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lunedì 1 febbraio 2016

"Cloud Atlas", i supermercati notturni e la valanga di cui non siamo consci di far parte. Perché siamo tutti uniti da un'immensa rete che attraversa epoche e luoghi come una trappola.

 Una cosa che sembra completamente estranea al nostro tempo individualista, è la concezione che, in un qualche modo, le scelte di un singolo possano avere conseguenze sulla società. 
 Da una parte è una cosa un po' triste perché si abdica al proprio diritto, al desiderio e anche alla speranza (per quanto ok, quasi sempre impossibile e infondata, quasi) di poter contribuire a mutare il corso degli eventi.
 Da un'altra è una questione assai più pericolosa perché impedisce di concepire un bene e un male che vada oltre al nostro bene e al nostro male. Contiamo solo noi, la collettività non è affar nostro e comunque non esiste più.
 Non voglio fare discorsi retorici perché molti pensano che giustamente la collettività di loro se ne strafreghi ed è per questo che pensano solo al proprio orto. Ma spesso pensare agli altri è anche pensare a noi stessi.
 Farò un esempio che non riesco a togliermi dalla testa. In questi mesi anche in Italia è approdata una novità di cui, evidentemente, sentivamo la necessità: i supermercati aperti 24/7. Per avere il diritto di comprare in ogni secondo della giornata quello che riteniamo ci serva, della gente viene fatta lavorare anche in piena notte (i commessi e, mi auguro, anche la sicurezza). 
 Personalmente la trovo una roba inquietante: che senso ha stravolgere il ritmo sonno/veglia e la vita di un tot di persone solo perché vogliamo farci una birra o ci siamo scordati di fare scorta di pannolini?
 In ogni caso ho notato che la maggioranza lo festeggiava al grido di "E' il capitalismo bellezza", e vabbeh. 
 Poi io mi sono chiesta, ma questi che ora si trovano a lavorare la notte (lo so che i medici ci lavorano da sempre, ma ammetterete che è un'urgenza diversa), se hanno dei figli piccoli o dei genitori anziani, a chi li lasciano? Così ho iniziato a pensare che, se un giorno lavorare di notte rappresentasse una piccola fetta di mercato abbastanza corposa, inizierebbero a nascere asili nido notturni, e uffici postali notturni e negozi per chi lavora negli altri negozi o prende l'abitudine ad andar per negozi la notte. Alla fine insomma, non si tratterebbe più di una microscopica fetta di commessi, ma di un mondo ben più vasto. 
 Lo so, non è una pensata particolarmente originale e ci è stato scritto di recente un saggio "24/7" (by Jonathan Crary ed. Einaudi) su come il capitalismo tenti di arrambare l'ultimo ostacolo al consumo perpetuo: il sonno. Non dovemo dormì o dobbiamo dormire meno o dobbiamo dormire a turno, perché si possa consumare mediamente sempre. Poi che la vita sociale o familiare diventi impossibile un po', romanamente, 'sticaxxi, la liquefazione della società non sono cavoli del capitalismo, bellezza.
 Due settimane fa, in preda ad un raffreddore cosmico, ho visto "Cloud Atlas" (tratto dall'omonimo libro di David Mitchell), un film che mi era stato ampiamente sconsigliato da molti perché troppo lungo e troppo confuso. In effetti, nelle sei storie che si incrociano, su diversi piani temporali, non è semplicissimo cogliere il legame che talvolta sembra persino pretestuoso o flebilissimo.
 Per chi non lo avesse visto o letto, si tratta infatti di sei racconti che si snodano dagli anni '30 a un futuro post-apocalittico in cui, dopo una guerra fratricida, siamo tornati ad uno stato quasi primitivo.  
 Nel mezzo ci sono un pianista bisessuale dissoluto e di talento, una giornalista che sventa una catastrofe nucleare programmata, un medico inglese ai tempi delle colonie che rischia la morte per un tradimento, un anziano editore che scappa da un ospizio in cui è stato rinchiuso con l'inganno e, probabilmente, la storia più interessante: quella di Sonmi, una cameriera clone coreana di un futuro in cui gli esseri umani sono ormai visti come consumatori e campano sullo sfruttamento di masse clonate-
