In occasione della mia comunione, implorai un amico di una delle mie zie di non regalarmi il solito monile d'oro che mai avrei messo (per mai intendo che non li metterò proprio mai) o qualche altro ammenicolo perfettamente inutile alla vita di una undicenne media.
A lui chiesi, se proprio doveva spendere dei soldi, dei fumetti di Mafalda.
Fui esaudita. Mi regalò un'opera omnia di Mafalda che tuttora posseggo semidistrutta e rabberciata con scotch e che lessi ardentemente per anni.
Mi rivedevo molto in Mafalda, un po' per il carattere, un po', soprattutto, per il fisico: ero anche io bassa, non una silfide e avevo una massa di capelli che detestavo con tutte le mie forze (e infatti a 16 anni mi sono rasata a zero). Avevo persino un amico identico a Felipe nel corpo e nello spirito: secco, denti di fuori, pauroso pure della propria ombra.
Non afferravo tutto quello che diceva, devo dire che particolarmente oscuro mi era il personaggio di Libertà e anche Miguelito non lo capivo del tutto.
Detestavo cordialmente Susanita, l'amichetta perfettina di Mafalda la cui aspirazione principale era un giorno sposarsi, avere dei bebè e diventare ricca.
Mi ricordo che però proprio lei mi diede una grandissima lezione di vita.
C'era una striscia in cui Susanita diceva di voler organizzare, una volta grande, una festa di quelle a cui sarebbero andate tutti i ricchi mangiando robe raffinate (vado a spanne) per raccogliere soldi con i quali avrebbero potuto comprare farina e altre robe proletarie ai poveri.
|
Me l'hanno chiesta in molti, quindi ho vinto la pigrizia e ho ritrovato la striscia sul mio "Tutta Mafalda" |
La domanda sorgeva spontanea: per quale motivo i ricchi non avrebbero dovuto donare direttamente quei soldi ai poveri? Perché buttare denaro in cene che venivano più della donazione?
Poi capii che i poveri erano parte dell'intrattenimento di una certa parte dell'umanità.
La striscia mi è venuta in mente a proposito della polemica della scrittrice Elena Stancanelli a proposito del coraggioso ragazzino di Torre Maura, Simone.
In quattro battute ha rimesso a posto un tizio grande e grosso di cinquanta e passa anni e i suoi amichetti (che si sa, il fascio è talmente coraggioso che senza almeno dieci amichetti non si muove).
La scrittrice Elena Stancanelli ha notato quello che proprio non sembrava il primissimo dettaglio di tutta la questione: il ragazzo parlava in dialetto.
Le risposte a tale riflessione sarebbero molte:
1) Perché dovrebbe farci impressione? Io personalmente parlo ovviamente un italiano corretto, ma so parlare anche dialetto e anzi, ci parlo più che volentieri.
Inoltre come credo capiti a molti, più sono nervosa, stanca o arrabbiata più parlo dialetto, inoltre mi regolo pure a seconda del contesto: a lavoro a Milano parlo italiano, a Bracciano con le mie sorelle parlo braccianese (che posso assicurarvi è abbastanza identico al romano), se litigo con qualcuno a Bracciano o a Milano ci sono buone possibilità che parli dialetto in entrambi i casi.
Immagino ci siano millemila studi linguistici su questo doppio registro, ma io ho abbandonato il corso di dialettologia (non sto scherzando, avevo iniziato a seguirlo davvero) alla terza lezione e non li so.
Questo ci porta però alla seconda domanda.
2) Come sappiamo che Simone non sa l'italiano?
Come ce doveva parlà Simone con dei fasci durante uno sgombero a Torre Maura? In fiorentino antico? Con l'eloquio forbito riservato alla gran soirè del premio Nobel? Cioè, non è difficile comprendere che si cambia registro linguistico a seconda dell'interlocutore.
3) La pezza COME SEMPRE è stata peggio del buco.
Poiché la Stancanelli è stata attaccata su questa minuscola gaffe, ha risposto dicendo che "Ma quale piedistallo, ma quale spocchia, cosa c’entro io? Non lo capite che quel ragazzo verrà schiacciato dal mondo se non trova parole vere, comprensibili fuori dal suo quartiere? La spocchia è di chi crede che l’ignoranza sia fica, potente, gagliarda"
Ve lo giuro ha risposto così.
