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giovedì 3 novembre 2016

Come fu che "Profondo rosso" mi salvò la pellaccia. L'autobiografia di Dario Argento, un'occasione interessante, ma persa tra gialli all'italiana, ex mogli e la chiave (forse) di parte del suo declino cinematografico.

 Inverno del 1998. Terza media.


Erano ormai le cinque del pomeriggio e il buio era calato accompagnato da un discreto gelo.


 Mi trovavo a casa di mia nonna a degustare bollenti frittelle di mele che quel pomeriggio, fatto insolito e non più ripetuto, ella e mia madre avevano deciso di friggere per la gioia mia, delle mie sorelle e delle mie cugine.

 Poi, la telefonata.

 Era G., una delle mie migliori amiche (dell'epoca e attuali) che esordisce con la seguente frase:

 "Vieni da me ti prego, mi sembra di stare in Profondo Rosso".

 Tento di tergiversare con la frittella in bocca, poi mi sento in colpa perché me ne sto al sicuro con duecento parenti e decine di frittelle mentre lei è sola, (i suoi lavoravano tutto il giorno e di solito passavamo tutti i pomeriggi insieme a casa sua a fare i compiti tranquille e buone), e pensa di stare in un film horror, così decido di raggiungerla.
 Mia madre mi incarta un po' di frittelle e io percorro quei cinque minuti di buio che distanziano casa di mia nonna e casa sua. 
 Entro e la trovo spaventatissima.

 Due giorni prima, non ricordo come, aveva visto "Profondo rosso"
 - (io lo vidi solo qualche anno dopo a casa della mia amica M. col padre giustamente in ansia che potessimo non dormire la notte che ci ripeteva tipo mantra "Ragazze è tutto finto, ricordate che c'è sempre una macchina da presa che riprende tutto") -
 ed era rimasta particolarmente impressionata dalla scena in cui l'assassino distrae lo psichiatra Giordani facendo entrare nella stanza dove si trova una spaventosa bambola meccanica.


 "Secondo me ora entra dalla finestra", mi dice.

 Tento di tranquillizzarla e di ingozzarla di frittelle, ma niente, è convinta che la bambola entrerà dalla finestra e ci ucciderà.

 Facciamo perciò il giro di tutta casa e chiudiamo TUTTE le imposte, poi accendiamo TUTTE le luci, poi, non paghe, mettiamo la radio e la tv a palla e aspettiamo quelle due ore e mezza che tornino i suoi genitori.
 Niente, tornano i suoi e dopo un attimo di sconcerto per la quantità di luci accese e la confusione, mi accompagnano a casa.

 Il giorno dopo.

 G. arriva a scuola sconcertata e mi rivela che Dario Argento ci ha salvato la pellaccia.

 Mentre noi ci muravamo in casa in mezzo a Giorgia e Massimo di Cataldo sparati a tutto volume, alcuni ladri avevano svuotato l'appartamento al pian terreno, poi si erano arrampicati sul balcone di casa sua (al primo piano) e avevano anche tentato di scassinare le finestre, ma avevano rinunciato (probabilmente immaginando grazie al nostro piano anti bambola assassina che casa fosse piena di gente) ed erano quindi passati a svaligiare il piano di sopra.

 Ancora oggi amiamo ricordare quella come  "la serata Profondo Rosso".

 Anche per questo ruolo salvifico nella mia esistenza, Dario Argento mi ha sempre ispirato simpatia, tuttavia non godendo il genere horror di grande popolarità in casa mia (ed essendo rimasta fortemente traumatizzata da "Nightmare" quando avevo 9 anni a causa di alcuni stramaledetti cugini che ebbero la geniale idea di farmelo vedere la notte di Natale),  ho visto molti suoi film solo nell'autunno dell'anno scorso.

 Presa dai miei soliti deliri halloweeniani, mentre preparavo biscotti e fumetti vari, ho visto "Quattro mosche di velluto grigio", "Tenebre", "L'uccello dalle piume di cristallo", "Opera" e "Suspiria".

