meno che non siate andati apposta a vedere quella band.
    Questo significa che finchè non vivremo in un mondo in cui la domanda di creativi supera l'offerta (e le marmotte incartano la cioccolata), la situazione rimarrà quella attuale. Perchè? Perchè se a me serve un creativo, ma il creativo mi costa troppo rispetto al mio budget, io prendo in considerazione l'ipotesi di farne a meno. Ad esempio, per la mia band la grafica la curo io: non sono bravo, so usare photoshop il minimo indispensabile, ma so cosa voglio (il creativo non è detto che sia in grado di capirlo) e costo zero. Mi basta? Nel mio caso sì. Ovviamente c'è un sacco di gente che invece non può fare da sè, ma chiaramente è sufficiente il fatto che parecchia gente o fa da sè o non fa proprio, ed ecco che la già bassa domanda di creativi si contrae ulteriormente.
    E vediamo alle considerazioni, ehm, "politiche". Premesso che Contessa dice quello che dice perchè lui è uno di quelli che, almeno attualmente, con la creatività ci campa (quindi grazie ar cazzo che fa il saccente), condivido in toto l'idea che "l'intento dei tizi di #coglioneno era un po' gettare il sasso in uno stagno, non avevano idee più ampie. Del resto in che modo avrebbero potuto metterle in pratica?". Quando sento frasi come "dobbiamo essere tutti uniti per combattere questo sistema" o "il problema sono quelli che lavorano gratis", ecco, mi viene il sangue agli occhi. Non è così, cari miei, è semplicemente che il mercato va come va e voi siete TROPPI. E troverai sempre quello che ti dice "si, hai ragione, dovremmo unirci tutti" e intanto sta lavorando gratis in cambio di visibilità.
    Il problema è che manca una sorta di "guida culturale" in questo paese. Lo sodganamento totale del "tutti possono fare tutto" ha portato al risultato che non esistono più linee guida "calate dall'alto" come avveniva 30-40 anni fa. E' un bene, è un male? Mah, secondo me è un male, tutto sommato. Tra il Grande Fratello che ti insegna che chiunque, da zero ed essendo zero, può diventare qualcuno, e Grillo che ti dice che chiunque, da zero e sapendo zero, può ritrovarsi in parlamento a decidere di cose per cui invece serve una approfondita conoscenza (questa non è una critica a Grillo e al M5S, ma un effetto collaterale, ok?), beh, è chiaro che chi ci rimette sono la cultura e la professionalità.
    In conclusione, però, non penso che salterà la baracca. Siamo un popolo che intende il concetto di rivoluzione come condivisione di un post su facebook, figuramoci se ci ribelliamo davvero. Finiremo per abituarci allo status quo attuale, magari aiutati da una ripresina e via, in una lenta ma continua discesa verso il "peggio possibile"

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  4. Mi sbaglierò, ma con il passare del tempo mi sonio reso conto che la fame, talvolta, può essere una benedizione. Me ne accorgo quando vedo i figli di papà: avranno avuto più possibilità ma non hanno (almeno non tutti) coraggio e quella benedetta ''fame'' che ti spinge ad andare oltre il limite, perché devi farcela, non hai altre chance. Quella fame la vede anche il capo, se è il vero capo e non un dipendente che comanda, e probabilmente anche lui se ce l'ha fatta è stato grazie a quel fuoco che bruciava dentro.
    Io la vedo così, anche per esperienza personale.

    P.S
    Molti di quei figli di papà di cui si parla arrivano ai 50anni senza una lira, appena i genitori passano a miglior vita, spendono e spandono fino a rimanere con le pezze al culo

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    1. Deduco che non stai parlando della fame vera. Comunque c'è anche tante gente che alla fame vera soccombe ripiegando alla grandissima. Direi anzi che è la larga parte. L'idea che forse un giorno lontano balleremo sulla tomba lavorativa dei figli di papà non è di grande aiuto devo dire.