Tipo che Susanita si è materializzata davanti ai miei occhi chiedendomi se volevo essere invitata al Gran Ballo della Rosa.
Sostanzialmente siamo nel campo vittoriano del giovane di periferia, di istruzione bassa, incapace di esprimersi in un modo non barbaro ergo ignorante (il dialetto in fondo chi lo parla? Solo quelli che non hanno studiato, no?).
Una sorta di fantasia che certe volte per carità corrisponde a realtà, ma non in modo sillogistico: può capitare che corrisponda, come può capitare sia un incredibile abbaglio.
Non avendo noi altra informazione su Simone mi pare sia azzardato prefigurargli un futuro di povertà solo perché ha risposto in romanesco a un fascio.
Il nesso logico con la spocchia dell'ignoranza fica però denota, a mio avviso, la vera chiave di lettura di questa polemica delirante.
Mi piace provare a pensare che la Stancanelli abbia preso una cantonata mostruosa dettata dalla serie di nevrotici eventi che hanno portato la cultura in Italia ad essere additata come la radice di ogni male.
Ho perso il conto delle volte in cui ho litigato con ggggente che mi additava quale radical chic perché avevo una laurea o perché osavo scrivere in italiano commenti su fb.
Litigate che io placo sempre con:
1) La laurea me la sono pagata lavorando.
2) Mi dai della radical chic solo previa visione del CUD perché mi sono sfrangiata le ovaie di sentirmi dire che non capisco i problemi della genteblablabla perché sono ricca blablabla. Prego confrontiamo i CUD poi ne parliamo.
3) Mia nonna ha la quinta elementare scrive un italiano perfetto, quindi se tu non sei in grado il problema non è della società crudele, ma di te che non hai seguito cristianamente le scuole dell'obbligo (poi possiamo parlare della qualità della scuola in Italia, come possiamo anche parlare della voglia di impegnarsi individualmente verso piccoli traguardi personali raggiunta l'età della ragione).
Quindi voglio immaginare la Stancanelli in una specie di trappola mortale in cui si vede accerchiata in un mondo in bianco e nero in cui se parli dialetto sei un ignorante che va fiero della sua ignoranza e grida morte ai radical chic.
C'è da dire che se la prima cosa che ti viene in mente guardando il video di Simone è "Parbleu! Codesto giovine non favella gagliardo nell'italico idioma!", un problema c'è.
E si chiama problema di comunicazione/percezione della realtà che rende l'effetto Susanita lampante.
Vedi qualcosa che succede nelle periferie romane e pensi che il problema sia per forza e comunque la cultura e la mancanza di essa e non il fatto che OGGETTIVAMENTE si possa campare male.
Certo, il motivo è anche quello, e portare la cultura, come ho letto che la Stancanelli fa in prima persona con l'associazione "piccoli maestri" è importante, ma ci sono altre cose che sono importanti: è importante dare l'idea alle persone che non sono sole, non sono abbandonate a loro stesse, che magari se crei qualche involontario esperimento sociale devi farlo in modo sensato e soprattutto seguito e strutturato, non "vabbeh poi ci pensiamo", che è necessario far passare l'idea che la cultura è importante perché serve a qualcosa.
Sembra una bestemmia ma qualcuno deve dirla: non basta dire "la cultura è importante" perché la gente la percepisca come tale.
Non basta neanche portare esempi logici sul fatto che "se studi, migliorerai la tua vita" perché diciamocelo non è più vero.
L'ascensore sociale è bloccato, studi, ma poi a meno che tu non sia un genietto (e non possiamo confidare nel fatto che tutti abbiano l'intelletto superiore per essere ammessi con borsa di studio a Cambridge), andare avanti è esponenzialmente difficile.
Se vieni da una famiglia in cui non si legge e in cui nessuno ha studiato, farti venire l'idea di fare l'una o l'altra cosa è assai difficile e se non hai un buon motivo per interessarti beh, arrivederci e grazie.