 Mi sono poi gettata in una lunga serie di gialli all'italiana che mi hanno fatto scoprire Edvige Fenech con molto ritardo (percuotetemi ma ho trovato piacevole anche "Lo strano vizio della signora Wardh") e Florinda Bolkan (penso l'unica lesbica semiufficiale dell'Italia degli anni '70) in "Non si sevizia un paperino" e "Una lucertola con la pelle di donna".

 Ho trovato persino un senso a Pupi Avati che grazie alla "Casa dalle finestre che ridono" mi ha dato il viatico per l'horror padano di Eraldo Baldini, ma, nonostante questa full immersion, la mia ignoranza in campo cinematografico rimane e rimaneva grossa.

 L'idea che prima di Dario Argento tutta una serie di trovate cinematografiche fossero ben lungi dall'essere canonizzate (l'assassino che usa la soggettiva, le mani guantate di nero, la solita ragazzetta urlante che corre in boschi random nel buio totale, le vittime che si trovano più o meno volontariamente in luoghi solitari pur passeggiando nel centro della città) per me era una scoperta sconcertante. Anche per questo ho lungamente fatto la corte alla sua autobiografia, "Paura".


In verità mi sono decisa solo dopo un po' perché, da semi-ignorante di cinema temevo di trovarmi in un groviglio di tecnicismi e ricordi di amicizie soporiferi, Argento dimostra invece un modo di raccontare estremamente cristallino, quasi infantile.

 Non nel senso di ingenuo, ma di semplice al punto che il libro potrebbe essere letto senza difficoltà anche da ragazzini delle medie.

 Sostanzialmente Argento racconta a grandissime linee la sua vita, omettendo molto, non lasciandosi andare ad eccessive analisi personali e assumendosi in toto la responsabilità dei litigi con le sue due ex mogli. 

 Dimostra una vera adorazione per le due figlie, Fiore e Asia, e ha un'inspiegabile venerazione per il talento artistico della seconda che considera una grandissima attrice.

 Sostanzialmente, l'autobiografia ha una parte iniziale molto laconica in cui scopriamo che Dario è nato abbastanza benestante da una fotografa (sua madre aveva lo studio Luxardo) e da un produttore cinematografico frutto di una di quelle rocambolesche storie di selfmade man italiche possibili solo nei tempi passati.

 Dopo un'adolescenza all'insegna del rigetto per lo studio, inizia a lavorare come giornalista e passa casualmente a scrivere sceneggiature cinematografiche (altre cose possibili sono nell'Italia dei tempi passati) fino a quando, a seguito di un conturbante sogno durante un viaggio in nord-Africa assieme alla prima moglie, concepisce il soggetto de "L'uccello dalle piume di cristallo".

 La descrizione delle idee, del lavoro e della costruzione dei film sono la parte più interessante del libro e c'è una curiosa corrispondenza.

 Se i film considerati capolavori hanno in effetti una lunga genesi, un particolareggiato resoconto delle riprese, delle idee, del tema di fondo, se questi hanno anche profonde ricerche, viaggi, sogni, incubi e innovazioni tecnologiche (o assurdi e tragicomici effetti speciali pre-digitale, come le migliaia di mosche ammaestrate), da un certo punto in poi c'è un'enorme cesura.

 Più o meno da "Opera" il racconto si fa sempre più blando e "di servizio", l'unica cosa a cui Argento sembra tenere, o sembra tenere a raccontarci, è il suo rapporto con la figlia Asia che vuole sempre e a tutti i costi come protagonista delle sue opere (quando lei si rifiuta come avvenne per "Il cartaio" grande è il dolore di Argento).

Ora. Io non ho niente di particolare contro Asia Argento, non sono mai stata una di quelle che fa le crociate contro x o y perché sono incapaci, indegne o chissà che altro.
  Però, sarà colpa mia probabilmente, non mi piace come recita, non la trovo credibile. 
 Sua madre, Daria Nicolodi, mi sembra molto più espressiva e aggraziata (anche più bella secondo me, ma vabbeh sono gusti).

