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mercoledì 16 luglio 2014

La nostalgia precoce dei nati negli anni '80. Tra Zerocalcare, Grayskull, Memorie a 8 bit e l'effetto "figlio di Garibaldi", la confusione di chi nasce sul limitare di due epoche.

Una delle cose belle che porterà l'autunno (non che si voglia pensare all'autunno visto che l'estate manco è cominciata) sarà il nuovo libro di Zerocalcare "Dimentica il mio nome" su, pare, molti ricordi familiari e d'infanzia. La nostalgia è un marchio fondamentale per comprendere la cosiddetta poetica zerocalcaresca talmente infarcita di citazioni su ciò che accadde a noi, inconsapevoli infanti degli anni '80 e un po' più consapevoli sempre infanti ma sulla via della brufolaggine adolescenziale, degli anni '90.
 Raf cantava "Cosa resterà di questi anni '80?" domandandosi già disperato come avrebbe fatto a riguardarsi nelle foto giovanili di quell'infausto decennio che tanti dolori adduce a noi che eravamo appena infanti. Perché se il suo problema era cosa gli sarebbe rimasto da ricordare di un'epoca in cui potevi mischiare i capelli cotonati, coi jeans, con un trucco da burattone e del tulle posto a caso sull'abbigliamento, di anni in cui i film ti invitavano a diventare rampante e a divorare il prossimo tuo in una logica di mercato anarcocapitalista (avete mai riguardato film come "Una poltrona per due"? Fatelo e spaventatevi) e la massima aspirazione per un giovane frustrato dalla vita era sdraiarsi su una pista da ballo come Tony Manero (schiavo tutta la settimana, ma il sabato sera nooooo), il nostro è domandarci come conciliare due epoche.
 C'è un motivo secondo me se la mia generazione prova molta più simpatia per quella dei propri nonni che per quella dei genitori ed è il comune destino di aver vissuto una svolta storica non prevista. Certo, i nostri nonni ce l'hanno avuta ben più traumatica: mondo prima della guerra-mondo dopo la guerra, ma noi siamo cresciuti in un perfetto spartiacque tra un mondo quasi privo di tecnologia pervasiva e un mondo in cui la tecnologia è tutto.
 Per spiegarmi meglio chiamo in aiuto una graphic novel molto graziosa uscita negli ultimi mesi per Tunué: "Memorie a 8 bit" di Sergio Algozzino (9,90 euro, un prezzo a dir poco ottimo).
 Più che una storia di senso compiuto il libro è un insieme di ricordi organizzati per argomento (canzoni, estate, videogiochi, cibo ecc.) dell'infanzia e prima adolescenza dell'autore. Bambino sensibilissimo in una palermo grande, accaldata e priva di fumetterie, disegnava forsennatamente con tale dispendio di carta che i genitori gli chiesero ad un certo punto di rimpicciolire le proprie vignette per risparmiare fogli.
 Il grande tema del libro, forse molto più dei ricordi, è la potenza delle suggestioni che riceviamo da bambini, così grandi da influenzare tutta la nostra vita di adulti. Infanti, ci aggiriamo come tabule rase dove anche gli avvenimenti più innocui, episodi che una volta adulti a stento ricorderemmo a fine giornata, raggiungono le proporzioni di epiche storie, traumi monumentali, rivelazioni in grado di cambiare il corso di una vita. 
La grande intuizione di Zerocalcare che si ripete, pur con le dovutissime differenze nel libro di Algozzino  è stata attingere alle memorie comuni di una generazione. Algozzino in effetti non ha molto in comune con Zero, non lo stile scrittorio né tanto meno dei disegni, non il luogo di provenienza, non la militanza politica e neanche quel perenne sentirsi un pesce fuor d'acqua.
  Eppure, nonostante le enormi differenze, il retroterra culturale rimane similissimo: innanzitutto regnano sopra ogni cosa i cartoni animati giapponesi. Zero li cita continuamente, uno dei disegnatori ospiti dell'albo di Algozzino ricorda come fu la visione di Sailor Moon a cambiare in qualche modo la sua vita. Io stessa ho dei ricordi vividissimi legati ai cartoni animati che so di poter condividere con qualsiasi mio coetaneo (non vi dico lo sconcerto nell'apprendere che una delle pietre miliari della mia infanzia,  "La posta di Sonia" di Super 3 era visibile solo nel Lazio e forse in parte della toscana...), un microcosmo di riferimenti che non si riducono ai quattro disegni in movimento che probabilmente i nostri genitori vedevano vagamente in tv, ma ad un vero pantheon mitologico generazionale.
 Non è un caso se altri due libri sui ricordi degli anni '80, "Come sopravvivere agli anni '80" di Omar Fantini e "Per il potere di Grayskull" di Alessandro "DocManhattan" Apreda, citino il mitico mondo dei cartoni giapponesi in copertina e nel titolo. E non è neanche un caso se neanche trentenni o poco più che trentenni rievochiamo con nostalgia un'infanzia teoricamente ancora vicina.
