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lunedì 13 febbraio 2017

Simbolismi d'oriente. Quando la porta sull'oscura trama del mondo si schiude davvero e quando no: "Vento e flipper" di un Murakami acerbo, ma lucidissimo e il troppo oscuro "La vegetariana" di Han Kang.

  All'inizio di Giugno, durante un ponte in cui Milano era praticamente deserta (cosa che mi ha insegnato a visitare tutti i posti generalmente oberati di gente, quando ci sono almeno tre giorni di impreviste ferie di seguito per i lavoratori fordisti), mi ero avventurata a visitare una mostra sul "Simbolismo".

 Era un argomento artistico di cui sapevo solo cose letterarie. L'unico accenno scolastico al riguardo veniva infatti dai poeti maledetti francesi, Baudelaire con la sua foresta di simboli o le vocali colorate di Rimbaud.

 Il mondo ha una trama di significati nascosti legati tutti assieme come una rete.

Noi semplici mortali possiamo solo intuirla istintivamente, ma il poeta veggente e l'artista più in generale ogni tanto può squarciare il buio e scorgere i legami che attraversano il mondo.

 La mostra non solo è stata splendida (dovessero replicarla da qualche parte, andateci assolutamente), ma mi ha evocato tutta una serie di riflessioni su una serie di libri che solo in quel momento, anche stupidamente, lo so, mi rendevo conto fossero altamente simbolici.
 Non sono molti gli scrittori che riescono a scrivere in questo modo e a risultare comprensibili e, uno di loro, è di certo Murakami.

 Non so se anche voi avete sempre la sensazione, leggendo le cose assurde che spesso scrive, di afferrare qualcosa di sotterraneo, di capire il senso di quello che vi sta dicendo, anche se, citando a sproposito Vasco Rossi, un senso proprio non ce l'ha.

 Perché troviamo sostenibile in un libro non fantasy che accadano cose assolutamente fantasy? Mogli che spariscono, paesi dei gatti, uomini pecora e misteriose donne dalle orecchie perfette? 

 Perché, dopotutto, qualcosa là sotto, una trama nascosta di simboli c'è, e Murakami riesce a tesserla rendendola non tanto credibile, quanto accettabile ai nostri occhi.

Orpheus, Gustave Courtois
 Siamo sempre lì, vicini ad afferrare quel qualcosa che illumini a giorno le nostre intuizioni, ma per un pelo non ci arriviamo mai. E' un gioco molto difficile da fare.

 E oggi questo piccolo recensioni tra amici è dedicato a due libri che volevo recensire da tempo, (quello di Murakami addirittura da Giugno) e che hanno in comune due cose principali: sono scritti da autori orientali e hanno un pesante carico simbolico.

 Solo che, pur essendo il secondo scritto molto meglio del primo, secondo me non ha proprio colto la famosa trama simbolica del mondo o, se pure lo ha fatto, non ha trovato davvero il modo di schiudere la porta dalla quale anche noi, che non siamo veggenti, ma comuni mortali, dovremmo riuscire a intravedere uno spiraglio di verità.

 Spero che le recensioni vi rendano chiaro di cosa stia vaneggiando, a voi!


"VENTO E FLIPPER" di HARUKI MURAKAMI ed. Einaudi:

Quando aveva trent'anni, Murakami dirigeva un jazz bar e tutto pensava fuorché a scrivere.
 Poi un giorno andò a una partita di baseball. 

D'un tratto vide una palla arrivare nella sua direzione e pensò chiaramente che doveva iniziare a scrivere.

 A casa si mise di buzzo buono, ma, non avendo mai scritto, ignorava che si stava impelagando in una grossa battaglia. 

 iniziò a scrivere in inglese e a tradurre le frasi in giapponese successivamente.
Decise allora di usare un curioso metodo per domare il fiume di parole che gli veniva da riversare disordinatamente sulla pagina:
  In questo modo riduceva all'essenziale quello che aveva da dire. Poco dopo scrisse "Ascolta la canzone nel vento" e vinse un importante concorso letterario nazionale.

 Come sanno tutti coloro che sono appassionati di Murakami, questo primo libro non era mai stato tradotto in Italia e tutti, anche per via del titolo, ci domandavamo quali meraviglie celasse.

