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martedì 30 settembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ogni epoca ha i sex symbol che si merita"

Siccome sto cercando di preparare una specie di "evento" speciale in occasione del Lucca Comics (cioè evento per codesto blog nato da un mio personale intento), in questi giorni fatico un po' a scrivere lunghi post di senso compiuto. Tuttavia ero in debito della vignetta di domenica, giornata durante la quale ho assistito alla scenetta di cui sotto.
 E' proprio vero che l'estetica cambia col passare dei decenni e delle generazioni. 
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ogni epoca ha i sex symbol che si merita"
NB. La bimba aveva intorno agli 8-9 anni.
 (Prego faccio notare il tentativo di cambiare la prospettiva della vignetta).





lunedì 29 settembre 2014

Tutto ciò che un autore non dovrebbe dire ad una presentazione: atteggiamenti da divo consumato, autocompiacimento, provocazioni e suggerimenti per il pubblico. Il mondo è esistito prima ed esisterà anche dopo di voi, sappiatelo.

 Oramai tra quelle viste a lavoro e quelle viste per mio personale sollazzo, credo di aver accumulato un cospicuo numero di presentazioni di libri con autori presenti.
 un elenco delle categorie amabili che compongono il 90% del pubblico di tali eventi e non posso a distanza, che confermare quanto detto,  tuttavia non mi sono mai occupata di loro: gli autori che presentano.
Il sorriso di furbo compiacimento che caratterizza gli autori che se la tirano
Circa un annetto fa avevo steso
 Generalmente ce ne sono di due macrotipi: quelli che se la super tirano e quelli che non se la tirano per niente.
 Di tanto in tanto i Big con la B maiuscola se la tirano, ma generalmente vuoi che siano effettivamente persone alla mano, vuoi che cerchino disperatamente di sembrarlo per non compromettere un'immagine pubblica di effettivo risalto, la maggioranza ostenta umiltà.
 C'è un'interessante cartina tornasole per capire se essi fingano o meno: quello che avviene quando la presentazione è terminata. Se si fermano a parlare col pubblico (generalmente folle), se firmano copie di aspiranti intellettuali esaltati che gli squadernano teorie personali come se non ci fosse un domani, se subiscono la follia degli astanti col sorriso fermo sulle labbra, allora credo alla loro ostentata umiltà anche solo per premiarli. Se invece in tre secondi hanno già alzato il sedere dalla sedia e sono circondati da un nugolo di facoltosi amici che sono venuti da Londra, Parigi e San Diego solo per sentirli e dopo andranno a cenare tutti insieme sull'attico di un loro caro conoscente, tipo Jep Gambardella, allora do bollino nero nonostante lo sforzo.
 Chi invece si può star certo che se la tirerà quasi certamente e quasi comunque sono gli scrittori esordienti. Essi sono così fieri del loro piccolo trionfo da ingigantirne le misure fino alla conclamata ridicolaggine.
 Per venire incontro a queste creature che parlano già come fossero Sofri e si permettono di confutare Eco, ho deciso di stilare un elenco di frasi o affermazioni che consiglierei loro di evitare per non esporsi al ridicolo.

LANCIO UNA PROVOCAZIONE:
Rendetevi conto che pe' fa' certe cose ce vòle er fisico, e pure
il carisma. 
Abusatissimo. Tutti lanciano provocazioni, o meglio dicono cose che nel migliore dei casi tutti abbiamo pensato ultimamente, ma detto al massimo a nostra sorella mentre pranzavano (nel peggiore le avevamo pensate una decina di anni fa e dette a nostra sorella) e si fomentano dicendo che sono grandi provocazioni. Raramente una provocazione invocata da questi autori è tale, per il semplice fatto che essa è materia incandescente: se dici una cosa pesante 99 su 100 asserisci una boiata pazzesca o una cosa che offende i quattro quarti dei presenti, se non vai sui massimi sistemi dici delle ovvietà che perplimono gli astanti.
 In qualsiasi caso una provocazione è tale se provoca una reazione in qualcuno e per farlo deve avere un suo pubblico. Dirlo davanti a dieci persone in un'oscura biblioteca di un paese di mille persone non so quanti provochi (oddio ci scapperebbe un bel noir partendo da un presupposto del genere, ma la realtà è un'altra). Temo che la provocazione sia frutto di un grande mito/speranza. Secondo me molti autori piccini picciò sognano che un fantomatico giornalista di qualche grande testata si annidi tra il pubblico e li rilanci in un articolo di portata nazionale. Esso è una creatura fatata che in genere va a braccetto col talent scout che scopre le modelle per strada e con l'attore che aveva accompagnato l'amico a fare il provino, poi ci ha provato senza manco sapere la parte ed è stato magicamente scelto.

TI DO UNA COSA SU CUI PENSARE:
 Uno degli atteggiamenti più diffusi e per me più urticanti è quello dell'intellettuale arrivato. Ok, tutti i libri di marketing dicono che se non ci credete voi al vostro prodotto non c'è nessun motivo per cui debbano crederci gli altri. Il punto è che secondo me, trattare il materiale intellettuale come una merce nasconde sempre degli enormi pericoli.
 Siccome parto dal presupposto di essere una creatura pensante, se qualcun altro ha l'ardire di suggerirmi qualcosa su cui pensare, io DEVO sapere che egli ne sa per forza più di me. Uno studente di fisica del primo anno dopo due esami può dirmi senza nessun timore: "Ti do una cosa su cui pensare", la mia ignoranza sulla materia è talmente abissale che posso solo imparare. Ma se invece ci muoviamo sul piano della vita vissuta o su argomenti in cui io, (come voi tutti) so di avere un certo bagaglio culturale, che qualcuno mi dica con fare sicuro che mi sta dando cose su cui pensare, ecco quello è il momento in cui il libro non lo comprerò nemmeno morta. L'autore di ventitré anni che pone quesiti sui massimi sistemi al pubblico con la certezza di possedere la verità, mi dà sempre quella spiacevole sensazione molto simile a quella comunicata anni fa dagli studenti di filosofia del secondo anno. Saccenteria mista a incoscienza giovanile.

SE COMPRI IL MIO LIBRO PUOI SAPERE LA RISPOSTA:
Il dibbbbattito è la croce di tutti, non lo nego. A parte rari casi in cui è davvero interessante, di solito è un momento di vicendevole imbarazzo in cui nessuno fa domande, l'autore freme perché qualcuno le faccia e il libraio o il moderatore della serata stanno lì a sospirare perché più tardi finirà il tutto più tardi metteranno a posto le sedie e più tardi andranno a casa.
 Ogni tanto qualche coraggioso, ( o pazzo) fa la domanda e allora si vede tutta l'abilità dell'autore. Se la domanda è di suo gradimento generalmente risponderà dissertando e facendo riferimento a passate presentazioni (le 2 passate presentazioni della sua vita), se invece per qualche motivo è in difficoltà ha due possibilità:
1) "Se compri il mio libro puoi sapere la risposta" che contiene, a suo parere, due grandi furbate, ossia salvarsi dal fatto che non si sa/vuole rispondere e al contempo invogliare l'astante a comprare il suo tomo.
2) "Mi hai dato uno spunto di riflessione". Ossia "Davvero mi stai chiedendo come ho fatto a scoprire che il cielo è blu, durante la stesura del mio libro "Perché il cielo è blu"? In questo momento non saprei dirti, ma hai fatto una buona domanda e mi hai dato uno spunto di riflessione.
E qui parte pure la minaccia: NE PARLERO' NEL MIO PROSSIMO LIBRO.
 L'arrampicata sugli specchi produce un suono molto più disperato del silenzio, fidatevi.

