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giovedì 7 maggio 2015

Avere vent'anni per sempre. La talentuosa e sfortunata Marina Keegan e il suo "Il contrario della solitudine", tra lettori onniscienti, speranze, i migliori anni della nostra vita ed enormi meduse luminose che danzano davanti a noi, come un'illusione.

 Quando compii esattamente vent'anni, mi sentii un filino turbata. 
 Pensavo, sinceramente, di dover sentire qualcosa di particolare al raggiungimento esatto di un'età dagli ormai mitici contorni: se era così perdutamente compianto, non farlo avrebbe significato perdere la possibilità che, a quanto sembrava stavo avendo, di viverla, anche se non capivo esattamente quale fosse.
 Così, pur non sentendo nulla di particolarmente diverso, avvertii quasi il dovere di dover sfruttare ogni singolo attimo di quel periodo.
 Dopotutto erano gli anni migliori della mia vita, no?
  Perciò mi diedi molto da fare, spendendo grosse energie in ogni dove, eppure, qualsiasi cosa facessi, io questo attimo fatale non riuscivo proprio a vederlo.
 Per contro, iniziai ad avere dei momenti di perplessità vacante, avvertivo infatti la percezione assai forte di essere un filino meno lucida di quando frequentavo le superiori.
 Intendiamoci, per lucidità non intendo dire che stavo perdendo i colpi, ma, semplicemente ciò che avevo sperato e desiderato con estrema chiarezza al liceo, iniziava a perdere lentamente i contorni. 
 Forse non era davvero tutto raggiungibile, forse il mondo era davvero fatto in modo da schiacciarti, forse tutti quei cinquantenni che sospiravano  quando parlavo di qualcosa che mi sarebbe piaciuto fare o diventare, che ne so, diventare, banalissimamente, una scrittrice, vivere in Francia, diventare la direttrice della biblioteca nazionale, (condivido la mitomania delle mie aspettative), era una roba che già solo dirla ti qualificava come una mentecatta sognatrice che non capiva niente della vita. 
 Il mantra era: sopravvivenza, se non ce l'hanno fatta gli altri perchè dovresti farcela tu, l'imprescindibile "emigra all'estero", la vita vera è un'altra cosa e altre nobili affermazioni sullo stesso tono.
 Ciò che davvero mi shockò (da quel punto di vista sono sempre stata un po' lenta) fu l'improvviso divario tra ciò che ti era concesso credere e volere prima del diploma e ciò che invece ti era permesso dopo. In pochi mesi della tua vita, dopo anni di meticoloso indottrinamento da parte di adulti che volevano solo che tirassi fuori la parte migliore di te, dopo averti domandato dalle elementari "Cosa farai da grande?", averti preteso interessato alle più alte cause civili e artistiche, ecco che, nell'arco di una sola estate ti veniva detto: guarda, è tutto molto bello, ora però la storia è un'altra. 
 Mi sentii da una parte truffata e da una parte grandemente irritata e, devo dirlo, non sono mai riuscita completamente ad adeguarmi a "la storia ora è un'altra" conservando un effetto straniante generale che mi impedisce di prendere sul serio troppe odierne stronzate.
 Comunque, per puro caso, visto che a furia di mettere donne coi capelli rossi in copertina, qualcuna alla fine ti sfugge, ho letto una decina di giorni fa un articolo su Marina Keegan, giovane promessa della letteratura statunitense, allieva di Harold Bloom, morta a 22 anni in un incidente stradale esattamente cinque giorni dopo della laurea. Alle stampe era stato dato un collage di suoi racconti, alcuni esercizi letterari dell'università, e articoli che pubblicava per il giornale del college ad Harvard, talmente brillanti da averle fruttato non so quanto mille migliaia di mila condivisioni e uno stae al New Yorker che non ha mai fatto in tempo ad iniziare. Titolo: "Il contrario della solitudine".
 Ora, generalmente io diffido sempre di: giovani talenti anglosassoni che sfornano imperdibili raccolte di racconti (le quali raramente si rivelano davvero imperdibili) e scrittori vittime di una qualche tragedia. Penso sempre che l'industria editoriale mi stia fregando battendo il tasto ovvio del caso umano.
 Eppure l'idea che una ragazza di 22 anni con tutta tutta tutta la vita davanti fosse morta così improvvisamente lasciando in sospeso una tale quantità di cose così fantasticamente avviate (tra cui un'opera teatrale di successo), mi tarlava il cervello.
 Non so, il mio sesto senso mi suggeriva con forza che forse, Marina Keegan, non era solo un tragico caso spinto dai media, ma nascondesse davvero qualcosa di prezioso. Ho cercato alcuni suoi articoli su internet e ho scoperto che era anche appassionata di politica e non aveva mancato di scrivere un veemente articolo dal titolo "Non fidarsi è meglio" in cui rimproverava ai suoi coetanei di farsi sedurre con un po' troppa facilità alle sirene della finanza abbandonando i propri sogni precocemente, senza neanche provare a lottare.
 E mi ci sono subito riconosciuta, perché anche io conservo con doverosa stupefacenza il ricordo di quelle ragazze che al secondo anno di università già gallineggiavano dicendo che "Ok, laurea, poi ci si sposa e fine così", oppure ragazzi che ammettevano "Sì mi piace quello che studio, ma tanto se mi va male lavoro con mio padre". 
 Farmacisti con figli stranamente con la vocazione di massa per la farmacia, avvocati con figli che sperano solo di fare avvocati e notai, medici con eredi magicamente attratti solo dall'amato Esculapio e via dicendo. Intendiamoci, nulla di male a seguire le orme familiari, ma quello che la Keegan aveva evinto con numerose interviste era che lo scarto tra il desiderato e ciò che si finiva a fare, si doveva nella maggior parte dei casi, ad una straordinaria voglia di non lottare. Era la strada più facile e meno spaventosa, strada in cui si perdevano migliaia e migliaia di talenti che non avrebbero mai reso davvero migliore il mondo perchè troppo impegnati a far fare soldi a qualcun'altro.
 L'articolo aveva una carica d'energia e di sdegno coinvolgente. Marina scriveva di cose sempre esistite, ma lo faceva con una tale convinzione, con così poco manierismo, che sembrava di leggerle per la prima volta. Mi sono innamorata di lei. Era da un tempo infinito che non leggevo una ventenne che scriveva ciò che ci si aspetterebbe da una ventenne.
 Ho preso perciò il suo libro e ho scoperto che Marina Keegan parla spessissimo del sentimento che si prova quando finisce qualcosa. Si potrebbe dire che è il filo conduttore di tutte le sue storie, diversissime tra loro. Tutti i personaggi sono in bilico cercando di elaborare il conflitto tra una vita che sta finendo e una che sta, spesso contro il loro volere, per iniziare. Talvolta è il doversi fare forza quando, alla morte del tuo fidanzato, scopri che è sempre rimasto innamorato della ex e non sai come accettarlo, né come ricordarlo. Altre volte è rimanere intrappolati per vent'anni nel ricordo del primo amore, idealizzato e irraggiungibile al punto da non far spazio neanche a quello per un figlio
 Nel racconto, secondo me, migliore del libro, "La fossa delle Marianne", un gruppo di ricercatori rimane intrappolato nei fondali di questo inaccessibile luogo, dentro un sottomarino che diventerà anche la loro tomba. Tutti sono terrorizzati, ma, in qualche modo, sentono di doversi preparare a morire. Solo una di loro non può accettarlo in nessuno modo: è Helen, che vuole disperatamente vivere per rivedere l'amore della sua vita e che sarà proprio colei che pagherà il prezzo più alto.
 Nei racconti della Keegan chi non si arrende, non può ricominciare, e questo senso di possibilità, che la percorre e che cita esplicitamente nell'articolo "Il contrario della solitudine" è ciò che intendo quando dico che è una ventenne che scrive come una ventenne. 
 Ha idealismo, speranza, forza, ha ancora quella lucidità che vedo morire in me di anno in anno, la capacità di vedere le cose per quelle che sono, non contaminate dalla stanchezza o dall'amarezza, dalle delusioni o dalla tristezza. Il tutto meravigliosamente incanalato in una potenza nella scrittura che è agghiacciante pensare non vedrà mai un'evoluzione.
 In un certo senso la sua prematura scomparsa rende questo libro ancora, purtroppo, più bello. Generalmente lo scrittore è onnisciente e il lettore no, non lo è né lo sarà mai completamente. In questo caso c'è la curiosa e terribile sensazione che, per una volta, siano i lettori ad essere per sempre più onniscienti dello scrittore.
 Quando Marina Keegan ci racconta del ragazzo innamorato della sua ex morto improvvisamente, il pensiero del lettore corre a lei e lei non potrà mai sapere di questa sfumatura impercettibile, quando scrive nei suoi articoli  "un giorno i miei figli penseranno o vedranno", noi sappiamo che quei figli non esisteranno mai, che il futuro che lei immaginava è scomparso per sempre.
 Ne "La fossa delle Marianne" gli scienziati intrappolati sott'acqua, per pochi secondi, pensano di aver iniziato una prodigiosa risalita: qualcosa splende, perlescente, oltre i vetri del sottomarino.  Ma è solo un'illusione, sono splendide meduse luminose, accorse in massa a formare una sfera di luce.
 Questo unico libro suscita la stessa illusione di tanto in tanto. Accade quando dimentichi che Marina Keegan è scomparsa e non vedi proprio l'ora di leggere di nuovo qualcosa di suo. Poi ricordi.
 Che peccato.

