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lunedì 29 giugno 2015

Piccole recensioni tra amici! Quando la serendipità funziona male: tra Alligatori, ladri di libri, esistenzialisti francesi, province americane e perdenti, tre libri che non mi hanno convinta!

 Ed ecco un nuovo piccole recensioni tra amici!
Horace Walpole, glorioso "coniatore" della serendipità
Considerando che ci sono una graphic novel, un giallo e un romanzo non di genere, la cosa principale che accomuna questi tre libri è l'assoluta serendipità.
 Non sono libri che volevo leggere, ma che per varie circostanze mi sono ritrovata tra le mani quando non avevo nulla che potesse soddisfare i miei bisogni lettori, ed è probabilmente il motivo per cui nessuno dei tre mi ha fatto impazzire.
 In genere io amo anche affidarmi al caso, perché il caso mi ha donato tra i libri più belli che abbia mai letto (mentre la scienza della ricerca mi ha dato grandi delusioni), in questo caso il fato non è stato benevolo con me.
 In generale quanti di voi si affidano al caso come metodo di scelta dei libri?
  Devo dire che un tempo ero assai più spericolata e mi lanciavo nel vuoto, adesso sono più scientifica e ho la mia brava wishlist da depennare con calma, pazienza e qualche centinaio di anni a disposizione.
 Ma vabbeh, bando alle ciance! Ecco il magro raccolto!

UNA CANZONE PER BOBBY LONG" di RONALD EVERETT CAPPS ed. Mattioli 1885:
 Mah. Mah. Mah. Premetto che questo era proprio il genere di libro che, se non per ragioni di
necessità (ore in cui non avevo nient'altro da leggere, ma che in qualche modo dovevo far passare), non avrei mai letto.
 Io detesto le storie ambientate nella provincia americana dove non succede niente e si annidano anime perse schiacciate dalla vita. Un po' perché mi riesce difficile immedesimarmi, un po' perché le trovo mortalmente noiose, un po' perché fondamentalmente non succede mai niente se non il fatto che le anime perse continuano incessantemente ad essere perse.
 "Una canzone per Bobby Long" il cui linguaggio tra il becero e lo slang deve aver fatto impazzire il traduttore (diciamo pure che il linguaggio è la cosa migliore del libro), parla di due amici sulla cinquantina, Bobby e Byron, intelligentissimi e acculturati, ma alcolizzati, senza famiglia, fissati col sesso e senza un preciso scopo nella vita.
 I due sono stati giovani di ottime speranze, (uno dei due ha persino un dottorato), ma poi, ad un certo punto, la vita li ha schiacciati rendendoli degli emarginati che non fanno nulla per togliersi dalla loro condizione di emarginazione.
 Qualcosa in loro è morto, sarebbe interessante capire cosa, ma l'autore decide che è meglio concentrarci su un'altra storia edificante: quella di Anna, la figlia adolescente e abbandonata a sè stessa, della loro migliore amica, Lorraine, la quale muore improvvisamente davanti a loro.
 Anna, che ha abbandonato la scuola e vive arrangiandosi, giunge cercando la madre defunta e finisce per rimanere a vivere insieme a loro in un quartiere malfamato di New Orleans. Qui si lascia convincere a riscriversi a scuola ecc ecc ecc
 La trama è assai banale, i personaggi più interessanti. Personalmente avrei gradito di più sapere perché due persone che potevano avere un avvenire luminoso non sono state in grado di reggere il peso della vita. Peccato che l'autore abbia pensato fosse meglio farmi capire come funzionano le borse di studio negli Stati Uniti d'America. Voto 2 stellette e mezzo.
 (Ps. Se qualcuno che lo ha letto è riuscito a non strillare alla settantesima volta in cui appare la parola "passerina" mi faccia sapere).

"LA VERITA' DELL'ALLIGATORE"di MASSIMO CARLOTTO ed. E/O:
 Avevo letto un'unica cosa di Carlotto, vari anni fa, il famoso "Arrivederci amore ciao". Non mi dispiacque, ma lo trovai curioso, somigliava più al trattamento di un film (che infatti ne avevano tratto ed era assai migliore) che ad un romanzo: veloce, secco, senza tanti fronzoli, ma anche troppo. ero ben disposta verso questo libro con protagonista l'Alligatore, pregiudicato per motivi politici (ma più che altro incastrato), poco dedito alla violenza, con nessuna voglia di uccidere qualcuno, e una forte etica. Ecco, l'etica è la cosa che ho più apprezzato di questo libro la cui trama, graziosa, procede in un modo troppo schematico.
Comunque, l'Alligatore viene contattato da un'avvocatessa preoccupata per un suo cliente, un ex omicida con un passato di tossicodipendenza, scomparso durante la giornata lavorativa a pochi mesi dalla fine della condanna. L'Alligatore accetta di cercarlo e, risalendo a lui, scopre un omicidio fresco fresco di cui lo scomparso sembra di nuovo l'autore: trattasi di una donna che frequentava e che, guarda caso, era uno dei giudici popolari che lo aveva condannato tanti anni prima. Inizia così un'indagine che scava nel passato e negli ambienti dell'alta borghesia padovana, tra medici inappuntabili, avvocati irreprensibili, festini sadomaso, ricatti, bustarelle, e quell'omertà che però al nord viene pacatamente passata come "riservatezza" (che insomma fa più nobile). 
 Ripeto l'etica di fondo è la cosa migliore: gggente coi soldi e senza morale che fa pagare i suoi errori a gggente che forse non ha una morale, ma di sicuro non ha i soldi. L'importante è sempre l'apparenza, poi chi ne paga le conseguenze non è affare di chi può permettersi di rimanere pulito.
 Il problema del libro, che pure ha dei bei personaggi, è che procede per confessioni-fughe-confessioni-fughe-confessioni-fughe. Cioè, si saltabecca solo da una confessione estorta all'altra, senza guizzi particolari e senza neanche quella caratterizzazione che permette ai libri di Montalbano di procedere sullo stesso schema senza risultare pedante. Anche perché poi, alla quarta confessione pensi: ma questi confessano tutto così lungamente, così tanto, così riccamente senza un problema?
 Dopo un po' pare una puntata di Dragon Ball con Majin-Bu che ti spiega il suo perfido piano per filo e per segno mentre intanto le ore passano e passano e passano. Voto quasi 3.