 Non è un rifugio nell'epoca d'oro, ma forse una virgola di rassicurazione in un mondo che è mutato tanto velocemente da passare in neanche una generazione dall'esaltazione per un supertele nuovo all'esaltazione per uno smartphone nuovo, dalla possibilità di andarsene al mare tutto il giorno senza l'assillo del telefonino coi tuoi genitori attaccati dall'altro capo della cornetta alla possibilità che se al terzo squillo non rispondi essi abbiano già chiamato la guardia nazionale per venire a scovarti. 
 I nostri ricordi in sostanza, sono diventati vecchissimi in fretta. 
Ecco che Zerocalcare rievoca in "Un polpo alla gola" i momenti in cui, in mancanza di youporn, egli era costretto a vagare vergognoso per edicole ed edifici diroccati alla ricerca di riviste osè, e Algozzino la ricerca disperata e avventurosa dei suoi fumetti preferiti in un pellegrinaggio infinito per tutte le edicole di Palermo (ora ci sono gli store online sai che ce vò, ma pure io mi ricordo le preghiere all'edicolante perché mi mettesse da parte "Ranma 1/2").
 Era un periodo senza navigatori, cellulari, di videogames talmente base da costringerti a giocare ininterrottamente per ore perché non potevi salvare le sessioni di gioco, computer così basic da non avere ancora nessuna reale utilità, pomeriggi di solitudine che non avevano chat a salvarti, passioni che si credeva di possedere soli nell'universo perché non c'era nessun forum specializzato a cui appellarsi.
 Non dico fosse un mondo migliore, dico solo che era un mondo molto diverso, scomparso ad una velocità inimmaginabile. Non mi sento vecchia mentre scrivo questo post, anzi, ma vedendo mia sorella neanche diciassettenne che mi domanda come facessi a vivere in un'epoca senza cellulare, mi rendo conto che già non lo ricordo più. Le mie memorie a 8 bit sono perse in un cosmo che a scanso di catastrofi tecnologiche non tornerà. Immagino siano i pensieri di tutte le generazioni che si sentono nate sul limitare di un'epoca che non gli apparterrà mai del tutto, ed è a questo punto che ho sempre il terrore dell'effetto "figlio di Garibaldi". 
La vecchiaia mi impone di pensare che anche
nascere nell'epoca giusta potrebbe essere una
fortuna.
Ricordo infatti l'esame di storia contemporanea, un libro monografico infinito sulla vita di Garibaldi così particolareggiato che sapevo pure a cos'era allergico e il nome dei suoi pronipoti. In esso venivano riportate le vite dei figli maggiori, quelli avuti dalla mitica Anita, morta eroicamente vicino Ravenna dopo essere scappata incinta su un cavallo.
 Ricciotti, Menotti e Teresa, furono i figli della coppia passati alla storia tra alterne vicende. Nati in un'epoca di vere rivoluzioni, di nazioni che si autodeterminavano, eserciti che combattevano per unire nazioni e alti ideali, passarono la giovinezza a guerreggiare felici e si ritrovarono ad un certo punto, in un mondo ormai consolidato che non aveva più bisogno di rivoluzionari per professione. Così, se il buon padre oltre a impalmare giovinette a caso, si godeva la meritata gloria di chi fece ben due mondi, i tre si ritrovarono a vivere in un mondo non più loro e dovettero reinventarsi. Lo fecero malissimo. Menotti reinventatosi uomo politico, venne coinvolto nello scandalo della banca romana, Ricciotti divenne un sostenitore del fascismo e Teresa che avrebbe aspirato alle glorie materne e soprattutto a più grandi attenzioni paterne, visse nell'ombra, moglie e madre.
 Ecco, non dico che faremo la fine dei figli di Garibaldi, ma nascere sul breve confine che divide due epoche non è sempre di buon auspicio, vediamo quello che possiamo fare.

3 commenti:

  1. Un articolo antrista O.O. Gioia e magone.
    Scusa, vorrei commentare di più, ma ho troppe bruschette da levare dagli occhi :D

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  2. Da appartenente alla generazione che citi, posso chiosarla solo con un Amen.

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  3. La solitudine del passato e del pensare di essere la sola ad avere certe passioni era micidiale.
    Pensa che, quando ho scoperto i siti di fanfiction, mi sono subito sentita normale, non una pazza scema che scriveva seguiti improbabili e spin-off di cartoni animati, fumetti, libri legati all'infanzia. Riempivo agende e quaderni oppure, ancora prima, materializzavo con le Barbie queste fantasie e mia sorella si divertiva un mondo a giocare a "Sailor Moon" o a "Slayers", tanto che con le sue coetanee si stufava: per noi la casa di Barbie andava bene sono per essere la prima location, poi bombardata da un'assurda guerra. Non so quanto questo dettaglio non sia retaggio dei bombardamenti di Belgrado, nei primi anni '90.

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