Pagine

lunedì 29 settembre 2014

Tutto ciò che un autore non dovrebbe dire ad una presentazione: atteggiamenti da divo consumato, autocompiacimento, provocazioni e suggerimenti per il pubblico. Il mondo è esistito prima ed esisterà anche dopo di voi, sappiatelo.

 Oramai tra quelle viste a lavoro e quelle viste per mio personale sollazzo, credo di aver accumulato un cospicuo numero di presentazioni di libri con autori presenti.
 un elenco delle categorie amabili che compongono il 90% del pubblico di tali eventi e non posso a distanza, che confermare quanto detto,  tuttavia non mi sono mai occupata di loro: gli autori che presentano.
Il sorriso di furbo compiacimento che caratterizza gli autori che se la tirano
Circa un annetto fa avevo steso
 Generalmente ce ne sono di due macrotipi: quelli che se la super tirano e quelli che non se la tirano per niente.
 Di tanto in tanto i Big con la B maiuscola se la tirano, ma generalmente vuoi che siano effettivamente persone alla mano, vuoi che cerchino disperatamente di sembrarlo per non compromettere un'immagine pubblica di effettivo risalto, la maggioranza ostenta umiltà.
 C'è un'interessante cartina tornasole per capire se essi fingano o meno: quello che avviene quando la presentazione è terminata. Se si fermano a parlare col pubblico (generalmente folle), se firmano copie di aspiranti intellettuali esaltati che gli squadernano teorie personali come se non ci fosse un domani, se subiscono la follia degli astanti col sorriso fermo sulle labbra, allora credo alla loro ostentata umiltà anche solo per premiarli. Se invece in tre secondi hanno già alzato il sedere dalla sedia e sono circondati da un nugolo di facoltosi amici che sono venuti da Londra, Parigi e San Diego solo per sentirli e dopo andranno a cenare tutti insieme sull'attico di un loro caro conoscente, tipo Jep Gambardella, allora do bollino nero nonostante lo sforzo.
 Chi invece si può star certo che se la tirerà quasi certamente e quasi comunque sono gli scrittori esordienti. Essi sono così fieri del loro piccolo trionfo da ingigantirne le misure fino alla conclamata ridicolaggine.
 Per venire incontro a queste creature che parlano già come fossero Sofri e si permettono di confutare Eco, ho deciso di stilare un elenco di frasi o affermazioni che consiglierei loro di evitare per non esporsi al ridicolo.

LANCIO UNA PROVOCAZIONE:
Rendetevi conto che pe' fa' certe cose ce vòle er fisico, e pure
il carisma. 
Abusatissimo. Tutti lanciano provocazioni, o meglio dicono cose che nel migliore dei casi tutti abbiamo pensato ultimamente, ma detto al massimo a nostra sorella mentre pranzavano (nel peggiore le avevamo pensate una decina di anni fa e dette a nostra sorella) e si fomentano dicendo che sono grandi provocazioni. Raramente una provocazione invocata da questi autori è tale, per il semplice fatto che essa è materia incandescente: se dici una cosa pesante 99 su 100 asserisci una boiata pazzesca o una cosa che offende i quattro quarti dei presenti, se non vai sui massimi sistemi dici delle ovvietà che perplimono gli astanti.
 In qualsiasi caso una provocazione è tale se provoca una reazione in qualcuno e per farlo deve avere un suo pubblico. Dirlo davanti a dieci persone in un'oscura biblioteca di un paese di mille persone non so quanti provochi (oddio ci scapperebbe un bel noir partendo da un presupposto del genere, ma la realtà è un'altra). Temo che la provocazione sia frutto di un grande mito/speranza. Secondo me molti autori piccini picciò sognano che un fantomatico giornalista di qualche grande testata si annidi tra il pubblico e li rilanci in un articolo di portata nazionale. Esso è una creatura fatata che in genere va a braccetto col talent scout che scopre le modelle per strada e con l'attore che aveva accompagnato l'amico a fare il provino, poi ci ha provato senza manco sapere la parte ed è stato magicamente scelto.

