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venerdì 20 novembre 2015

Perché e quando la Quiet generation è diventata inquieta? Alcune riflessioni, immagino inutili, sui fatti di Parigi, sul perché dei giovani decidono di ucciderne altri, di lasciare un mondo che consideriamo perfetto, sulla crudeltà umana, sulla guerra civile spagnola e un enigmatico consenso.

 Devo dire che in questi giorni molto confusi e molto convulsi, a parte decidere di pubblicare la vignetta domenica, non ho scritto nessuna opinione rispetto a quanto avvenuto a Parigi (e alle sue conseguenze).
 
Poi non so, ho letto, come penso molti altri le vite dei miei praticamente tutti coetanei, uccisi al Bataclan e come già per la strage in Turchia qualche mese fa, di giovani che andavano a sostenere il popolo curdo, mi è presa una grande tristezza, e, anche se non era assolutamente necessario al mondo, ho deciso di scriverci in post.
  In questi giorni ho letto decine di editoriali, stati di fb, dichiarazioni di governi e alleanza, tentativi di analisi più o meno onesti.
 Mi hanno colpito due cose principalmente:
1) Nel 2001 ero abbastanza grande per ricordarmi come all'indomani la reazione emotiva e di odio fu molto più forte di quella odierna.
2) Nessuno ci sta capendo niente.
 Ovvio, non penso che comprendere le mille ragioni di una tragedia del genere, di ciò che ha portato tutti a questo punto sia una cosa facile. Potrei facilmente ricordarmi e ricordare tutte quelle inutilissime eppure affollatissime marce per la pace a cui ho partecipato al liceo. Potrei ricordare che si andò insensatamente a destabilizzare regioni che non andavano destabilizzate perché gli americani (e questa è una loro colpa collettiva) sono incapaci di votare presidenti degni di questo nome e potrei anche riportare alla memoria una strage che assurdamente nessuno ricorda.
 Non è la prima volta che l'Europa viene colpita, ce la vogliamo ricordare la strage del 2004 in Spagna? Quasi 200 persone morte sui treni dei pendolari? Perché io sì, e undici  anni siamo di nuovo qui e pure peggio di prima, visto che mezzo Nordafrica è in fiamme.
 Allora, se ci si mette a ricercare le grandi verità storiche e geopolitiche è ovvio che al nocciolo non solo non ci arriveremo mai, ma pure se dovessimo arrivarci (e a me pare che nessuno ci vada manco vicino, mi ricordo una presentazione di Loretta Napoleoni a cui ho partecipato in cui lei faceva un quadro politico-economico internazionale che pareva inattaccabile concludendo che l'Isis voleva solo un suo stato e mai avrebbe fatto attentati), non penso che sarebbe comunque facilmente risolvibile.
 Ho un'idea della realtà un po' più complessa di quella enunciata da alcuni nostri politici e non politici che confondono videogioco e realtà e inneggiano a bombardamenti definitivi, ignorando, oltre a una serie di regole diplomatiche e di tensioni internazionali un dato ineluttabile: l'Isis è tra noi non perché i terroristi si nascondano infingardi nelle orde di profughi che arrivano, Isis è tra noi, perché alcuni di noi, europei, giovani principalmente, si lasciano affascinare o rapire da un regime religioso (o come vogliamo definirlo), come quello che propongono.
 Se posso dire la mia, in tutti gli articoli che ho letto ho trovato tre enormi e gravissime mancanze, davvero enormi in confronto a quella che è stata la storia europea che ha già conosciuto regimi totalitari, liberticidi, crudeli e annichilenti.
  1.  Ci si concentra enormemente sulla religione di appartenenza e quasi per niente su ciò che questa religione può voler dire per questi individui al di là del sacro.