SENTIVO CHE NON ERA STATO ANCORA DETTO TUTTO:
 Il libro è stato autopubblicato o stampato da una casa editrice distribuita nella sola provincia di Imola? Da un editore a pagamento che ha il magazzino in comune con un vinaio in quel della provincia di Olbia-Tempio?
 Ebbene, generalmente questi sono casi che non autorizzano a dire la famosa frase "Sentivo che non era stato ancora detto tutto", con l'enfasi di chi ha finalmente posto fine a quesiti millenari. In primis perché a meno che non siate Socrate rinato (possibilità rara) ciò non corrisponde a verità, in secundis perché sarebbe meglio non dimenticare mai che, a meno che non stiate parlando di scienze esatte, la vostra è solo un'opinione, in terzis in realtà vista l'eco che avrà il vostro libro, sostanzialmente è come se non aveste detto nulla. So che si pensa sempre alla mitologica figura del succitato giornalista nascosto, ma a meno che non viviate in un telefilm americano, nonostante scuotiate il capo con fare sapiente e socchiudiate gli occhi con attenzione e la responsabilità di chi SA, in realtà dopo di voi rimarrà ancora molto da dire (e probabilmente in pochi si accorgeranno che l'avete detto).

LA GESTUALITA':
Magari un po' lo fa l'imbarazzo, per carità, ma stento a credere che tutti nascondano le loro insicurezze dietro una proverbiale sicumera. Lo premetto, personalmente, non ho particolare simpatia per le persone piene di certezze nella vita. Io sono certa se un libro mi ha fatto schifo o meno, per carità, ma in genere mi impelago in una quantità di domande, e soprattutto penso sempre che ci debba essere se non una falla nel mio ragionamento, qualcosa che non ho calcolato, miliardi di variabili.
 Gli autori soddisfatti di loro stessi, (un autore soddisfatto di se stesso dovrebbe essere un ossimoro) accavallano le gambe e mettono le mani sotto il mento, parlano esclusivamente con gli altri relatori e praticamente ignorano il libraio (a meno che non sia il proprietario diretto), pretendono l'acqua e si fanno saltare la mosca al naso se qualcosa va storto.
 Annuiscono convinti, recitano assorti e si perdono in un'aneddotica imbarazzante su come siano nate le idee dei loro libri, non rendendosi conto di sparare robe enormi ("Mi trovavo in Tibet senza pane e acqua da giorni...") o facendo passare per assurde cose normalissime ("Io e mia mamma facciamo sempre una cosa strana insieme: il giovedì alla tre mangiamo il gelato alla panna...").
 Se ad un Big si può passare (io non glielo passerei comunque ma vabbeh) l'atteggiamento divistico, rimane incomprensibile il perché si dovrebbe con un autore che farebbe meglio ad accendere un cero per aver avuto la possibilità di vendere una copia in più del suo libro parlando davanti ad un tot di persone.

 Sono crudele? Distruggo i sogni di persone che tanto duramente hanno lavorato? Io penso sempre all'intervista in cui Susan Sontag diceva di non sentirsi particolarmente intelligente, poi mi vengono in mente molti degli autori italiani con la A maiuscola e poi lo sterminato sottobosco con la a minuscola e mi faccio molte domande sul livello intellettuale della nostra italietta. E mi do molte risposte.  
 In genere quella che va per la maggiore e forse non curerà tutti i mali, suggerisce una ridimensionata all'ego e una spolverata al vecchio "So di non sapere" che gioverebbero alla cultura tutta.

sabato 27 settembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "L'ordine del nipote"

Tra i clienti telefonici più dediti agli strafalcioni ci sono un poderoso numero di genitori troppo solerti e nonni troppo ansiosi di aiutare.
 I figli e i nipoti (all'80% perché viziati all'inverosimile, al 20% perché desiderosi di trovare ai propri congiunti delle cose da fare per tenerli indaffarati e non molesti), delegano a queste nebulose figure dall'altro capo del telefono, l'incarico di trovar loro sterminate liste di libri per l'università e/o il lavoro.
 Il problema principale è che generalmente, spesso i nonni e le nonne, molto anziani, non hanno nessuna idea di quello che stanno richiedendo: non conoscono autori, titoli e ovviamente neanche gli argomenti. leggono misteriosi pizzini, evidentemente scritti male o con pronunce a loro ignote, come fossero una formula magica in una lingua sconosciuta, ossia senza nessuna cognizione di causa.
 I risultati sono talvolta esilaranti, come nella vignetta realmente avvenuta di cui sotto.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "L'ordine del nipote"



venerdì 26 settembre 2014

L'amore tra insegnante e allievo, un grande classico che ha coinvolto scrittori e scrittrici di ogni tempo. Dal gossip medievale di Abelardo ed Eloisa, ai rapporti interculturali travisati fino alle conseguenze più estreme.

"Abelardo ed Eloisa scoperti da Fulberto"
(Altro che gossip del 2014)
 L'altro giorno stavo facendo delle ricerche sul vampirismo lesbico (essì, si fanno pure queste cose, ma basta guardare le chiavi di ricerca nelle statistiche di un blog a caso per capire che molta gente cerca cose strane), quando mi sono imbattuta a totale sproposito, in un'opera di Mircea Eliade che non conoscevo: "Maitreyi. Incontro Bengalese".
 In essa l'antropologo rumeno parlava della sua rovente passione con una sua allieva indiana durante un soggiorno in oriente. La mia mente allora è passata fugacemente ad Abelardo ed Eloisa e indi, all'ispirazione per questo post, incentrato sulle relazioni tra gli scrittori e le loro allieve, e le scrittrici e i loro allievi.
 Un classico che affonda le sue radici in un complesso sistema psicologico di freudiana memoria che non ho la capacità di sviscerare, ma è abbastanza palese.
 Perciò forza, che si carrellino i legami amori tra gli scrittori e i loro allievi, e tra gli scrittori allievi e i loro insegnanti!

ABELARDO ED ELOISA:
Archetipo romantico, drammatico e irrinunciabile del rapporto amoroso tra l'insegnante e la sua allieva, Abelardo ed Eloisa furono i protagonisti di un gossip medievale a sfondo tragico di epiche proporzioni. Come tutti gli eroi romantici, leggenda vuole che fossero belli e intelligentissimi, appassionati e almeno lei molto innamorata.
  Eloisa era una giovinetta straordinariamente versata nello studio e la sua famiglia pensò straordinariamente di darle un eccezionale maestro, Abelardo, che a 37 anni (20 più di lei) già era un filosofo (et chierico) affermato. Rapidamente però, scoppiò la passione tra i due, che culminò con una gravidanza di lei, da cui nacque un figlio di nome Astrolabio
 A quel punto gli eventi precipitano: i due vengono costretti a sposarsi, ma lui in quanto chierico non potrebbe, così lei viene spedita in un convento per salvare le apparenze e i di lei parenti, per vendicare l'affronto di quel matrimonio (e di quello che sembra essere un ripudio), una notte si introducono in casa di lui e zak, lo castrano. I due non si rividero mai più. Si scrissero però lei, soprattutto gli inviò lettere struggenti in cui rievocava la loro passione ardente e continuava a dichiaragli il suo amore, lui, più freddamente, gettava acqua sul fuoco buttandola sull'ormai comune amore in Cristo, chiamandola sorella e parlandole di dedizione spirituale e anima.
 Furono seppelliti insieme e ancora riposano nella stessa tomba, in quel di Parigi.
 Se volete struggervi e lacrimare un po' leggete pure le "Lettere di Abelardo ed Eloisa", il loro epistolario.

