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venerdì 21 agosto 2015

"Luce perfetta" di Marcello Fois, il capitolo finale della saga dei Chironi. Quando l'amicizia è raccontata come una grande e terribile storia d'amore, tra macguffin letterari, donne che sono solo pretesti, scelte che non facciamo e destini che pensiamo di subire.

 Dopo aver doverosamente fumettato (alla prossima settimana con furore il prossimo fumetto Privè), è giunto il momento di tirare le somme su quanto letto questa estate.
 Partirò con "Luce perfetta" di Marcello Fois che molte tragedie addusse ai sardi.
Fois iniziò qualche anno fa una fortunata saga familiare, quella dei Chironi, nucleo avversato da ogni sorta di sventura possibile e umanamente immaginabile. 
 Avete presente Shonda Rhimes, la temeraria autrice di "Grey's Anatomy" che ogni serie trova sempre nuovi modi per vessare i medici di un ospedale che avrebbe bisogno di un esorcismo? Ecco, Fois, rivaleggia con costei splendidamente.
 Prima di parlare di "Luce perfetta" che, premetto, è scritto in un italiano splendido, con un'attenzione rara che forse aiuterebbe molti a distinguere scrittori da pennivendoli, faccio un riassunto delle due puntate precedenti: "Stirpe" e "Nel tempo di mezzo" (quest'ultimo fu anche candidato allo Strega, ogni tanto allo Strega candidano buoni libri).
 Michele Angelo è un ragazzino pescato in un orfanotrofio da un fabbro vedovo e bisognoso di figliolanza, compagnia, forza lavoro e affetto filiale mancato. Una volta adulto si innamora di Mercedes, una bellissima ragazza dai folti capelli neri con cui mette presto su famiglia. La coppia inizia subito bene a mettere le basi di quella che pensano sarà una forte e prospera stirpe: nascono due gemelli, Pietro e Paolo. Poi, come accadeva alle coppie fertili prima dell'avvento della pillola, vengono alla luce un figlio dietro l'altro alcuni nati vivi altri vissuti pochissimo.
 Nel novero dei sopravvissuti si aggiungono Luigi Ippolito, Gavino e Marianna. Quando nasce la più piccola di casa, unica femmina, la malasorte ha già iniziato a ghermire la famiglia: i due gemelli infatti, mandati a pagare dei braccianti, sono scomparsi coi soldi. Non verranno mai più ritrovati. Questo è l'inizio di una cascata nefasta che travolgerà tutte le generazioni, inesorabilmente. 
 Di capitolo in capitolo, di libro in libro, i Chironi rimangono attaccati pervicacemente alla vita e alla storia per una flebilissima speranza. Quando pensi che ormai sia finita, che anche questa disgrazia abbia fatto il suo, ecco che spem spunta un Chironi inaspettato (se non altro i maschi Chironi oltre a essere straordinariamente fertili, generano solo maschi che portano il cognome).
 L'intera trilogia ha una serie di punti e di metafore comuni (è infatti altamente sconsigliabile leggerli non in ordine di pubblicazione). Il maggior punto debole, l'unico in realtà, è aver voluto donare ad una Sardegna arcaica, fatta di legami forti in grandissima parte maschili, di donne volitive (e chi ha conosciuto le donne sarde sa che possono esserlo fino all'esasperazione), di un contesto storico inaspettato e sconosciuto, una sorta di realismo magico alla Marquez molto forzato. 
Fois non aveva bisogno di scomodare eventi alla Macondo, la Sardegna che descrive è talmente aliena dai pensieri di chi non ci vive, così lontana da chi non ne conosce la storia (praticamente tutti i non sardi), da sembrare un posto incantato, inventato.
 In "Luce perfetta" la forzatura nel finale si vede troppo, il colpo di teatro è tanto evidente quanto inutile. Eppure Fois ha dalla sua due grandissimi pregi. Questo libro riesce nell'intento vano della maggior parte degli scrittori (non nominiamo manco i pennivendoli) italiani: costruisce dei personaggi.