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    2. Non sarà di grande aiuto, ma rimane una bella idea :D

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  5. Io avevo visto solo un video di #coglioneno. L'avevo letto in modo diverso: avevo solo visto quanto un lavoro intellettuale, del settore terziario, venga considerato un non-lavoro e quelle frasi me le sono sentite dire spesso. Non solo quando ho scritto qualcosa per qualcuno, ma anche quando mi hanno chiesto di tenere un corso di fotografia per bambini: "lo fai gratis la prima volta".
    Poi diventa anche la seconda, la terza... per cui non sono d'accordo con Contessa: non lo farei nemmeno per un breve periodo.
    Quanto al discorso che sono i soldi alla fine che ti permettono un certo percorso è vero: lo scriveva anche Virginia Woolf in "Una stanza tutta per sé", quando cita le parole di Sir Arthur Quiller-Couch: "Quali sono i nomi dei grandi poeti degli ultimi cento anni o giù di lì? Coleridge, Wordsworth, Byron, Shelley, Landor, Keats, Tennyson, Browning, Arnold, Morris, Rossetti, Swinburne - e possiamo fermarci qui. Fra questi, tutti eccetto Keats, Browning e Rossetti, avevano frequentato l'università; e di questi tre, Keats, che morì giovane, stroncato nel fiore degli anni, era il solo che non fosse abbastanza ricco. Può sembrare un'affermazione brutale ed è certo una cosa triste a dirsi, ma a giudicare dai fatti, la teoria secondo la quale il genio poetico fiorisce dove vuole e allo stesso modo fra i poveri e fra i ricchi, contiene ben poca verità.
    A dire il vero nove su dodici avevano studiato all'università, il che significa che in un modo o nell'altro si erano procurati i mezzi per ottenere la migliore istruzione che l'Inghilterra possa offrire. [...] Credetemi [...] possiamo continuare a blaterare di democrazia, ma di fatto in Inghilterra, un ragazzo povero, ha poca speranza in più di quanta ne aveva il figlio di uno schiavo della antica Atene di riuscire ad emanciparsi per raggiungere quella libertà intellettuale dalla quale nascono le grandi opere".
    A parte l'eccellenza, esistono tante vie di mezzo, a parte quelli che vorrebbero ma sono negati o non si applicano. Si vive bene anche riuscendo nel piccolo, con un'azienda o da autonomi, per sé stessi. Mica possiamo diventare tutti delle grandi firme, no?

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    1. No, certo, però non penso sia buona regola neanche arrendersi. Se una cosa non va bene, anche se cambiarla è (o pare) impossibile, bisogna continuare a indignarsi. Io (ma sarà anche il mio carattere lievemente irritabile!) non riesco a non continuare ad arrabbiarmi.

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  6. questo articolo è di una povertà infinita: il solo pensiero che dobbiamo avere tutti le stesse opportunità è un'idiozia, il resto vien da sè...poi che l'italia sià spregiudicata in questo non c'è nulla da obiettare ma poi alla fine non ci comportiamo anche tutti noi così, nel nostro piccolo? Viva la fame, e che sia da lupi! E tanti saluti alle favole..

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    1. Mi pare che il tuo intervento sia di un'infinita povertà umana. Cosa vorrebbe dire che avere tutti le stesse opportunità sarebbe un'idiozia? Grazie ai lupi che stanno affamati stanno foolish siamo in mezzo ad un'epica crisi economica. Io non sono una fricchettona della decrescita, ma della giustizia sociale sì.

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  7. Porto ulteriore acqua al mulino di chi sostiene che fare l'intellettuale/creativo oggi sia il modo migliore per non avere NESSUN lavoro domani e NESSUNA pensione dopodomani.

    http://www.biagioraucci.com/post/73924094019/lunica-ricompensa

    Buon fegato amaro.

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  8. Una lettura superficialissima dell'articolo, pur opinabile, di Contessa.

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  9. Una lettura superficialissima dell'articolo, pur opinabile, di Contessa.

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