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mercoledì 5 febbraio 2014

Due piccoli libri per piccoli tragitti per interpretare l'inquietante follia dei nostri tempi. "La quarta Italia" di Joseph Roth e "Noi sognavamo un mondo diverso" di Germano Nicolini. Quando la storia si ripete.

In certi momenti mi sembra di essere nata in tempi particolarmente tetri. 
Siamo sospesi in questa strana epoca in cui una buona parte di quelli che ci governano sono degli ignoranti e contemporaneamente rischiamo il linciaggio su fb se non abbiamo dissertato in modo filosoficamente abbastanza elevato. L'altro giorno ho scritto su fb un fuggevole commento sul fascismo di mezza riga e sono stata assalita: quello era tutto ciò che sapevo sul fascismo? Certo che no, ma che senso ha mettermi a scrivere un trattato su un social network discutendo con gente che manco conosco e mai conoscerò? E come controbattere a gente che scrive quanto sia giusto bruciare un libro perché il giornalista che lo ha scritto ha “tradito”? Perché ho sempre di più la penosa sensazione che stiamo scivolando nel caos più completo?
Per trovare tracce di interpretazione dei nostri tempi folli oltre all'inquietante realtà, cerco di affidarmi ai libri ed è per questo che oggi propongo questi due piccoli libri adatti a piccoli tragitti: “La quarta Italia” di Joseph Roth ed. Castelvecchi, e “Noi sognavamo un mondo diverso” ed. Imprimatur di Germano Nicolini.
Il primo è composto da una serie di articoli che lo scrittore tedesco scrisse alla fine degli anni '20 per il giornale "Frankfurter Zeitung" Frutto di un reportage nell'Italia fascista, Roth, che viaggiando aveva visto già vari mirabili esempi di dittatura, strabilia ironico e perplesso davanti alla pericolosa idiozia di quella italiana. Sin dal suo arrivo in stazione, costellato da giovani fascisti vestiti di tutto punto, fieri e visibilissimi nelle loro uniformi perfette e quasi cinematografiche, spie in borghese comprese (in Russia il regime vegliava oppressivo, ma nell'ombra) Roth ravvisa l'infantilismo di un popolo.
“Queste spie sembrano provare un piacere ingenuo per la loro vistosità. Il loro metodo non è sorveglianza, ma intimidazione. Si stenta a credere che così tante persone in Italia si lascino ingannare dai provocatori che con tutta la loro pericolosità mi appaiono infantili.”
Lo straniamento è tale che Roth fatica eppure deve trovare una congruenza tra quello che sembra un set del cinema eppure è la realtà.
“Non avevo l'impressione di essere accolto dal romanticismo trasparente di un film poliziesco bensì da una pericolosa dura inesorabilità. Mi rifiuto di pensare che queste pistolette possano sparare. Eppure possono sparare.”
Ciò che continua a colpirlo nei giorni seguenti è l'indottrinamento delle giovani generazioni, convinte senza alcun dubbio dei meriti e degli ideali della causa fascista, ragazzi altezzosi che si gridano saluti fascisti per strada, piccoli balilla ammaestrati come uccellini. Il duce è ovunque, visibile e pressante, nelle librerie, per le strade, sui giornali. Ed è alla censura giornalistica che Roth dedica l'articolo più interessante. Lo scrittore riteneva infatti che Mussolini avesse imposto pesanti sanzioni agli editori ancor prima che ai giornalisti e una censura estrema perché la stampa libera era di sincero ostacolo alla manipolazione nazionale.
Coloro che con Mussolini sono dell'opinione che in realtà oggigiorno non esista una stampa veramente “libera”, che tutti o la maggior parte dei giornali dei paesi democratici appartengono a gruppi d'interesse economico e non sono dunque in grado di rappresentare incorrottamente il bene dell'opinione pubblica nazionale. Tutti coloro che con Mussolini sono dell'opinione che con l'odierna dipendenza dei giornali controllati dal capitale, solo i giornalisti controllati dalle autorità e le penne condannate a non esercitare alcuna critica, sono chiamati a rappresentare l'opinione pubblica, tutti loro dovrebbero solamente pensare a quei giorni in cui a quella disprezzata stampa “non libera” “legata al capitale” era quasi riuscito di scatenare una vera tempesta popolare contro Mussolini. In confronto alla quale la famosa “marcia su Roma” sarebbe rimasta un gioco da soldatini di piombo. Tanta ribellione un giornale è pur sempre ancora in grado di provocarla.
Il libro è piccolino, ma illuminante. Non solo storicamente il punto di vista del viaggiatore straniero è stato incredibilmente efficace nell'isolare le falle nei sistemi altrui, ma in questo caso è un vero, lungimirante, ironico eppur adeguatamente lucido, genio che ci ha fatto l'onore di affrescare un accecamento nazionale.
Il secondo piccolo libro, si collega spiritualmente al primo. E' l'intervista a Germano Nicolini, il celebre comandante Diavolo della resistenza, appartenente alla generazione di giovani successiva a quella raccontata da Roth, quella finita dritta nel carnaio della II guerra mondiale e ne uscì adeguatamente temprata. Se personalmente mi metto a pensare a qualche modello di vita che ci aiuti a ritrovare una retta via in questo delirio, non riesco a trovare nessuno di più plausibile di quella generazione lì che fu ormai dei nostri nonni e bisnonni.
Ciò che colpisce di questa intervista non sono tanto le avventure partigiane (che comunque vengono raccontate per credo volontà dell'intervistatore, il giornalista Massimo Storchi solo in minima parte), ma il dopoguerra. Emergono i tratti validi, valorosi e fermi di un mondo che disgraziatamente non esiste più. Non una mitica età dell'oro, ma un posto dove il senso del dovere e l'umanità non erano solo isolati atti eroici.
Il comandante partigiano Diavolo, al secolo Germano Nicolini, infatti, nel dopoguerra venne accusato dell'uccisione di un prete durante l'attività partigiana. Nonostante si sapesse chi fossero i veri responsabili venne incarcerato per dieci anni. Il partito gli propose due volte una fuga sicura nell'est, ma lui rifiutò e in carcere studiò alacremente economia. Una volta uscito iniziò a lavorare in una cooperativa, 
“Iniziai dall'apprendistato perché non avevo esperienza, ma me la sono cavata piuttosto bene fino ad arrivare al direttore di CopItalia, ma ho sempre mantenuto il mio attaccamento all'ideale cooperativo: la partecipazione aziendale era fondamentale, bisognava inserire nel processo decisionale il parere dei dipendenti. Quando ci fu da rivedere il contratto nazionale mi alzavo all'alba per fare i lavori più umili della filiera, andavo nei magazzini di ortofrutta a vedere come si lavorava. Ero nella commissione nazionale che trattava il nuovo accordo, dovevo sapere di cosa stavo parlando. La cosa ovviamente non piaceva. Chiedevamo “Ma chi te lo fa fare?”. Ma dovevo farlo. Il ruolo di chi lavorava era per me fondamentale. Io facevo così e credo fosse giusto, ma erano altri tempi.”
Tempi che, per quel che ho visto, lavorativamente io ormai sono praticamente fantascienza, ma forse perché era il classico momento di cambiamento e rivolgimento totale dopo una grande devastazione. Con foga Nicolini dice che:
 “Un sogno ce l'avevamo! Cioè il sogno di un miglioramento della vita [...]Si chiedeva il miglioramento della vita, perché la mia libertà è tale nel momento in cui porta con sé la libertà degli altri. Io non mi posso sentire libero se gli altri non sono nella mia stessa condizione, pur con delle differenze. La meritocrazia è necessaria certo: serve qualcosa che spinga al miglioramento, per poter far bene, per andare oltre all'incentivo economico, una soddisfazione morale.”
E cosa vede nel presente un simile uomo del secolo?
Avevo già citato la lettera di Ulivi
nella sua versione integrale nel post sui
libri che più mi avevano fatto piangere.
“Oggi questa nostra democrazia, tutt'ora zoppa e incompiuta sta vivendo un vuoto di potere politico molto rischioso, come dimostrano segni intollerabili di nostalgia del fascismo. E' politicamente delittuoso far finta di non vedere [...] Nei miei tanti incontri coi ragazzi delle scuole non tralascio mai di ricordare il monito di un giovane martire della resistenza modenese, Giacomo Ulivi, studente diciannovenne fucilato dai fascisti nel novembre del 1944. Prima dell'esecuzione, nella sua lettera agli amici, scrive: “No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto ciò è successo perché non ne avete più voluto sapere.” Esortazione a coloro che ancora oggi non ne vogliono più sapere e, sfiduciati, si ritraggono dalla lotta per quel mondo diverso che noi resistenti sognavamo.”

