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giovedì 22 novembre 2018

Il populismo in libreria. Effetto Martina Dell'Ombra o perdita di ogni scrupolo? Una riflessione tra Diego Fusaro, certezze cadute, falsi sillogismi e molte domande.

 Qualche anno fa, quando il web era meno nevrotico (non moltissimi anni fa in realtà eh, la nevrosi totale del web credo sia esplosa dal famoso referendum di dicembre), scrissi un post sui libri che parlavano del Pd in libreria.

 Era un periodo, pre-Renzi, in cui erano usciti una serie di libi in cui, tanto per cambiare, si dava il Pd per morto e spacciato, un tiro a segno ormai perduto.

  Avevo trovato molto interessante la corrispondenza tra quello che effettivamente stava accadendo sulla scena politica italiana e ciò che si percepiva in libreria: la seconda era davvero lo specchio della prima.

 Da lì avevo eleborato una mia personale teoria per la quale ciò che esce in libreria è una cartina tornasole veritiera di quanto avviene sul grande palcoscenico della vita, anche politica.

 Questa teoria che avevo lasciato dormiente per vari anni, avendo onestamente il terrore di parlare di cose parapolitiche sul blog (sempre per la suddetta nevrosi), mi è tornata come uno schiaffo in faccia qualche giorno fa, quando ho visto una fascetta estremamente irritante, ma al contempo parlante, di colui che, a mio parere, indica lo stato di totale delirio a cui l'intellighenzia italiana si è ormai abbandonata: Diego Fusaro.

 Ho sempre scelto scientemente di non parlare di questo soggetto perché, oltre ad irritarmi profondamente, è un Ufo nel verso senso della parola: un oggetto volante non identificato. 

 Costui è ciò che mi fa più dubitare a turno della mia sanità mentale e di quella dei miei concittadini. 

 Mi sento, quando lo vedo in trasmissioni varie (raramente visto che guardo pochissimo la tv), ma soprattutto in libreria, completamente sconfortata.

 Come può un tizio che parla EVIDENTEMENTE in modo artefatto, infilando una serie di costrutti verbali imbarazzanti e di teorie filosofiche smontabili da qualsiasi ragazzino abbia studiato bene Marx alle superiori (tentando di far passare Marx per una sorta di protofascista), essere preso per un intellettuale?

 Ma soprattutto, come possono illustri case editrici, con un passato onorevole, sin dai loro fondatori, lasciare spazio a una persona del genere?
Sembra Marx ma non è, serve a darti il populismo!
Se lo leggi e sei d'accordo, ti dà subito il populismo!

 E lì subentra il momento in cui non capisco se sono io che sono pazza o sono gli altri che ormai vanno per gli sterminati campi della mente.

 Mi domando: come può un'evidenza del genere essere evidente solo a me e pochi altri?

  Non credo di essere più intelligente della media, certo sono portata per educazione a dubitare di tutto e tutti e vi assicuro che una laurea in scienze della documentazione è al momento un anticorpo non indifferente contro qualsiasi seduzione delle fake news (se conosci il sistema, il sistema posso assicurarvi non vi frega), ma costui non ha bisogno di tali finezze.

 Per spiegarmi meglio: non usa nessuna particolare finezza lessicale o elaborata fantasia filosofica per tentare di fregarvi e convincervi dell'assurdo sillogismo per cui Marx=anticapitalista anticapitalista=fascista 2.0 ergo fascista 2.0=Marxista.

 E', a mio parere quasi un epigono di Martina Dell'Ombra, tanto che io mi aspetto sempre che a un certo punto ci dica: ragazzi era un mockumentary, volevo capire fino a che punto la credulità popolare potesse darmi corda.

 Mi sento a questo punto in dovere di spiegare chi sia Martina Dell'Ombra, ma, soprattutto, in quali circostanze sono venuta a conoscenza della sua esistenza.

 Martina Dall'Ombra è un'attrice di nome Federica Cacciola che impersona, senza dichiararlo apertamente, il personaggio della ragazzetta da social, che si veste sexy, fa le boccucce, mostra la curva dei seni e fa considerazioni sociali e politiche tra l'imbarazzante e il populista. 

