Pagine

giovedì 1 ottobre 2015

"L'età adulta" di Ann-Marie MacDonald: troppa carne al fuoco e nessuna bistecca narrativa cotta. Possono esistere libri che irritano a prescindere? Rapporti generazionali surgelati e malriusciti in quel del Canada, tra Lolite, coming out, surgelati e cisti ossee.

Ci sono alcuni libri con cui ho un evidente problema che mi rende difficile giudicarne la bontà.

Questo dramma che spero di condividere con altri, riguarda la mia impossibilità di affezionarmi a storie che, per principio, trovo fastidiose. 
 Avevo, in verità, il sospetto che un vero scrittore sappesse rendere piacevoli e coinvolgenti anche vicende fondamentalmente irritanti, ma questa mia speranza crollò tristemente otto o nove anni fa, quando lessi "Lolita" di Nabokov.
 Si può dire qualcosa al Nabokov scrittore? Ovviamente no. Eppure la vicenda mi dava un fastidio così urticante che terminai il libro quasi con rabbia.
 Va bene scoprire il perbenismo americano e disegnare nuove leggendarie figure femminili, ma era davvero necessario che passassi il mio tempo a leggere una storia pseudopedofila? (Oh, amanti di Nabokov il mio non è un giudizio morale dello scrittore, ma della storia, capisco tutto, ma leggere di un tipo ossessionato da una ragazzina non è stato proprio il mio passatempo preferito).
 Probabilmente uno dei motivi per cui ho trovato estenuante e noiosissimo un romanzo potenzialmente interessante come "L'età adulta" di Ann-Marie MacDonald risiede in questa mia insofferenza verso alcuni temi.
 Di cosa parla questa storia troppo troppo troppo lunga? Di Mary-Rose una quarantottenne lesbica, sposata con la sua compagna e madre di due figli in quel del civile, ricco, luminoso e ordinatissimo Canada. Costei è una famosissima scrittrice di young adult (una sorta di Susan Collins per capirci) che ha rinunciato momentaneamente a scrivere il terzo libro della sua amatissima trilogia per accudire i due bimbi piccoli. O meglio, quella è la scusa che usa con sé stessa perché in realtà si trova in uno di quei classici periodi della vita in cui qualcosa si è inceppato e sembra impossibile procedere decentemente in qualsiasi direzione, lavorativa e non.
foto by me
 La causa scatenante di questo psicodramma personale è il lasso di tempo in cui Hilary, sua moglie, si deve allontanare per un periodo (che non si capisce bene quanto sia, dalla lentezza del libro sembrano mesi, ma credo non più di qualche settimana al massimo) per portare in scena un'opera teatrale dall'altro capo del paese. 
 Mary-Rose rimasta da sola coi figli e incomprensibilmente ostinata nel voler tenere una tata pagata lontano dalla sua villetta a schiera, inizia a scivolare nell'incubo della casalinga disperata.
 Ciò che vorrebbe comunicarci in modo fin troppo schematico il libro è che, alla veneranda età di quarantotto anni, di fronte all'impervio compito di madre, essa sta compiendo quel mitico passaggio all'età adulta che prima o poi tocca a tutti. 
 Il punto è che la MacDonald mette molti temi al fuoco e riesce nella straordinaria capacità di non svilupparne decentemente manco uno: sua madre aveva sofferto di depressione post partum? L'aveva davvero maltrattata o è solo una proiezione della sua mente in quanto adulta lesbica rifiutata dai genitori dopo il coming out? Le cisti ossee da cui è afflitta sin da ragazzina (dopo questo libro non vorrete mai più leggere nulla al riguardo) a cosa sono dovute? Sono congenite? Sono il risultato di un maltrattamento?
Tutti temi che io trovo personalmente molto noiosi, ma anche nella vita intendiamoci.
  Io non sopporto personalmente le persone che a quaranta, cinquant'anni, dopo una vita spesa bene o generalmente male, si mettono a rimestare in un passato che nessuno può cambiare.
 Il rapporto tra genitori e figli è ovviamente uno dei temi più forti della letteratura, un gioco di specchi generazionale, che mi diventa indigesto da lettrice e da essere umano nel momento in cui si gioca solo nei termini di vittima e carnefice, e quindi di vittima che deve diventare consapevole del suo carnefice per liberarsene.
 Non parlo ovviamente di casi particolari, di eventi estremi (come per esempio "Lasciami andare madre" di Helga Schneider), ma di casi come quelli trattati in questo libro in cui forse non si è vissuta l'infanzia ideale, ma cercare per forza un evento grave per dare una risposta a domande ridondanti, diventa inutile ed estenuante.
 Che tutto sia davvero artificioso (diremmo volgarmente una pippa mentale) nel dramma personale della protagonista, si evince dalla vuotezza di un libro che è troppo schematico, troppo freddo e in molti punti troppo americano (sì lo so che lei è canadese). I personaggi invece che affrontare il dolore, si segnano mentalmente che devono trovare uno specialista contro le crisi di rabbia, il parallelismo tra una malattia fatta da microfratture e una vita percorsa da microfratture emotive è talmente sfacciato da togliere ogni immaginazione al lettore.
 Mi ricordo che anni fa uscì un film di Piccioni "Luce dei miei occhi" in cui una donna si indebitava per comprare un negozio di surgelati, incredibile parallelismo con la freddezza emotiva della sua vita. Ricordo la recensione sconcertata di un critico che lamentava come nel cinema italiano non venisse in mente nulla di meglio che un negozio di surgelati come metafora del freddo interiore.
 La situazione è la stessa: perché insistere decine di pagine su un problema medico che capiamo dopo mezza riga rappresenta un problema più che altro emotivo?
 Invece il libro insiste, rimesta, continua. Suggerisce abusi, ma poi non li conferma, rende odiosa uaa protagonista perennemente indecisa che ricorda i bambini nati morti di sua madre (devo contare quante volte lo ripete, penso almeno trenta), ci dice almeno tre o quattro volte che abita vicino a Margaret Atwood, gira attorno ad una rivelazione che una, dopo centinaia di pagine (e di stivaletti con la coccinella che la figlioletta tirannica vuole sempre mettere da sola), perlomeno si attende come premio di consolazione.
 Niente. Il libro finisce con "Chi ha avuto, ha avuto e ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce ò passato, simmo'è Napule paisà".
 Mi dicono che l'autrice ha scritto un libro pare bellissimo, "Come vola il corvo", ora come ora mi è passata la voglia di leggerlo.