 Mi spiego. I protagonisti sono due, almeno in principio: Cristian, l'ultimo dei Chironi, e Domenico, un amico fratello con cui è cresciuto insieme (i padri erano migliori amici nel libro precedente). La quarta di copertina inganna il lettore dicendo che "Cristian e Maddalena si conoscono da sempre e se il destino non si fosse messo di traverso sarebbero già l'uno dell'altra". In realtà la storia d'amore raccontata nel libro non riguarda Cristian e Maddalena, ma Cristian e Domenico.
 Ho sempre trovato affascinanti le trame che riuscivano a descrivere un'incredibile amicizia come una grande storia d'amore. In molti reputano l'amicizia secondaria rispetto all'amore e in genere, quando qualcuno la ritiene superiore, è sempre perché l'amore l'ha molto deluso. In realtà quando noi decidiamo di diventare davvero amici di qualcuno stiamo iniziando con quel qualcuno una sorta di storia d'amore, la cui profondità possiamo conoscere solo noi.
 Ci sono alcuni casi in cui questo legame avviene tra anime così affini da soverchiare il privilegiatissimo (sia nella vita che nella letteratura), amore. Descrivere amicizie così totalizzanti non è facile, ma Fois ci riesce con una chiarezza e uno struggimento davvero rari. 
 Il libro ha una costruzione molto cinematografica. Innanzitutto Fois utilizza un espediente da film: una sorta di macguffin letterario.
 Spiegone macguffin: dettasi macguffin un espediente narrativo che avvia la trama in un certo modo, attorno ad un evento che sembra importantissimo per poi farlo sparire bruscamente e renderlo completamente irrilevante allo svolgimento di colpo (se non avete capito, wikipedia è con noi).
 Sostanzialmente per tutta la prima parte noi pensiamo che l'amore tra Cristian e Maddalena sia il dramma del libro e che una complessa questione di palazzinari sardi sia fondamentale alla nostra lettura. Poi ecco che arriva la macguffingata e pam, scopriamo che tutti i personaggi non sono come ci erano apparsi fino a quel momento e che il vero terzo incomodo della storia tra Cristian e Maddalena non è Domenico, ma Maddalena stessa, la quale è capitata nel bel mezzo di un legame dai contorni infuocati e ambigui.
E qui arriva la "costruzione del personaggio". In tutti i romanzi, i personaggi sono dotati di una serie di tendenze o inclinazioni: sono autodistruttivi, sono allegri, sono depressi, sono nichilisti e via dicendo. Raramente queste tendenze vengono spiegate o dipanate adeguatamente. In genere ci viene passato il dato di fatto e le conseguenze che ne derivano, si parla di un trauma primigenio e via con dio.
 Fois non si limita al dato di fatto o al trauma lontano, riesce a fotografare il trauma.
Foto by me del golfo di Orosei (Cala Goloritzè)
 Com'è possibile che una persona possa diventare autodistruttiva, come sia effettivamente possibile che possano coabitare nella stessa persona una parte gelida, si potrebbe dire persino malvagia, e una sensibile, quasi inconsapevole dell'esistenza dell'altro. Domenico diventa un personaggio talmente vero, così reale che tramite lui si comprende ciò che altrove verrebbe liquidato con un giudizio morale. Quando conosci una persona diventa sempre più difficile giudicarne le sue azioni, per terribili che siano.
 Il finale, ma è un mio gusto personale, non è all'altezza dello svolgimento, di rara verità e incredibile rimpianto.
  In qualsiasi caso questa trilogia va letta, per la Sardegna che viene raccontata, per l'impatto che la Storia ha avuto su molti, loro malgrado, per capire che molta dell'infelicità che sembra il solo accanimento del destino, dipende anche dalle scelte che facciamo, quando noi preferiamo pensare che le stiamo solo subendo. 

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