 A parte un continuo rimando di citazioni e una lievissima imbeccata che si possa trattare della reincarnazione della medesima persona in sei diversi momenti della storia, il libro e il film non danno adito a nessuna evidente correlazione e, immagino, deve essere stato questo a indisporre la maggior parte degli spettatori/lettori.
 In realtà penso che questa volontà sia la cosa più interessante in assoluto. "Cloud Atlas" esplora il genere fantascientifico in un modo molto affascinante.
 In genere le ucronie e le distopie si concentrano su uno spaventoso risultato o su un delirante mondo parallelo (che ci dimostra però quanto in realtà sia delirante anche il nostro). Vediamo insomma le derive e i risultati delle nostre azioni, ma i motivi sono sempre macroscopici e mai microscopici. E' sempre la massa che indirizza la storia e mai il singolo che si sente responsabile della valanga.
 "Cloud Atlas" invece punta il dito contro il singolo.
 Il pianista che vuole solo comporre il suo sestetto prima di suicidarsi non può immaginare che forse la sua morte avrebbe potuto deviare il corso della storia: magari il suo amante, il giovane fisico Sixsmith avrebbe compiuto diverse scelte e non sarebbe giunto a partorire un programma nucleare potenzialmente letale. E cosa sarebbe successo se il padre della giornalista Luisa Rey non avesse dato un calcio alla granata che salvò l'uomo che trent'anni dopo salverà sua figlia intenta a sventare una catastrofe nucleare programmata? Cosa sarebbe accaduto se un insignificante editore da quattro soldi non avesse tentato una fuga tragicomica da un orrendo ospizio ispirando un film destinato a diventare un inno alla libertà degli oppressi?
Ed è stato un bene che una giovane clone scoprisse la verità su un mondo consumista che per anni poteva vedere solo tra i tavoli di un fast food? Ossia un mondo di consumatori col diritto di consumare concessogli da un chip "anima" e di uomini destinati alla povertà e alla follia nei sobborghi di città devastate dall'inquinamento. Un mondo in cui i cloni sono visti come schiavi senza anima e volontà e vengono genomati apposta per scavare in caverne radioattive o stare in piedi sedici ore a servire ai tavoli senza stancarsi. Cloni che si nutrono inconsapevolmente dei loro simili, a cui viene promesso un eden quando ormai sono troppo usurati per servire ancora, e che vengono invece uccisi per fornire proteine nutrienti.
 E' stato un bene che, (si suppone nel libro), questo abbia contribuito a scatenare una guerra devastante che ha riportato la terra ad uno stato primitivo, ma meno corrotto? In cui le radiazioni ovunque hanno creato un ambiente ostile e società prerurali?
 Il libro è godibile per tanti motivi, perché ha un interessante uso della lingua, diversa per ogni epoca storica, e perché propone tanti generi differenti, dal comico allo sci-fi.
  Ci chiede se siamo davvero innocenti in quel che stiamo facendo, ci domanda se ci stiamo accorgendo di quello che stiamo facendo e in quale rapporto ci sentiamo con gli altri. Riteniamo la nostra società giusta? La riteniamo immodificabile? Ci sentiamo davvero un tassello di un enorme puzzle o viviamo come Sonmi, ignari di ciò che accade oltre le mura della nostra vita?
Allo stesso tempo è terribile perché pone tante domande.
 E ci cala nell'inquietante sensazione di vivere in uno dei sei strati lasciando che il mondo inizi a sembrare immerso in una distopia. Leggiamo di persone che davanti a bambini africani che estraggono cobalto per i nostri pc sono solo in grado di commentare "E' il capitalismo, bellezza" (giuro), ci rendiamo conto che gli ospizi, per persone di un secolo fa rappresentano una deriva uscita dai loro peggiori incubi (un luogo dove raccogliamo le persone anziane in attesa che muoiano), ci sentiamo impotenti davanti a situazioni internazionali che sembrano sempre più disperate e immaginiamo nei nostri incubi flussi migratori che ci renderanno schiavi e sottomessi.
 Siamo già immersi in una delle storie di "Cloud Atlas", quello che non sappiamo è come incideremo in quelle future. Vivere è sempre una splendida e terribile responsabilità.