Ps. L'unica nota positiva del libro è che vi accorgerete che una volta sposati, la vita delle coppie etero e  quelle delle coppie omosessuali sono le stesse identiche, nel bene e anche nel molto male.

7 commenti:

  1. Ohibò, ecco perché il nome dell'autrice aveva qualcosa di familiare: ho in coda di lettura "Come vola il corvo" da anni. Già mia madre mi ha detto che è un libro 'peso' per gli argomenti che affronta. Dopo questo tuo post ne ho ancora più paura! °_°

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il problema di questo libro non è neanche che è peso, è che è proprio inutile. Avvia mille argomenti e non ne affronta manco uno.

      Elimina
    2. Non l'ho letto e cordialmente non lo leggero'.Un buon libro serve come il , ma ad annoiarsi proprio no.Io personalmente ho odiato Madame Bovary,penso sia l'unico personaggio che ho davvero odiato.Non riuscivo a trovare un lato positivo, gretta,meschina,piccina e profondamente ipocrita,bleah!

      Elimina
    3. La scrittrice scrisse anni fa due libri bellissimi "Chiedi perdono" e "cCome vola il corvo", piaciuti un sacco ma entrambi affrontano temi molto pesanti. Peso vuol dire scabroso?
      Sto leggendolo proprio in questi giorni e penso che sia autobiografico, è noioso ma fa anche pensare, non nomina solo la Artwood, ho trovato anche la Munro: due scrittrici che vorrei conoscere.
      Non è la Mac Donald che conoscevo.

      Elimina
    4. No, penso che intendesse dire "pesante". Anche secondo me, ribadisco, mette tremila argomenti a fuoco: rapporto con la madre, coi figli, di coppia, abusi nell'infanzia, ricordi, rimosso e settantamila altri temi, senza inquadrarne bene nessuno.

      Elimina
  2. Sto leggendo "Chiedi perdono" della MacDonald, anche qui molta carne al fuoco e non so se riuscirà a chiudere tutti questi fili, ma mi piace anche il non detto, per ora. Alla fine, vedremo...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Dicono che sia bello, ma devo dire che non ho molta voglia di tentare l'impresa.

      Elimina