MIRCEA ELIADE E MAITREYI DEVI:  
L'antropologo rumeno, la cui fama è stata macchiata dalle palesi simpatie fasciste, scrisse un romanzo di matrice autobiografica, "Maitreyi. Incontro bengalese" raccontando la presunta passione che lo legò ad una sua giovanissima allieva bengalese, nel periodo che passò a Calcutta per studio.
 Il filosofo Dasgupta le affidò infatti la sedicenne figlia, Maitreyi per quello che oggi chiameremo un tandem linguistico: lei apprendeva l'inglese e lui il bengali. Eliade invece racconta che ben presto il loro rapporto sfociò in una passione dai contorni coloniali: con lei, giovane indigena dall'estetica selvaggia e per niente europea, e lui europeo passionale in posizione indubbiamente dominante. Il sensuale romanzo terminava con la donzella che dopo essersi concessa ad un pescivendolo veniva spedita lontano dalla famiglia. La storia reale ha invece un interessante epilogo, perchè Matreyi che divenne una famosa poetessa e insegnante universitaria, seppe solo dopo molti anni di questo romanzo che lei giudicò offensivo e bugiardo. Scrisse perciò una sua versione dei fatti col libro, "Na  Hanyaté. Ciò che non muore mai", pubblicato in Italia dalle Edizioni biografiche, in cui l'autrice accusa Eliade di aver inventato molto (lei assicura che furono baci e non notti selvagge) e di non aver compreso praticamente niente del suo mondo, del suo modo di fare e dei suoi sentimenti. Incolpare un antropologo di incomprensione interculturale è la vendetta postuma migliore del mondo.

ANTONIA POZZI E ANTONIO MARIA CERVI; 
La poetessa milanese, che si suicidò a soli ventisei anni, andando a morire vicino all'abbazia di Chiaravalle dopo aver ingerito barbiturici in una notte d'inverno, fu fortemente segnata dal legame amoroso che ebbe con un suo insegnante di liceo Antonio Maria Cervi, più vecchio di lei, di origine meridionale e squattrinato. 
 Malgrado l'amore fosse corrisposto e si fosse instaurata una relazione consapevole tra i due, la Pozzi era l'unica figlia di una famiglia dell'altissima borghesia milanese, molto rigida e patriarcale che non avrebbe mai visto in Cervi un partito degno. Suo padre osteggiò immediatamente la relazione tra i due, considerandola inadeguata, finché non ottenne una rottura definitiva. 
 Da quel momento in poi, i biografi concordano col dire, che un animo sensibile come il suo iniziò la corsa verso la tristezza e la disperazione che la portarono al suicidio. Studiò all'università, laureandosi, divenne molto amica di Sereni e le sue poesie iniziavano ad essere apprezzate, ma quella rottura causò una frattura nella sua anima che niente riuscì a rimarginare. Dopo la sua morte, a conferma della morsa paterna che soffocò la sua vita, il padre rimaneggiò ampiamente le sue numerose poesie inedite. Per saperne di più, basta leggere "In riva alla vita" di Alessandra Cenni.

HANNAH ARENDT E MARTIN HEIDEGGER: 
 I due grandi filosofi si conobbero all'università, lui a 35 anni era sposato con figli e insegnava, lei diciannovenne, studentessa brillante, arrivò all'ateneo di Malburgo piena di aspettative. 
 Si incontrarono ad un seminario su Platone ed iniziò così una storia d'amore o forse sarebbe più corretto dire, un rapporto amoroso, che durò fino alla loro morte.
  Si può ripercorrere la loro relazione attraverso i diari e soprattutto il carteggio che i due si scambiarono ininterrottamente per tutta l'esistenza, passando attraverso le macerie di un amore reso impossibile da troppi giganteschi ostacoli che pare, soprattutto lui non avesse alcuna voglia di superare.
  C'era la di lui moglie Elfride, gelosissima della Arendt e delle numerose altre amanti del marito ( e che però lui non lasciò mai) e ci fu, molto più gigante tra loro, lo spettro della seconda guerra mondiale e del nazismo. La Arendt, ebrea, scappò dalla Germania nel 1933 e Heidegger, dal canto suo, ebbe sempre un rapporto ambiguo col regime hitleriano. Ciononostante continuarono a scriversi e quando si rividero dopo la guerra, molti anni dopo, la passione tra i due dimostrò di non essersi mai spenta, e continuò a distanza tra le righe, nonostante gli altri amori di lui e i due matrimoni di lei. Morirono a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro.
 Per citare a totale sproposito "Mine vaganti" di Ozpetek: "Gli amori impossibili non finiscono mai"

 E voi conoscete altri scrittori o scrittrici che ebbero relazioni con i loro allievi/allieve? Rendetemi edotta!

giovedì 25 settembre 2014

Perché non possiamo non dirci femminist*. Leggere Simone de Beauvoir nel 2014 e capire che finché il finale di un certo libro di fantascienza non si avvererà dovremmo esserlo tutti per poter vivere in un mondo migliore.