 Finalmente l'Einaudi, la scorsa estate, ha svelato l'arcano pubblicandolo, assieme alla sua seconda opera, in un libro che li raccoglie entrambi. Come sono questi due lunghi racconti (o novelle brevi)?  Speculari e con gli stessi protagonisti.

Ma soprattutto, Murakami è stato davvero un prodigio che ha bruciato tutte le tappe dopo la sua curiosa illuminazione a base di palle da baseball volanti? Ni.

 Perché?

 Perché si vede chiaramente che, rispetto alle sue successive storie queste due novelle lunghe sono palesemente acerbe, con una scrittura che persino Carver avrebbe trovato un po' troppo minimalista e una totale assenza di trama.

 Tuttavia è stupefacente come Murakami abbia saputo distillare al primo colpo tutto il suo futuro mondo narrativo.

 In duecento pagine ci sono tutte (o quasi) le teste di morto del Murakami scrittore: i mondi paralleli, il sorcio prima che divenisse il sorcio (ebbene era un universitario ricco e svogliato), i bar, il protagonista grande lettore, grande amatore, un po' distaccato e con pochi amici, le donne misteriose, quei particolari quotidiani che poi quando vai a scavare risultano misteriosissimi (in questo caso i rarissimi e introvabili flipper).

 Murakami, a livello immaginativo, è nato come Atena dalla testa di Zeus: assolutamente completo. Non ha dovuto affrontare lunghi percorsi interiori o percorrere alcuni oscuri sentieri dell'esistenza, il suo mondo era già perfetto.

 Poi gli è servito di tempo per affinarsi e ultimamente forse ci ha preso troppo la mano perdendo un po' della sua magia (e un editor che tagliuzzasse a dovere "1Q84"), ma Murakami dentro quella palla da baseball ha visto tutto: il suo futuro, la sua vocazione e il suo mondo.
 E' uno di quei casi, che di tanto in tanto s'incontrano nelle così spesso interessanti biografie degli scrittori, in cui l'epifania letteraria di un autore sembra sbucata direttamente da uno dei suoi libri.


LA VEGETARIANA di HAN KANG ed. Adelphi:

 Gli scrittori orientali in genere mi piacciono molto. Trovo molto congeniale il loro modo semplice e scorrevole di scrivere, asciutto eppure non banale, una cosa che noi occidentali non siamo proprio in grado di fare (e quando lo facciamo viene sempre fuori qualcosa di pseudosurreale) o per forza intimista.

 La vegetariana di Han Kang si presentava con un mi letale di buonissime e cattivissime premesse.

 Buonissime perché l'autrice coreana e la traduttrice inglese erano state premiate col Man Booker International Prize, e cattivissime perché se c'è una cosa che ho capito in qualche anno sul web è che, se vuoi campare tranquillo, devi evitare alcuni argomenti e purtroppo il vegeta-veganesimo è uno di quelli. 


L'unico vero problema che ho avuto da qualcuno su questo blog è stata a seguito di un post sui libri vegani (peraltro molto tempo dopo la sua uscita).

 Per questo avevo deciso a monte che non avrei recensito la storia di Yeong-hye che mi veniva presentata come la tragica battaglia di una donna che a seguito di uno strano sogno decide di diventare vegetariana e finisce in una sorta di gioco erotico-sadico del marito che non accetta tale decisione.

 Poi l'ho letto e ho capito che il libro parlava di molte cose, ma non di regimi alimentari. 

 Io mi aspettavo una variazione sul tema de "La chiave" o de "La croce buddista" di Tanizaki, con una frattura familiare improvvisa e devastante che precipita tutte le persone coinvolte in un tragico delirio, e mi sono trovata davanti una strana storia, molto orientale, molto morbosa, molto scritta bene, molto di certo simbolica, ma anche molto che non ho capito dove è andata a parare
.
 Il libro è infatti diviso in tre macrocapitoli.

 Nel primo Yeong-hye  fa il famoso sogno e decide non solo di diventare vegana (infatti non diventa vegetariana, ma proprio vegana), ma anche di non cucinare più alimenti con base animale per il marito.

