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lunedì 16 marzo 2015

Ognuno di noi sceglie gli eroi che si merita (e non sempre è un bene). Tra l'eroe da blockbuster de "L'uomo di marte" e l'eroe che soccombe di Matheson, tu da che parte stai? (Da leggere ascoltando "Gli spietati" by Baustelle)

 Quando andavo alle superiori (mi pare) uscì al cinema il film che consacrò Ben Affleck quale sex symbol e Liv Tyler grande gnocca dagli occhi azzurri (all'apice del suo fulgore prima della sua prematura fine cinematografica): si trattava di "Armageddon".
Taaaa taaaaa taaaaa taratata taaaa taaaa, ve la ricordate quell'intro monumentale della colonna sonora firmata Steve Tyler? Probabilmente sì ed è l'unica cosa vagamente memorabile di quel blockbuster osceno.
 Per chi avesse avuto la ventura di rifuggirlo, vi rammento la trama, frutto indubbiamente di menti sopraffine.
 Un asteroide punta dritto sulla terra, minacciando di distruggerla, ma pochi impavidi di cui fanno parte ovviamente un nero e un figone fidanzato con la figlia del capospedizione (miliardi di persone sulla terra, due parenti sulla stessa navicella, ma vabbeh), possono piantare una specie di megabomba direttamente sulla massa rocciosa in volo per distruggerla (o deviarla non mi ricordo).
 Tra una tragedia familiare e degli effetti speciali a dir poco pacchiani (ricordo ancora la scenografia dell'asteroide, agghiacciante), il filmone con tanti effetti speciali, buoni sentimenti e una grande storia d'amore, aveva assicurato incassi monumentali e una profondità d'animo pari allo zero carbonella.
 L'immagine inquietante di Ben Affleck che piange salutando il suocero morente sulla massa interstellare, mi risuonava pericolosa mentre leggevo "L'uomo di marte" di Andy Weir ed. Newton. 
 Nonostante le mie riserve sulla casa editrice, la trama mi attirava: può un uomo dimenticato su Marte da una missione spaziale, sopravvivere finché non viene spedito qualcuno a salvarlo?
Io non sono mai stata una fan delle navicelle spaziali e non capisco niente di astrofisica, ma istintivamente la mia risposta mentale era stata: assolutamente no.
 Ciononostante, come esca ben attaccata, mi si rassicurava che l'autore aveva dimostrato come fosse fattibilissimo. 
Così, complice il fatto che un mio amico ne era in possesso, mi sono accinta a leggere questo strano libro
 Strano perché mentre lo leggevo potevo chiaramente vedere l'ovvio blockbuster in stile "Armageddon" che ne sarà inevitabilmente tratto (già opzionato da Ridley Scott, avviso), come se l'autore, al suo primo libro, tra l'altro, l'avesse scritto o col chiaro intento di puntare al cinema o (più probabile) con una vasta cultura di polpettoni fantascientifici di bassa lega e tanti effettoni speciali al suo attivo.
 Ripercorriamo la trama, di modo che voi non commettiate il mio stesso errore e teniate giù le manacce tentati da chi vi assicura che 'sto libro è una figata.
 Il protagonista, un ingegnere con la passione della botanica, è un astronauta che viene creduto morto dai suoi compagni durante una tempesta di polvere nei primi giorni di permanenza su Marte (è il terzo viaggio che l'umanità fa lassù, siamo dotati di navicelle assurde, tecnologie fantastiche per la sopravvivenza interstellare, ma sulla terra è come se fossimo fermi al 2010 più o meno). Quando si risveglia è solo, gli altri sono partiti e a lui non rimane che una sorta di base spaziale in cui vivere solitario finché, cinque anni dopo, non tornerà la prevista spedizione. Ce la farà?
 Allora, l'unico punto di forza di questo libro è che dimostra scientificamente come un uomo, premesso che sia botanico e ingegnere, possa davvero sopravvivere su Marte, ammesso che abbia una sorta di gigantesco bungalow spaziale dove vivere. Ci sono tutti i dati scientifici, ogni cosa viene descritta minuziosamente, dalla coltivazioni delle patate sul suolo di Marte, ai pericoli atmosferici, dalla comunicazione in morse col pianeta terra all'aggancio degli alimenti straordinari da parte della nave madre. Una cosa, per quel che posso capire io, davvero scientificamente inattaccabile.
