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lunedì 27 marzo 2017

Piccole recensioni tra amici! Due novità e un long seller: Murakami e l'arte di scrivere, il falso incantesimo dell'adolescenza di Lucia Biagi e le sugnerie di Jiro Taniguchi.

 In queste ultime settimane ho letto, in modo molto disordinato, un po' ovunque, come potevo.

 Finalmente sono riuscita a buttare già un primo "Piccole recensioni tra amici" in cui potrete trovare ben due novità e una graphic novel (in realtà due) che magari già straconoscete perché molto famosa e ormai vecchiotta (ma visto che molti non leggono graphic, magari sarà utile a qualcuno).
 Comunque, preannuncio, sono tutti e tre dei sì.

 Let's go!

IL MESTIERE DI SCRITTORE di Haruki Murakami ed. Einaudi:

 Trovo sempre affascinanti i libri in cui gli scrittori raccontano come lavorano, cosa li ha spinti a diventare autori, quali difficoltà hanno incontrato e, soprattutto, da cosa nascono le loro opere.

 Non so se si tratta di una deformazione da liceo (quando devi studiare per filo e per segno la vita di un autore e cosa l'ha ispirato nella scrittura di una certa opera o nella creazione addirittura di uno stile), ma è una curiosità che mi fa apprezzare di più lo scrittore e che, da lettrice, mi piace in particolar modo soddisfare.

 E temo sia la stessa ragione per cui quando mi si dice che "La vita di un autore non dovrebbe interessarci perché è indipendente dalla sua opera" mi viene un moto di irritazione.
 Non esiste opera senza autore, un'opera, di valore in particolar modo, non nasce dal niente, ha molte sfaccettature e, se vuoi davvero vederle tutte, è anche lo scrittore che devi guardare in faccia.

 Murakami è sempre stato abbastanza misterioso sulla sua vita (o almeno qui in Italia non è che si sappia granché).

  A spizzichi e bocconi si poteva dedurre che aveva iniziato a scrivere relativamente tardi, che aveva partecipato ai moti studenteschi degli anni '70 e che prima di scrivere aveva un jazz bar (che poi è lo stesso mestiere del protagonista di "A nord del confine ad ovest del sole"). Come curiosità italica potevamo apprezzare che avesse scritto gran parte di Norwegian Wood in un appartamento a Roma, ma per il resto c'era poco da scialare.

 Vedere perciò in libreria "Il mestiere dello scrittore" è stato fantastico.
 Il libro, purtroppo non lunghissimo, è per alcuni versi simile a "On writing" di Stephen King, un altro autore piuttosto misterioso a livello autobiografico.
 Racconta infatti cose interessanti come il metodo di lavoro, di revisione, di scelta dei personaggi dei suoi romanzi, ma anche alcune indispensabili notizie autobiografiche.

 Un capitolo in particolare mi pare sia esattamente identico all'introduzione di "Vento e flipper" e racconta il modo surreale e direi murakamiano in cui Murakami ha deciso di scrivere.

 Al contrario della stragrande maggioranza degli autori che iniziano bambini (o in seguito a una qualche esperienza di vita particolarmente intensa), all'età di 29 anni se ne stava a una partita di baseball. Vide una palla arrivare nella sua direzione e pensò "Scriverò un romanzo" e, ragazzi, lo scrisse sul serio.

Prese molto seriamente la questione, comprò fogli e penne, scrisse una prima versione che non lo convinceva, poi decise di usare uno strano metodo: scriveva in inglese e traduceva.

 Avendo un vocabolario e una capacità di espressione più limitata che in giapponese (per quanto poi divenne il traduttore di Carver, più volte citato nel libro) trovò in tal modo il suo stile: frasi brevi, concise e molto dense.

 In realtà in generale, escludendo la parte tecnica della stesura dei romanzi, simile a molti scrittori, con una regolarità maniacale (anche se al contrario di King che scrive tutti i giorni, Murakami ammette di scrivere solo quando ha una buona idea) e più revisioni, il libro mostra tutta la differenza che può intercorrere tra un autore orientale e uno occidentale.