TI DO UNA COSA SU CUI PENSARE:
 Uno degli atteggiamenti più diffusi e per me più urticanti è quello dell'intellettuale arrivato. Ok, tutti i libri di marketing dicono che se non ci credete voi al vostro prodotto non c'è nessun motivo per cui debbano crederci gli altri. Il punto è che secondo me, trattare il materiale intellettuale come una merce nasconde sempre degli enormi pericoli.
 Siccome parto dal presupposto di essere una creatura pensante, se qualcun altro ha l'ardire di suggerirmi qualcosa su cui pensare, io DEVO sapere che egli ne sa per forza più di me. Uno studente di fisica del primo anno dopo due esami può dirmi senza nessun timore: "Ti do una cosa su cui pensare", la mia ignoranza sulla materia è talmente abissale che posso solo imparare. Ma se invece ci muoviamo sul piano della vita vissuta o su argomenti in cui io, (come voi tutti) so di avere un certo bagaglio culturale, che qualcuno mi dica con fare sicuro che mi sta dando cose su cui pensare, ecco quello è il momento in cui il libro non lo comprerò nemmeno morta. L'autore di ventitré anni che pone quesiti sui massimi sistemi al pubblico con la certezza di possedere la verità, mi dà sempre quella spiacevole sensazione molto simile a quella comunicata anni fa dagli studenti di filosofia del secondo anno. Saccenteria mista a incoscienza giovanile.

SE COMPRI IL MIO LIBRO PUOI SAPERE LA RISPOSTA:
Il dibbbbattito è la croce di tutti, non lo nego. A parte rari casi in cui è davvero interessante, di solito è un momento di vicendevole imbarazzo in cui nessuno fa domande, l'autore freme perché qualcuno le faccia e il libraio o il moderatore della serata stanno lì a sospirare perché più tardi finirà il tutto più tardi metteranno a posto le sedie e più tardi andranno a casa.
 Ogni tanto qualche coraggioso, ( o pazzo) fa la domanda e allora si vede tutta l'abilità dell'autore. Se la domanda è di suo gradimento generalmente risponderà dissertando e facendo riferimento a passate presentazioni (le 2 passate presentazioni della sua vita), se invece per qualche motivo è in difficoltà ha due possibilità:
1) "Se compri il mio libro puoi sapere la risposta" che contiene, a suo parere, due grandi furbate, ossia salvarsi dal fatto che non si sa/vuole rispondere e al contempo invogliare l'astante a comprare il suo tomo.
2) "Mi hai dato uno spunto di riflessione". Ossia "Davvero mi stai chiedendo come ho fatto a scoprire che il cielo è blu, durante la stesura del mio libro "Perché il cielo è blu"? In questo momento non saprei dirti, ma hai fatto una buona domanda e mi hai dato uno spunto di riflessione.
E qui parte pure la minaccia: NE PARLERO' NEL MIO PROSSIMO LIBRO.
 L'arrampicata sugli specchi produce un suono molto più disperato del silenzio, fidatevi.

SENTIVO CHE NON ERA STATO ANCORA DETTO TUTTO:
 Il libro è stato autopubblicato o stampato da una casa editrice distribuita nella sola provincia di Imola? Da un editore a pagamento che ha il magazzino in comune con un vinaio in quel della provincia di Olbia-Tempio?
 Ebbene, generalmente questi sono casi che non autorizzano a dire la famosa frase "Sentivo che non era stato ancora detto tutto", con l'enfasi di chi ha finalmente posto fine a quesiti millenari. In primis perché a meno che non siate Socrate rinato (possibilità rara) ciò non corrisponde a verità, in secundis perché sarebbe meglio non dimenticare mai che, a meno che non stiate parlando di scienze esatte, la vostra è solo un'opinione, in terzis in realtà vista l'eco che avrà il vostro libro, sostanzialmente è come se non aveste detto nulla. So che si pensa sempre alla mitologica figura del succitato giornalista nascosto, ma a meno che non viviate in un telefilm americano, nonostante scuotiate il capo con fare sapiente e socchiudiate gli occhi con attenzione e la responsabilità di chi SA, in realtà dopo di voi rimarrà ancora molto da dire (e probabilmente in pochi si accorgeranno che l'avete detto).