 Il peggior punto di debolezza di questo libro è proprio questo: pensare che la lotta dell'uomo contro un nemico inimmaginabile, si riduca ad una serie di dati scientifici. Nessuno dei personaggi di questo blockbuster cartaceo ha un'anima, un travaglio, una paura, un dubbio o un terrore
Alla fine di questo libro non sopporterete più le patate.
Ah voglio ricordare come altro memorabile momento quello
in cui gli scienziati cinesi collaborano con quelli americani
senza l'autorizzazione del governo. Sì, sto ancora ridendo
Dire che essi, dal capitano che ha lasciato un uomo vivo su un pianeta deserto, allo stesso protagonista, (di cui sappiamo solo che è senza famiglia e un bonaccione che non si intristisce mai, neanche quando sa di essere spacciato, dissidio interiore, paura e solitudine nun ve temo) sono come dei bambolotti con la futura faccia plastificata di un attore famoso, è molto riduttivo.
  Neanche la paura è presente, sappiamo solo quante patate possono crescere su Marte in un mese, che sarà anche interessante, ma, da un tale titanico scontro uomo-natura, una si aspetta altro
 Eppure l'archetipo dell'uomo o della donna che, soli, combattono contro un destino avverso e gigantesco, è enorme nel nostro immaginario.
 Quasi in contemporanea, mi è capitato di leggere un romanzo assai meno corposo e assai più doloroso, struggente, scientifico (benché vi sia qualche accenno vago ad una specie di ematologia fantascientifica), in cui c'è tutto l'abisso che può intercorrere tra questo blockbuster senz'anima e una storia vera: parlo di "Io sono leggenda" di Matheson.
 Non si può fare un paragone, perché il primo è una storiella che, film di Ridley Scott permettendo, tra un annetto o due non troveremo già in libreria, il secondo un capolavoro. Però è interessante vedere come il punto focale dell'eroismo solitario possa essere così differente. 
 Nel caso dell'uomo su Marte è uno sterile sfoggio di conoscenze e bonaccitudine al limite dell'idiozia (perché se non ti rendi conto di essere sull'orlo della morte, non sei incosciente e ottimista, sei principalmente stupido) che, come cantavano i Baustelle è uno che "Vive così senza pietà, senza chiedersi perché, come il falco e la rugiada e non dubita mai". 
 Ciò si vede in definitiva leggendo, è un mondo maestosamente deserto e avverso, ma solo esterno, una natura che ha a che vedere con un uomo si potrebbe dire pericolosamente medio, senza nessuna capacità di analisi, senza nulla che non sia la sua passione per le patate che non oppone nessuna resistenza. Non ha paura, non sente l'ignoto come avverso, si sente dominatore perfetto del pianeta (lo percorre in lungo e largo, recupera sonde spaziali, fa giretti, coltiva), non ne è mai dominato. Il mondo esterno perciò non ha nessun influsso sul suo mondo interiore.
Ho letto un'edizione così vecchia che si
intitolava "I vampiri", indegnissimo titolo
italiano dell'epoca
 Nel libro di Matheson c'è un uomo che ha visto morire tutti i suoi amici, la sua famiglia, il suo mondo e solo rimane a combattere, senza neanche sapere per cosa lo stia facendo, c'è l'analisi di una solitudine estrema, così enorme da non lasciare scampo
 Il protagonista, ultimo sopravvissuto tra gli esseri umani, di fronte ad una nuova "specie" non riesce in nessun modo ad adattarsi e vive dolorosamente sospeso: non può tornare indietro, ma è incapace anche di andare avanti, di sentirsi come gli altri. Non può arrendersi, ma non può dominare, è il mondo che infine lo domina, il mondo interiore che prima soverchia e poi decide di sacrificarsi a quello esteriore.
 Vi chiederete: perché paragonare due libri tanto abissalmente diversi?
 La mia risposta è una: perchè, come si potrebbe dire, ognuno ha gli eroi che si merita e generalmente gli esseri umani si dividono al riguardo in due gruppi ugualmente popolosi.
 Il gruppo di chi va avanti, senza pensare, senza un dubbio, senza una domanda, incapace di elaborare ciò che gli si mostra in qualcosa di più profondo e che pensa sia eroico non avere mai paura, non cedere, dominare sempre.
 E un gruppo di chi invece di domande se ne fa anche troppe, a costo di soccombere, incapace di  perché incapace di allinearsi ad un nuovo mondo. 
 Tu da che parte stai: stai dalla parte di chi si salva da Marte o di chi diventa carne per semivampiri? 
Nessuna delle due, avviso, è un gran vivere.