L'ispirazione per questo post è venuta da due avvenimenti che hanno cozzato in contemporanea.
 Qualcuno scriveva nei commenti al post di ieri che era felice di aver conosciuto Simone de Beauvoir grazie a questo blog, e nel frattempo la mia dolce metà mi ha fatto una testa grossa come un pallone sul discorso pronunciato da Emma Watson/Hermione alle nazioni unite, in cui la nostra ha affermato di essere orgogliosamente femminista.
 Il post che pensavo di scrivere sulla cara Simone si è perciò tramutato in un post sul femminismo.
 Tutti e tutte coloro che trovano malvagia questa parola, generalmente, se interrogati non hanno la minima idea di cosa si tratti. 
 Confusamente mettono insieme frame degli anni '70 e delle manifestazioni, reggiseni che bruciano, hanno una vaga idea che le femministe per qualche motivo odino gli uomini e mescolano il tutto con frasi fatte come: "Vogliono costringere tutte le donne a pensarla come loro, a non sposarsi o considerano le casalinghe delle decerebrate" e via dicendo.
 Se si chiedono le fonti di tali fatate convinzioni si sta pur certi che esse non esistono. O meglio, non sanno citare una fonte autorevole, un libro che sia uno (che poi i libri contro il femminismo o sull'esaltazione dei ruoli culturali di genere esistono, ma state pur certi che essi non li hanno mai letti). 
 In verità il femminismo è ben altra cosa, una teoria, una corrente filosofica, uno studio (molto serio all'estero, soprattutto nel mondo anglosassone, purtroppo in proporzione pochissimo preso sul serio nella nostra italia provincialotta, al solito), un senso di civiltà. Il dire che gli uomini e le donne sono uguali, non è una stupidaggine in un'epoca in cui le donne vengono inspiegabilmente ancora pagate meno degli uomini in moltissimi campi lavorativi, in cui il lavoro di cura viene addebitato quasi esclusivamente a loro, in cui se c'è qualcuno in una coppia che alla nascita dei figli deve rinunciare alle aspirazioni lavorative ebbene, quella al 90% deve essere la donna. 
Chiarisco che non vedo nessun motivo sensato per cui Emma/
Hermione dovrebbe tenere discorsi all'Onu
 Non c'è parità quando c'è ancora violenza, sia fisica, sia verbale, come quella incorsa a Emma Watson, personaggio per cui non nutro particolare simpatia (ma non nutro particolare simpatia per nessun personaggio dello spettacolo che in funzione del fatto che sa sfilare o recitare ha diritto a parlare alle nazioni unite, privilegio solitamente non accordato alle metalmeccaniche o ai muratori), che è stata divorata virtualmente dai troll al suon di "Pubblichiamo i tuoi scatti hot!", che poi pare neanche abbiano.
 Questo degli scatti hot, mi ha fatto pensare alla cara Simone. Io adoro Simone de Beauvoir. Non l'ho scoperta e dimenticata come molti alle superiori, dove incauti professori propinano il primo libro della sua autobiografia, "Memorie di una ragazza perbene", come se fosse un libretto senza spessore. Accadde per caso in libreria, al terzo anno di università. Ne avevo sempre sentito parlare, ma l'istinto di afferrare una sua opera non mi aveva mai smosso, siccome avevo stranamente dei soldi e c'era una campagna Einaudi in corso, presi le memorie e il secondo libro, tuttora uno dei miei libri favoriti in assoluto, "L'età forte".
 Simone de Beauvoir, filosofa e scrittrice, ricordata da chi non la conosce come "la compagna/moglie di Sartre", mi incantò. Leggendola mi riconoscevo in un modo che non avrei mai immaginato. Non che io sia un genio esistenzialista, magari, ma lei non nega e non si nega nulla nel resoconto della sua vita: parla del suo primo amore, romantico e stupido (che se avesse preso vita, probabilmente le avrebbe rovinato l'esistenza), dell'imposizione culturale, della fatica ad adattarsi ad un ruolo di genere che rifiutava, delle ondate di dubbio che affollarono la sua vita intellettuale: il terrore di rimanere bloccati sempre allo stesso stadio dell'esistenza, di conoscere sempre le stesse cose, di non vedere nulla di nuovo, di morire troppo giovane. Non parla di sé come una filosofa o una scrittrice, ma come di una donna che lucidamente rifiuta il ruolo che la società vorrebbe imporle.
Fu per me una vera folgorazione.
 Non a caso è stata la madre del pensiero femminista contemporaneo con il suo famoso "Il secondo sesso", il libro che cicciuto contiene, la frase più travisata della storia, che probabilmente conoscono e usano a totale sproposito molti non femministi.
 "Donne non si nasce, si diventa"
 Marche di profumi, case di moda, starlette che vogliono passare per intellettuali, la citano a sproposito dandole il significato errato che "per diventare una donna serve molto impegno e dedizione, un miglioramento continuo, una tensione verso l'abbellimento fisico o la perfezione nelle arti dette femminili varie ed eventuali (oltre ovviamente all'immancabile bisogno di matrimonio e maternità)." Simone voleva dire l'esatto contrario: quando nasci sei un essere umano, le imposizioni culturali, l'idea che ad un determinato sesso debbano corrispondere determinati ruoli, ti rendono nel corso della vita, partendo da un inculcamento che parte dal primo giorno di vita, uomo o donna.
 E' a questa frase e alle minacce a Emma Watson che ho ripensato ieri, con estrema tristezza, alla foto che nel 2008 Le Novelle Observature ebbe l'allegra pensata di ricordare il centesimoanniversario della nascita di Simone de Beauvoir: lei, che nuda, di spalle, si pettina allo specchio. 
Un episodio giornalistico di un tale squallore da rendere le opere della scrittrice, dal suo saggio fiume, alla sua autobiografia, che dimostra lo sforzo incredibile di una donna che ha fatto qualsiasi cosa per essere libera, una prova lampante di quanto non solo il femminismo sia attuale, ma disgraziatamente serva.
 A chi mai sarebbe venuto in mente di pubblicare, per celebrare il centenario della nascita di Sartre, una sua vezzosa foto da nudo? A nessuno. Non solo sarebbe stato considerato inopportuno, insensato, squallido e volgare, ma nel caso a qualche pazzo fosse venuto in mente, ci sarebbero state tali proteste da far crollare la sede dell'incauto giornale.
La foto incriminata. Lascio a voi i commenti.
 Quando invece il corpo di Simone de Beauvoir apparve nudo a celebrarne una vita fatta di pensiero, ricordo chiaramente che alle proteste venne opposto il solito ritornello che viene propinato ogni qualvolta si usa la parola femminismo: non capite, siete estremiste, non c'è niente di male, vedete il male perché voi siete il male, è la celebrazione del corpo della donna e stupidaggini diffuse.
 Non sono una di quelle che crede che il femminismo debba essere una costante della storia, che sarà necessario in ogni tempo, io credo solo che sia ancora necessario in questo tempo, che leggere Simone de Beauvoir, informarsi prima di dire "Ah, io non sono femminista" sia necessario.
  Perché vi accorgerete, affermandolo, che non avete mai letto un solo libro al riguardo, che magari lo collegate solo confusamente al femminicidio perché ora la violenza sulle donne va tanto di moda (che poi pure lì, è bello fare le campagne di moda contro la violenza sulle donne, ma voglio vedere se una delle famose testimonial c'è mai davvero andata a vedere un centro antiviolenza), o, malissimo che va, a confuse affermazioni pedanti di qualcuno che non ha a cuore che vi informiate, ma solo che la pensiate come lui.
 Neanche le femministe sperano che il femminismo abbia una vita infinita. Lo racconta bene il finale di "Female man", un libro di fantascienza di Joanna Russ che definire un coacervo di questioni politiche  femministe è riduttivo.
 Ha uno splendido finale, che riprende la traduzione stilnovistica del rivolgersi al libro come un essere vivente,

"Vai piccolo libro, trotterella attraverso il Texas e il Vermont e l'Alaska e il Maryland e Washington e la Florida e il Canada e l'Inghilterra e la Francia; fa un inchino ai santuari della Friedman, della Millet, della Greer, della Firestone e di tutte le altre; comportati bene nei salotti della gente, senza metterti troppo in mostra sul tavolino del caffè, ma neppure risultare poco convincente a causa della tediosità del suo stile; bussa alla ghirlanda natalizia sulla porta di mio marito a New York e digli che l'ho amato sinceramente e che lo amo ancora (nonostante quello che pensano tutti); occupa coraggiosamente il tuo posto sugli scaffali nelle stazioni dei pullman e nei negozi. Non gridare quando vieni ignorato, poiché questo spaventerebbe la gente, e non adirarti quando vieni rubato da persone che non vogliono pagare, piuttosto rallegrati di aver avuto tanto successo. Vivi allegramente, piccolo libro-figlia, anche se io non posso e noi non possiamo: declama te stesso a tutte quelle  che ascolteranno; rimani fiducioso e saggio. Lavati il viso e occupa il tuo posto senza creare troppo trambusto nrlla Biblioteca del Congresso, poiché, alla fine, tutti i libri finiscono lì, sia quelli piccoli che quelli grandi.
Non lamentarti quando alla fine diverrai eccentrico e fuori moda, quando diverrai logoro come le crinoline di un'altra generazione e sarai classificato insieme a Western piccanti, Elsie Dinsmore e Il figlio dello sceicco; non borbottare irosamente a te stesso quando i giovani ti leggeranno e se ne usciranno con esclamazioni infastidite, deprimenti quando non sarai più compreso, piccolo libro. Non maledire la tua sorte. Non balzare dal grembo della lettrice per rifilarle un pugno sul naso. Rallegrati piccolo libro!
Perché quel giorno noi saremo libere.
 
 

mercoledì 24 settembre 2014

I cinque stereotipi più diffusi tra i lettori. Quelle cose che sembrano tanto carine (e invece talvolta son stilettate malvagie). Grandi lettori, grandi possessori, aspiranti scrittori e vecchi barbogi per quei pregiudizi che non passano mai di moda.

 Fare un post sugli stereotipi, dopo il fumetto di lunedì che era una presa in giro dei clienti in modo stereotipato, potrebbe non avere senso, lo capisco. In realtà bisogna distinguere tra lo stereotipo "se fà pe' ride", non preso sul serio, ma basato su un'ironica presa di coscienza di alcuni effettivi tic personali (come si dice, ogni leggenda ha un fondo di verità), e lo stereotipo preso sul serio, quello cioè che noi crediamo sia pura verità. 
 I lettori, come ogni altra categoria, sono preda di una serie di stereotipi che hanno peraltro la particolarità di sembrare positivi, mentre celano qui e lì connotazioni negative e giudizi a mezza bocca. Son passati i tempi in cui leggere era un'elevazione dello spirito e non essere analfabeti un vanto. Benvenuta società dell'ignoranza molesta (per questo e altro leggere "Senza sapere" di Giovanni Solimine), ma questa per ora non c'entra nulla.
 Concentriamoci sui 5 stereotipi più diffusi sui lettori!

