E' un po' di tempo che
vorrei scrivere un post sui libri che non ti aspetti. Ossia i libri
che mai immagineresti che uno scrittore dedito di solito ad un genere
ha sfornato senza che ce ne accorgessimo. Il problema è che
man mano che vado avanti col blog vorrei scrivere post sempre più
complessi che richiedono più tempo e ricerca (che è il
motivo per cui ultimamente capita che salti almeno un giorno a
settimana). Comunque, mentre ricerco forsennatamente, mi vengono in
aiuto, soccorso e strabilio i piccoli libri per piccoli tragitti e
proprio in questi giorni mi è volato tra le mani un delizioso
libretto di Gramsci.
Dunque, Gramsci. Quando ero alle superiori, guerreggiando e politicizzando, ammettere di
aver letto qualcosa di Gramsci aveva qualcosa di ficus, per quanto
rimanesse in tutti noi il potente sospetto che non fosse cool come
Che Guevara. Già il fatto che fosse nel programma di
italiano a tormentarci con la storia dell'intellettuale organico
aveva qualcosa di sospetto, tuttavia, si riabilitava con la sua
eroica morte a seguito delle torture e dei patimenti durante il
confino fascista.
Piena di buona volontà,
all'epoca decisi di prendere in biblioteca un'edizione omnia delle
sue “Lettere dal carcere” (travisando in modo completo e
non capendo che, se proprio, dovevo leggere i “Quaderni”).
Le ricordo come una
delle lettura più soporifere della mia vita.
Vuoi la censura, vuoi che
Gramsci nascondesse effettivamente un animo spaccapalle, vuoi che
tentasse di essere presente nella sua vita familiare anche a mille
leghe di distanza, il 90% delle lettere alla moglie, ma soprattutto
alla cognata (cosa che ti insospettiva alquanto sulla natura dei loro
rapporti) erano: “Hai fatto questo? Ti sei ricordata di far quello?
I bambini fanno i compiti? Perché non mi mandi questo? Uffa ma
non fai proprio niente! Ti ho detto cento volte di salutarmi x, il
salume che mi hai mandato non mi piaceva, i bambini non studiano, mio
cugino come sta?”. Questo per centinaia di pagine.
Era talmente pressante
che alla moglie dovevano esserle girate le ovaie perchè si
giungeva ad un punto (dopo anni di corrispondenza eh) in cui lui
iniziava a scrivere “No cara moglie non prendertela, si sono
distante, sì ti amo ancora, sì scusami per le centinaia
di lettere precedenti, no ma non te ne andare, no ma dove vai.”
Non le finii, quindi non
seppi mai precisamente se la moglie se ne fosse andata e dove, ma mi
rimasero per sempre impresse tre cose:
- La noia profonda.
- La fissazione per la lingua sarda che aveva Gramsci (mi ricordo che era scandalizzato dal fatto che i bambini imparassero troppo presto l'italiano perché questa cosa li avrebbe resi superbi).
- Era cattivissimo e spiccio con la moglie e tutto languido e tenero con la cognata.
Questa triste esperienza
adolescenziale pose una pietra tombale sul nostro caro intellettuale
organico. La mia sorpresa nel ritrovarmi davanti questo libretto
dal titolo “Piove governo ladro!” by Antonio Gramsci è
stata perciò doppia, quest'uomo dopotutto conosceva l'ironia?
Ebbene sì, la
conosceva eccome.
Il libretto, edito
dagli Editori Riuniti, è una raccolta di articoli di costume
che il buon Antonio scrisse tra il 1916 e il 1918 per l'edizione
torinese de “L'Avanti”. Con tono stranamente sarcastico
Gramsci commenta i mali e le assurdità della sua epoca, i
sedicenti maghi e ciarlatani a cui si rivolgono i parenti disperati
dei soldati al fronte, il cattolicesimo che impone il proprio credo a
chiunque e reclama processi contro soldati diciottenni che sfottono
le processioni dall'alto delle caserme.
