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giovedì 16 ottobre 2014

La sindrome di Frodo Baggins. Katherine Mansfield e il destino di Paul, protagonista di "Poco raccomandabile" in quella lotta incessante dell'anima contro la normalità.

Man mano che si invecchia nella vita indubbiamente non si diventa più saggi, ma molti fantasmi vengono al pettine.  
Per fantasmi intendo quell'idea che da bambino uno si fa del modo in cui la vita dovrebbe andare e nella totale perplessità che sopraggiunge quando, venti o trenta anni dopo, ci si accorge che per molti è andata così, ma non per te.
 In questi giorni mi è capitato di leggere due libri legati, nonostante le grandi differenze, da un sottile filo comune: la percezione della normalità.
 Nella mia mente l'immagine della vita totalmente normale rimane, non so per quale assurdo motivo, quella delle madri in coda fuori le mie scuole elementari, mentre mezzo paese si ferma tra scuola bus, vigili, nonni che fanno i vigili e decine di bambini vocianti. Da pargola mi ero fatta la mezza idea che il giorno in cui io sarei stata dall'altra parte della barricata (cioè non pupo, ma adulto in attesa del pupo), allora la mia vita sarebbe stata totalmente incanalata. Considerando che non ho mai avuto la grande aspirazione di sposarmi né tanto meno di avere figli è una cosa che difficilmente avrebbe potuto verificarsi e infatti, finora, non si è verificata.
 Questo anelito ad una sorta di normalità vagheggiata mi è venuto in mente mentre ieri sfogliavo due libri che apparentemente in comune avevano poco e niente.
  Si trattava di "Breve vita Katherine Mansfield" di Pietro Citati, un libretto piccolo e leggero, adattissimo ad un piccolo tragitto, fresco di riedizione con l'Adelphi e della graphic novel "Poco raccomandabile" della bravissima,.... ed. Cononino press-Fandango.
 Il titolo è lievemente ingannatore perché non descrive la vita di questa scrittrice che morì giovanissima di tisi e che tutti i suoi biografi continuano a descrivere come ardente e profondamente appassionata. Piuttosto parla dei moti dell'animo di una donna inquieta per molti motivi diversi: un'intelligenza profonda, un amore morboso per la vita, una sessualità ambigua. un modo d'amare estremo e senza filtri che la portava a consumarsi per uomini che raramente la meritavano appieno, il rapporto con la madre lontanissima in nuova Zelanda. 
 Era inoltre afflitta da quella che io chiamo "Sindrome di Frodo Baggins". Questa sindrome si innesta nelle persone che potenzialmente vivrebbero una vita gioiosa nel loro luogo d'origine, amato e colmo di affetti e amici, ma che per un desiderio a loro incontrollabile abbandonano il locus amenus e iniziano a vagare inquieti e senza pace.
  Il problema non è tanto che siano diretti verso la terra di Sauron, quanto un misto di doloroso desiderio di ritorno alla patria natia e contemporanea consapevolezza che tornando quella dimensione mitica in cui l'hanno precipitata si frantumerebbe. La Mansfield che aveva un carattere ok ardente, ma al contempo estremamente lunatico, in una delle numerose lettere sue lettere( soprattutto al marito che la sistemava in vari luoghi di villeggiatura nel tentativo di guarirla dalla malattia, per poi squagliarsela lontano), un giorno, davanti ad una bambinaia cinese con due frugoli scrisse, 
 "Perché non una vera casa? Perché non una vera vita? Perché non ho una bambinaia cinese in calzoni verdi e due bambini che mi saltano addosso e stringono le ginocchia? Non sono una fanciulla, sono una donna e voglio le cose. Le avrò mai? Io voglio la vita, voglio degli amici, della gente e una casa"
 Evocava poi la madre, mitica figura della sua infanzia perfetta, cristallizzatasi ulteriormente dopo la morte dell'amato fratello. Per paradosso (ma seguendo tutti i sintomi della sindrome di Frodo), la scrittrice desiderava ardentemente una vita normale e al contempo si impegnava in tutti i modi per rifuggirla, perché la normalità negava l'assoluto che andava cercando. Una vita ardente non poteva piegarsi ad un desiderio normale. 
Costa 19 euro ma li vale tutti