Dopo aver letto questo secondo piccolo libro penso di aver trovato una risposta, per quanto triste, al mio dilemma sulla follia dei nostri tempi. Non c'è direzione né logica perché non esiste più nulla di collettivo per cui sognare. Non interessa a troppi che l'altro sia libero, che tutti siano nella stessa condizione, che tutti migliorino la propria vita. Si vuole solo scavare scavare scavare alla ricerca di qualcosa per sé, della colpa, dello scaricamento di responsabilità per poter gridare “La colpa è tua, il resto è mio. Ridammi i miei soldi, il potere che mi hai tolto, il tesoro che hai rubato.”
La domanda è: per farci cosa? Per costruire cosa? Per ottenere cosa?

Nicolini e gli altri sognavano un mondo diverso, io per ora rivedo solo apparire le metaforiche, ridicole, poliziesche, infantili pistolette che facevano tanto sorridere eppur terrorizzavano Roth.

5 commenti:

  1. E' un tema che in questi giorni credo stia travolgendo tutti... direi che cade a fagiolo questo post di Wu Ming:

    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=15987

    Grazie per i suggerimenti, ora più che mai mi pare utile rinfrescare la memoria.
    Io sto leggendo questo:

    http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/2012/9-marzo-2012/ribelli-partigiani-che-raccontano-2003620467474.shtml

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    1. LaPi scusa se rispondo solo ora! Il libro che suggerisci non lo conosco, lo cercherò! Nel frattanto ti consiglio "La resistenza taciuta" e per il 25 Aprile un post sulle partigiane donne non ce lo toglie nessuno!

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  2. Ti seguo da diverso tempo ed è la prima volta che commento: ti ringrazio per i due suggerimenti, che trattano un aspetto di un periodo storico quale la II Guerra Mondiale che a me interessa molto. Ho già diversi libri, ma questi non li conoscevo. Ho rimediato subito, in quanto ho già comprato quello di Nicolini. Lo trovo interessante e decisamente attuale.

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    1. Sono contenta ti sia piaciuto! Oltretutto i libri come quelli di Nicolini sono secondo me molto interessanti per controbattere a tono ai grande revisionisti dei giorni nostri.

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    2. Ciao! Insieme al libro di Nicolini, ho comprato "Senza tregua" di Giovanni Pesce, ed. Feltrinelli sullo stesso argomento, libro più corposo rispetto al libro ma sempre autobiografico.
      E in libreria sta attendendo di essere riletto "Le donne nel regime fascista" di De Grazia Victoria ed. Marsilio, che a suo tempo usai per la tesi di laurea.

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