13 commenti:

  1. Io sto dalla parte della fantascienza. Quasi sempre. (Armageddon non è fantascienza, è una vergogna inguardabile.) Purtroppo non ho letto nessuno dei due libri, ma sono ragionevolmente certo che tu non abbia capito "L'uomo su Marte". La fantascienza quasi mai si occupa di dati scientifici, anche se sono molto presenti. Di solito sono solo lo sfondo nel quale viene presentato il tema della narrazione. La domanda universale della fantascienza è una sola: Cosa succederebbe se...?

    Spero di leggerlo e di confrontarmi con le tue impressioni.

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    1. Noooooo Matheson devi leggerlo subito!! Io ho aspettato anche troppo, non perseverare nel mio stesso errore!

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  2. bellissimo il libro di Mathesono: lo lessi da ragazzina, cinquant'anni fa o giù di li (ho una certa età!), e mi diede gli incubi

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  3. Concordo con il "sto dalla parte della fantascienza." Stavo per dire, in tema di uomini abbandonati nello spazio al loro destino, che sto dalla parte di Gully Foyle in Destinazione Stelle, ma anche questo forse non è un gran vivere.

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  4. Decisamente pappa per vampiri.
    Il dubbio è la mia condizione esistenziale, da cui le domande e la consapevolezza che l'eroe è tale perché ha qualcosa degli dei, ma è condannato alla mortalità e alla sconfitta.

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  5. Grande libro di Matheson, all'origine di capolavori del cinema come "La notte dei morti viventi" e di tutto l'immaginario apocalittico del post-umano. Praticamente un "Dracula" scritto dal punto di vista del mostro, unico - o ultimo - della sua specie. Peccato che ne sia stato tratto nel 2007 un film tra i peggiori mai visti. Ma questa è un'altra storia. Per rispondere alla tua domanda, io credo che la sindrome dell'eroe tragico, colui che muore quando tutto sta per cambiare (in qualunque senso), sia per me inevitabile. Non tanto per l'incapacità di adattarsi, ma per la difficoltà di conciliare la lotta e la critica con cui si arriva al cambiamento, con le conseguenze eterogenee e talvolta contrarie di quello stesso cambiamento. Perché non si finisce mai di criticare, nel bene e nel male. Non riuscirei ad accettare tutto senza avere dubbi, per me non è accettazione, è tutt'al più fede, credenza senza prove, abdicazione alla ragione.

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    1. Wow, commenti come il tuo fanno sembrare indegno il mio post :)
      (tradotto: è un commento bellissimo!)

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  6. L'uomo di Marte!
    L'unico "Uomo di Marte" è Valentine Michael Smith in "Straniero in terra straniera" di Robert A. Heinlein...libro che parte benone, con possibilità praticamente infinite e poi si arrotola in una serie di dialoghi e scene assurdamente anni '50 (anche se il libro è del 1961).
    Vabbè, in realtà io non sono mai VERAMENTE critica verso la fantascienza, la leggo sempre con tenerezza.
    E l'uomo di Marte di Andy Weir non è neanche il primo a dimostrare scientificamente che un uomo, purchè botanico et ingegnere, possa sopravvivere ovunque: ce lo aveva già dimostrato il buon ingegner Cyrus Smith nell'Isola Misteriosa, che riesce a produrre: fuoco, ceramiche, mattoni, nitroglicerina, ferro e semplici allarmi elettrici partendo da una noce di cocco e un po' di tabacco da fiuto. Ah, il buon ottimismo positivista! E'arrivato fino a noi, a quanto pare!

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  7. Per carattere credo di appartenere alla seconda categoria.

    Però confesso che a me i film tipo "Armageddon" mettono di buonumore. So che sono una ca**ata da cima a fondo, eh! Ma sono quel tipo di ca**ate che mi mettono allegria, forse proprio perché assolutamente implausibili. Non per nulla, quando posso, mi guardo anche quei film-spazzatura del filone catastrofico-pezzente che passa la tv in piena estate: mi rilassano XD

    @Francesca
    "L'isola misteriosa", gran libro! *_*

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  8. Vorrei essere quella che salva Marte, temo di essere carne da vampiri. "Io sono leggenda" è stupendo. "L'uomo di Marte", passo.
    Per drammoni interiori e fantascienza, consiglio "Solaris" di Lem, così fai del post una trilogia ;)

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  9. E' l'analisi più bella che abbia mai letto su di Io sono leggenda

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  10. Non sono fan della fantascienza, credo di non aver letto nulla.
    Forse di domande me ne faccio fin troppe o me ne sono fatte troppe fino a qualche tempo fa (ho ridimensionato molto). Non è una bella cosa, finisci per essere vittima di un nichilismo che abbatte qualunque tipo di guizzo, anche solo emozionale, ammazza l'ottimismo. A un certo punto mi è diventato stretto e ho cercato di bilanciare le troppe domande trovando qualche risposta, per riprendere le tue metafore, coltivando patate e cercando di razionalizzare quello che c'è di positivo, anche perché penso che lo stadio ultimo di "Io sono leggenda" sia il suicidio (fisico o mentale, fai tu).

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