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mercoledì 19 ottobre 2016

Se devi scomodare un archetipo, almeno abbi un buon motivo. La recensione di "The Quick" un piacevole romanzo d'azione che avrebbe funzionato molto meglio senza i poveri vampiri, qui tristissime figure senza un vero senso e alcuna sensualità.

 L'immaginario orrorifico attuale non è molto vispo, diciamoci il vero.
 Ben lungi dal concepire nuove creature spaventose da usare come orribile specchio dei propri tempi, ricicla antiche creature archetipiche adattandole alla società moderna.


Non per nulla creatura che a me non piace particolarmente, ma è molto di moda è lo zombie, spesso usato come metafora dell'essere umano che sopravvive in un mondo ormai ostile, persona che non vive la propria vita chiuso in un guscio vuoto del quale non si rende conto.

 Nel bel "Quella luce negli occhi" ed. Clichy che avevo curiosamente letto dopo i terribili attentati di Parigi lo scorso anno, avevo ravvisato, in tutta la sua crudezza la sensazione che ci fosse un'inquietante filo rosso tra un'epidemia zombie (quando lo zombie si ottiene tramite contagio di virus misteriosi) e l'epidemia di terrore nel quale cade la popolazione europea nelle settimane successive agli agghiaccianti attentati terroristici di questi mesi.

 Lo zombie inteso come terrorista che può o non può condizionare le esistenze dei vivi (che, dal canto loro, sono confusi ulteriormente dal fatto di avere o aver avuto dei legami di tipo affettivo con essi e di non riuscire a discernerli dal mostruoso che li affligge) era la grandissima idea del romanzo.

 Un altro uso metaforico è stato quello di Matheson che, in "Io sono leggenda" (curiosamente nelle vecchie edizioni italiane intitolato "I vampiri"), usa gli zombie per contagio come metafora per una nuova popolazione o ideologia dominante che uccide la vecchia fino all'ultimo uomo (il quale comunque può decidere di lasciare il segno non unendosi al nuovo, ma preferendo la morte come segno di ultima ribellione).

 Se gli zombie ben si adattano ai nostri tempi, i vampiri hanno avuto, purtroppo, fortuna minore.

Esplosi nell'ottocento come reazione alla repressione dell'eros, sono le creature della notte per eccellenza, sensuali, affascinanti, ambigui, privi di morale.

  Rappresentano la valvola di sfogo di una società che mirava a controllare e reprimere qualsiasi sessualità e che, eppure, ne era affascinata.

 La "Carmilla" di Sheridan Le Fanu è una dolce fanciulla che seduce una sua coetanea, Laura, con parole appassionate e orgasmi notturni. Uccisa da un prototipo del Van Helsing di Bram Stoker, non smette comunque di avere la sua influenza su Laura che anni dopo, ricondotta sulla retta via, sposata e con figli, continuerà comunque a rimpiangerla.

 Affascinante e ambiguo è il nobile vampiro di Polidori, lo è il Dracula di Bram Stocker, lo sono i numerosi vampiri che notte dopo notte lasciano le loro vittime ipnotizzate dal loro fascino e sempre più esauste.

Perché ovviamente non esiste piacere senza punizione e la punizione di chi cede alle lusinghe del vampiro è direttamente la morte.

 Nel '900, il fascino del proibito è venuto a mancare, una sessualità più libera ha privato il vampiro del suo tratto fondamentale, rendendo le storie in suo onore sempre meno memorabili.

 Personalmente amo molto Anne Rice che è riuscita a trovare un senso alla figura vampirica inventando per lui nuove forme di affascinante corruzione (anche se il mio libro preferito della sua serie rimane "Armand il vampiro" che è quasi completamente ambientato nel passato).

 Il vampiro è bello, affascinante, ricco, è tutto ciò a cui non sappiamo dire di no nonostante la nostra coscienza ci suggerisca che stiamo sbagliando.
 La Rice è riuscita a rivestire la figura vampirica dell'ambigua veste della corruzione: senza tentazione tutti rimaniamo sulla strada più giusta, ma cosa accade quando la tentazione arriva in vesti così meravigliose?

 Persino Stephenie Meyer che ha fatto sfracelli con "Twilight" è riuscita a metaforizzare il vampiro.

  Può piacere o non piacere, ma calando il vampiro in un libro per YA ha riesumato l'antica funzione sensuale della creatura: per gli adolescenti il timore e al contempo il fascino del sesso hanno ancora quel senso di turbamento, quel salto nel vuoto, quell'idea di compiere qualcosa di definitivo e forse di sbagliato.

Devo dire che all'inizio di "The Quick" avevo le migliori sensazioni.
 Mi sembrava un onesto libro di intrattenimento (non un capolavoro, ma una di quelle storie piacevoli da leggere) che cercava di andare a parare dalle parti di Anne Rice.

 L'inizio e la fine sono infatti le parti migliori della storia.
 C'è una magione inglese persa nella brughiera, due bambini un maschio e una femmina, quasi orfani, un po' in stile "Giro di vite", una misteriosa bambinaia che non arriva mai, un padre che se ne va colpito da una strana malattia.

Un improvviso salto di una dozzina di anni ci porta a Londra, quando il maschio ha terminato gli studi e tenta di diventare uno scrittore di teatro, schivo e perso dietro ai suoi sogni.

 Per sostenere le spese, decide di condividere il piano di un appartamento con un avvenente ex compagno di studi, assai più vivace e con una famiglia adeguatamente odiosa.

 Bene, dopo 70 folgoranti pagine, la storia prende un'altra via, oserei dire strana.