LA GESTUALITA':
Magari un po' lo fa l'imbarazzo, per carità, ma stento a credere che tutti nascondano le loro insicurezze dietro una proverbiale sicumera. Lo premetto, personalmente, non ho particolare simpatia per le persone piene di certezze nella vita. Io sono certa se un libro mi ha fatto schifo o meno, per carità, ma in genere mi impelago in una quantità di domande, e soprattutto penso sempre che ci debba essere se non una falla nel mio ragionamento, qualcosa che non ho calcolato, miliardi di variabili.
 Gli autori soddisfatti di loro stessi, (un autore soddisfatto di se stesso dovrebbe essere un ossimoro) accavallano le gambe e mettono le mani sotto il mento, parlano esclusivamente con gli altri relatori e praticamente ignorano il libraio (a meno che non sia il proprietario diretto), pretendono l'acqua e si fanno saltare la mosca al naso se qualcosa va storto.
 Annuiscono convinti, recitano assorti e si perdono in un'aneddotica imbarazzante su come siano nate le idee dei loro libri, non rendendosi conto di sparare robe enormi ("Mi trovavo in Tibet senza pane e acqua da giorni...") o facendo passare per assurde cose normalissime ("Io e mia mamma facciamo sempre una cosa strana insieme: il giovedì alla tre mangiamo il gelato alla panna...").
 Se ad un Big si può passare (io non glielo passerei comunque ma vabbeh) l'atteggiamento divistico, rimane incomprensibile il perché si dovrebbe con un autore che farebbe meglio ad accendere un cero per aver avuto la possibilità di vendere una copia in più del suo libro parlando davanti ad un tot di persone.

 Sono crudele? Distruggo i sogni di persone che tanto duramente hanno lavorato? Io penso sempre all'intervista in cui Susan Sontag diceva di non sentirsi particolarmente intelligente, poi mi vengono in mente molti degli autori italiani con la A maiuscola e poi lo sterminato sottobosco con la a minuscola e mi faccio molte domande sul livello intellettuale della nostra italietta. E mi do molte risposte.  
 In genere quella che va per la maggiore e forse non curerà tutti i mali, suggerisce una ridimensionata all'ego e una spolverata al vecchio "So di non sapere" che gioverebbero alla cultura tutta.

10 commenti:

  1. *applausi*
    quando ho avuto la fortuna di incontrare Pennac è stato talmente carino da fermarsi a parlare con tutti rischiando la sindrome del tunnel carpale perché arrivava ad autografare (Con disegnetto personalizzato) anche 5-8 libri a persona, in una mattina che aveva deciso di spendere solo per firmare autografi e salutare i fans perché il giorno prima, quando c'era la presentazione del suo libro, l'aereo aveva avuto ritardi, l'incontro era iniziato tardissimo e a mezzanotte il pover'uomo doveva giustamente cenare e riposare.
    invece ho visto aspiranti autori e autori autopubblicati che, per conoscenza, mi hanno costretto a leggere/acquistare le loro opere che si presentavano come la cosa migliore capitata dopo l'invenzione della scrittura. Gente che alle legittime critiche, pure delicate, mosse dopo aver letto la loro 'opera' reagiva con ''Beh sei tu che non capisci''.

    RispondiElimina
  2. Io sono ideologicamente contrario alle presentazioni di libri, alle conferenze, agli interventi, ai dibattiti dopo il cineforum. Probabilmente ho un caratteraccio.