 "La cosa che più mi spaventa non è trovare il lavoro, la città o il compagno giusto, ma l'idea di perdere questa rete che ci circonda. Questo sfuggente, indefinibile contrario della solitudine, la sensazione che provo in questo momento. 
Ma chiariamo una cosa: gli anni migliori della nostra vita non sono dietro di noi. Fanno parte di noi, e sono destinati a ripetersi quando cresceremo, quando ci trasferiremo a New York e ce ne andremo da New York, quando desidereremo vivere o non vivere a New York. A trent'anni vorrò dare delle feste. Vorrò divertirmi quando sarò vecchia. La nozione stessa dei MIGLIORI anni si basa su formule stereotipate del tipo "avrei dovuto...", "avrei voluto...", " se solo avessi...". 
Certo, ci sono cose che vorremmo aver fatto: le nostre letture, quel ragazzo in mensa, Siamo i critici più severi di noi stessi e ci vuol poco a deluderci. Basta dormire troppo. Procrastinare. Prendere scorciatoie. Più di una volta ho pensato a me stessa al liceo e mi sono detta: come facevo? Come riuscivo a impegnarmi tanto? Le nostre insicurezze private ci seguono e ci seguiranno sempre . Il fatto è che siamo tutti così. Nessuna si sveglia quando vorrebbe. Nessuno ha fatto tutte le letture assegnate. Abbiamo questi standard irraggiungibili e probabilmente non saremo mai all'altezza della versione perfetta di noi stessi che fantastichiamo per il futuro.
 Ma non ci vedo niente di male"

1 commento:

  1. Tutte queste riflessioni mi toccano nel profondo. Occorre che mi procuri questo libro. Grazie.

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