  2.  Il discorso è completamente slegato da qualsiasi riflessione economica.
  3.  Non si guarda indietro al nostro passato se non in modo confuso e particolaristico senza riuscire a mettere insieme gli elementi in un quadro di insieme.
 Perché dunque, questi giovani coetanei dei giovani che hanno ucciso, trovano affascinante una sirena di violenza, sangue e religione?
 La mia opinione è che gli esseri umani siano in gran parte delle persone incredibilmente deboli e rancorose. Lo dimostrano tutti i giorni e lo hanno dimostrato in ogni momento buio della storia e non fingiamo, sono stati tanti: il desiderio di dimostrare la propria superiorità sui propri simili è sempre stato gigantesco.
 Le religioni e i regimi totalitari hanno questa grande somiglianza: sono totalizzanti. Ti portano una ricetta già pronta e ti dicono: se seguirai le mie regole e le mie indicazioni, non solo non avrai nulla da temere, ma sarai anche legittimato a sentirti superiore al prossimo e a perseguitarlo. Non tutte lo fanno così esplicitamente, ma se neghiamo un dato così enorme alla base allora non si capisce niente.
In "Persepolis" di Marjane Satrapi ci sono
alcuni episodi rivelatori del sentire comune.
La famiglia che si para vestita di tutto punto
come se fossero sempre stati ferventi credenti
quando prima non gliene importava nulla, perché
questo li rende socialmente preminenti. O l'uomo
che vieta il viaggio per l'operazione al cuore al
parente di Marjane. 
 Questa è una cosa che si comprende molto bene quando, per qualche motivo, si è minoranza perseguitata. Per perseguitata non intendo necessariamente uccisa o costretta a nascondersi, ci sono altre forme, più in sintonia con il nostro vivere democratico: si chiama tolleranza. E' il grande favore che quella parte di popolazione che, per qualche motivo (economico o semplicemente numerico per dire) è in una condizione di superiorità rispetto ad altri, fa a questi altri. Io ti tollero, ma ricordati che ti sono superiore.
 Non mi sono mai illusa sull'intima bontà degli esseri umani. A parer mio, negli uomini c'è un'enorme la tendenza alla sopraffazione dell'altro, complicata da propensione alla vanità che necessita di un bisogno di riconoscimento da parte di altri di questa superiorità. La conquista più grande della civiltà è, a parer mio, riuscire a educare gli esseri umani a non sentire questa necessità. Ovviamente questa è la parte più difficile. 
E qui veniamo ad un altro punto che molti analisti hanno considerato solo in parte. Non so perchè. L'età di tutti i coinvolti: i terroristi e le vittime dei terroristi. Sono quasi coetanei e vanno in una fascia d'età che varia principalmente dai 25 ai 35 anni. Si potrebbe definire anche un fatto generazionale. 
Manifesto per l'arruolamento di volontari
francesi per il fronte popolare nella guerra
civile spagnola
Tutti a chiedersi:
capiamo un siriano che ne ha viste di cotte e di crude, un iracheno che si è sentito invaso, un libico che si è trovato confuso, ma chi glielo fa fare ad un giovane cresciuto in Europa, con uno stile di vita occidentale, libero, pieno di possibilità, con welfare che ha le sue falle, ma comunque esiste ad andare a farsi ammazzare (e ammazzare) in Siria? O, nel caso delle donne, a ricoprirsi di dodici strati di velo e finire a fare anche le schiave sessuali?
 Dunque, ricordo che sono anni che ogni tre per due, più di un sociologo ha cercato di fare il colpaccio tentando di trovare una definizione a effetto per definire la mia generazione. Finì che qualcuno decise che eravamo i Millennials, ma ricordo che per un periodo andò di moda anche "Quiet generation", la generazione tranquilla.
