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mercoledì 11 novembre 2015

La "sindrome di Montecristo", il nostro desiderio di trionfo e le aspettative che vengono deluse. Una recensione (peccato il finale) di "Finisco di contare le mattonelle" di Elisabetta Romagnoli.

 Non so quando esattamente, ma non molto tempo fa vidi uno di quei film che gli americani si ostinano a fare nonostante l'idea trita ritrita e ritrita che, stranamente, si rivelò particolarmente illuminante. 
Forse riflettendoci, era "Trent'anni in un secondo"
Parlo di quei soggetti in cui o madre e figlia si scambiano il corpo così si prova l'ebbrezza di ricordarsi cosa si prova a quattordici anni, o il giorno in cui ti svegli e scopri di colpo di non essere più una quattordicenne sfigata, ma una trentenne di successo.
 Il film, di cui non ricordo francamente titolo o trama specifica, aveva però una frase in stile memento mori: "Lo schema di ciò che sarai e di quali saranno i rapporti umani per tutta la vita vita, sono già visibili e fissati alle scuole medie".
 Se a tredici anni facciamo parte della parte di popolazione adolescenziale vessata dal prossimo, abbiamo davanti a noi due strade: soccombere o covare rancore e livore che ci consentiranno di uscire dal nostro stato di minorità e trionfare in differita di dieci o venti anni.
 Questo porta ad un segreto pensiero che credo molti di noi continuano ad accarezzare nel tempo: la voglia mista ad un certo timore di rincontrare qualcuno che non vediamo da anni. 
 Una voglia non legata a nostalgia, ma al desiderio di mostrargli cosa siamo diventati nonostante loro o nonostante loro sembrassero in netto e spesso ingiustificato vantaggio su di noi. 
 Questo sentimento credo sia molto umano e l'ho personalmente ribattezzato "Sindrome del conte di Montecristo".
 Riflettiamo, siamo tutti un po' montecristi (non ci credo che non abbiate almeno una persona su cui vorreste trionfare a posteriori), anzi speriamo di diventarlo. 
 Il povero Edmond Dantès, avviato verso un futuro promettente, con l'amore in tasca, la gioventù più splendente, viene rinchiuso in un sotterraneo con un abate per venti lunghi anni. I motivi che hanno spinto i suoi nemici (e anche i suoi amici) a rinchiudercelo, sono numerosi e vanno dall'interesse all'invidia, tuttavia, essi, nonostante i rimorsi incrociati, non sanno che un giorno egli tornerà dalle tenebre in cui l'hanno rinchiuso.
 E non solo, ma si vendicherà nel modo in cui tutti speriamo di vendicarci (oh, leggete in modo positivo e astratto l'accezione di vendetta), ovvero riapparirà tra i vivi con un aspetto languido e vagamente pallido tanto in voga tra i vampiri ottocenteschi, ricco come Creso, astuto come una volpe, intelligente e tagliente come uno stratega consumato. I suoi nemici, ex amici ed ex amori avranno di che soccombere. 
 Ecco, immagino che al mondo esistano persone pure, meravigliose, illuminate, che tutto lasciano scorrere e, tutto perdonano. Io non sono tra queste e temo di essere in buona compagnia.
 Per non darvi un'impressione sbagliata di me, arrivo al punto in cui voglio far andare a parare questo discorso, ossia ad una graphic novel uscita da poco per Bao Publishing di Elisabetta Romagnoli ( tra l'altro giovanissima, classe 1988), "Finisco di contare le mattonelle".
Attirata dallo stile grazioso e dai toni molto colorati l'ho iniziata assai speranzosa ritrovando questa pista così poco battuta della sindrome di Montecristo. 
 La protagonista è una trentenne (o giù di lì) che da ragazzina si era invaghita di un tizio che non la filava. A posteriori non saprebbe dire perché ne fosse così attratta, ma la faccenda di non essere riuscita a strappargli neanche un bacio le è rimasta sul gozzo.
 Accade così che decida di rimettersi in contatto con lui che nel frattempo è diventato un pilota di aerei e si è trasferito a Barcellona. Presa da un'incontrollabile sindrome di Montecristo, essa decide di partire per conquistarlo in differita: ora ha viaggiato, ha esperienze da vantare, anche amorose, non è più una ragazzina, ha qualcosa più che da offrire da dimostrare.