 La prima volta che la vidi fu alla fesra della rete di tre anni fa, a Rimini. 
 Non sapevo chi essa fosse e incappai incidentalmente in un panel dove era stata invitata.

 Non mi ci volle né una scienza e neanche più d 30 secondi per capire che stava recitando EPPURE.

 Eppure dal pubblico, composto in larghissima parte da persone giovani e di certo appassionate di questioni della rete, (quindi non dei cretini analfabeti digitali), piovevano domande e commenti salaci che indicavano come quella che per me era un'evidenza, per loro non lo era.

 La maggior parte di quelle persone, giovani uomini, erano DAVVERO convinti che lei fosse reale, che fosse una ragazzetta svampita che diceva di voler mettere i controlli da Roma nord a Roma sud perché non sopportava i poveracci.

 Il motivo per cui della gente certo intelligente pensava di assistere al monologo di una perfetta cretina era uno: lei corrispondeva a un'idea per loro talmente radicata da poter essere solo e sempre reale.

 Sostanzialmente quegli uomini trovavano assai più probabile trovarsi davanti a una cretina miracolata del web che ad un'attrice che li stava palesemente e spaventosamente trollando.

 Ecco, io quando vedo Diego Fusaro ho la stessa sensazione: che mi stia palesemente e spaventosamente trollando. 

 Purtroppo credo che, nel suo caso, non sia così.

 Ma torniamo al punto iniziale: la libreria come specchio dei tempi politici.

 Dopo un periodo di totale disorientamento durato all'incirca due anni, le case editrici tutte hanno capito che il populismo era un argomento di moda e hanno deciso di affrontarlo con lo stesso incontrollato delirio con cui un po' tutti ci stiamo misurando con la questione.

 Tuttavia l'altro giorno una fascetta del libro di Fusaro mi ha illuminato.

 Recitava: "Testo adatto solo a lettori non convenzionali", insinuando quindi nel lettore il dubbio che, nel caso lo trovassero un fastidioso essere o un imbarazzante fake, essi fossero convenzionali.

 Ecco, il populismo in libreria, come nella vita, sto giocando su questo: i libri populisti ti sfidano, i libri contro il populismo ti terrorizzano.

 I libri contro il populismo sono molto istituzionali.

 Tentano di spiegarti con raziocinio che si tratta di un male che gioca sulle tue paure, sui ragionamenti di pancia, che esistono statistiche, evidenze ecc.

  Insomma dopo tre minuti, diciamoci la verità, hai solo voglia di chiudere tutto e andare su instagram (o perlomeno è quello che accade in un lettore medio che non ha abitudine a leggere e vuole farsi un'idea).

 Persino i titoli sono noiosi: ma si può intitolare un libro "La sfida imPopulista"?? Giochi di parole che ti fanno venire in mente il signor Burns che tenta di fare il ggggiovane.

 I titoli populisti sono ben più vivaci: ti promettono la verità! Lo smascheramento dei poteri forti! La lotta al pensiero unico dei radical chic! Diventa un lettore anticonvenzionale! Unisciti a noi! 

 Hanno titoli improbabili, ma d'effetto! Copertina kitschissime, ma nell'epoca dei buongiornissimi perfettamente coerenti.

 I conservatori sono riusciti, grazie a un uso della comunicazione estremamente spregiudicato, ma anche estremamente moderno, a fare un giro di valzer non indifferenti: ora non sono più ultraconservatori! Ora sono loro i rivoluzionari!

 Poi certo, se gratti la patina trovi il peggio del peggio dell'ultraconservatorismo (odio per le minoranze, suprematismo bianco, sessismo a livelli allucinanti, odio per lo straniero), ma ad un primo acchito ora sono la rivoluzione dello status quo, quello che ti parla per statistiche e libri che ti terrorizzano e ti dicono che sì, stai bene, pure se te ne accorgi sempre un po' di meno.

 Inoltre, ho un'idea del perché la sinistra, al netto del ritardo allucinante sul piano della comunicazione non riesca a farsi valere: i populisti non vogliono il nuovo, vogliono un rivoluzionario ritorno al vecchio. 

 Quindi, sostanzialmente non inventano niente di nuovo, fanno leva sulla nostalgia, sulla mitica età dell'oro, sui vecchi tempi che non erano poi così belli, ma a distanza di anni e dopo una crisi economica devastante sembrano stupendi.