C'è stato un momento, evidentemente, in cui la cultura ha smesso di essere comunicativa: non solo non riesce a raccontare bene la società, ma non riesce proprio a entusiasmarla.
Non è più neanche una questione di cultura alta e cultura bassa, è proprio una questione che la cultura per come è comunicata e vissuta al momento è una questione per pochi intimi o per iniziative in stile Susanita.
Bene, che ci siano, ma non sono quelle che, a piccolissimi passi cambieranno giganteschi problemi (li miglioreranno e faranno molto, ma non sono la soluzione, sono un analgesico).
Il tweet della Stancanelli sembrano dimostrare in toto la teoria: un mondo alto che vive una sorta di assedio da parte del mondo basso. "Ci vogliono far diventare come loro mentre loro devono diventare come noi!"
Grazie tante, non credo che nessuno di loro sia così stupido da non desiderarla una vita migliore, ma quando quella vita ti appare irraggiungibile allora ti dici che dopotutto ti fa schifo e non la vuoi veramente.
Il punto è fare in modo che sia di nuovo raggiungibile, dare una speranza che tutto ciò possa succedere.
La cultura non può risolvere questo problema, non ce n'è. L'idea che basti una laurea per avere una vita migliore è letteralmente trapassata. Ci sono tanti di quei mestieri che uno vorrebbe fare, ma poi anche se ti laurei o passi anni e anni a fare stage, lavoretti, tirocini, stage, contrattini mentre qualcuno ti mantiene, oppure rinunci e il lavoro va a chi sta meglio di te e può stringere la cinghia quella decina di anni mantenuto da qualcuno.
Oh, non è la regola eh, io stessa ne sono la dimostrazione e non è manco una scusa per non alzare una paglia perché "Tanto è tutto inutile" (certo che a non fare niente non solo non si sbaglia, ma manco succede niente).
Ma io so che l'eccezione non può essere presa quale esempio e chi lo fa è in malafede.
Quello che la cultura (parlo della Cultura con la C maiuscola, quella che crea e forgia l'immaginario popolare) può fare però è tanto ed è un'altra cosa: la cultura può e DEVE entusiasmare.
Non parlo dell'entusiasmo alla Gardaland fine a sé stesso, parlo dell'entusiasmo fattivo: quello che ti fa bruciare le mani dalla voglia di tentare, di sperare, quello che per ora, a quanto sembra, hanno conservato, per pietà dell'età i quindicenni.
Deve farti venire la voglia di farci qualcosa a Torre Maura, deve farti fare il click che ti porta a capire che se ci metti tre cazzarola di ore ad andare a lavoro il problema non sono i rom e forse manco l'atac, il problema è che forse una città come Roma va ripensata alla base e TU puoi ripensarla (la mia personale idea, ad esempio, è che una città non può essere grossa come un quarto di regione, c'è proprio qualcosa che non può funzionare mai).
Deve farti venire la voglia di avere una passione, una qualunque, deve farti sentire una parte di un qualcosa, deve salvarti dalla solitudine e dalla miseria del quotidiano, e dall'idea che l'unica cosa che tu possa fare di concreto per sfuggirle sia prendertela con qualcuno che sta messo esattamente come te e che, in qualsiasi caso, non c'entra NIENTE con la specifica questione.
Deve farti tornare la voglia di passare le serate come nel finale di "C'eravamo tanto amati", quando dopo una lunga giornata di lavoro si piantonava per un posto all'asilo nido TUTTI insieme e non si elemosinava frignando qualche concessione.
Tutti sono sempre stati stanchi, non è che prima non si lavorava, la differenza è che prima si teneva conto che combattere per una vita migliore poteva far parte della giornata come tutto il resto.
Ecco, se la cultura riuscisse a far passare questo piccolo messaggio, magari avremmo meno incaxxature random facilmente manipolabili e meno gente che si dedica a problemi inesistenti mentre la vita gli passa davanti.
Comunque, per la cronaca, pare che Simone poi se ne sia andato a Romics e anche questo particolare, alla luce della discussione sulla cultura alta, immaginario e pregiudizi, potrebbe insegnare tanto a molti.