Ci sono alcuni
articoli straordinariamente attuali, uno su quello che ora chiamiamo
femminicidio e all'epoca pare chiamassero “drammi d'amore”, il
secondo sulla cocaina (la mia ignoranza mi imponeva di pensare
che l'uso e consumo della cocaina fossero giunti nelle nostre terre
solo molti decenni dopo.
Del primo ha in realtà
un'opinione molto dubbia,
“I cosiddetti drammi d'amore si susseguono in modo impressionante. Così annota la cronaca raccontando con la solita esuberanza di particolare come il cittadino Ermenegilo Grosa abbia soffocato con un cuscino la sua amante Caterina Astigiano in uns dolitaria camera d'albergo e come in seguito si sia svenato recidendo la carotide.”
Nulla di nuovo sotto il
sole, ma l'interpretazione che Gramsci dà è quella di
non allarmarsi troppo. Un tempo, scrive, succedevano cose molto
peggiori, come paesini di montagna messi a ferro e a fuoco da
coscritti in procinto di partire per dodici anni di servizio. Cose
così atroci che insomma, un dramma d'amore non era niente.
Più
interessante invece è la lungimirante interpretazione che dà
appunto sulla cocaina. Partendo da un arresto per spaccio a cui
era seguito un rilascio immediato a causa della mancanza di una legge
sulle droghe, così commentava,
“Ohibò, non è la legge che fa scomparire il vizio, se il vizio è un portato necessario della civiltà moderna! Civiltà esteriore, che ha per base il lavoro, ma degli altri. Si formano necessariamente delle schiume putride, senza fini, senza morale, senza storia. Cos'è la vita per tanti? Animalità corporea, godimento dei sensi, meccanicità nervosa e muscolare. Perché dovrebbero non inebriarsi con la cocaina? Io mi meraviglio che così pochi discendano per la china dei piaceri che rovinano.”
Non temere Antonio,
abbiamo fatto in tempo a recuperare abbondantemente sulla tua
meraviglia.
Ci sono gli articoli
puramente di costume, tra cui spicca quello che dà il titolo
al libro “Piove, governo ladro!”, proverbio già
citatissimo all'epoca di Gramsci, ai cui tempi le ferrovie dello
stato davano già il peggio di sé. Gramsci cita infatti
una lettera scritta da un passeggero che durante un viaggio in treno,
a causa di un guasto tecnico (e già lui si chiedeva dove
finissero tutti i soldi per le riparazioni e come potessero i vagoni
fare tanto pena), vide formarsi una tale condensa che ad un certo
punto iniziò a piovere dai soffitti costringendo una signora
ad aprire un ombrello. L'aneddoto terminava col lettore che
annunciava di poter dire a pieno titolo che sì pioveva e a
causa del governo ladro!
E infine ci sono ancora
pochi, ma molto significativi articoli politici. Siamo in prima
guerra mondiale e il fascismo è ancora in divenire, eppure i
semi del male ci sono già tutti. Non ancora manifesti nella
politica già palesi nella società, Gramsci li cita
velatamente, come nell'articolo in cui lamenta la possibilità
per alcuni uomini autorizzati dallo stato di poter spiare,
terrorizzare, pedinare altri cittadini, in teoria ugualmente liberi.
Ma soprattutto scrive quello che secondo me è l'articolo più bello “La scimmia giacobina”.
Ma soprattutto scrive quello che secondo me è l'articolo più bello “La scimmia giacobina”.
Chi è costei?
“L'ultimo prodotto delle differenziazioni che si stanno determinando nella mandria di bruti che riempie delle sue strida i mercati italiani.La vita politica italiana è sempre stata più o meno in balia dei piccolo borghesi, mezze figure, mezzi letterati, mezzi uomini, il gesto è tutto in loro. Concepiscono la vita librescamente, sono imbevuti di letteratura da bancarella. Non concepiscono la complessità delle leggi naturali e spirituali che governano la storia. La storia è per loro uno schema. E lo schema è quello della rivoluzione francese. Ma non quello della rivoluzione francese che ha profondamente trasformato la Francia e il mondo, che si è affermata nelle folle, che ha scosso e portato alla luce strati profondi di umanità, ma la rivoluzione francese superficiale che appare nei romanzi e nei libri di Michelet, i cui attori sono avvocati rabbiosi ed energumeni sanguinari.