 Ci vedevo un velo di disprezzo, noi in fondo bambagiati, in fondo vezzeggiati, in fondo così viziati da non avere le forze o la voglia di mutare nessuna delle situazioni spiacevoli del nostro tempo. Che poi, non avevamo neanche il diritto di dire che essere sfruttati lavorativamente era spiacevole, che il sistema capitalista stesse partorendo mostri sempre più giganteschi, che le disuguaglianze sociali crescevano in modo esponenziale, che davvero forse eravamo bambagiati, ma avevamo davvero meno possibilità dei baby boomers. La nostra era comunque la migliore delle epoche storiche.
 Così la quiet generation stava zitta, ma a quanto pareva non lo era poi tanto.
 Ci sono dei periodi storici che vanno a risacca, si accumula si accumula si accumula e poi ad un certo punto parte come un elastico di colpo. Non erano forse giovani quelli che fecero la marcia su Roma? Non c'erano centinaia di interventisti ventenni durante la prima guerra mondiale? Non vennero ragazzi e ragazze da tutto il mondo a combattere su entrambi i fronti una guerra civile che si svolse sanguinosissima in Spagna negli anni '30? Una popolazione dilaniata e frotte di giovani che affluivano da tutta Europa e certo non solo per aiutare il fronte popolare. E ancora giovani pronti ad immolarsi durante la rivoluzione di Mao, la stessa gioventù nazista.
 Le condizioni storiche erano diverse, ma l'età era la stessa. E allora, cosa fa sì che ogni tot di tempo generazioni che sembravano tanto quiete si scoprano improvvisamente inquiete, agitate da incubi che non credevano di avere?
C'è un libro che secondo me è rivelatore e ci risponde senza cercare troppe scuse. Si chiama "Hitler e l'enigma del consenso", un saggio di Ian Kershaw sull'inquietante adesione quasi totale del popolo tedesco al regime nazista. Cosa spinse un intero popolo verso un delirio di sangue e onnipotenza che nulla lasciava presagire?
 Le stesse cose predette: insoddisfazione, frustrazione dopo i trattati della prima guerra mondiale che vedevano pesanti ripercussioni economiche e morali su una nazione orgogliosa. Il terreno era fertile perché qualcuno in grado di proporre "un'idea" che aggregasse e ispirasse le masse stanche e nervose trovasse consenso.
 Ne trovò fin troppo visto che la Germania non ha praticamente avuto resistenza, e ad ogni livello sociale, segno che non era solo un'oligarchia a guidare o una popolazione dal basso a richiedere. Tutti si lasciarono trascinare per una serie di motivi che si annodarono al punto da rendere possibile l'orrore.
 Ora tutto riappare, come una gigantesca trappola. Quindici anni fa c'erano dimostrazioni di proporzioni epiche contro la globalizzazione, un fenomeno che sconcertava, sui quali ci si interrogava, le coi conseguenze sgomentavano. Poi, qualche repressione qui e lì e tutto è sparito.
 Ma ne sono svaniti gli effetti? Una società che collassa a più livelli, la sparizione di punti di riferimento, un mondo con distanze sempre più brevi e certezze ormai sempre più inesistenti e generazioni precedenti che si appoggiano alle successive con un peso enorme. Il tutto mentre un'economia di mercato sempre più spinta e un individualismo sempre più gigantesco ci suggerivano che tutti gli -ismi erano uguali, tutti sbagliati, la causa unica dei mali del mondo.
 Così ogni volta che si provava ad avanzare un'opinione diversa, un'obiezione, ci si sentiva rispondere "E' già successo, abbiamo già visto. E' inutile che credi in questo, è inutile che lotti, è inutile che provi a cambiare. Piuttosto, adattati a questo sistema che dona ricchezza a tutti, se solo quei tutti si impegnano e vogliono".