"IL LADRO DI LIBRI" di A. TOTA e P. VAN HOVE ed. Coconico Press:
 Il titolo libresco di questa graphic novel, il fatto che sia ambientato durante il periodo glorioso e dorato degli esistenzialisti francesi tra Sartre, Nizan, Camus e Simone de Beauvoir, mi avevano attratto nonostante il tratto molto pesante, in bianco e nero (e talvolta un po' scopiazziato da Pazienza) non mi attirassero troppo. Il risultato è NI.
Daniel Brodin è un giovane di buona famiglia con un'ossessione cleptomane per i libri. Si sente insoddisfatto dalla sua esistenza borghese, vorrebbe essere un poeta, ma non si osa, e il giorno in cui capita ad un reading provocatorio in cui l'intellighenzia invoca nuove voci poetiche dal popolo, lui finisce per declamare una poesia italiana semisconociuta raccogliendo consensi.
 Spaventato dall'improvvisa possibile notorietà, scappa e finisce tra i bassifondi parigini dove entra in contatto con una sorta di peggio gioventù: arraffoni, ladri, nullafacenti fieri di esserlo in opposizione alla dittatura borghese del consuma produci crepa. Tra loro, lui che si è sempre sentito un pesce fuor d'acqua, trova comprensione e sollievo: finalmente sa chi vuole essere. Un provocatorio signor nessuno. Ma l'ansia di riconoscimento e il desiderio di diventare un intellettuale rimane e in qualche modo lo rende cieco di fronte alla sua mediocrità finendo per precipitarlo in un destico tragico e imbarazzante.
 La storia rende molto bene un personaggio mediocre che, credendosi assai più di quel che è, si perde drammaticamente. Il problema è che non ho per niente apprezzato il punto di vista un po' snob nei confronti del periodo esistenzialista francese. Sartre e gli altri vengono passati come degli snobboni alla ricerca del giocarello intellettuale con cui farsi belli, loro ricchi, famosi e su tutti i giornali che si divertono con un poveraccio, come per metterlo nella loro collezione di stranezze. Mi è sembrata una grande ignoranza storica, soprattutto in considerazione delle biografie degli intellettuali di quel periodo, a cominciare da Camus, nato poverissimo e diventato scrittore solo grazie alla tigna di un irripetibile insegnante nell'Algeria coloniale. Va bene il contrasto, ma al contrasto c'è un limite.

 E voi ne avete letto qualcuno? Volete smentirmi (felicissima eh soprattutto per i romanzi si va a gusti personali)? Testimoniate!

2 commenti:

  1. "In generale quanti di voi si affidano al caso come metodo di scelta dei libri?"

    Rispondo: quasi tutti. Nel senso: ora forse qualche consiglio di qualcuno lo seguo, ma la maggior parte delle letture finiscono nella mia whislist prima e sul mio comodino poi per puro caso. Asimov l'ho scoperto per caso in biblioteca e avevo 12 o 13 anni, non ricordo. Per dire.

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  2. un tempo ero assai più spericolata e mi lanciavo nel vuoto, adesso sono più scientifica e ho la mia brava wishlist da depennare con calma, pazienza e qualche centinaio di anni a disposizione.

    Più o meno la stessa cosa vale anche per me. Soprattutto negli acquisti di libri nuovi, ormai non lascio più nulla al caso. Per fortuna ci sono i tour nei mercatini d'usato a darmi modo di sfogare 'l'ispirazione del momento' nella scelta dei libri...

    Comunque, non ho mai letto "Una canzone per Bobby Long", ma in compenso, ai tempi, vidi il film al cinema. Non mi dispiacque affatto, devo dire, anche se certamente non è che sia un capolavoro assoluto.
    Invece mi sa che "La verità dell'alligatore" l'ho proprio letto. O, almeno, mi ricordo quella copertina XD
    Ti dirò, non deve avermi fatto particolarmente schifo (ho una memoria da elefante per le ciofeche! :P), ma, ovviamente, neppure una grande impressione. Senza infamia e senza lode? Molto probabile...

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