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lunedì 14 maggio 2018

Colui che combatte i mostri deve stare molto attento. "La mia cosa preferita sono i mostri" di Emil Ferris, un graphic meravigliosa sui mostri buoni e quelli cattivi che si nascondo nelle oscure tenebre dentro di noi.

  Uno dei grandi equivoci del nostro tempo è l'incomprensibile pretesa di sentirsi straordinari rimanendo però, allo stesso tempo, normali.

 Si vuole giungere ad uno status di specialità senza capire che esso ha un prezzo che la stragrande maggioranza delle volte non siamo disposti a pagare.

 Chi è davvero straordinario, e non mi attengo al significato positivo e luminoso del termine, è considerato con sospetto dalla comunità, è qualcuno che è venuto in terra a miracol monstrare, ma di solito, più che come un miracolo viene percepito come un mostro.

 Questo grande smascheramento della nostro misero attaccamento morboso alla normalità, è benissimo espresso in un libro, una graphic novel, uscita un mesetto fa e che mi sento di consigliare come uno dei MUST HAVE non dell'anno, ma nella vita: "La mia cosa preferita sono i mostri".

 Mi spingo a tanto perché si focalizza molto bene, in questa graphic, il prezzo da pagare per essere speciali e cosa avviene, soprattutto, quando sei davvero STRA-ordinario, ossia fuori dalla norma e dall'ordinario, qualcuno che eccede, in un qualche modo o per qualche motivo, i limiti della normalità. 

 Molte recensioni si sono concentrate sulla peculiare biografia di Emil Ferris facendone il punto focale quando invece è interessante principalmente per spiegarne lo stile.

  "La mia cosa preferita sono i mostri" è la sua prima graphic e l'autrice non è proprio un virgulto avendo costei una cinquantina di anni.

 La necessità di scrivere una storia di questo genere, molto lunga e interamente disegnata con le penne biro, è nata dopo aver avuto le peggiori conseguenze possibili dalla puntura di una zanzara che, nel bel mezzo degli stati uniti, le ha passato il virus del Nilo occidentale.

 Solitamente decorre, pare, con una febbriciattola, ma di tanto in tanto ha conseguenze ben peggiori quali la morte o neurologiche, come nel caso della Ferris che si sveglia paralizzata dalla vita in giù e con la mano destra, quella con cui disegnava (era già un'illustratrice e una designer) bloccata.

 Nel disperato tentativo di recuperare la mobilità della mano, la Ferris si lancia in un'incessante e titanica lotta contro questa gigantesca graphic dalla quale si avverte, in effetti, uno strano tipo di energia, tumultuosa, quasi feroce.

 Altre recensioni si sono concentrate sulla parte più ovvia: i mostri, senza però davvero capire il problema.

 La storia, per sommi capi, è il diario personale, scritto e disegnato (è impaginato infatti come se fossero dei fogli protocollo per un quaderno ad anelli) di Karen, una ragazzina di undici anni che vive in un quartiere degradato della Chicago degli anni '60.

 Suo padre, messicano, è andato via di casa anni prima, sua madre metà indiana (d'America), metà irlandese, è dedita a una sorta di religioso sincretismo culturale che la vede affidarsi a cure sciamaniche, superstizioni e dettagli cattolici.

 In più è provvista di un fratello, Diego Zapata detto Deezee che dalla parte materna non ha preso niente e sembra in tutto e per tutto un messicano e come tale deve vivere e difendersi tutti i giorni in un America che all'alba del 2018 non è ancora in grado di considerare allo stesso modo i cittadini non WASP, figurarsi allora.

 E' un quadretto familiare che potrebbe preannunciare catastrofi, ma, in qualche modo, fila. Deezee fa il tatuatore e tenta di inculcare l'amore per l'arte a Karen, che lo adora, e Karen, dal canto suo, cerca di fare del suo meglio per dare un senso alla sua giovane, ma già complicata vita.

 Il suo disagio interiore, molto taciuto a livello verbale in tutto il fumetto, è evidentissimo nel modo in cui Karen si rappresenta: non una bambina, ma un licantropo in trasformazione preso dall'immaginario dei filmacci horror di serie bcz che vede la notte.

 E' il disperato eppure orgoglioso e pervicace modo di Karen per dirci che non è come gli altri e che per vari motivi, (origini messicane, povertà, mancanza del padre, omosessualità, visto che sa già di essere lesbica ed è innamorata di una sua compagna di classe), avverte questa sua essere stra-ordinaria in modo talmente prepotente da non riuscire letteralmente a vedersi come gli altri che la circondano.