 La sinistra non ha gioco così facile. 
 Se vuole tornare a fare la sinistra deve inventare un mondo nuovo, deve chiedere un cambiamento radicale a un mondo che non ha nessunissima voglia, anzi, sbatta, di esserlo.

 Si deve cambiare la società alla radice per avere un mondo più giusto, libero e lieto e se un tempo eravamo disposti a sacrifici in questo senso, adesso la parola sacrificio fa spavento e orrore.

 Un po' perché a nessuno va di farli, un po' perché in verità ne abbiamo fatti per star solo indicativamente peggio (ma lì si apre anche l'enorme tema della globalizzazione, del fatto che o si crea un movimento d'opinione globale o ognuno si attacca al tram,  e del conflitto generazionale per cui le generazioni precedenti forse hanno magnato un po' troppo pensando che sarebbe tutto andato sempre per il meglio e mò pagamo noi). 

 Non è comunque il tema di questo post.

 Quello che, devo dire, mi stupisce di tutto ciò, non è tanto che si rifletta in libreria quello che vedo nella vita pubblica, ma che, alcune storiche case editrici si prestino a questo gioco.

 Anzi, non è che mi stupisce, mi PREOCCUPA proprio.

 E' vero, certo, che pecunia non olet e che l'editoria è commercio, ma editoria ha voluto per molto tempo dire anche militanza o, almeno, tentativo di dare una certa lettura del mondo.

 Esiste per questo il concetto di linea editoriale, ma anche il concetto per il quale se un libro è pubblicato da una casa editrice x puoi star certo che è più autorevole di quello pubblicato dalla casa editrice y. Ci sono piani editoriali diversi, target diversi, storie pregresse diverse.

 O almeno c'erano.

 Perché Fusaro mi sta scombinando le certezze e mi sta mostrando una grande confusione anche sotto il cielo editoriale che mi porta ad altre domande: anche le redazioni delle case editrici sono vittime dell'effetto "Martina Dell'Ombra" e non si accorgono di cosa stanno combinando oppure lo sanno o non gliene importa?

 Sono finiti i tempi in cui c'era una sorta di coscienza editoriale, in cui dare spazio a questo o quello poteva segnare una differenza? 

 Oppure anche questo è lo spettro di un altro cambiamento dei nostri tempi, ossia l'idea di non avere mai davvero una compiuta responsabilità in quel che accade? Non è colpa mia, sono gli altri che me lo hanno fatto fare!

 Non lo so eh, basta saperlo. Una cosa è certa, ovunque guardi, in tv, nella realtà, sui social e anche in libreria c'è grande confusione sotto il cielo.

14 commenti:

  1. Odio Fusaro (sui social, non ci penso neanche ad aprire un suo libro). Credo che le case editrici abbiano il terrore del calo delle copie, quindi siano ben liete di pubblicare costui, nonché libri sulle pancine e sui calciatori.

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  2. Consigliandoti un libro di Dorinda Outram "L'Illuminismo" provo a rispondere ad alcune domande che poni alla fine dell'articolo. Tutto ciò che è "letterariamente" commercializzabile e che vende sfruttando situazioni politiche, fenomeni culturali ,sociali o da baraccone e anche fatti si cronaca per le case editrici è ok. Ti consiglio quel testo di Outram perchè parla anche della grande diffusione dei libri neI secoli XVII-XVIII i cui autori spesso sconosciuti ai piu'scrivevano , e si guadagnavano da vivere praticamente di tutto dalla pornografia ai libri per ragazzi ai romanzi e romanzetti.Le linee editoriali impegnate o con una politica precisa e definita sono poche e sono sicuro che per vendere anche loro sarebbero molto tentate di cavalcare il fenomeno. Non sono un fan di Fusaro nè di altri pseudo fenomeniletterari ma come direbbe Humphrey Bogart : E' la stampa bellezza! E aggiungerei E' il commercio dell'editoria non c'è niente da fare fa parte del gioco

