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giovedì 17 aprile 2014

Basta leggere un libro per essere colti? Secondo i dati Ocse siam capre sia in Literacy che in Numeracy, cosa dovrebbe insegnarci questo? Che forse la cultura orale è fuori moda ormai da un pezzo. Almeno secondo me.

Stavo per scrivere un dilettevole post su un piccolo libro su un piccolo tragitto sulla casata degli Svevi (tanto ne scriverò domani), quando ho letto questo interessante articolo di Wired dal titolo  "Sicuri che leggere libri significhi essere colti?".
Mi sono anche chiesta: ma le nozioni scientifiche come
ci sono arrivate secondo costei? Oralmente?
Ohibò, mi son detta, ovviamente no, altrimenti questo blog, che si basa sul delirio culturale degli italiani visto dalla misera prospettiva di una misera libraia in erba non avrebbe senso. Peraltro è un argomento su cui rifletto spesso e pensate, da mesi, cercando di trovarci una risposta sensata.
 Mi perdo in pensieri sulla cultura alta e sulla cultura bassa, sul fatto che leggere "Bella Belèn" magari non è il top, ma mette un libro in mano a qualcuno, faccio digressioni storiche di senso compiuto sforzandomi di pensare che nella storia una delle spinte maggiori alla lettura da parte della popolazione analfabeta era il desiderio non tanto di acculturarsi quanto di imparare a leggere autonomamente un solo libro: la Bibbia (non a caso il libro più stampato e venduto della storia, il primo che Gutenberg pace all'anima sua ha messo sotto torchio ecc ecc).
 Ogni volta che metto mano al pc non mi sento all'altezza di sviscerare i motivi che spingono una persona a leggere e se davvero decriptare delle frasi da un tomo (parlo di tomi perché come mi sforzo di dire ogni volta se uno non legge un libro di carta figurati se ha l'e-reader) possa migliorare in qualche modo la sua intelligenza. Penso agli intellettuali fascisti e nazisti la cui intelligenza non ha impedito loro di farsi complici di un regime, penso ad autori leggendari e capaci dalle idee dubbie, insomma penso un sacco di cose.
 Poi leggo il tipico italico articolo che meriterebbe di stare su un blog privato e non sul giornale che si vanta di essere più all'avanguardia in Italia: "Wired".
 L'articolo possiede tutte le più grandi qualità della chiacchierata da bar:

1) L'attacco che misconosce la possibilità di una mediazione tra le parti. 
2) La peggiore approssimazione sostenuta da qualche statistica messa lì senza un vero perché.