Questa superficie l'hanno presa per sostanza , il gesto di un individuo l'hanno preso come l'anima di un popolo. Ripetono un gesto credendo di riprodurre un fenomeno. Sono scimmie credono di essere uomini. Non hanno il senso dell'universalità della legge, perciò sono scimmie. Non hanno una vita morale. Operano mossi da fini immediati, particolarissimi, per raggiungerne uno solo sacrificano tutto, la verità, la giustizia, le leggi più profonde e intangibili dell'umanità. Per distruggere un avversario sacrificherebbero tutte le garanzie di difesa di tutti i cittadini, le loro stesse garanzie di difesa. Concepiscono la giustizia come una comare in collera col forcone bandito. La verità è una donna da marciapiede di cui si sono autonominati d'Artagnan.
L'umanità è solo composta da chi la pensa come loro, cioè da chi non pensa affatto, ma sacrifica al dio di tutte le scimmie”
Mi scuso per la lunga
citazione che riproduce in verità quasi tutto l'articolo, ma
l'ho trovato di un'attualità impressionante, e proprio per
questo mi è salito un terribile pensiero.
Era Gramsci in quanto
genio/intellettuale organico a descrivere mutamenti imperituri della
società in modo così vivido da rimanere valido nei
secoli oppure noi italiani non ci siamo mai mossi di un passo?
Ho paura della risposta.
Ps. Grazie a
Gramsci ho fatto la conoscenza di questo giovane goriziano, Carlo
Michelstaedter, uccisosi a 23 anni perché “Non riuscì
a porre in accordo la pratica quotidiana coi principi della morale di
Kant”. Sotto questo punto di vista sono decisamente altri
tempi.
Allora devi assolutamente leggere "Marcia su Roma e dintorni" di Emilio Lussu. Di intellettuali, sardegna, ironia e fascismo. Una vera perla per tragitti medio piccoli:
RispondiElimina"Molti parlavano allora di una flotta aerea in mano ai bolscevichi italiani. Io ebbi la rara fortuna di conoscerne il comandante supremo. Era un mistico, una specie di San Luigi Gonzaga. La flotta consisteva in un 'Farman' trafugato da un deposito d'aviazione. Per ragioni tattiche, era stato prudentemente diviso fra Livorno e Roma: a Roma, in un fienile, il motore, e a Livorno, in una cantina, il resto."
Dear LaPi, mio padre mi ha donato un buono libri da 50 euri, (che nella mia mente ho speso già venti volte), lo metto tra i papabili, se no biblioteca di corsa!
EliminaNon te ne pentirai. :) Avevo già apprezzato l'ironia che c'era in Un anno sull'altipiano, ma con questo libro mi ritrovavo a ridere di gusto... per quanto mi abbia fatto lo stesso effetto che ha fatto Gramsci a te: non è cambiato davvero nulla o la storia si ripete? Anche la sua vita poi, romanzesca al punto giusto: fu protagonista di una rocambolesca fuga in motoscafo dal confino di Lipari, insieme a Carlo Rosselli e Francesco Nitti.
EliminaLunga citazione e pure bellissima: ritratto di un paese che da quel punto di vista non cambia mai.
RispondiEliminaChe edizione possiedi? Quel d'Artagnan, così spaesato, ho letto da qualche parte che potrebbe essere dovuto ai redattori dell'edizione su libro, che non avevano capito la parola "gargagnan": protettore di prostitute, se non erro in Piemonte, termine che già all'epoca era un po' in disuso.
Eh, presa in biblioteca, però visto che cita i romanzi di Michelet, d'Artagnan ci stava (è pure vero che Gramsci era così fissato con la linguistica e i dialetti che ce lo vedo benissimo a usare parole dialettali in disuso).
EliminaLa citazione non si poteva non farla, si potrebbe pubblicare su un giornale oggi e far alzare un epico polverone!
Comunque, ora che ci rifletto in quanto tuo compatriota saprai indubbiamente interpretare meglio di me la sua forma mentis ;)
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