 Il fatto che la parabola discendente di Argento inizi più o meno quando comincia a fare film con la figlia potrebbe essere frutto del caso, alla fine nessuno è in grado di tenere un certo livello di talento e di impatto per più di un tot.

 Tutti gli artisti vivono un periodo di grazia particolare e pochissimi riescono a mantenerlo per l'intera esistenza.

 Tuttavia, fossi stata in Dario, io qualche domanda sul successo dei miei film "familiari" me la sarei fatta. 

 Poi oh, magari o in realtà se l'è posta anche lui, ma non l'ha condivisa col lettore ed è qui il problema principale del libro: l'assenza di confidenza col lettore (da non confondersi con "la voglia di pettegolezzo del lettore").
 Alla fine della fiera, avrebbe potuto scriverlo qualsiasi biografo ben informato (anzi, probabilmente avrebbe scritto molto di più) e non so quanto senso abbia un'autobiografia che non aggiunge nulla di nuovo, non racconta niente, non un pensiero più profondo, una paura, un'esitazione, ma soprattutto una riflessione generale sulla propria esistenza.

 Da un uomo che ha saputo imprimere una visione così personale al modo di fare cinema, mi aspettavo onestamente di più. 

 Detto ciò, grazie ancora per avermi salvato dai ladri.

7 commenti:

  1. Direi che son d'accordo più o meno su tutto..più più che meno.
    Sullo stile fin troppo semplicistico, sul fatto che un biografo avrebbe fatto di meglio, sull'adorazione per le figlie, sulla seconda parte sempre più sbrigativa (che mi ha dato proprio l'idea che da un certo punto i suoi film non avessero più niente a che fare con le sue idee,ma con il puro e semplice bisogno di avere uno stipendio fisso) e pure sulla vostra salvezza dai ladri per merito di Profondo Rosso. :-)
    Su asia argento preferirei non esprimermi per non rovinarmi il sonno.
    Se vuoi farti un'idea di quanto in basso sia potuto arrivare Dario Argento ti consiglio il suo Dracula, una roba che guarda non ci dormi la notte (e non per gli spaventi sia chiaro).

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  2. Dissento un po' con quello che hai scritto. Ho letto anche io l'autobiografia di Argento e la sua asciuttezza me la fa paragonare a un insieme di informazioni più che al racconto di una vita. Una corposa e interessante voce enciclopedica. Però il bello, a parer mio, sta proprio in questo. Il libro di Argento, che Argento lo si apprezzi o no, che si voglia riconoscere o meno che la qualità dei suoi film più recenti non eguaglia affatto quella delle sue opere '70-'80, che si ami o meno quella figura giacente sotto il suo peso che è Asia, più che come racconto dell'uomo andrebbe letto come racconto dell'artista. E come artista non penso abbia l'obbligo di sviscerare completamente la sua vita né di analizzare la sua opera. Questo lo fa il critico, il pubblico, l'ammiratore, il fan appassionato. Per me, che nel libro si sia concentrato sul rapporto con la figlia minore dimostra qualcosa che è esattamente all'opposto dell'assenza di confidenza che tu noti, e se -mio parere- a te è sembrato difettare di confidenza questo è probabilmente da imputare alla riservatezza di Argento, che è nota.
    Ricordo che leggendo rimasi un po' deluso dal non aver trovato ancora più informazioni sui suoi film. Riflettendoci mi era poi venuta in mente una sua affermazione: una volta finito un film me lo dimentico, non lo seguo più. Se in "Paura" Argento avesse detto l'ultima parola sulla sua opera, credo che questa avrebbe perso la sua magia, la sua capacità di suggestionare, di intrattenere, di terrorizzare e anche di sollevare interrogativi nell'inconscio di ognuno. E invece, da grande artista, Argento non ci propina i dettagli della sua vita privata né dà definitive chiavi di lettura del suo cinema. E in questo offrire la sua opera alle visioni più diverse -agli elogi come agli attacchi denigratori o alle analisi ossessive- secondo me non c'è affatto chiusura, bensì una grande apertura. Questo libro rispecchia Argento più di quanto sembri a una lettura che forse partiva con delle aspettative diverse, e il fatto stesso che tu ammetta di aver preso confidenza con la sua opera molto recentemente ti giustifica. A una visione più approfondita ti renderai conto che i suoi film raccontano molte più cose di lui di quante ne abbia scritte in quel libro.
    Concludo con un consiglio: se vuoi conoscere le origini di Argento, e continuare nella tua esplorazione del giallo all'italiana, prova a guardare i film di Mario Bava. Inizia con "Sei donne per l'assassino" e vedrai che la soggettiva del killer, le mani guantate, il sadismo estetizzato e addirittura le luci e i colori di "Suspiria" non sono novità introdotte da Dario ma elementi dai quali lui, come ogni grande artista, ha attinto -se vuoi, copiato- e che ha fatto stilisticamente suoi.
    Ciao!