L'ideale colonna sonora del post di oggi (e che forse spiega meglio, ciò che volevo dire col post):

7 commenti:

  1. C'è stata un resistenza, e anche tenace e ben guidata, alla frenesia del 24/7, ma alla fine ha dovuto cedere.

    Quando siamo venuti a vivere in Germania nel 1980, TUTTI i negozi chiudevano (dovevano chiudere, per legge) alle 12.00 del sabato, e non se ne parlava più sino a lunedì mattina (a parte le farmacie di turno). E anche in settimana, l'orario di apertura era obbligatoriamente solo dalle 09.00 alle 18.30, e non poche città imponevano anche l'intervallo pranzo.

    Questo non era fatto per il gusto sadico di complicare la vita alla gente, ma proprio come politica deliberata per impedire che le grandi catene di distribuzione schiavizzassero i loro dipendenti e al tempo stesso distruggessero i piccoli negozi a conduzione familiare.

    Poi, quando la riunificazione ha portato ad esigenze economiche e finanziarie di ben altro livello, si è progressivamente abbandonato tutto.

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    1. Ha dovuto cedere perché tutti festeggiano l'avvento del 24/7 come un segno di progresso (evviva possiamo comprare quando ci pare, poi chissenefrega di chi lavora di notte), ma prima o poi, come dice il libro, questa non resistenza colpirà anche noi. Siamo tutti collegati.

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  2. Oh io ho adorato Cloud Atlas, sia il film che il libro!
    Mi piace soprattutto perché ti costringe a porti della domande. Penso che un romanzo che riesce a costruire una storia coinvolgente e allo stesso tempo a parlare di temi attuali sia, indipendentemente dai gusti personali, un ottimo romanzo.

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  3. Tutto quello che facciamo, ogni nostra scelta, influenza la vita di chi ci sta attorno, le generazioni future e il pianeta intero.
    Credo che dovremmo mettercelo in testa tutti, ma non è così scontato. Un esempio classico è quello del genitore, o nonno che sia, che non vuole prendersi cura di sé e ti dice che non è affar tuo, che non andrà dal medico, che non smetterà di fumare e via dicendo. Peccato che poi, quando le conseguenze della sua scelta si ripercuotono sulla sua salute, lo fanno pure sulla vita di chi gli sta intorno: mica si possono lasciare a loro stessi, no?

    Forse leggo il libro!

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  4. Anch'io ho adorato il film, ora voglio a tutti i costi leggere il libro. Non so se nell'originale ci sia il filo conduttore della lettura, il fatto che ogni personaggio legga qualcosa del personaggio che l'ha preceduto, si leghi a lui/lei attraverso un documento lasciato alla posterità, ma spero di sì: da divoratrice compulsiva di pagine :D l'ho trovato toccante.
    In merito a questo tuo interessantissimo post mi è tornata in mente una "storiella" che girava anni fa. Immagino fosse una bufala, ma era lo stesso molto carina. Parlava di un contadino che, un giorno, salva dall'annegamento un ragazzino. Il padre del ragazzino, per sdebitarsi, paga gli studi al figlio del contadino. Il ragazzino salvato si scopre essere Churchill e il figlio del contadino che ha potuto andare all'Università è Fleming.
    Immagino ci siano milioni di storielle simili, che fanno riflettere su come una singola azione di una singola persona possa cambiare la storia dell'intera umanità, non so perché mi sia rimasta impressa proprio questa. In ogni caso è un messaggio importante, andrebbe ricordato sempre. Ci dimentichiamo troppo spesso di far parte di qualcosa molto più grande di noi, impegnati come siamo a concentrarci su noi stessi.

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  5. Dato che hai sia visto il film sia letto il libro, volevo chiederti se nel film la trama si discosta molto dal libro.
    A me il film è piaciuto, non ho trovato assolutamente sgradevole l'idea che non venisse fornita alcuna spiegazione esplicita sul collegamento tra le varie storie.

    Se ti piace la fantascienza corale distopica e con alcuni spunti di riflessione interessanti, ti consiglio di leggere Tutti a Zanzibar di John Brunner. Secondo me è un ottimo romanzo di fantascienza, se per caso l'avessi già letto mi piacerebbe sentire il tuo parere.

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  6. Visto e adorato all'inverosimile il film.
    Il libro di conseguenza, ma l'ho letto andando a ricercare i personaggi tanto amati del film.
    Il film mi ha lasciata quel senso di inquietudine, di 'verità' svelata che ti aspetta solo un passo oltre la percezione.
    Mi è rimasta nel cuore la figura di Sonmi <3

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