 Ma era una menzogna. Perché non solo non è vero che tutti possono accedere davvero alla ricchezza, ma non è neanche la ricchezza la misura giusta delle nostre vite (e qui vado citando un saggio scritto a più mani da Sen, Fitoussi e Stielgliz "La misura sbagliata delle nostre vite").
  E così il risentimento si monta a smarrimento in persone molto fragili, socialmente svantaggiate, strette nelle maglie molto pretenziose e  mentre in altre, frustrate da una mancanza di riconoscimento  o semplicemente ansiose di dimostrare la propria superiorità (non fingiamo che non sia anche un nostro problema, l'omofobia, la violenza contro le donne, hanno tutte la stessa radice: la volontà di imporre la propria supremazia frustrata su qualcuno che riteniamo inferiore) è scusa per testare e comprovare la propria onnipotenza.
Gerda Taro 
  In questo senso credo che lo stesso martirio, la volontà di morire dopotutto giovani in guerra, ne faccia parte: per morire bisogna avere una determinazione fortissima, e il desiderio di annientare l'altro può essere un deterrente abbastanza vanaglorioso e potente. 
 E perché prendersela coi propri coetanei o quasi?
 Perché ogni guerra ha un preciso nemico, e in questo caso è un doppio. Un doppio verso il quale si provano sentimenti ambivalenti, perché ricorda tutti i giorni la possibilità se non di un'altra vita, di un'altra scelta che, in un regime totalitario e fanatico non può e non deve esistere. E' qualcuno con cui condividiamo l'appartenenza alla stessa generazione, qualcuno a cui, volenti o nolenti siamo legati e con cui, volenti o nolenti dobbiamo confrontarci.
Uno dei pochi articoli che mi è piaciuto di questi giorni titolava "Ora siamo noi i nostri padri", nel senso che per anni abbiamo campato sulle conquiste delle generazioni passate e ora dobbiamo lottare per mantenerle.
 Ecco, io penso che sarebbe stato più giusto dire "Ora siamo noi i nostri nonni", perché sono stati loro a ricostruire qualcosa di buono dopo la seconda guerra mondiale, nell'intento che tutto ciò non tornasse mai più. Hanno costruito un'Europa che si basasse sulla fratellanza e non possiamo dire, viste le innumerevoli nazionalità dei ragazzi del Bataclan, che non ci siano riusciti.
 Ma poi la ricostruzione si è interrotta, tante cose sono rimaste a metà in tutto il mondo. La strage di Suruc, in Turchia, che ha visto l'uccisione, a opera di un kamikaze di 18 anni, di 32 ragazzi della federazione dei giovani socialisti in partenza per alcune opere sociali verso Kobane è anch'essa figlia di questa interruzione.
 C'è bisogno di una grandissima forza di volontà per distruggere quel bisogno di sopraffazione del prossimo, di vanità, di imposizione delle nostre regole agli altri e passa, in primo luogo, per l'autocritica, per la comprensione dell'enormità di ciò che stiamo facendo. 
Uno degli ultimi selfie dei ragazzi uccisi a Suruc
 La generazione quieta non lo era poi così tanto, e ora, anche secondo me, dovremmo portare il fardello di reggere l'enormità del colpo subito, il tentativo di destabilizzare il mondo che abbiamo sempre conosciuto. E magari migliorarlo, perché il nostro non è più il migliore dei mondi possibile.
 E per me, la base molto più che religiosa è sempre economica.
 Finché non esisterà un mondo economicamente giusto, ci saranno sempre sirene di guerra che trascineranno i tanti smarriti o fragili o, non prendiamoci in giro, anche gli ansiosi di essere crudeli, a cui sembra di sentire finalmente una voce, una direzione, una causa.
 Il modo per lasciare, secondo loro, il loro segno sul mondo.