 Messa così sembra una cosa devastante.

 Invece, Karen nelle sue vesti di piccolo licantropo è infinitamente meno spaventosa di chi la circonda: la madre e le amiche della sua migliore amica/amata, tutte rosa e perfettine e crudeline, il fratello con un oscuro segreto, i compagni di classe precoci prevaricatori e molestatori, la piccola delinquenza che ha in mano il quartiere e via discorrendo.

  La sua amata Missy l'ha abbandonata dopo che sua madre le ha imposto di diventare una "bambina come le altre" e di non frequentarla più, ma Karen si è consolata trovando due nuove amicizie: una ragazzina scheletrica che forse è un fantasma e un ragazzo di colore alto e grosso che probabilmente è gay come lei.

 Che la cosa preferita di Karen siano i mostri è perfettamente comprensibile: i mostri sanno di essere cattivi e non lo celano, inoltre hanno chiari scopi e intenti per essere malvagi, e, se proprio vogliamo dircela tutta, spesso la loro unica colpa è che "mostrano" altro, l'altro, quello che noi non vogliamo vedere perché, nella nostra normalità ci fa ribrezzo.

 A questo livello di interpretazione, leggendo la storia, era abbastanza scontato arrivarci sin dalle prime pagine, quando Karen sogna una folla perbenista che cerca di mandarla al rogo.
 L'odio verso un singolo percepito come estraneo è qualcosa che permea l'aria che respiriamo e inquina i sogni delle vittime, le bracca, le isola e talvolta le uccide.

 Ma non è questa la parte, a mio parere, la parte più interessante della storia, bensì  quella dedicata ad Anka. 

 E mò chi è?

 La storia di Karen, in principio, prende le mosse da un fatto sanguinoso: la bellissima e tormentata vicina del piano superiore, Anka, muore improvvisamente e in modo misterioso. 

 Nessuno sa o nessuno vuole dire a Karen come sia successo: suicidio? Omicidio?
E nel caso di omicidio chi è il colpevole?
 Il marito? Deezee che ne era l'amante?
 O una di quelle varie persone che si presentavano alla sua porta per rinfacciarle qualcosa del suo misterioso passato?

 Karen indaga, convinta che dietro la storia di Anka ci sia qualcosa in grado di gettare luce su un secondo segreto, legato a Deezee e a sua madre.

 Ed è qua che si nasconde, a mio parere, il punto davvero interessante. 

In una sua molto abusata frase, Nietzsche diceva che: 

 "Colui che combatte i mostri, deve stare molto attento, perché lui stesso potrebbe diventarlo, e se gettiamo uno sguardo nell'abisso, l'abisso getterà uno sguardo verso di noi".

 Ecco, io sono convinta che la Ferris abbia intensamente pensato a questa frase perché è proprio lì che si nasconde il cuore oscuro di questa graphic.

 Nel suo passato, nella Germania nazista, Anka vive una vita difficile e una scelta impossibile.

 Quando, comodamente, nelle nostre tranquille case, filosofeggiamo su questa o quella scelta da compiere, convinti non solo che sia semplice riconoscere quella giusta, ma che essa non abbia, certe volte un prezzo assurdo da pagare, non sappiamo di cosa stiamo parlando.

 Il passato di Anka, il motivo per il quale si intuisce sia morta, pone un dilemma a cui è incredibilmente complicato dare una risposta.

  Se colui che combatte i mostri deve per forza diventare come loro per impedire che essi trionfino, riportando danni, vittime e devastazioni forse anche peggiori, chi è che vince davvero alla fine?

Colui che ha sconfitto il mostro o il mostro che è sopravvissuto rendendolo, ai fatti, come lui?

 E se tu non avessi nessuna scelta e l'abisso reclamasse la tua anima in cambio della tua vita, come potresti reagire? Quale margine di scelta, di colpa, di merito, di rimorso o di rimpianto avresti?

 Questo è un libro bellissimo perché, nei suoi tanti, tantissimi strati che tessono una trama fitta come la tela di un ragno, riesce a metterci a disagio.

 Parti convinta che i mostri siano gli altri o e arrivi, ad un certo punto, in cui ti rendi conto che invece, il mostro, in determinate circostanze, potresti diventare tu. 

 E non un mostro benevolo, venuto in terra a miracol mostrare, non un mostro percepito come tale, ma uno di quelli veri, che precipita nell'abisso e da lì divora i sogni, il passato, uomini, donne, la persone che eri e quella che avresi voluto essere, ogni cosa.

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