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    1. Non so, concordo in parte. L'autobiografia è un genere molto particolare in cui appunto il confine tra "pettegolezzo da dare in pasto ai lettori" e "renderlo qualcosa in più di una raccolta di info già note" è abbastanza labile ed è il rischioso risultato. Resta il fatto che esistono ottime autobiografie in cui gli autori sono riusciti a dare un senso più profondo al libro, in alcuni casi inserendo considerazioni personali, in altre semplicemente gettando un occhio critico a posteriori, in altre ancora inserendo riflessioni profonde sul loro lavoro. Diciamo che il libro si fa leggere e dà, per me, il meglio di sè, durante la descrizione dei film di successo. Per il resto è molto compilativo e, insomma, se sei così riservato forse l'autobiografia non è un genere da tentare. Anche perché, appunto, è un genere e ha un suo perché (io lo amo tantissimo) altrimenti è meglio altro. Grazie per i suggerimenti e il confronto!

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  3. Ciao, il libro "è" opera di un biografo ben informato, altrimenti detto ghostwriter, che non firma l'opera perché il nome del vip sopra il titolo fa vendere molto, molto di più. Infatti nel libro non c'è quasi nulla che non si possa ricavare dalle cronache giornalistiche dell'epoca; quel "quasi" sarà frutto di un paio di interviste fatte al buon Dario dal nostro scrittore fantasma. Anche il meno spazio dedicato alle ultime opere rispetto ai capolavori del passato è una precisa scelta editoriale: ai lettori interessa leggere di Profondo Rosso e Suspiria, non delle ciofeche degli ultimi anni.

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    1. Ponendo anche la possibilissima possibilità che ci sia dietro un ghostwriter rimane un'autobiografia e non una biografia. La differenza è che è firmata da Argento in prima persona perciò non si è mossa foglia, che Dario non voglia. Lui ha deciso cosa andava raccontato, quando, come e perché.
      La differenza con la biografia è che il biografo può decidere di impostare la biografia come vuole, dando letture dell'opera e degli eventi della vita dell'autore in oggetto. Certo, ci sono anche i biografi "ufficiali" (ma la stragrande maggioranza sono di biografi non ufficiali e in genere sono anche più belle perché raramente qualcuno ha abbastanza onestà per parlare anche di momenti non luminosi e fallimenti) che ricevono in nulla osta da parte delle persone di cui raccontano le vite, ma è comunque cosa diversa dall'autobiografia. Per quel che riguarda le ciofeche degli ultimi anni e il glissar sopra, può essere come dici tu e può essere anche come diceva Deneil nel primo commento: nelle prime opere c'erano uno studio e un'ispirazione che sono scomparsi successivamente. Si attende una biografia tipo quella su Fellini di Tullio Kezich.

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  4. La storia della notte Profondo Rosso è incredibile e fantastica. Wow! :-O

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  5. davvero un bell'articolo, mi hai tenuto incollato come si deve, questa si che si può definire una recensione non comune!

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