 Ma andiamo con ordine. L'articolo non corrisponde in alcun modo al suo titolo. 
 L'autrice non si chiede veramente se leggere libri significhi essere colti, ma ci sciorina una serie di esperienze tutte personali sul fatto che lei legge voracemente eppure non sa fare una marea di cose e misconosce interi campi del sapere. A questo punto la risposta alla sua domanda se l'è data da sola: è' ovvio che non basta leggere per essere colti, bisogna capire cos'è che leggi e con quali intenti. Se mi comunichi che in una settimana divori due romanzi e un saggio, ma non sai niente di chimica, mi domando: a) Quanto tempo hai? b) Che saggi leggi? Sempre gli stessi? Perché se sei conscia delle tue lacune non tenti altro?
Conoscete il fantastico fumetto "Lovelace e
Babbage?" La nostra cara Ada, prima
programmatrice della storia, era figlia di lord Byron.
La madre, per farle passare ogni voglia di poesia,
la crebbe guidandola verso le materie scientifiche.
Che, come notate, si apprendono anche da un libro.
Incredibile eh.
 La curiosità è la base del sapere, senza puoi divorare tutti i libri che ti pare e magari ammassare delle nozioni, ma già a metterle in correlazione potresti fare fatica.
Io non sono mai stata attratta eccessivamente dalle materie scientifiche (esclusa non si sa perchè la chimica), non sono brava a fare i calcoli, ma sono sempre stata curiosa.
 Un vero lettore non considera, come lei scrive, un non lettore (che mette allo stesso livello, non si sa perché del non compratore di libri come se le biblioteche e il prestito in generale non esistessero) un minus habens. Ci sono molti lettori forti che rimangono stolidi come delle mummie (mi pare che questo articolo ne sia un esempio più che perfetto), che leggono in modo disordinato, senza una vera curiosità, pensando che la massa faccia più della qualità. Magari sanno tutto dei Sumeri e ignorano completamente cos'è un neurone a specchio.
 Ciò che rende una persona se non altro propensa ad essere colta non è leggere o meno, ma essere curiosi o meno. La lettura è solo un mezzo, secondo me il mezzo più potente per molti, per soddisfare e incrementare questa curiosità. Se ti manca  allora puoi pure compilare la lista di tomi letti più lunga del secolo, ma rimarrà solo quello che è, ossia, una lista.
 Quando si arriva al fatidico momento dell'elenco delle cose che uno può fare oltre a leggere (e quindi dimostrare che non è stupido come crediamo noi lettori che pare si stia seduti su un sofà tutto il giorno a giudicare il prossimo), scopro che posso zappare la terra, fare volontariato o scrivere software. 
 Mi sfugge perché se leggo non dovrei farlo, ma andiamo al punto: l'autrice vuole andare a parare a queste famose statistiche dell'Ocse. 
 L'Ocse ci dice che siamo all'ultimo posto nelle competenze alfabetiche e al penultimo in quelle matematiche.
 Voi cosa deducete? Io che un paese dove non si legge e dove pubblico un post in cui nei commenti vengo informata che prima di studiare tocca spedire il bambino a passeggiare nei boschi coi nonni che è più importante delle tabelline (ma il calcetto no, quello non si deve toccare), non può sperare di svettare. Che molto probabilmente tra la nostra incapacità Literacy e Numeracy un nesso di un qualche tipo c'è. 
Dalla graphic novel "Enigma" di
Tuono Pettinato e Francesca Riccioni
No, lei insiste sul fatto che legge, ma non sa fare niente di matematico.
 Voi avete capito qualcosa? Io no, perché continuo a non capire cosa impedisca ad una persona capace nelle materie scientifiche di arricchirsi leggendo e viceversa. Inoltre non capisco esattamente perché le materie scientifiche e la lettura dovrebbero in qualche modo essere separate. E' ovvio che nel momento in cui fa un esperimento sei alle prese con un'esperienza fisica, ma tutte le persone a cui vorrai comunicarlo, escludendo i video, ne verranno a conoscenza tramite le famose pubblicazioni.
 Persino il padre dell'informatica Alan Turing e il famoso fisico Feynman fanno risalire la loro grande sete di conoscenza, la loro curiosità, la miccia che li ha portati ad essere grandi nei loro scientifici campi, alla lettura.
 Bambino silenzioso e solitario, studente bistrattato dai compagni fino all'arrivo del grande amico/amore Christopher Morcom, Turing legge con avidità e rimane folgorato da "Il mondo fisico" di Eddington. Negli anni, pur di leggere pubblicazioni di cui ha notizia, ma a causa della guerra e della mancanza di traduzioni non gli saranno disponibili, arriverà ad imparare il tedesco!
 Feynman invece, fa risalire la sua folgorazione per la fisica all'educazione paterna. Suo padre non era un genio eppure sapeva stimolare l'intelligenza del figlio. Come? Regalandogli libri e leggendogli una pagina dell'enciclopedia britannica ogni sera. E non solo, portandolo all'aria aperta, sottoponendolo a domande continue che lo aiutassero a ragionare. 
 Dite che sarebbe stato un genio anche senza questa educazione? Ebbene Feynman aveva (anzi ha visto che è ancora viva) una sorella minore interessata come lui alle materie scientifiche. Ai tempi studiare scienze non era ancora cosa per donne e il padre non le riservava le stesse attenzioni che aveva per il figlio maschio. Fu Feynman che la spinse a leggere i libri e a diventare curiosa, la stimolò e incoraggiò e adesso (i geni della famiglia dovevano essere ottimi) è una celebre astrofisica. Senza quello stimolo Joan Feynman sarebbe diventata comunque quel che è? Non credo.
Dalla bellissima graphic novel "Feynman" di Ottaviani e Myrick. Leggere
attentamente: Feynman è partito per il college e ha lasciato il suo libro
preferito alla sorella che però lo trova ostico. Cosa le suggerisce?
La versione facilitata per pupi stanchi? Ebbene no.
 La domanda che ci si doveva porre davanti allo studio dell'Ocse non è l'insensata: Sicuri che leggere significhi essere colti? Ma: sicuri che non ci sia un nesso tra la lettura e la curiosità?
 Perché, i nostri disastrosi dati Ocse questo ci dicono: non leggiamo e non siamo curiosi. Se fossimo un popolo di lettori assidui che però non sa fare 2+2 allora potrei pormi una domanda diversa, idem se fossimo dei geni dei numeri e delle capre delle lettere. Ma siamo capre in entrambi i campi!
 Perciò è vero, leggere libri non significa essere colti. Leggere con curiosità e coscienza vuol dire essere colti, altrimenti si ingollano solo nozioni casuali di cui non si sa evidentemente cosa farci.
 Il discorso del perché si legge e cosa rende colti è così vasto che qualsiasi cosa io possa scrivere mi brucerei solo le mani. Si legge per una bella storia, per se stessi, per consolarsi, per imparare, per arricchirsi, anche per apprendere formule matematiche, per conoscere il passato. Leggere per diventare più colti è solo una delle infinite varianti. 
 Leggere rende curiosi, ma non basta un solo libro, serve esercizio e stimolo continuo, serve voglia e attenzione. 
 Probabilmente le classifiche Ocse potrebbero anche essere lette in un altro modo: siamo pigri. Ragionare su quanto si è letto, riflettere e aver voglia di scoprire richiede impegno e direi anche molta umiltà. Io avrò letto non so quanti libri, mai fatto liste, ma ignoro interi argomenti (mai affrontati perché appunto non ritenendomi portata mi richiederebbero un impegno supplementare) e me ne vergogno perché so che se mi impegnassi magari capirei poco, ma almeno scoprirei qualcosa.
 Inoltre, cosa che considero l'argomento definitivo, faccio notare che la trasmissione orale della conoscenza è fuori moda da svariati secoli.