Dunque, volevo citare molti libri, ma alla fine, per quanto lungo e contorto sia stato il post, non sono riuscita a citarne nessuno. Di seguito, quelli che avevo in mente:
- "L'enigma del consenso"
- "Persepolis" di Marjane Satrapi 
- "La banalità del male" di Hanna Arendt
- "L'uccisore" racconto di Eraldo Baldini
- "Gerda Taro. Una fotografa nella guerra civile spagnola" di Irme Schaber
-  "La guerra civile spagnola" di Paul Preston

Continuo a ricordare che questo mio post tanto lungo, quanto penso inutile, non vuole indagare le cause di una guerra, ma i motivi di alcune decisioni. E, soprattutto, non ho alcuna pretesa di aver ragione. Vorrei solo capire.

10 commenti:

  1. “Nel 2001 ero abbastanza grande per ricordarmi come all'indomani la reazione emotiva e di odio fu molto più forte di quella odierna.”

    Concordo: la partecipazione in termini emotivi fu molto più drammatica. Il livello riflessivo era zero, tutto divenne immediatamente orgoglio nazionalistico anzi “occidentalistico”.
    C’era qualcosa nell’atteggiamento comune che già allora mi inquietava; la paura rendeva ciechi e anche se non lo si capiva razionalmente (tieni presente che ora come adesso la propaganda era fortissima) lo si avvertiva a livello emozionale.
    Adesso le stragi vengono metabolizzate in tempi emotivi velocizzati e legati alla vicinanza geografica; quindi, al netto di tutto, a mio parere è solo una gestione forzata della paura: più i morti sono lontani, più ci sentiamo sicuri.
    Poi c’è la dimensione del numero che insensibilizza; come insegnano i nazisti : “la morte di un uomo è una tragedia, la morte di mille una fatalità”.
    La tua analisi a mio parere non può che essere condivisa, ma anche ammesso che non tutti si orientino secondo queste coordinate di pensiero, deve fare riflettere.
    La guerra in atto ha tante facce, tanti livelli.
    Come scrivi, la guerra appare trasversale tra generazioni a livello mondiale, ma se riflettiamo anche in Italia è in atto una vera guerra tra i tuoi coetanei e tutte le generazioni coeve: i padri, i nonni.
    In soldoni tra chi ha un lavoro o una pensione, un reddito (e prima ha avuto un lavoro ed un futuro allora garantito) e chi non lo ha e dovrà lottare per ottenerlo anche contro il resto del paese. Perché-non nascondiamolo- che sentimenti può avere un neo laureato che va in stage per una cifra ridicola e chi ha una pensione discreta o anche elevata per avere avuto la possibilità (oggi: il privilegio) di lavorare in regola?

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  3. Dunque prima una precisazione puntigliosa. L'ultimo attentato in Europa di grosse dimensioni fu il 7 luglio 2005 a Londra sotto la metro vicino le principali stazioni dei treni e metro (liverpool St, Paddington e King's Cross).

    Poi un complimento, perché sebbene non concordi con tutto quello che hai scritto, la tua è una delle riflessioni più sfaccettate che abbia letto nell'ultima settimana.

    Il mio punto di riflessione è che nell'età dai 20, forse 15, ai 35 si è vulnerabili alle idee totalitarie perché i giovani, nel bene o nel male crecano un senso alla vita, dei valori. E la società e le famiglie hanno fallito nel trasmettere dei valori costruttivi. Così i giovani sono attratti da ideologie che si fanno portatrici di valori distruttivi. E non solo ISIS, ma anche neonazismo, antisemitismo, xenofobie di vario tipo.
    Io vedo un problema di integrazione, queste persone sono arrivate con una loro cultura e si sono ritrovate in nazioni che hanno valori diversi, contrastanti ma che non fanno nulla per aiutarli a capire le basi dei nostri valori, a spiegarli, a cercare di negoziare con loro alcune cose, bensì sono stati ghettizzati.
    Poi c'è, a mio avviso, un problema culturale nel senso che magari anche nella stesse condizioni sociali, ragazzi provenienti da culture sudamericane o dell'oriente (cinesi, vietnamiti, indiani etc) pur magari avendo le stesse difficoltà di integrazione non hanno dato vita a ideologie violente e aggressive. Questo perché la religione mussulmana si presta a letture estremiste, e è così storicamente (setta Hashashin, divisioni sunniti/sciiti etc). E in Europa le comunità islamiche moderate finora hanno chiuso tutte e due gli occhi di fronte alle derive estremiste che si sviluppavano nelle moschee.
    Più i problemi di politica internazionale nel Nord Africa e in Medio Oriente. Per esempio cosa fanno Arabia Saudita, EAU etc? Perché non dicono nulla? Perché non accolgono i migranti dalla Siria (perché in Siria sono sciiti (e supportati dall'Iran) e i EAU etc sono waabiti sunniti.

