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venerdì 15 maggio 2020

Se si spezza il legame. Pensieri sparsi sulla lettura in quarantena: tra blocco del lettore, educazione alla lettura ed empatia.

In questo periodo di quarantena e post quarantena (che tra le restrizioni, la paura e il maltempo alla fine si sta rivelando una prosecuzione della quarantena con un'ora d'aria), ho vissuto un disagio che sembra essere stato comune: il blocco del lettore.
Illustrazione di Junghyeon Kwon

 Prima o poi nella vita capita a tutti i lettori di sperimentarlo.

 A me personalmente era accaduto solo una volta, durante l'università, a posteriori probabilmente a causa del forte stress.

 Fu probabilmente il periodo più insensatamente produttivo della mia vita (c'è del miracoloso in quel che uno riesce a fare quando ha la mente giovane e fresca): per un'intensa primavera-estate feci un tirocinio universitario di trenta ore a settimana in biblioteca, preparai 6 esami, il tutto dando ripetizioni e facendo lavoretti secondari (e ovviamente vivevo anche).

 Non ricapitò mai più quel periodo di gloria che iniziai scartabellando con gioia nel catalogo, ora tutto per me, della biblioteca e terminai col cervello che mi scoppiava appena cercavo di aprire un libro.

 Fino all'autunno riuscii a leggere in totale un solo libro, "Lolita" di Nabokov, e assicuro che non c'è nulla di rivelatore in questa scelta del tutto casuale.

 Alla fine se ne andò come era venuto. Ricominciai a leggere con calma e l'ansia di non riuscire più ad appassionarmi a mezzo romanzo o saggio, terminò.

 Durante questa quarantena, come molti altri, sono stata nuovamente vittima del blocco.
Avevo iniziato tutto sommato coi migliori propositi: finalmente leggerò tutti i libri accumulati che vagano orfani per caso!
 Due gialli e un fantasy erano scivolati via abbastanza bene. Poi ho cercato di alzare un po' il tiro con un libro che avevo comprato mesi fa e mi ero lasciata come vera chicca per un momento speciale: "Un giovane americano" di Edmund White.

  Ed è stato un grosso grosso errore.

 La narrativa di intrattenimento si chiama così per un motivo: intrattiene. La letteratura è un'altra cosa.

 Ha bisogno di concentrazione, immedesimazione, una certa dose di astrazione e riflessione. Molte cose che finiscono in -one, quindi.

 Tutte cose che non hanno abbondato a casa di nessuno in questi mesi. Soprattutto il maggior pregio della letteratura, ossia la capacità di trasportare il lettore altrove, è venuta completamente a mancare a causa della totale mancanza di miss astrazione.

 Come ci si può astrarre da un presente che è irto di incognite, ansie, dubbi, incertezza verso il futuro, paura per i propri cari?

 E' vero anche che la letteratura ha una lunga storia di vite salvate e ispirate proprio dalla sua potenza salvifica in frangenti difficili. Tuttavia, quando quei frangenti arrivi a viverli in prima persona, scopri che le cose possono essere meno semplici.

 L'ordine di priorità interiore muta e così se puoi dedicare le tue energie a qualche misterioso ispettore che indaga in qualche posto del mondo con indizi sempre più contorti, ti accorgi che potresti non riuscire a riporre la stessa fiducia nelle complesse vicissitudini interiori di qualcun altro.

Dopotutto fai già troppa fatica a decriptare le tue, di vicissitudini.

 Non è un fatto nuovo neanche questo. Se vi è mai capitato di leggere un libro più volte nella vita, avrete notato che talvolta sembrava un libro diametralmente opposto a quel che ricordavate.

 Al momento quindi, "Un giovane americano" rimarrà nei miei ricordi come l'incessante e fastidioso lambiccamento di un adolescente sul proprio orientamento sessuale. Un ricordo, lo so da sola mentre lo scrivo, davvero impietoso per un libro che invece è assai amato da molti.

 Ma questo blocco dice molto sul rapporto tra lettore e libro.

Non basta che un libro sia bello se il lettore non partecipa. 
E' come andare a vedere un film tappandosi occhi e orecchie. Sei in sala sì, ma non ci sei.