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    1. Ho fatto diversi esami di storia della stampa e dell'editoria all'università (sono laureata in biblioteconomia). E' la stampa bellezza in realtà NI. I protoeditori/topotipografi erano dei mezzi delinquenti e avevano interesse a vendere, ma anche prima dell'esistenza dell'editoria moderna esisteva un vago concetto di linea editoriale e anche una certa coerenza. Basti pensare alla figura molto peculiare di Etienne Dolet che venne bruciato vivo dall'inquisizione per ateismo e stampa di libri proibiti. Non li stampava solo per fatturare, altrimenti avrebbe stampato principalmente quelle quattro robacce cattoliche che vendevano sempre o si sarebbe fatto dare un qualche tipo di privilegio di stampa (pare fosse figlio illegittimo se non del re comunque di qualcuno appartenente alla famiglia reale) e morta lì. Ovviamente il suo è un caso limite, ma i tipografi/editori e i librai hanno sempre dovuto districarsi tra la voglia di batter cassa e il potere di poter influenzare, grazie al loro lavoro, la società. C'è questa strana idea che alla gente piaccia leggere principalmente romanzetti e porcherie, mentre è piuttosto vero che alla gente piace leggere libri interessanti. Vendono le 50 sfumature come vende a pacchi anche Harari, quindi la storia del "Devo vendere" è un alibi per chi non ha talento. Devi vendere, ma non devi svenderti. Giangiacomo Feltrinelli non fondò la sua casa editrice per diventare un colosso dell'editoria, all'inizio sfornava roba che adesso manco i ciclostili dei gruppi proletari di estrema sinistra, ma ebbe il talento di riconoscere e scoprire un Pasternak chiuso in un'Unione sovietica. Non fu solo fortuna, fu vero e proprio talento, quello che storici editori hanno avuto e i loro nipotini che si affannano a cercare robe unicamente pensando a quanto e come venderanno misconoscono. L'editoria ci perde e i libri non vendono e allora per metterci una toppa usi fenomeni da baraccone.

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    2. Sono d'accordo con te quando dici che la storia del "Devo vendere" è un alibi per chi non ha talento e lungi da me difendere le case editrici e libri che diciamoci la verità sono porcate per la massa, lo dico senza arroganza ma come un dato di fatto acquisito. Interessante la storia di Daudet mi sembra simile a quella di Giordano Bruno ma vorrei dire una cosa sull'esempio di Pasternak-Feltrinelli: E' vero che Il dottor Zivago deve a Feltrinelli la sua pubblicazione visto che in Russia era uscito solo in copie pirata , di contrabbando , tanto che vi fu una questione per il Nobel ( doveva essere pubblicato nella lingua madre e vi fu una vicenda spy story alla john le carrè pur di procurarsi le copie in russo e permettere a Pasternak di vincere il premio che poi fu costretto a rifiutare) ma è anche vero che Giangiacomo Feltrinelli fece milioni con il dottor Zivago e che Pasternak morì povero, la vedova chiamava l'editore continuamente per cercare almeno di ottenere una parte degli utili. Quindi come vedi la Feltrinelli come diverse case editrici hanno l'occhio lungo ma molto interessato sulle loro scoperte. Ma sono d'accordo con te che l'editoria ci perda e che comunque non bisogna fare di tutta l'erba un fascio. Ho citato la Outram proprio perchè svela molte ipocrisie della cosiddetta "Repubblica delle lettere" che già in epoca illuminista aveva i suoi casi editoriali e il suo gretto mercimonio, come anche le sue eccellenze

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    3. In realtà come racconta il figlio Carlo in Senior Service, la biografia del padre, correlata da numerose lettere, la questione delle royalties del dottor Zivago non è esattamente come la racconti tu. C'era un grosso ingarbugliamento tra banche svizzere dove tutti gli editori versavano non potendo certo fare un bonifico in Unione Sovietica, l'impossibilità di Pasternak di poterle riscuotere perché appunto non poteva, la presenza di una moglie e di un'amante-moglie e di procure. Insomma, accusare Giangiacomo Feltrinelli di aver scoperto Pasternak per lucrarci sopra è assurdo, anche perché, come dimostra la sua strana vita, i soldi Feltrinelli ce li aveva di famiglia, famiglia a cui si era ribellato (con tanto di rapimento da parte della stessa per convincerlo a tornare all'ovile). C'era una radicalità piuttosto che noi ormai misconosciamo e che credo sia uno dei problemi non solo dell'editoria, ma della nostra epoca in generale. Adesso qualcuno che facesse come lui o come Simone Weil per dire, sarebbero presi per pazzi.