ESSERE UN GRAN LETTORE VUOL DIRE LEGGERE TANTO:
Leggere tanto riporta spesso, specialmente tra i ggggiovani,
 l'idea che i lettori siano vecchi barbogi
Ni. Nel senso che sì, anche io penso che leggere molto sia una prerogativa necessaria per definirsi un grande lettore, pur tuttavia conosco troppe persone o vedo troppi clienti che si caricano di caterve di libri che oltre a far passare qualche piacevole ora di svago (graditissima per carità che già la vita è tanto amara) non è che aggiungano molto alla conoscenza. 
 Si possono anche leggere dieci libri al mese, ma se spaziamo dagli harmony a "Il templare maledetto" passando per Fabio Volo e "Le dieci cose che odio di te che però ti rendono irresistibile che però ti amo", dal mio punto di vista no, non sei un gran lettore. Sei uno che ingurgita tanti libri, storie magari carine e piacevoli dal tuo punto di vista, ma non compi passi avanti né aspiri ad evolverti. E' un po' la differenza che intercorre tra uno che si fa la sua mezz'ora di corsetta al mattino e uno sportivo vero. Lo sportivo ha tutta un'altra dedizione, un'aspirazione all'assoluto e a un miglioramento continuo. Chi fa la corsetta non vuole i rotolini sulla pancia o il colesterolo a mille che per carità non è sbagliato, ma lo spirito è un altro.
 Perciò, quando leggete chiedetevi: con che spirito lo faccio? Cosa voglio raggiungere? E scoprirete se siete corsettatori del sabato mattina o gazzelle olimpioniche.
 E mò la faccio finita col momento alla Osho.

POSSEDERE TANTI LIBRI:
 Le case senza libri mi fanno venire l'orticaria, lo ammetto.
 Entrare in un posto e apprendere che il mio gentile ospite non fa uso di carta stampata mi inquieta e mette adeguatamente in guardia, inoltre ben più di una conversazione piacevole tra esseri umani nasce spesso da comuni gusti letterari o da curiosità intraviste sugli scaffali casalinghi durante una visita di piacere.
  Tuttavia non è detto che un grande lettore possieda effettivamente molti libri. Molto dipende dal fatto che oltre ad essere un buon lettore si abbia in contemporanea quell'ansia di possesso bibliofila che ti porta a follie, come catalogare tutti i tuoi volumi (anche se sono solo un centinaio), ad accarezzare le copertine come il dorso di un gatto e a ricercare solo copie autografate dall'autore da incellophanare per evitar loro la polvere. Un gran lettore non è per forza un grande amante del libro fisico. Perciò un gran lettore potrebbe attualmente possedere un e-reader (cosa che ci impedirà di conoscere i loro gusti durante una visita, ma contenti loro contenti tutti), potrebbe prendere solo libri in prestito da amici e biblioteche, potrebbe comprare libri che poi prontamente regala a parenti, amici e biblioteche (a voi sembra una possibilità fantascientifica, ma accade, io stesso regalo spessissimo libri che scopro non interessarmi). Leggere e possedere libri sono due piaceri molto diversi, generalmente coincidono, ma abbastanza di frequente potrebbero non farlo.

AVERE SIMPATICAMENTE LA TESTA TRA LE NUVOLE:
C'è questa idea, credo romantica, per cui se leggi sei un sognatore e generalmente con la testa tra le nuvole
Non si capisce perché, visto che magari chi legge (ovvio cose decenti, non solo Sophie Kinsella) ha molto più i piedi per terra di chi ignora completamente il mondo in cui vive. E non solo un mondo esteriore, ma anche un mondo interiore da troppi liquidato con la lacrimuccia di commozione per qualche dramma esistenziale x (che causa il grande "effetto dama di carità 2.0", ossia la sensazione che compartecipando alle sventure e disgrazie di qualche improvvisato scrittore di storie di vita vissuta, allora si diventa improvvisamente migliori), o con qualche sogno di principe azzurro che ci salvi in una nuvola di dolcetti glassati. Il vero lettore non ha quasi mai la testa tra le nuvole, ce l'ha fin troppo per terra e fatica a trovare i libri che lo rapiscano seriamente e gli impediscano di pensare, un po' perché ha la stramba fissazione di indulgere in tale incresciosa azione, un po' perché raramente sceglie libri che lo trasportino davvero sopra le nuvole. L'immaginazione invece, quella sì, potrebbe in effetti averla di molto superiore alla media.
 E non perché non scelga buone storie. 

AVERE TANTO TEMPO LIBERO: 
I lettori, queste simpatiche creature, non lavorano e non studiano, non hanno famiglia o casa da pulire, essi hanno montagne di tempo libero che non sanno proprio come buttare e perciò si dedicano alla lettura.
 Una delle più grandi difese dei non lettori è: "Eh, ma io non ho proprio tempo", suggerendo che chi invece trova il modo di prendere un libro in mano sia invece uno scansafatiche che non ha abbastanza da fare. Chissà allora come mai alle persone così affaccendate, sui mezzi pubblici, dalla metro al treno, mentre pendolano, non viene mai in mente di portarsi un libro. Chissà come mai in fila alle poste non si vede mai qualcuno che oltre a sbuffare pervicacemente e minacciare il vicino che non rispetta la fila (o il numeretto della fila), sfogli qualche innocua pagina. Ovviamente, in genere, sanno tutto dell'ultima edizione di "Masterchef" o di una stupidaggine x che passa in tv, aggeggio per cui il tempo di tanto in tanto lo trovano. I lettori non hanno taaaaaanto tempo libero, semplicemente lo trovano, lo ricavano disperatamente da quei ritagli sforbiciati di una giornata sempre più piena.
Variante: Avere tanti soldi da spendere. Molte persone vi diranno che non leggono perché devono comprare la bistecca per il pranzo. Incomprensibile cosa renda loro difficile percorrere la strada per la biblioteca e farsi una tessera gratuita.


AVERE UN LIBRO NEL CASSETTO:
 Probabilmente si deve parte di tale confusione al vecchio adagio per cui "Prima di scrivere devi leggere tanto", ripetuto fino alla nausea in tutti i prontuari di scrittura creativa, prodotti sin dalla notte dei tempi. Adagio, nel tempo oscuro di autopubblicazioni in cui ci ritroviamo, dove la grammatica è un optional e la sintassi una perfetta sconosciuta (cos'è? Un nuovo piatto di Eataly?).
 Una delle tragiche conseguenze di tale pregiudizio fa sì che tanti aspiranti scrittori finiscano per studiare lettere, come se, facendo un paragone, studiare storia dell'arte facesse degli studenti scultori e pittori (bene che va ne fai dei critici).
  In genere, se le scuole elementari non hanno fatto il loro dovere, leggere molto può aiutare gli aspiranti scrittori ad assorbire quel po' di costruzioni sintattiche che andrebbero in realtà inculcate al suon di pomeriggi tediosi a produrre infinite analisi logiche (io ricordo ore e ore tutti i pomeriggi e non maledico la mia maestra, anzi). Nel caos che contraddistingue la nostra epoca, invece, molti lettori voraci vengono spinti a scrivere, come se fosse una naturale conseguenza. Gli amici e i parenti, spesso, constatando che il nostro legge appena ha un  momento libero, pensano che egli abbia la luce necessaria a far nascere una buona storia e così lo pressano. Quello, lusingato e magari tentato (giustamente per carità) scrive. Poi, siccome per un romanzo basta mettere due parole in fila e quattro in croce, appena il capolavoro ha visto la luce (solitamente in tempi abbastanza brevi, il ché, a meno che non siate uno storico scrittore statunitense, dovrebbe mettervi in guardia sulla veridicità della vostra opera) a prescindere dalla sua bontà, si spinge perché venga pubblicato. Spediscilo in giro si dice al povero lettore. E quando non arrivano risposte o se arrivano sono dinieghi, il coro unanime decreta che l'editoria è venduta. Per carità non gode di ottima salute, ma direi che questo pregiudizio in particolare non l'aiuta di certo a riprendersi.
 Siete scrittori o lettori? Fatevi eventualmente questa domanda e datevi una risposta. Sincera possibilmente.