    RispondiElimina
  3. Il problema, come scrivi, è che si sentono arrivati. Arrivati dove? A metter su una presentazione con l'amico libraio, con il giornalista della testata locale il cui picco culturale è stato la mostra dei fischietti in terracotta? Ma se i tre quarti della platea sono amici e parenti! Amici che si sono portati dietro un altro amico, che da soli proprio si scocciavano, ma non volevano farti un torto.
    In realtà credo siano persone insicure, tanto che hanno preferito autopubblicarsi piuttosto che sottoporsi al giudizio di terzi. Il rifiuto per loro è insostenibile. Si scontreranno con la triste realtà e ripenso a "Il pendolo di Foucault" di Eco.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. No, ma magari al giudizio di terzi si sono anche sottoposti (e qualche piccolo terzo li ha anche pubblicati). Ma come dicono a roma fly down caro, cioè vola basso, ce n'è di strada da fare prima di diveggiare.

      Elimina
  4. Sono crudele? Distruggo i sogni di persone che tanto duramente hanno lavorato? Io penso sempre all'intervista in cui Susan Sontag diceva di non sentirsi particolarmente intelligente

    Non sei crudele, sei solo realista: molti autori Italiani peccano di umiltà e parlano di banalità scontatissime. Non dovremmo aver paura di criticare gli autori con dell'onestà, anche se è brutale.

    Mi hai fatto venire in mente che nel 2011, quando ero in Canada per una conferenza, per caso sono entrato in una piccolissima ed anonima libreria di Vancouver e con mio enorme stupore c'era Alice Munro che parlava al pubblico dei suoi libri e della sua vita. Una simpaticissima vecchietta, molto alla mano, ma soprattutto molto umile e che ha condiviso molti aneddoti divertenti della sua vita privata. Io che adoro le storie brevi, ed Alice Munro, ero in estasi; sì è persino fermata per un quarto d'ora a parlare con me ed i miei amici, letteralmente incantata dal fatto che ci fosse un gruppetto di Italiani tra il pubblico. Non si capacitava (ed era visibilmente emozionata) del fatto che il suo nome e le sue opere fossero note persino nella nostra italietta.

    Non ho mai provato sensazioni del genere alle varie presentazioni degli autori Italiani — la differenza è proprio abissale.

    p.s.: errata corrige: Jep Gambardella.

    RispondiElimina
  5. In effetti certi autori sarebbe opportuno non incontrarli mai. Vado spesso alle presentazioni di libri, ho incontrato autori di ogni età e sei i giovani spesso appaiono goffi quelli affermati alle volte sono davvero ridicoli. Una grande delusione è stata incontrare Erica Jong, tutta rifatta. Mi ha proprio fatta arrabbiare: lei, la paladina delle donne tirata come una maschera etrusca? Invece mi è piaciuta molto la Shabat (quella de "Le quaranta porte"), coinvolgente e generosa. Insopportabile e ridicola la Mazzantini: lesse alcuni passaggi di un suo libro (penso fosse "Venuto al mondo") come nemmeno il Manzoni...accompagnai una amica ad autografare l'Opera e lei nemmeno guardava in faccia le persone, sembrava posseduta dalla sua "arte"...

    RispondiElimina
  6. C'è una categoria che forse disprezzo ancor più di quella dei mitomani: i falsi modesti.

    RispondiElimina
  7. Esattamente, i falsi modesti. Comunque sono d'accordo in tutto (però "perplimono" nun se pò leggere).

    Demart81

    RispondiElimina
    Risposte
    1. il vero perplimere è tanto surreale quanto comunicativo (per me) ;)

      Elimina
  8. scusa sembra ti stia stalkerando stasera. Ti ho trovata su linkedin, ho letto del tuo blog e ci sto trascorrendo la serata. Questo post mi fa sentire meglio. Di recentemi mi sono imbattuta in piccoli principi del web che hanno scritto libri e credo di essere l'unica a pensare "ma questo veramente fa? " Grazie per il tuo blog! :-)

    RispondiElimina