    Per me queste sono le tre principali linee di riflessione. Poi mi sa che ci sono i presupposti per la terza guerra mondiale. Staremo a vedere.


    L

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    1. magari anche nella stesse condizioni sociali, ragazzi provenienti da culture sudamericane o dell'oriente (cinesi, vietnamiti, indiani etc) pur magari avendo le stesse difficoltà di integrazione non hanno dato vita a ideologie violente e aggressive.

      Beh, insomma. Gli attentati col gas Sarin successi a Tokyo nel 1995 proprio una roba pacifica non sono stati. E lì la matrice era buddhista/induista.
      Cioè, anche a me fa senso immaginarmi i buddhisti terroristi, ma a 'sto mondo succede anche questo °_°

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    2. Ricordavo gli attentati di Londra, ma non so perché ricordavo fossero stati di dimensioni minori (quello spagnolo mi sconvolse e mi è rimasto molto più impresso). Piuttosto, tra le altre stragi di giovani ad opera dei terroristi ho dimenticato di citare quella in Kenya.
      E per quel che riguarda altre stragi di matrice non religiose perpetrate negli ultimi anni ai danni dei giovani c'è quell'enorme tragedia che fu Utoya: lì c'era un filonazista non troppo più vecchio dei ragazzetti, giovani socialisti, in campeggio politico. Lì era un singolo, ma alla fine anche questi sono singole schegge impazzite che però hanno anche un riferimento a cui aggregarsi e con cui "giustificarsi". Quello che voglio dire è che se esistessero altri movimenti (come il nazismo o per citare Minty, la setta della strage di Tokyo) violenti e non religiosi, ce ne sarebbero di persone a cui della religione non frega niente, pronta ad affiliarsi. Per i motivi che ho tentato di citare nel post.

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    3. All'inizio ho scritto infatti che concordo sia un problema generazionale. "Il mio punto di riflessione è che nell'età dai 20, forse 15, ai 35 si è vulnerabili alle idee totalitarie perché i giovani, nel bene o nel male crecano un senso alla vita, dei valori. E la società e le famiglie hanno fallito nel trasmettere dei valori costruttivi. Così i giovani sono attratti da ideologie che si fanno portatrici di valori distruttivi. E non solo ISIS, ma anche neonazismo, antisemitismo, xenofobie di vario tipo."
      E si certo concordo sul fatto che l'umanità e` tendenzialmente cattiva.

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  4. Resto sempre molto ammirata della tua lucidità di analisi e, soprattutto, della tua capacità di mettere tutto per iscritto in modo ordinato e sintetico. Condivido moltissimo di quanto scrivi, ma non avrei mai saputo dirlo così bene ^^

    L'idea che questo non sia più il migliore dei mondi possibili e che a questo punto tocchi a noi (mi metto nel numero, anche se di anni ne ho già 38) rimboccarci le maniche e cambiare qualcosa, dopo aver sempre campato sulle conquiste fatte prima della nostra nascita, da un lato la trovo quasi stimolante, dall'altro mi terrorizza: in qualche modo siamo una generazione un po' 'anestetizzata', tartassata da un processo storico che prima ci ha cresciuti 'bambagiati' per poi sbatterci in faccia che non potremo mai avere i privilegi (ormai tocca chiamarli così) di cui hanno potuto godere i nostri genitori, pur sudandoseli. Uno stato di cose che ci ha resi, appunto, anche troppo "quiet", ma io direi proprio incapaci all'azione (e non sto parlando di azioni violente, sia chiaro).
    Ecco, l'idea che proprio a noi - allocchiti - tocchi raddrizzare il disastro in cui siamo precipitati dopo 20-30 anni di malagestione del globo tutto, mi spaventa non poco. Anche se, appunto, il fatto di avere "qualcosa da fare" di molto più importante che cercare soltanto di galleggiare lo vedo anche come una grande opportunità.