 E voi? Pensate mi sia dimenticata qualche stereotipo fondamentale?






lunedì 22 settembre 2014

I clienti come una classe del liceo. Quando le dinamiche e tipologie liceali finiscono per calzare a pennello ai clienti, e ai colleghi di lavoro, e alle dinamiche sociali in generale. Un fumetto su una grande verità.

Ho sempre pensato che dopo una certa età, tutta una serie di dinamiche sociali proprie degli anni scolastici, si sarebbero dissolte, assorbite miracolosamente dal grande mondo della maturità.Ebbene, l'esperienza personale e il meraviglioso e quotidiano rapporto col pubblico mi hanno costretto a ricredermi. 
Noi non usciamo mai da quelle labirintiche connessioni sociali di livello scolastico. Non solo siamo fatalmente costretti a ripeterle in tutti i luoghi, lavoro in primis, dove ci ritroviamo ad avere a che fare con un certo numero di esseri umani, ma continuerà a succedere anche privatamente, tra amici o in tutti i gruppi che giustifichino un minimo di rapporto interpersonale.                                         Fantozzi" per dire, è un maestoso esempio di tale verità e probabilmente è uno dei motivi del suo stratosferico successo.                                   Poiché col passare dei mesi ho continuato ad avere la fastidiosa e pervicace idea che anche le tipologie di clienti possano rientrare tranquillamente negli stereotipi dei nostri compagni e compagne di liceo, ecco il fumetto del giorno "I clienti come classe di liceo".
 E' la prima parte. Se manca qualcuno di evidentissimo, non mancate di suggerirlo nei commenti a questo delirio del lunedì.



domenica 21 settembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Scelte".

Certe volte mi sembra che le persone vengano in libreria alla ricerca del libro che risolva magicamente i loro problemi, come si vede nei film. Ora, è vero che alcuni libri possono cambiarti la vita, svelarti a te stesso o colpirti fatalmente per un qualsiasi motivo.
 Tuttavia questi eventi epifanici sono rari e in genere preparati da una serie di elementi cospiratori.  Difficilmente entrando in libreria con la richiesta "Voglio il libro dei miei sogni", quello magicamente ti cadrà tra le mani, e questo nonostante il libraio più bravo del mondo.
 In ogni caso, la vignetta di cui sotto darà una giusta misura di quello che intendo.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Scelte".



sabato 20 settembre 2014

Momento amarcord per nulla richiesto. La mia fan art per la mostra "Moon pride" dedicata a Sailor Moon a Treviso. Perché bisogna guardare il passato per capire il futuro.

 Tramite la casa editrice di fumetti a tematica Glbtqi, Renbooks, sono venuta a conoscenza di questa fantastica mostra dedicata a Sailor Moon che si terrà a Treviso, presso Ikyia e che è stata inaugurata giusto oggi:"Moon pride". Si tratta di una serie di fan art di autore create da fumettisti e illustratori italiani e non solo, in onore dei vent'anni dalla prima apparizione dell'eroina dai lunghi codini. 

Io lo ammetto, Sailor Moon in persona mi è sempre stata sulle scatole, io ero piuttosto una grandissima fan della sfigata del gruppo, la silenziosa e super studiosa Sailor Mercury e delle sue bolle di nebbia.
 Qualche anno dopo, quando apparve in tutta la sua lesbicissima bellezza, divenni anche una fan di Sailor Uranus, ('sto cartone era così avanti che nonostante le censure della traduzione si capiva chiarissimamente che c'era pure la coppia lesbica) ma evitavo di impersonarla durante i miei giuochi pomeridiani.
 La mia migliore amichetta dell'epoca, che abitava nel mio stesso palazzo, impersonava invece Sailor Mars o Sailor Jupiter e insieme passammo lunghi pomeriggi a fingere combattimenti lunari. Per carnevale cercai persino di fabbricarmi un costume da sola sacrificando una maglietta bianca impiastricciata di tutto e soprattutto ricordo il dramma che ci avvolse al termine della prima serie, quando sembrava che tutte fossero morte tragicamente per salvare la terra (un mare di lacrime infinito).

Che c'entra tutto questo col blogghe? In realtà, escludendo il fatto che vi caldamente consiglio il catalogo della mostra a tiratura limitata, sembrerebbe ben poco. In realtà c'è una doppia attinenza:

1) Ho disegnato una fan art da spedire all'apposito blog creato su tumblr per chiunque volesse contribuire, ma non ho ottenuto risposta (e siccome mi sembrava venuta decentemente volevo condividerla con qualcuno). 

2) Credo che citare i manga e tutti i ricordi ad esso correlati in futuro potrebbe aiutare a comprendere meglio i prodotti artistici di qualunque natura, dai libri ai fumetti, dalla pittura a al cinema, creati dalla mia affascinata generazione (affascinata dai manga s'intende).
 E poi oh, il momento amarcord in questi giorni ci stava.
 Buona fan art, In fondo è una cosa realmente accaduta lo giuro anche questa.


venerdì 19 settembre 2014

"Stoner" e la lezione di Ivan Il'ic: la minuzia che travolge una vita intera lasciando macerie dentro e fuori. Eppure chi cerca instancabilmente qualcosa si salva sempre, nonostante tutto.