 Murakami racconta con modestia e molto stupore del suo successo: primo libro scritto nella vita, subito premiato e accolto bene dal pubblico.

  Parla di un bambino, figlio unico, vissuto senza particolari difficoltà almeno fino quando a vent'anni, durante un'università funestata dai moti studenteschi, decise di sposarsi (non si sa perché) e di metter su un jazz bar (questo invece si sa perché: voleva un lavoro che non fosse all'interno del soffocante "sistema"). Non aveva molti soldi, s'indebitò fino al collo e lavorò come un pazzo per dieci anni. Quando infine poteva godersi il locale, iniziò a scrivere e vendette l'attività per dedicarsi completamente alla scrittura.

 La leggerezza e al contempo la freddezza con cui Murakami procede spedito nella sua esistenza sono sconcertanti: non sai se la sua vita sia il frutto di una fervente determinazione o di continue botte di fortuna (lui propende per una fusione delle due).

 Se siete appassionati di Murakami è imperdibile, se siete aspiranti scrittori anche, perché presenta il mestiere dello scrittore in modo diverso da tutte le autobiografie lavorative mai lette: c'è la parte del duro lavoro, ma anche un fortissimo desiderio di rivoluzione e opposizione all'ordine costituito che stupisce.
  Forse in generale la rivoluzione è il messaggio dell'intero libro: procedere per la propria strada, avere qualcosa di preciso da dire, farlo in modo originale, avere il coraggio di rompere gli schemi, ma anche di vivere nello stesso modo.
 E per rivoluzione non si intende spaccare vetrine o drogarsi per raggiungere il Nirvana, ma rifiutarsi, ostinatamente, di cedere alle convenzioni e alle pressioni esterne.
 Siamo gli unici responsabili del nostro destino, che è ben più che esserne artefici.


GOURMET di Jiro Taniguchi e Masayuki Qusumi ed. Planet Manga:

 Le graphic novel sul cibo che funzionano non è che siano molte e in generale il tema del cibo sulla carta stampata non è che renda tantissimo. E' il motivo per cui non riesco a trovare appassionanti i libri di Bourdain o i saggi di cucina in generale.

 Leggere di una cosa che in realtà potresti e dovresti apprezzare solo mangiandola, non solo non è il massimo, ma è proprio frustrante e francamente spessissimo poco efficace a livello visivo.

 I due volumi di Gourmet, scritti da Masayuki Qusumi e disegnati da Jiro Taniguchi, sono una felicissima eccezione che consiglio a tutti, soprattutto a due categorie opposte: gli amanti folli del cibo giapponese e gli odiatori folli del cibo giapponese.

 Ai primi perché è il paradiso, ai secondi perché così potrebbero finalmente comprendere qual è il motivo di tanto fascino del nipponico cibo (oltre ovviamente all'imprinting dei cartoni animati).

 I libri sono composti da capitoletti indipendenti e raccontano le avventure gastronomiche di un avvenente imprenditore di import/export giapponese con la passione per il buon cibo.

 Nei suoi numerosi spostamenti per lavoro sul territorio nazionale (raramente anche all'estero), invece di andare sul sicuro in qualche catena o ristorante rinomato, decide di avventurarsi in sobborghi, trattorie gestite da ex studenti, baracchini di takoyaki, nostalgiche osterie di paese dove ritrovare i sapori della propria infanzia. Sceglie cibo a portar via in stazione con attenzione, frequenta supermercati notturni, si imbarazza ad entrare in pasticcerie perché non sarebbe abbastanza virile (questa fissazione nipponica me l'ero persa) ed è un buongustaio senza tema.


 Grazie a lui si scoprono gli infiniti e incredibili piatti della cucina nipponica, per noi occidentali praticamente pietanze aliene composte da molluschi e pesci mai sentiti, combinazioni assurde, preparazioni complicatissime (si capisce finalmente perché in tutti i manga siano ossessionati dal fatto di trovare una moglie che cucini bene: una casalinga giapponese dà una pista a Cracco).