 Ed è lì la falla dei nel sistema che produce i non lettori, chi ai libri proprio non si appassiona. Non basta dire a queste persone che leggere è bello o aiuta, bisogna creare un legame che convinca il lettore a fidarsi del libro. 

 Per i lettori forti è difficile immaginare quanto possa essere difficile, viene naturale, da sempre (e infatti tutti gli studi convergono verso un'opinione comune: chi è abituato a leggere sin da bambino, leggerà sempre), ma forse ora che anche i lettori forti hanno sperimentato questa mancanza di empatia con un compagno così amato, allora può essere più comprensibile l'assoluta insufficienza di politiche per l'educazione alla lettura in questo paese.

 Voglio essere sincera, nonostante gli indubbi pregi del mezzo, nulla mi spinge a pensare che internet stia migliorando la situazione. 

 Rispetto ad anni fa, se possibile, vedo in peggioramento. Anche tra i bookblogger.

Si è passati da "Mah, ho questa passione condividiamola" a "Mah, ho questo oggetto diamogli visibilità per N motivi". Non che nel secondo caso non possa esserci passione, ma l'educazione alla lettura non credo proprio passi dall'educazione al commercio.

Il mercato si è impossessato con vari ed eventuali mezzi persuasivi di mezzo e messaggio.

 Ogni tanto timidamente qualche iniziativa di promozione alla lettura cerca di contattarmi, l'ultima volta mi hanno chiesto di parlare di un libro appena uscito per spingere le persone ad andare in libreria e aiutare le librerie. Nobile motivo, ma si sa che la strada del demonio è lastricata di buone intenzioni.
 Non penso sia mio compito spingere nessuno a comprare niente, io stessa per ragioni economiche leggo principalmente libri presi in biblioteca.

 Non sono una vetrina, non mi piacciono le vetrine. E le vetrine possono convincere qualcuno a comprare qualcosa, ma difficilmente lo porteranno a diventare un lettore.

 Sono tanti pensieri sparsi che partono alla fine da un'unica domanda: perché durante questa quarantena non sono riuscita a leggere? 

 La risposta è, temo, perché sono un essere umano come tutti e i dogmi come "la lettura ci salverà" ogni tanto non funzionano in modo così automatico.

  Poi non è che non mi sia dedicata a nulla eh, ho solo scoperto che la mia concentrazione andava per altri lidi, come i fumetti (sto lavorando a un progetto del quale ancora non parlo per scaramanzia) e la scrittura (partecipare a concorsi letterari dopo 15 anni, perché no?).

 In entrambi i casi ero spinta da un obiettivo: una deadline, un giudizio, un risultato finale.

 La lettura, mettendomi sempre nei panni dei non lettori, su questo piano perde perché non è un obiettivo, non porta risultati tangibili(lo studio è un'altra cosa), serve "solo" ad arricchirci, a portarci altrove.

Ed è dura farlo quando ci sentiamo orrendamente ancorati a un presente senza orizzonti.

Poi oh, le cose passano. Ieri pomeriggio non avevo voglia di disegnare e nemmeno di cucinare, così ho afferrato "L'amante giapponese" della Allende che vagava per casa da un bel po', in attesa di essere portato dalla suocera.
All'inizio è stato difficile, ma poi l'ho finito in una sola serata. Forse c'entra il fatto che anche la fase 2 sta finendo e in verità penso proprio sia così.

 Se sappiamo dove andare nella vita, allora possiamo anche andare altrove coi libri.

3 commenti:

  1. Ecco, secondo me il fatto che un libro non possa essere "venduto" come fosse un qualsiasi altro oggetto, è il punto (e non per la sacralità della carta stampata, ma perché è un'altra cosa - farsi un abbonamento in palestra approfittando di una qualhe offerta, non vuol dire automaticamente frequentarla).

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  2. Non posso che condividere appieno la tua affermazione "Non basta che un libro sia bello se il lettore non partecipa". Penso che il blocco del lettore sia legato a questo... si entra in una fase in cui non si riesce ad entrare nel romanzo, quindi non lo si capisce e di conseguenza è impossibile trovare piacere nel leggere

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  3. Anche io ho avuto il blocco ma a causa delle preoccupazioni varie per la salute. Ho però divorato gli ultimi tre gialli di Manzini su Rocco Schiavone e letto una bigrafia della Regina Elisabetta II.

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