 E secondo voi? Leggere rende colti o no? Stimola la curiosità o no? Siamo pigri? Sono esagerata io?
 Ve lo assicuro, non ho certezze. Come diceva Socrate "So di non sapere".

 (Comunque il momento che fa più rizzare i capelli a qualsiasi buon libraio è quando veniamo informati dell'agghiacciante alternativa alla lettura: scrivere un libro. Orde di persone che non sanno mettere due parole in fila e quattro in croce, che non leggono, ma non si sa perché scrivono, e si pubblicano. Mamma mia che brutto mondo. Esisterà una statistica Ocse per l'incompetenza?)



8 commenti:

  1. "Probabilmente le classifiche Ocse potrebbero anche essere lette in un altro modo: siamo pigri"

    Chapeau.

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  2. Bel post. Non è un caso che mano a mano che il problema della lettura (cioè della non lettura) diventa sempre più evidente, escano fuori interventi di chi cerca di dimostrare che sarebbe un falso problema. Un altro errore del post di Wired è quello di non distinguere tra i diversi modi per leggere. Leggere vuole dire tante cose. Esiste anche la lettura utilitaristica: come leggere una ricetta di cucina, le istruzioni nel bugiardino di un medicinale. Poi esistono letture che servono a confermarci una nostra visione stereotipata del mondo: rispondono a delle attese e non sconvolgono la nostra maniera di ragionare. Insomma: leggere vuole dire tante cose eppure le campagne sulla lettura compiono sempre questo errore: non distinguono mai. Così si diffonde la percezione che tutte le letture si equivalgono e che basta avere un parallelepipedo di carta in mano (o un e-reader di plastica) per essere un "lettore". Da questa semplificazione si arriva alla banalizzazione del post di Wired. Un bellissimo saggio sul perché dobbiamo imparare a leggere, ma in maniera non passiva, è un saggio di Alberto Manguel: "Come Pinocchio imparò a leggere" dove Manguel dice che Collodi non ci ha mai raccontato come e perché Pinocchio ha imparato a leggere. Secondo Manguel nel libro Pinocchio c'è un residuo conformista: imparare a leggere sarebbe il frutto di applicazione scolastica da bravo studente. Mentre Manguel dice che esiste tutto un altro modo di leggere: creativo, non conformista, individualista, che non si apprende a scuola e che sarebbe esemplificato dai libri di Alice di Carroll che reinventano il linguaggio, cosa che Collodi non avrebbe osato fare. La conclusione di Manguel è: leggiamo per imparare a essere cittadini consapevoli e non conformisti. Ma questa è una conquista individuale e non banale. Il saggio di Manguel si può leggere gratuitamente nella versione inglese qui: http://www.atelieraldente.de/manguel_0h4/pdf/how-pinnochio-learned-to-.pdf e in traduzione italiana nella raccolta di saggi di Manguel pubblicata da Archinto: "Il computer di sant'Agostino" http://archinto.rcslibri.corriere.it/libro/8446_il_computer_di_sant_agostino_manguel.html

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  3. Ma soprattutto: leggere rende curiosi, oppure, poiché si è curiosi, si finisce col leggere?

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  4. I wannabe scrittori che non leggono sono infinitamente peggio di quelli che si limitano a non leggere.
    Comunque, colgo l'occasione per farti sapere che ti adoro!

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  5. lei legge voracemente eppure non sa fare una marea di cose e misconosce interi campi del sapere.

    Beh, mi pare ovvio che se la signora legge 30-40 romanzi al mese, difficilmente ciò la renderà esperta su come portare avanti una fusione nucleare. Francamente, mi sfugge il punto.
    Oppure la questione è davvero posta nei termini demenziali che sembra? O_o

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  6. Perfettamente d'accordo su tutto.

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  7. Complimenti per il post. L'articolo di Wired è agghiacciante. La mia esperienza col genere umano mi fa ritenere che se è vero che non basta leggere libri per uscire dall'ignoranza, chi non legge nemmeno un libro l'anno solitamente è un ignorante. E conosco persone impegnate a scrivere software, fare volontariato, zappare orti, con le quali ci scambiamo regolarmente libri e commenti sulle letture. Detto in breve: il temino esposto su Wired è una bella scusa per chi voglia giustificare la propria ignoranza e pigrizia intellettuale.

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    1. Oddio, mi sembra di aver scritto un post livoroso. Chiedo scusa alla padrona del blog, preferisco i toni più lievi

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