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    1. Sì, non nego lo sgomento al riguardo. Francamente mi pare una prova enorme, anche per i motivi che dici (che poi credo sia una mia vecchia ossessione perché scrissi diversi racconti distopici al riguardo: un'improvvisa guerra e una generazione incapace di reggerne il peso). Devo dire che ritengo i miei genitori molto più bambagiati di me (i miei non hanno neanche 55 anni, quindi si sono anche saltati o hanno preso di striscio le grandi lotte). Quindi, che i cinquantenni di ora vengano a fare la morale ai trentenni dicendo che sono troppo quieti mi urta un filino, per quello ho trovato la definizione "quiet generation" sempre odiosa.

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    2. ritengo i miei genitori molto più bambagiati di me (i miei non hanno neanche 55 anni, quindi si sono anche saltati o hanno preso di striscio le grandi lotte).

      Per motivi anagrafici, i miei genitori sono un po' più grandi dei tuoi.
      Invidio la vita di mio padre, che sì, s'è fatto il mazzo da ragazzino per aiutare una famiglia non particolarmente agiata, ma ha avuto la possibilità di studiare e, ancora giovane, trovare il lavoro della vita nel suo ramo d'elezione, restare 40 anni nella stessa azienda-famiglia, non conoscere mai tante storture del mondo del lavoro e andare in pensione sereno, appena in tempo prima che quell'azienda-famiglia implodesse sotto la crisi e la cattiva gestione di alcuni, lasciando col c*lo per terra tanti suoi amici e molto choccati tutti quelli che, come lui, ci avevano creduto e ci si erano fatti il mazzo (tanto mazzo, eh!) a tempo debito.
      Mia madre, prima di tanti figli in una famiglia molto proletaria, è andata a lavorare a 14 anni, ritrovandosi quasi subito in fabbrica, ha fatto le medie serali a 22 anni, lavorando di giorno e studiando di notte, ha conosciuto il lavoro operaio per cos'era e s'è fatta un po' di lotte sindacali, convivendo per 40 anni con padroni e situazioni lavorative a volte corretti, a volte no, e andando in pensione anche perché ormai il suo fisico non reggeva più il compito.

      Non so, non riesco a ritenerli bambagiati (soprattutto mia madre). Di sicuro hanno goduto di una congiuntura storica particolarmente favorevole, per la quale si sono sì dovuti impegnare tanto, ma in cambio di quegli sforzi hanno anche ottenuto tanto in termini di avanzamento sociale, sicurezze, garanzie, ritorni tangibili.
      La nostra è una generazione che, hai voglia a sbatterti, ma certe garanzie e agevolazioni e sicurezze non è più in condizione di raggiungerle (di questi giorni i primi licenziamenti post Job-act: lavoro a tempo indeterminato durato 8 mesi...), e forse proprio l'essere cresciuti al riparo di certe certezze e la consapevolezza di non poter più mantenerle a nostra volta ci paralizza e ci fa 'passare la voglia'.
      Io sono consapevole di vivere in un eterno senso di disillusione da anni e anni, mentre tutto ciò che ho intorno frantuma i valori e i credo che i miei mi hanno trasmesso. E penso di essere così quiet e inconcludente forse anche per l'immensa frustrazione che ciò genera.

      Ecco, in una situazione simile, forse un'emergenza che ci scuota tutti dal torpore è quello che ci vuole, perché tutti ci rimbocchiamo le maniche e proviamo a ricostruire qualcosa, come hanno fatto i nostri nonni tanti anni fa. D'altronde l'idea che tocchi ai figli-dei-fortunati-decaduti-e-come-tali-impreparati-all'-emergenza mi spaventa anche tanto.

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  5. scusate il commento che non centra veramente una cippa e tralaltro sembra il post meno appropriato...cmq memore di quel post dove si parlava de "l'altra irene", da regalare a una dodicenne. Ecco, io avrei una dodicenne in vena di storie fantasmatiche/inquietanti...il pro<blema è che quel libro è fuori catalogo. Non ci sarebbe qualche altro libro a tema che potresti consigliarmi? inquietante sì, ma sempre tenendo conto dell'età.
    Grazie

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