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  3. Grande articolo, complimenti!

    Parentesina su Cacciola, attualmente spalla di Dandini nella nuovissima edizione de "La tv delle ragazze" che va in onda su Rai3 ogni giovedì sera.
    Quindi attualmente impiegata per quello che è: satirista dal taglio femminista in personaggio.
    Ma qualche anno fa era ospitona speciale di un programma a dir poco mal fatto e a dir poco IMBARAZZANTE, chiamato Kudos, rivolto ai ggggiovani, fatto dai ggggiovani, con un linguaggio ggggiovane.
    Un programma in cui presentatori e commentatori si accavallavano peggio che in un forum online, un programma in cui la parte più piccantina era sputtanare su schermo i contenuti del telefono dell'ospite, programma in cui - non smetterò mai di raccontare questo aneddoto per gettare fango su quel certo modo di fare tv e più in generale quel certo modo di relazionarsi alla realtà - alla domanda posta in tempo reale su quale fosse la pronuncia di Wikipedia, non si è andati a cercare la risposta in rete ma si è lanciato un sondaggio, il cui risultato è stato preso per buono.
    Ovviamente no, era la risposta sbagliata, ma ormai informarsi è fuori moda.
    Insomma, in questo programma orribile Cacciola interveniva in qualità di superospite megaesperta, dondolando da un'altalenina in mezzo allo studio e abbigliata come una fatina alcolizzata, e sparava delle assurdità che nemmeno uno psichiatra avrebbe preso per valide.
    Diceva delle sciocchezze tali sul mondo dei giovani, sulle cose che una persona alla moda deve considerare must, sulle relazioni personali al tempo dei social, che era IMPOSSIBILE non dico non capire chiaramente che esagerava, ma almeno non porsi la domanda "ma ci è, o ci sta facendo fessi a tutti?".
    Eppure in rete è assurta a icona del mondo gggggiovane.
    Mondo ggggiovane che, cresciuto in un'epoca in cui l'ironia è una brutta abitudine, il pensiero libero è una parolaccia, il ragionamento è un'inutile orpello, il porsi domande è al massimo quella cosa che fanno Le Iene... non ha capito una fava di cosa stava vedendo.

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    1. Bellissimo post! Sottoscrivo in pieno.

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    2. Mi esce Unknow ma mi chiamo Fabio Fabiano non padroneggio il mezzo, chiedo scusa

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. "Il libro come suscitatore e diffusore di idee” o il libro come prodotto?
    Inizialmente nel XV secolo il 45% circa fu composto da libri di natura religiosa e il 36% circa di natura letteraria e filosofica. Quindi diretti a gente erudita e non al volgo.
    Subito dopo, però, scrive Armando Petrucci, nella prefazione a “La nascita del libro” di Febvre e Martin, B.U. Laterza 1992:
    “La stampa a caratteri mobili…ha, sì, enormemente moltiplicato la capacità di espansione numerica, ma anche fossilizzato la tipologia, al fine di tenerne bassi i costi e sicura la collocazione commerciale…togliendo al pubblico la propria indipendente capacità di scelta”.
    Quindi è bruta mentalità commerciale quella che affonda nei tempi il libro come categoria di merce di esclusivo guadagno.
    In quanto alle critiche a Fusaro posso capire ed accettare quelle inerenti lo stile letterario e l’orditura mistificante (?) delle tesi filosofiche; comprendo anche le derivazioni e le opposizioni di natura politica, giacché questa è un’epoca che obbliga a interventi su tale oggetto anche persone che da lunga data ne sono rifuggite per non immelmarsi il pennino.
    Mi viene in gran sospetto, però, che possano essere anche motivate da faziosità politiche (o anche in prevalenza solo da queste).
    Come nessuno si sognerebbe di commentare e criticare le sgrammaticature sintattiche ed ortografiche di Kant, così penso che difficilmente ci si assumerebbe l’onere di redigere un articolo od una nota sulla prosopopea scrittoria e sulle derive stilistiche neo lessicali di Fusaro.
    Ultimamente ho letto una critica articolata su lavoro di Fusaro “Il nuovo ordine erotico, elogio dell’amore e della famiglia”, edito da Rizzoli.
    Il libro è composto da 400 e passa pagine. Il recensore, molto onestamente, afferma di averle lette tutte prima di redigere le sue osservazioni critiche.
    Ecco, io non mi sognerei mai di spendere 19 euro e leggere 400 pagine di un libro così. Non è una critica aprioristica, potrebbe anche darsi che il libro potesse essere di mio gradimento ma proprio non rientra nell’ottica attuale dei miei interessi.
    Certo che se avessi l’obiettivo di una smontatura politica.
    Dovrei però correttamente tenere separate le due cose o avvertire della fusione delle due critiche.
    Negli anni ’70 era diventata prassi far precedere un libro di storia scolastica dall’avvertimento dell’autore ‘redatto sotto l’ottica di una concezione ideologica di sinistra, cattolica etc.’.
    In definitiva da lettore indipendente mi possono star bene le note critiche di questo sito dedicato ai libri e all'editoria, anche se avverto, comunque, un ‘vomito cerebrale’ non so quanto circoscritto alla solo disamina letteraria-filosofica.
    In genere, specialmente con i tempi che corrono, altre posizioni le ho in gran sospetto.
    Le critiche di assunti filosofici mi van bene se dialetticamente argomentate. Se messe alla gogna visceralmente o faziosamente politiche, senza giustificato supporto teorico, no!

