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giovedì 29 settembre 2016

I mille volti della sovversione: enorme opportunità storica o anticamera di sempre nuovi reazionari? La rivoluzione vista da Emma Goldman, la rossa, nella nuova biografia dell'Elèuthera.

 In rete circola da un bel po' una frase attribuita a Sandro Pertini (ma non sua, come non è di Voltaire la famosa frase "Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere" e ci tengo sempre a sottolinearlo): "Quando un governo non fa quello che vuole il popolo, va cacciato via con le mazze e con le pietre". 

 Le ragioni di questa moda vanno da ricercarsi in quella parola ambigua (e da sempre molto in voga, ma ultimamente di più) che è sovversione. 

La celeberrima vignetta di Andrea Pazienza
 Ambigua perché, nonostante sul momento dia l'impressione di contenere un'accezione solamente negativa, in realtà ha anche sfumature positive e molti pensano che appunto incarni una di esse. 

 La giusta sovversione (a occhio): il popolo che tradito si ribella a un ordine che disconosce in quanto traditore.

 Sembrerebbe tutto molto semplice, ma il confine tra il positivo e il negativo è molto vago e alberga in numerose domande che l'aspirante sovversivo dovrebbe porsi.

  In primis: chi è il popolo? Come si fa a decidere che la maggior parte della popolazione è d'accordo con quanto fa o non fa il governo eletto?

  E cosa succede se quello che vuole la maggioranza è un'aberrazione, come successo durante il nazismo il fascismo?

 Cosa succede, come nel caso della Brexit, se il popolo il giorno prima vota una cosa e il giorno dopo, in parte, si pente? Si fanno referendum giornalieri per decidere quel giorno cosa pensa il popolo? E coloro che deliberatamente scelgono di non votare, non discutere, non far sentire la propria voce, hanno diritto o meno di usare le succitate pietre?

Una foto del "popolo"
 La sovversione, in astratto è un atto che può aprire grandi possibilità: l'ordine precostituito ha sempre dei padroni, una classe dominante, un qualcuno che detiene in forza di eredità, di consuetudini, di leggi che riteniamo ingiuste, di favoritismi economici e sociali magari anche secolari.

 Sovvertire il sistema, interrompendo tale dominazione può essere positivo, come può essere positivo introdurre nuovi valori o una nuova cultura in quella vecchia eppure preminente.
 Il patriarcato, per esempio, ha dominato per secoli (e ancora sta lì che resiste con le unghie e con i denti), le lotte femminili in qualsiasi secolo e in qualsiasi luogo sono state una grande forma di sovversione (e secondo me rimangono tuttora il nodo fondamentale della gran parte dei problemi di questo mondo) che ha portato ha cambiamenti molto positivi.

 Esiste una sovversione pacifica? D'istinto diremmo di no, ma è qui che ci viene incontro l'ambiguità della parola

 Sovversione è rovesciare l'ordine precostituito.

 Fu sovversione la resistenza passiva come fecero gli uomini che rivendicarono l'obiezione di coscienza al servizio militare negli anni '70. 
 Lo fu il No di Franca Viola che si oppose (appoggiata da suo padre, autore in tal senso anch'esso di un gesto sovversivo) al matrimonio riparatore col suo stupratore.
E' un'enorme utopia, un'enorme responsabilità, talmente enorme che la stragrande maggioranza delle volte rischia di bruciarsi e diventare un'incarnazione anche peggiore del sistema che voleva combattere. Perché questo accade?

 Il discorso, complesso e secondo attualissimo,  è secondo me il vero focus della biografia di Emma Goldman "Emma la rossa" ed, Eleuthera, uscita da poche settimane.
 La Goldman è una di quelle figure cardine del '900 sebbene purtroppo un po' dimenticata, un'ebrea russa costretta sin da giovanissima a lavorare in fabbrica che si trasferì in America per sfuggire al giogo paterno e lì divenne fieramente anarchica.
 La sua fu un'esistenza costellata da molti amori e molte battaglie, nessuna esaltante vittoria eppure, parafrasando il libro di Cacucci, in ogni caso nessun rimorso.
  Migrante russa e lavoratrice americana, giovane sposa e giovane divorziata, protosindacalista che si batteva per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che pagò con la prigione (che trovò come Goliarda Sapienza un luogo rivelatore), scrittrice, giornalista, instancabile relatrice di infiniti comizi in giro per gli Stati Uniti, fu nella Russia bolscevica, nella Spagna che soccombeva al fascismo fanchista e morte la colse in Inghilterra mentre cercava fondi per la causa.