  Poiché siamo in Corea (luogo dove, a quanto pare, la scelta vegetariana viene vissuta come un'inaccettabile esaltazione dell'io del singolo rispetto alla società), quella che poteva essere una normale fonte di dibattito all'interno di una coppia, diventa una specie di caso familiare che coinvolge, fratelli, cognati e pure suoceri. 

 Infatti il marito di Yeong-hye  che l'ha sposata per avere una sorta di colf con cui fare sesso sicuro ogni tanto (che poi è stata la motivazione millenaria del matrimonio oltre ai figli legittimi che però qui non ci sono), infatti, dopo aver capito che la moglie non ha più intenzione di fare manicaretti e sesso con un mangiatore di animali, decide di riportare l'articolo avariato alla famiglia d'origine: i terribili genitori di Yeong-hye.

 Il padre di Yeong-hye in una scena degna di un film horror, tenta di ingozzare a forza la figlia e lei reagisce tentando il suicidio qualche giorno dopo. Cala il sipario.

 Il secondo capitolo appartiene al cognato di Yeong-hye, il marito della sorella, un artista fallito che trova nella cognata un po' fuori di testa (Yeong-hye  è stata in una sorta di casa di cura e ne è uscita provata) una musa e un'attrazione irresistibile. Quando viene scoperto la catastrofe colpirà nuovamente entrambi.

 Non vi racconto l'ultimo capitolo, (che ho trovato particolarmente misterioso e semina anche il concreto dubbio che la protagonista non sia vegana, ma soffra di una sorta di anoressia nervosa causata da abusi familiari, che non c'entra niente manco di striscio), se no, fosse mai che vi va di leggere quello che comunque è un ottimo libro, vi rovino la sorpresa, ma anche a distanza di settimane, nonostante io abbia cercato in tutti i modi di trovare una chiave simbolica (parla dell'istinto di sopraffazione insito dell'uomo? Di un'incapacità di affrontare la violenza familiare? Parla della parte animale che alberga in noi e ci sforziamo di domare?), nessuna mi ha veramente convinto.

 Quindi ok, ci siamo.

  Il libro non parla davvero di regimi alimentari, né della lotta del singolo contro una società che lo vorrebbe a tutti i costi diverso, ma allora di che caspita parla?
 Va bene il simbolismo, ma, ad un certo punto, bisognerebbe anche seminare qualche vago indizio interpretativo, altrimenti rimane un'ottima scrittura e un vago senso di disagio proprio dell'aver assistito a qualcosa di orribile, ma di natura incomprensibile.

 In realtà sono l'unica a non aver capito il profondissimo senso de "La vegetariana"? Se è così illuminatemi pure nei commenti!

3 commenti:

  1. Non ho ancora letto nessuno dei due libri, non posso illuminarti.
    Però anche a me piacciono gli autori orientali perché non si pongono il problema di inserire il soprannaturale nel mondo quotidiano; credo sia pure quello una specie di integralismo razionalista che ci affligge da qualche secolo.

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  2. A me La vegetariana è piaciuto, perché mi piace proprio come è scritto dalla lingua che usa a tutta la parte dei fiori sul corpo. Sono d'accordo tuttavia sulla difficoltà di capire dove vuole andare a parare. Io me la sono spiegata così: in un mondo iper conservatore, dove forse ribellarsi come siamo abituati di qua in occidente (?) non è previsto, il tuo corpo è l'unica cosa di cui veramente disponi e alla quale puoi imporre ogni genere di trattamento, fino ad annullarti. Comunque il libro from Corea che veramente consiglio perché personalmente l'ho trovato bellissimo è questo http://sellerio.it/it/catalogo/Io-Ci-Saro/Shin/7245 non so se l'avete letto ma davvero è splendido.

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    1. Guarda la tua (che poi tentavo di convincermi fosse in parte anche la mia) interpretazione era plausibile prima dell'ultimo capitolo che mi è risultato assolutamente incomprensibile. Perché poteva avere un senso se lei smetteva di mangiare consapevolmente, non se sembra una pazza che vuole riunirsi alla terra e farà una bruttissima fine. Grazie per il suggerimento! Segno! :D

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