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    1. Ovviamente non sono d'accordo con te e non amo le insinuazioni che fai, ma ti sono grata per aver fatto un commento del genere in modo civile e rispettoso, una cosa rara di questi tempi, soprattutto davanti ad argomenti del genere.

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  6. Ma perché semplicemente alla « sinistra », quella referendaria per intenderci, oggi le idee di sinistra marxista fanno paura, dato che non intende più sostenerle né sostenere la classe operaia o la sua presa di coscienza come Marx faceva. Di conseguenza è molto meglio che una casa editrice un tempo militante e schierata usi quel marchio ideologico per vendere e spingere uno che con il marxismo c’entra con i cavoli a merenda. Fa meno paura e se poi spinge quello che viene chiamato, impropriamente, « populismo » (definizione data dalla « sinistra » a quella che era fino a pochi mesi fa l’opposizione, ma non sorta da un processo definitorio di sé da parte di quegli stessi partiti), be’, si puo’ sempre gridare allo scandalo.

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  7. Fusaro è uno che con manco ancora una laurea a soli 19 anni (!) già lavorava alla Bompiani, una delle più importanti case editrici italiane, ne dirigeva collane e pubblicava libri. Ora, a me non interessa fare troppe dietrologie, anche se mi diverte perché è esattamente il suo stile oltre a spacciarsi per umile quando è sempre stato un signorino, ma le voci girano e che abbia agganci importanti non è un mistero. Direi che è alquanto un privilegio raro per quanto si possa essere intelligenti e promettenti con appena un diploma in tasca poter partire da così in alto visto che per i comuni mortali non basta una laurea magistrale, master e dottorato anche solo per fare lo stagista in una casa editrice o penso ai tanti ricercatori bravissimi delle nostre università che nessuno si fila e devono pure pagarsi la pubblicazione dei loro testi poi tutto il resto viene dopo. Nulla nasce e si diffonde per caso.

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  8. Io mi ritengo estremamente fortunata. Perché, non frequentando i social, non ho idea di chi capperino sia Diego Fusaro. Cioè, sì, lo sento nominare in lungo e in largo, ma per una volta, subodorando la fregatura (= altra roba che mi avrebbe tolto fiducia nell'umanità), ho scelto di non buttare il suo nome su Google e scoprire chi fosse. Preferisco restare nell'ignoranza.
    Ammetto però senza vergogna che, fino a poco tempo fa, credevo fosse il nome d'arte di un qualche comico in stile "Mai dire gol", o di un commentatore sportivo... "Diego Fusaro" suona un po' come un personaggio da film con Abatantuono o Banfi, no? XD

    Per quanto riguarda il discorso sull'etica della linea editoriale, sacrosanto tutto. Ma ahimè assolutamente inattuale in questi tempi di imbarbarimento culturale (e morale e politico e tuttecose) dilagante.

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