 L'inconsapevole duello tra i due, lei impegnata a sciorinare il suo curriculum vitae a scopo rimorchio, lui che di rimando dimostra comunque di essere ancora più avanti di lei, è la parte più interessante del libro. 
 Non è che nella vita deve per forza succedere qualcosa e non è neanche vero che dieci anni dopo noi si sia davvero recuperato lo svantaggio che credevamo di avere all'inizio. Certe volte è proprio come nei film americani, ci accorgiamo di essere rimasti nella stessa posizione di cui godevamo, poco invidiabilmente, in seconda media.
 E davvero il libro, con un buon finale, sarebbe stato promettente e ragguardevole.
 Ma è proprio questo il suo problema: questo libro ha ben TRE finali e nessuno dei tre è quello giusto.
 SPOILER
Finale 1: Quello che distrugge la storia. 
Ora, donne etero, io vi voglio bene, comprendo che è un colpo all'autostima che un uomo vi rifiuti, ma ve lo dico, pensare che l'unico motivo papabile per cui uno non vi si conceda è che sia in realtà omosessuale, non solo è offensivo nei confronti del genere maschile, ma va anche contro la statistica.
 Riflettete, se il 10% della popolazione mondiale è omosessuale, e metà di quel 10% sono donne, avete 5 possibilità su 100 di incontrare un uomo gay. 
Vi sembrano tante in effetti, ma se riflettete sul fatto che quei 5 possono avere un'età compresa tra gli 0 e 100 anni, capirete che le possibilità che l'evento si verifichi sono ancora minori. 
 Quindi direi che l'opzione: non vuole venire a letto con me perché è gay, forse è divertente a livello ideale, e forse farà bene alla vostra autostima, ma è stupida.
(Mi rivolgo non solo all'autrice perché conosco fior fior di donne che si spiegano questo rifiuto in un unico modo, come se anche agli uomini fosse idealmente impossibile effettuare una selezione delle donne che vogliono avere tra le loro lenzuola).
Finale 2: Il tocco surreale. Sarebbe stato grazioso se gli altri due fossero stati migliori.
Finale 3: L'ovvietà.
  Lui cede alle di lei lusinghe, dopo una notte in discoteca finiscono a letto, lei prende un aereo e depenna la questione. Aaaaah, finalmente quel fastidio che sentivo, di non essere riuscita a sedurre un ragazzetto al campo scout di quindici anni fa, è passato!
 Ecco, sono rimasta molto delusa, perché il tono della storia fino a quel momento era stato molto realista e dolceamaro e non meritava una chiusa così artefatta che toglie peso ad una storia che colpiva bene un punto dolente.
 La vita, la maggior parte delle volte è assai poco straordinaria, molto deludente e molto stupida. Spesso non ci sono lezioni da imparare né eventi che permettono di tirare le somme, la sindrome di Montecristo solitamente ci si rivolta contro,ricordandoci momenti che avremmo fatto meglio a seppellire anni e anni prima.
 A pensarci, non è folle rimanere appesi ad un desiderio di trionfo che coviamo da decenni?
 E' una domanda retorica, lo so per prima, come so, però, che cercare di rendere reale una fantasia del genere è sempre sconsigliabile. La vita non è una graphic novel. Soprattutto una graphic novel che non racconta bene la vita.

 (Oh, poi Elisabetta Romagnoli se a te è accaduto davvero, sono contenta per te, ma non sono convinta comunque!).

1 commento:

  1. Purtroppo devo segnalarti che i conti non tornano :-((

    Se 10% della popolazione mondiale è omosessuale, e metà di quel 10% sono donne, avete 5 possibilità su 50 di incontrare un uomo gay.

    Devi dimezzare anche il numero di totale di persone. Perché delle 100 persone del tuo esempio, 50 sono donne. Quindi se il 10% della popolazione mondiale è omosessuale, avete 10 possibilità su 100 di incontrare un uomo gay.

    LLaP, Andrea

    P.S. Ovviamente, nell'ipotesi che l'omosessualità sia ugualmente incidente tra gli uomini e tra le donne.
    P.P.S. Tra l'altro, l'ipotesi che gli uomini e le donne siano ugualmente "probabili" è molto dibattuta in ambito scientifico.
    P.P.P.S. Si, lo so: sono un maledetto pignolo spocchioso amante delle statistiche.

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