 Ieri, per una serie di circostanze, ho passato una cosa come dodici ore di seguito a salire e scendere sui mezzi pubblici.
Fortunatamente per me, avevo appena avuto in prestito "Stoner" di John Williams,  un libro a cui giravo attorno da un bel po' senza mai decidermi davvero a prenderlo. Esso fa parte di quel certo numero di titoli che per un tot di anni rimangono potentemente di moda tornando antipaticamente nei discorsi accompagnati dalla fatidica domanda: "Ma come non lo hai letto?", pronunciata spesso e volentieri da gente che legge due libri in un anno ed entrambi non per scelta, ma per dovere sociale. Il risultato è che tu, lettore forte, ti ritrovi ad esser preso per un cretino, se non hai letto proprio lui, il libro alla moda (tra di essi anche la quadrilogia/tetralogia della Ferrante che mi riservo di non leggere a lungo).
 Ebbene "Stoner" è invece un libro che misteriosamente va letto, subito, ora. Va letto perché è un bellissimo libro, scritto in modo semplice e lineare, senza virtuosismi ora di moda, senza scuse, senza colpi di scena, senza variazioni particolari sul tema, senza fronzoli, persino senza trama volendo. E' la storia di un uomo, figlio di agricoltori, spedito all'università per studiare Agraria, che durante il secondo anno scopre sé stesso grazie ad un sonetto di Shakespeare durante un'irruenta lezione di letteratura inglese.
 In quel momento egli ha una di quelle poche fatali epifanie che segnano la vita di chiunque, che arrivano inaspettate e sconvolgono tutto, fatali come solo il destino sa essere.
 Diventa un buon insegnante universitario, scrive un libro accademico di nessun successo, sposa placidamente la donna più sbagliata per lui, si impelaga in beghe di baroni universitari, ha due amici che si porterà dietro per tutta la vita, un grande amore ecc ecc.
 William Stoner vive una vita normale. Ho letto, da più parti, pessimista, ma non mi è sembrato anzi, ho trovato che per reggere il peso di una vita tanto lineare e a tratti, in modo gratuito, assolutamente crudele, verso un uomo fondamentalmente tranquillo e unicamente interessato a conservare una parte di sé stesso, dovesse essere invece un libro ottimista. 
 Era una storia in effetti, con tutti i crismi per diventare un dramma, o meglio quel lungo lamento che molti di noi sentono nelle orecchie giorno dopo giorno, quando incontrano chiunque, dopo una certa età. Che riproduciamo anche noi, nel disperato tentativo di sfogarci, presi da un'angoscia verso quello che proprio non vuole andar bene nella nostra esistenza, per quanto ci sforziamo. Stoner non si lamenta mai, pensa che potrebbe far meglio e non lo fa, si carica di un peso interno che non lo schiaccia e non pretende una vita speciale che sa di non meritare né potrebbe sostenere.
 Forse perché sono cresciuta in un paese, dove le vite altrui sono sempre sotto l'occhio attento del prossimo, sin da bambina mi sono sempre chiesta guardando le persone che in qualche modo avevano "deluso le aspettative" o si fossero impelagate in qualcosa di errato,  che cosa fosse andato storto nella loro vita, o meglio, in che modo non avessero potuto prevederlo e fermarlo. 
Come avevano potuto permettere che qualcosa nella loro vita andasse tanto storto? Perché non avevano operato su quell'unico errore fatale? 
 Perché, (e da bambina tutta presa dall'assoluto dei bambini non potevo immaginarlo), ci sono sempre degli errori fatali nella vita di tutti quanti, cose che determinano un percorso e impediscono che la nostra esistenza, nonostante tutti i nostri sforzi vada esattamente come vogliamo.
 Stoner risponde alla domanda esattamente come un altro, famosissimo, piccolo racconto, "La morte di Ivan Il'ic" di Tolstoj.
 Anche il protagonista del racconto russo è un uomo  normalissimo che si è sempre comportato in modo abbastanza retto, avendo un oscuro successo personale che non conosce eccezionalità.
  Tuttavia ad un certo punto ha un incidente banale, cade dalla scala e inizia a sentire un piccolo dolore, quasi da niente, un dolore che poi cresce e misteriosamente si espande e corrode tutto. Nasce dal nulla, non se ne comprendono le cause se non che proviene da quel microscopico incidente domestico che avrebbe dovuto passare senza conseguenze, dimenticabilissimo.
 Io ho sempre trovato che questo racconto fosse una metafora potentissima in grado di spiegare le vite di molti, di tutti forse, anche la mia. 
 Un giorno, senza accorgercene quasi, abbiamo commesso un errore, uno piccolo piccolo, una cosa da niente che sembrava non dovesse avere conseguenze, quasi non ricordiamo neanche di averlo commesso, spesso non sapevamo neanche che fosse un errore, perché lo abbiamo compiuto con irrazionalità o aveva radici talmente lontane che non avremmo potuto riconoscerlo.
 Poi quell'errore si è ingigantito in un modo che era impossibile prevedere, in un crescendo talmente sconcertante da intaccare tutto, travolgere tutto, insinuarsi anche in posti, luoghi e azioni che non avrebbero avuto normalmente niente a che fare. E in un attimo noi siamo diventati Ivan Il'ic allettato o Stoner.
Foto by Mark Gallagher.
 Stoner è un ragazzo normale, una tabula rasa, è pieno di speranze e di promesse, ma sulla linea d'ombra raccontata da Conrad, quando il futuro ormai non riluce più di promesse, perché abbiamo superato la prima giovinezza, perché la prima guerra mondiale, nel suo caso, ha impresso un impellente urgenza di età adulta, e lì che commette il suo errore. Così comune che lo stesso Conrad lo cita nelle due o tre cose avventate che si è portati a fare sulle soglie dell'età adulta, cercando di dare una solidità di un qualche tipo alla propria vita: si sposa di corsa e con la donna sbagliata.
 Non ci sono figli in arrivo, non c'è nessuna necessità, è lui a pretendere, chiedere e avviare, nessuno lo forza e lo costringe, tanto meno lei. E' lui che scambia una bellissima ragazza dagli occhi quasi trasparenti e il vestito blu marino, per la donna della sua vita. Non distingue fascinazione da amore e ne pagherà le conseguenze per sempre.
 Per il resto del libro Stoner commette altri errori che però è difficile vedere sotto quest'ottica. Le  beghe universitarie e la fine del suo grande amore non sono davvero errori, ma scelte consapevoli. Nel primo caso non vuole permettere un'ingiustizia, nel secondo affronta con lucidità un annoso dilemma che travolge le coppie più innamorate: "Davvero l'amore basta? E se il sacrificio fatto in nome di quell'amore fosse troppo grande per permettergli di sopravvivere?".
 Se si cerca una risposta a tutti  gli errori e i dolori commessi da Stoner si può ritornare a quel piccolo incidente alla Ivan Il'ic, la sua insignificante caduta dalla scala: un attimo in cui i suoi occhi sono caduti su una ragazza troppo delicata per poter essere la buona moglie di qualcuno e la sposa.
 Ma sta proprio qui la meraviglia di questo libro: nonostante tutto Stoner non cede mai all'amarezza, né allo sconforto: Stoner in un qualche modo ha vinto, o meglio si è salvato
 E' rimasto quel che il suo amico Dave Masters, in uno di quegli attacchi di assoluta lucidità che solo la giovinezza può concedere, aveva descritto:
 "Chi sei tu veramente? Un umile figlio della terra, come ti ripeti davanti allo specchio? Oh no, anche tu sei uno dei malati: sei il sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui, il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza. Sei abbastanza intelligente, di certo più del nostro comune amico. Ma in te c'è il segno dell'antica malattia.  
Tu credi che ci sia qualcosa qui che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti in terra a chiederti cos'è andato storto. Perché ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non è, qualcosa che non vuole essere. Sei il maggiolino del cotone tu. Il verme nel gambo del fagiolo. La tignola nel grano. Non riusciresti ad affrontarli, a combatterli: perché sei troppo debole, e troppo forte insieme. E non hai un posto al mondo dove andare"
 Ed è forse questo il motivo per cui un libro scritto benissimo, ma dalla trama apparentemente insignificante ha tanta presa su un vasto pubblico, che forse lo legge per moda, ma ne rimane incomprensibilmente attratto. Stoner racconta la storia di una vita che è anche la nostra, non eccezionale, un'insieme di possibilità che avrebbero potuto essere, ma non abbiamo voluto o potuto avverare, perché governare una vita, salvarsi dal mare della sua enormità, è un'impresa titanica, sempre degna di nota. 
 Anche quando sembra che di eccezionale non ci sia nulla. penso che chi riesca ad arrivare fino in fondo chiudendo gli occhi, salvo, come Stoner, abbia scritto un romanzo ottimista e non abbia nulla a che pentirsi,  nonostante le macerie, dentro e fuori.

giovedì 18 settembre 2014

Il tam tam e i libri consigliati da grandi scrittori: Borges e i polizieschi, Baudelaire e l'horror, Fitzgerald e le catene di sant'Antonio e grandi meravigliose riscoperte.

Peraltro su codesto termine e sulle implicazioni
del "Tam tam" come comunicazione a distanza
di alcune popolazioni africane c'è una bella
introduzione ne "L'informazione" di Gleick
Uno dei più grandi misteri dell'editoria è il cosiddetto tam tam, gioioso meccanismo per cui un libro esplode non grazie alla pubblicità o alla figaggine di chi l'ha scritto, ma al cosiddetto passaparola. Ovviamente il grande meccanismo del marketing ha cercato di copiare il misterioso meccanismo che sta alla base del "Io consiglio un libro a te, tu lo riconsigli, in due mesi lo spediamo in classifica", riuscendoci in realtà poche volte.
 Grazie a dio, la mente umana, è ancora un mistero e comprendere il funzionamento di un sistema non vuol dire saperlo ricreare, soprattutto se le variabili sono non solo nebbiose, ma troppe.
 Comunque, in genere, un elemento catalizzatore del tam tam si scatena quando uno scrittore famoso si inserisce nel circuito dando così un input pubblicitario devastante ad un titolo che magari è fuori commercio da dieci anni o lo pubblica una casa editrice di Caserta tenuta nel tempo libero da un'anziana di 85 anni.
 Esempi fatali per chiunque lavori in libreria i due grandi scrittori-consigliatori di professione: Alessandro Baricco e Roberto Saviano. Qualsiasi cosa, pure la più assurda e astrusa, abbia toccato le corde del loro animo pam, viene immediatamente richiesta da chiunque. Così assisti a momenti deliranti in cui uomini che non aprono un libro dai tempi delle medie vengono a chiederti la storia di una colonia ebraica di un paesello della Puglia (mi riferisco in questo caso a "Gli ebrei di San Nicandro").
 Lo scrittore famoso consigliatore è una specie sempre esistita. Un tempo infatti usava che gli scrittori fossero anche grandi lettori e conservassero per sempre nel proprio cuore il ricordo di un libro favorito, non solo in ragione della sua bellezza, ma anche dell'influenza che esso aveva avuto nella sua scrittura. Rimuginando su qualcosa del genere ho partorito questo post sui libri favoriti dagli scrittori famosi, in tutti i luoghi, i laghi e i tempi.
 Pronti per carrellare? E si carrelli!