Ed è questa dicotomia normalità-eccezionalità che percorre tutta la bellissima-issima-issima graphic novel "Poco raccomandabile" di Chloé Cruchaudet che con una narrazione per bozzetti dai tenui colori anni '20 (tranne il rosso che si accende nei nastri, nei vestiti, nei baci, nel sangue) rievoca un vecchio scandalo da tribunale. 
 Paul Grappe è un ragazzo come tanti altri, più bello forse, mascolino e prestante e si innamora di un'affascinante sartina che lo ricambia. Vivono un amore dolcissimo, ma subito dopo il matrimonio lui deve partire per la Grande Guerra che fa sempre meno notizia della seconda guerra mondiale, ma che traumatizzò un'intera generazione non solo per il continuo spettacolo dei morti, ma anche per quello dei vivi, nell'agghiacciante vita di trincea.
 Stremato, Grappe decide di amputarsi un dito per finire in infermeria e poi di disertare. Ma dopo un attimo di felicità, si rende conto che finché non vi sarà un'amnistia dovrà rimanere recluso, e nell'arco di poco tempo si sente un animale in gabbia. Così escogita un escamotage che sembra geniale e innocente e al tempo stesso: con l'aiuto di sua moglie si fa passare per una donna: Suzanne. La trasformazione è perfetta: via la barba con la depilazione elettrica, via i peli dal petto, movenze studiate un taglio di capelli grazioso e alla moda, vestiti cuciti letteralmente addosso. Tutto sembra andare per il meglio, ma nulla può impedire una piccola frattura che con gli anni diventa una voragine incolmabile.
 Per Paul/Suzanne la trasformazione diventa incontrollabile. Desidera essere Suzanne senza al contempo voler diventare una donna. Si innesca in lui una complessa dinamica sulla fluidità del genere che in un'epoca preliberazione sessuale porta l'ex militare ad un'escalation a cui non sa opporsi precipitando verso la catastrofe. Paul/Suzanne non è un perverso, non è una cattiva persona, non prevarica, non accusa, prova, sostenuto dalla moglie che lo ama, ad opporsi come può alle avverse onde del destino e a piegarlo al suo volere.
 Ma quello che lui tenta, ossia superare il genere, l'orientamento sessuale, percepirsi come un essere umano privato dalle imposizioni culturali, non poteva riuscirgli perché non aveva gli strumenti per gestirli. Paul non ragiona su ciò che sente, si limita a vivere una situazione straordinaria in cui si sente precipitato non per sua volontà, ma per colpe superiori.
 E' un uomo normale che vive una vita eccezionale, soffre di una "sindrome da Frodo Baggins" dell'anima, assai peggiore di quella vissuta dalla Mansfield che aveva strumenti per dominarla (pur soccombendo a tratti) partito per un viaggio da cui non sa tornare. Nella sua mente sempre più confusa il fatale anelito alla normalità gli sarà fatale.
 Proprio come il basso protagonista di Tolkien quando finalmente, a pace fatta, proverà a restituire il loro ordine a tutte le cose ma ciò non gli sarà possibile. Perché ci sono luoghi da cui mai più si torna.
 Non si può dire se la Mansfield avrebbe trovato una sua serenità se fosse vissuta più a lungo e probabilmente la storia di Paul non aveva molti altri modi di terminare (evito di dirvi cosa accade perché davvero DOVETE leggerlo).
 Ciò che rimane alla fine della lettura è sempre però è il più grande degli interrogativi: se non esistesse una normalità a tutti i costi alla quale fissare la nostra mente, come un modello ineluttabile, quante vite sarebbero diverse?

1 commento:

  1. è strano, mi hai fatto pensare che in effetti un'idea di normalità non l'ho mai avuta, per me la vita è stata sempre un calderone di nuove scoperte, una figura con molte facce che non riesco ancora ad inquadrare... Posso percepire come normalità molte cose che per altri non lo sono, anche l'idea che ho dell'anormalità è influenzata dalle circostanze! Mi sono chiesta cosa desideravo da bambina e mi ricordo solo che volevo sapere più cose, esplorare di più ma non ricordo di aver desiderato di essere adulta e che idea avevo della vita aldilà dell'infanzia... Insomma come al solito scrivi post che mi fanno sempre riflettere ;)

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