 Per motivi abbastanza incomprensibili la Owen decide che i vampiri non sono creature affascinanti, nobili, ricche, ambigue e irresistibili, ma polverosi reperti del passato, mentalmente instabili, alla costante ricerca di denaro per sopravvivere e assolutamente disgustati dagli esseri umani, ai loro occhi una sorta di ratti rumorosi e puzzolenti.

 La storia passa quindi da un amore proibito nell'alta società (tra l'altro all'inizio pensi che la storia debba spostarsi nuovamente nell'antica magione dove il padre del protagonista è misteriosamente morto, ma non succede) ad una sorta di caccia nei bassifondi dickensiani.

 La novità della Owen è infatti ambientare una storia vampiresca tra i poveri, gli straccioni, la fumosa Londra dei ragazzini costretti a rubare, delle gang orchestrate da ex ragazzini, ormai adulti ed espertissimi.

 Al contempo i vampiri più ben nati  si incontrano in società curiosamente solo maschili e ingaggiano una sorta di lotta con tutto ciò che esiste di negativo nella vita eterna: la perenne sensazione di non farcela, il terrore della precarietà, del trovare continui espedienti per sopravvivere.

 Va da sè che questi vampiri sono infelici e nevrotici e, stranamente, privi di qualsiasi impulso sessuale (tanto che arrivi a chiederti il motivo di un inizio completamente diverso, con una relazione fortemente sensuale, boh).

 Ecco, lì, c'è la fatale impasse.

 Poteva essere una buona idea cambiare la metafora.

 Il vampiro non più simbolo di una sensualità selvaggia e repressa, ma della vita eterna come fonte di ansia e precarietà perpetua, l'essere umano costretto a sopravvivere senza mai imparare davvero a vivere, l'indurimento davanti a una serie di difficoltà che non ha mai effettivamente fine.

 Invece l'autrice si lancia in una strana lotta di quartiere tra vampiri, traccia personaggi che uccide senza motivo, ne crea altri (la sorella del protagonista che diventa protagonista lei stessa) privi di alcuna personalità e altri privi di alcuna funzionalità (il macellaio, pagine e pagine a parlarci di un serial killer di vampiri che poi non ha alcuno sbocco).

 Ci sono tante buone idee che, private dell'adeguata atmosfera e di un senso più profondo rendono il libro un buon prodotto di intrattenimento, ma niente di più.

 Un peccato perché anche un finale insolitamente soddisfacente lasciava presagire qualcosa di meglio.

 E' come se la Owen non avesse pietà o compassione per i suoi personaggi, ma li percepisse come figurine di un gioco che la diverte molto, ma che non ha alcuna aspirazione.
 A posteriori, si pensa molto vividamente che il tutto avrebbe funzionato meglio senza scomodare i vampiri e che anzi, il vero problema del libro sia proprio quello.

 Se usi una figura sovrannaturale, se scomodi un archetipo orrorifico, devi avere un ottimo motivo per farlo (e la caratterizzazione di un personaggio non è un ottimo motivo) altrimenti le falle che apri sono più di quelle che chiudi.

 Se la Owen avesse inventato una società segreta (come, tra l'altro, quella del piccolo italiano Pesca ne "La donna in bianco") senza buttarci dentro vampiri e canini, tutto avrebbe funzionato molto meglio.

 Poi ribadisco, piacevole intrattenimento, tante tazze di the e anche un'unica scena di seduzione scritta benissimo. Speriamo che i seguiti, che dal finale sembra ci saranno, siamo migliori.

 Forza scrittori, già non inventate nuovi mostri, almeno sappiate metaforizzare decentemente i vecchi!

4 commenti:

  1. Come dicono molti manuali di scrittura: una buona trama è importante, ma un buon tema è fondamentale.
    Mi pare che a questo romanzo manchi un buon tema, che invece poteva facilmente essere l'immortalità come condanna, o come inutile ripetersi di giorni senza insegnamenti profondi, che tu stessa hai nominato. Occasione sprecata, insomma.
    Grazie per l'ennesima dritta :)

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  2. hai centrato il problema del libro: anch'io ho letto con piacere la prima parte, poi ho cominciato ad annoiarmi e a saltabeccare pagine (il club vampirico solo masculi doc mi ha fatto sbuffare) fino alla fine che non era male. Insomma, ancora una volta sono stata ben contenta di averlo roeso alla library USA online e non aver speso soldi!

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    1. Il senso del club vampirico di soli maschi inaciditi e insopportabili è davvero assurdo e incomprensibile. Poi ci sono delle falle: sentono repulsione per gli spenti, ma la relazione tra Christopher e David è molto passionale, cercano continuamente gente che accetti di farsi vampirizzare, ma incomprensibilmente non vampirizzano il macellaio, al contrario di Intervista col vampiro, i bambini vampiro rimangono tali anche mentalmente per sempre ecc ecc
      Avrebbe davvero funzionato molto meglio se avesse tolto la complicanza vampirica e scelto una vita diversa e non sovrannaturale.

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  3. Finalmente trovo una persona il cui romanzo preferito della Rice è Armaind il vampiro! Ero arrivata al punto di credere che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, o che ci fossi affezionata solo perché è stato il primo della serie che ho letto e ero molto giovane.
    Anche quello che scrivi incidentalmente su Twilight mi dà da riflettere... non che pensi di leggerlo, però ero convinta che il belloccio fosse solo il bad boy, bello e dannato e che la parte vampiro non aggiungesse nulla alla storia (= disprezzo puro). Se conosci libri contemporaneanei con vampiri decenti, ti prego, consigliami! Sono stati il mio amore di adolescente, poi una decina di anni fa il mercato è stato invaso tipo le cavallette da libri tutti indecenti e mi sono allontanata dal genere.

    P.s. ho scoperto l'esistenza delle lesbiche grazie a Carmilla :P mi sa che ho fatto l'esperienza di lettura ottocentesca originale...

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