 Ma, a mio parere, di tutta la sua vita, un episodio è più rivelatore di altri e si collega al discorso a monte.
  La Goldman ebbe un'occasione che a pochi si concede nella vita; nella sua patria natale scoppiò la rivoluzione bolscevica. Il mondo cambiava davanti ai suoi occhi e, non solo, stava cambiando nella direzione verso la quale lei tendeva!


Non era bolscevica, non era comunista, era anarchica e pensava ovviamente che le differenze tra le due cose rimanessero enormi e sostanziali, ma non avrebbe mai pensato di vedere gli anarchici schiacciati molto più ferocemente dalla rivoluzione russa che dal capitalismo statunitense.

 Si imbarcò per le sue terre carica di enormi speranze che la sostennero nei mesi e negli anni a venire, lottò con forza per ritagliare uno scampolo di salvezza nella e alla rivoluzione e, pur concedendole dei meriti, scoprì che i demeriti si traducevano in perdite assai più gravi, come il bagno di sangue a seguito dello sciopero dei marinai della cittadina di  Kronstandt.

 L'episodio vide una cittadina di trentamila abitanti indire uno sciopero collettivo a seguito di un pesante razionamento dei viveri da parte del governo. Il punto di rottura (oltre al fatto che Lenin si vantasse che non c'erano scioperi nella nuova Russia sovietica perché il potere era direttamente al popolo) venne con le tredici rivendicazioni elaborate dalla cittadina.
 Esse smascheravano la "falsa sovversione" del nuovo sistema.

 "Noi sosteniamo il potere dei Soviet non dei partiti. Noi siamo per la libera elezione dei rappresentanti delle masse lavoratrici. I Soviet-fantoccio manipolati dal partito comunista sono sempre rimasti sordi di fronte ai nostri bisogni e alle nostre rivendicazioni (che prevedevano rielezione dei Soviet, libertà di parola, libertà di riunione, liberazione dei prigionieri politici specialmente di parte socialista ndr). Abbiamo ricevuto una sola risposta: la mitraglia [...]"

 Finì molto male, la ribellione venne soffocata nel sangue, non prima di un ultimo paradosso: l'esercito russo, chiamato a piegare la cittadina, si rifiutò di sparare in un corto circuito mentale che è semplice da immaginare. Si convinsero solo dietro stratagemma: un uomo venne presentato come un transfugo della città e disse loro che i ribelli non erano compagni rivoluzionari, ma banditi.

 Fu l'episodio che convinse Emma Goldman del fallimento della rivoluzione.

  Le fu quindi data la possibilità di vedere il sogno e di assistere alla sua disgregazione in una dittatura, in un'enorme gioco di potere, solo con altri protagonisti, altre motivazioni.

  Sarebbe interessante leggere i libri che successivamente la Goldman scrisse sull'argomento e che vennero stampati solitamente mutilati nelle parti in cui parlava di ciò che comunque si poteva salvare della rivoluzione.

 Sarebbe interessante per capire se aveva riflettuto su questo fallimento storico, se ne avesse data la colpa ai capi, Lenin e Trockij o a chi altro. Lo sarebbe perché forse permetterebbe di comprendere quale fosse il suo punto di vista sulla sovversione di massa.

 Perché il mio è molto pessimista ed è legato a un punto fondamentale da cui non riesco a smuovermi.

 Il punto è che per me le rivoluzioni falliscono perché a compierle sono gli esseri umani,che in quanto tali mostrano tutti i difetti della loro umana condizione: imperfezione e crudeltà d'animo innata.

  Non tutti nella stessa misura, non tutti nello stesso modo, ma la storia insegna che non è esistito periodo storico in cui non abbiamo dato esercizio della nostra spietatezza, in cui non abbiamo considerato sacrificabile qualcuno per la nostra sopravvivenza o il nostro benessere, in cui non abbiamo finito per trattare una parte dei nostri pari come fossero degli inferiori.


E' questo ciò che ci permette di distinguere una sovversione positiva da una negativa.

 Ci troviamo di fronte ad una sua incarnazione malvagia non solo quando è esplicitamente violenta, ma  quando essa si traduce solo in un altro potere precostituito che si limita a sostituire il precedente mantenendo il proprio potere tramite la sopraffazione dell'altro, con ogni mezzo.

 Quando la sovversione si limita ad essere una lotta tra chi riesce a imporre il proprio potere con più forza a discapito di qualcun'altro, allora non è sovversione, non è rivoluzione, è sempre la stessa medesima storia a cui assistiamo dalla notte dei tempi. 

 Non è altro che sopraffazione allo stato puro e non fa di noi che antichissimi e rivistissimi reazionari.

 Ci vuole coraggio ad essere sovversivi, ci vuole bontà, ci vuole civiltà, ci vuole disinteresse per il potere, per il denaro, per il dominio.

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