FITZGERALD: 
 Megalomane come al solito, Fitz non aveva un solo scrittore preferito, ma si curò di dettare all'infermiera che lo assisteva un elenco di ben 22 libri favoriti. Nel gioco "Quale libro porteresti su un'isola deserta?" avrebbe perso di sicuro (e sarebbe affondato con una cassapanca in mezzo al mare), in compenso sarebbe prevedibilmente andato a nozze con quelle infinite catene di sant'Antonio dal titolo "I 10 libri che ti hanno cambiato la vita".
 Ecco i 22 prescelti:

Nostra sorella Carrie, di Theodore Dreiser
La vita di Gesù, di Ernest Renan
Casa di bambole, di Henrik Ibsen
Winesburg, Ohio, di Sherwood Anderson
The Old Wives’ Tale, di Arnold Bennett
Il falco maltese, di Dashiel Hammett
Il rosso e il nero, di Stendahl
I racconti, di Guy De Maupassant
An Outline of Abnormal Psychology, a cura di Gardner Murphy
I racconti, di Anton Cechov
The Best American Humorous Short Stories, a cura di Alexander Jessup
Vittoria, di Joseph Conrad
La rivolta degli angeli, di Anatole France
Le opere teatrali di Oscar Wilde
Santuario, di William Faulkner
All’ombra delle fanciulle in fiore, di Marcel Proust
I Guermantes, di Marcel Proust
La strada di Swann, di Marcel Proust
Vento del sud, di Norman Douglas
The Garden Party, di Katherine Mansfield (è un racconto incluso in tutte le raccolte, anche nelle varie edizioni italiane)
Guerra e pace, di Lev Tolstoj
John Keats e Percy Bysshe Shelley: tutte le opere poetiche


JORGE LOUIS BORGES E I ROMANZI POLIZIESCHI:

Il grande scrittore e intellettuale argentino aveva un amore per un genere considerato solitamente secondario dai letterati: i polizieschi. "Credo che in essi troviamo un doppio piacere, quello del mistero e allo stesso te,po il sapere che questo mistero si risolverà logicamente, cioè non è nun mistero gratuito. Qyurllo cher può sembrarci un caos di fatti raqchhiude un ordine, un segreto. Credo che questo faccia parte del piacere del romanzo poliziesco, certamente nel romanzo di polizia ci sono altri piacere. As esempio nei racconti di Conan Doyle dove l'amicizia di due uomini tanto diversi come Sherlock Holmes e Watson, due uomini che si apprezzano è proprio una delle attrattive del libro.
 Se volete avere maggiori consigli dalla sua viva bocca, basta andare al link dell'intervista riportata su Rai Letteratura: Jorge Luis Borges: la passione per i libri gialli



LEONARDO SCIASCIA E G. A. BORGESE:
  Il fu Sciascia fu tra gli scrittori che comprese l'importanza di consigliare buoni libri al prossimo salvandone alcuni dall'oblio e molti dei suoi lettori dalla monotonia della moda. Tra il 1955 e il 1989 scrisse una serie di brevi saggi raccolti poi da Adelphi in un volume dal titolo "Per un ritratto dello scrittore da giovane" (il saggio del titolo era già stato pubblicato da Sellerio nel 1985) dedicata a quegli autori che egli si dilettava a consigliare. In esso parla di molti scrittori conosciuti e soprattutto di uno quasi sconosciuto, Giuseppe Antonio Borgese, giornalista e genero di Thomas Mann, semiesule negli Usa dopo una sua tiepida avversione al regime fascista, poco amato dagli antifascisti, considerato a torto un intellettuale secondario.
 Sciascia vedeva in lui una grandezza che si rammaricava di non vedergli riconosciuta, un simbolismo nella storia intellettuale d'Italia inedito e particolare.
 Leggere 


LOVECRAFT: 
 Tutti sanno che costui passò molto del suo tempo chiuso in casa, preso da vari malanni, di origine fisica e nervosa e come spesso accade a chi è costretto immobile o recluso per qualche tempo, i libri diventano il conforto e la compagnia (in epoca pre-internet e pre-tv ancor di più). 
Lovecraft racconta di suo pugno che, bambino, amò moltissimo "Le mille e una notte" che lo influenzarono poi nella stesura del ciclo di Chtulhu, mentre da adulto apprezzò molto uno dei primissimi libri di fantascienza: "Etidorhpa" del farmacista John Uri Lloyd.
 Non l'ho letto, lo confesso, soprattutto perché ho già seguito un altro consiglio del Lovecraft lettore: i suoi amati racconti di M. R. James. Confesso di aver cercato questo fulgido esempio di scrittore del mistero e di averlo trovato di una noia tremenda (cosa ci abbia trovato di bello rimane forse uno dei suoi più grandi misteri).

BAUDELAIRE: 
 Tecnicamente Baudelaire non è uno scrittore di genere, tanto meno horror, tuttavia non manca di venare le sue opere di un potente accento perturbante e soprattutto di amare scrittori specifici. Era infatti il nostro spleenatore francese, un grande appassionato di Poe con cui sentiva di avere numerosi punti in comune, sia biografici sia, soprattutto immaginifici. Le atmosfere, allegorie, l'assurdo, la decadenza, erano tutte tematiche che colpirono grandemente Baudelaire portandolo a dedicare lunghi anni della sua vita allo studio del collega americano e alla traduzione della sua opera.
"Sapete perché ho tradotto Poe così pazientemente?", scrisse,"Perché mi assomigliava. La prima volta che ho aperto un suo libro, ho visto, spaventato e affascinato, non solo dei temi da me sognati, ma delle FRASI che avevo pensato, e che lui aveva scritto vent'anni prima".

IL PREMIO ALLA RISCOPERTA MIGLIORE:
  BUKOWSKI-FANTE: 
A me personalmente come scrittore non piace, lo trovo monotono e ripetitivo, ma Bukowski ha avuto ai miei occhi un grandissimo merito: ha permesso di riscoprire un grande come John Fante che io considero infinitamente superiore (e spero che anche lui lo considerasse tale).
 Fante, dopo un buon successo come scrittore era diventato un famoso sceneggiatore, cosa che oltre ai soldi gli aveva portato una pesante crisi personale. Prematuramente caduto in un oblio precipitò in un vortice di problemi di salute, avviato ormai verso un'incerta damnatio memoriae. Bukowski trovò fortuitamente alcuni suoi vecchi romanzi, primo tra tutti il magnifico "Chiedi alla polvere" ormai fuori commercio, in biblioteca e ne rimase folgorato. Volle incontrare Fante e quasi obbligò il suo editore John Martin, della Black Sparrow Press a ripubblicarli. Fante riuscì ad apprezzare appena in tempo la rinnovata gloria, si spense, ormai cieco, pochi anni dopo.

 Ve lo giuro è stato un post di una fatica biblica, voi avete altri luminosi esempi?