 La fame devo dire sale a tratti (molte cose non si capisce neanche bene cosa siano, io ancora mi interrogo sulla funzione dei fogli di caseina cruda), ma la vera eccezionalità del libro è l'essere riusciti a trasformarlo in una sorta di breviario di avventure meravigliose.

 Il protagonista è un eroe il cui unico merito è quello di non aver paura di assaggiare cose nuove. Spesso viene premiato, qualche volta vive cocenti delusioni, ardisce composizioni, osserva gli altri avventori, ricorda in stile madeleine proustiana. Leggi decine di pagine in cui si ingozza di cibo a te ignoto eppure non puoi non rimanerne affascinato: gli piacerà? Sarà buona la trattoria? Chiederà il bis?
 Un piccolo capolavoro, stra-stra-consigliato. Sia il primo che il secondo volume!



MISDIRECTION di Lucia Biagi, Eris edizioni:

 Attendevo da quando l'avevo intravistoa nelle nuove uscite, questa graphic novel di Lucia Biagi.
 L'estate si addice agli adolescenti e così ,anche in questo caso, c'è un'estate passata in montagna dai nonni, una ragazzina di tredici anni che è all'inizio del periglioso cammino dell'adolescenza, una migliore amica che vuole subito diventare grande e sembra affascinante e pericolosa al tempo stesso.

 La storia procede con un espediente narrativo interessante che tiene in tensione tutto il tempo: una mattina, Federica si sveglia e al solito inizia a chattare coi suoi amici. Tutto regolare, se non fosse che la sua migliore amica, Noemi non le risponde. 

 Dormirà, si dice, ma le ore passano e di Noemi nessuna traccia. I genitori non sanno dove sia e non sembra importargliene molto e tutte le persone che Federica incontra sembrano fondamentalmente disinteressate a dove e perché possa trovarsi la ragazza.

 Ovviamente il patema cresce non solo in Federica, ma anche in noi, che, andando per flashback intuiamo che tipo di persona sia la famosa Noemi: la classica amica dell'adolescenza, magari un pochino più grande, che ogni adolescente un po' rincoglionito o ancora ancorato all'infanzia ha. Creature affascinanti che già si comportano come gli adulti, a cui da una parte vorremmo somigliare, ma da un'altra temiamo.
 Generalmente sono quelle splendenti creature che vivono solo qualche luminosissima estate da giovani, prima di infrangersi contro le mura della vita a cui, nonostante le apparenze non erano davvero preparate.

  Una quattordicenne rimane tale anche se si atteggia a diciottenne (quanto mi urtano quelli che "A quindici anni è già una donna", come se la maturità dipendesse dalla crescita delle tette) ed è un piccolo inquietante particolare che dimenticano tutti, gli adulti che se ne approfittano, i ragazzi che le attribuiscono capacità e poteri che esistono solo in apparenza, gli amici abbagliati e le quattordicenni (o i quattordicenni, capita anche ai maschi) che si illudono di aver capito tutto della vita.
 Quando l'incanto finisce, rimane ben poco.

 Ed è di questo incantesimo che si spezza che parla Misdirection: la fine dell'illusione, la realtà che irrompe crudele e rende più adulti. 

 Anche perché, va bene tutto, ma non credo che qualcuno ricordi l'adolescenza come un'ininterrotta sequela di meraviglie, anzi, c'è a quell'età una grande dose di tristezza e di delusione, di perdita della fiducia e di distruzione di sicurezza e convinzioni. Diventiamo quello a cui sopravviviamo da quindicenni.
 Consigliato.

3 commenti:

  1. 1) Come puoi dire che King è piuttosto misterioso a livello autobiografico?
    Non ho letto "On writing", né lo leggerò così come non leggerò quello di Murakami, ma dopo 20 e passa anni di romanzi di King... tra premesse, postfazioni, ringraziamenti, racconti sui figli che giocano a baseball, commenti sulla moglie, spiegazioni su come gli son venute le idee, scene sempre uguali o personaggi sempre uguali in tutte le storie, fissazioni sue che si capisce benissimo le mette nei libri per catarsi, aneddoti sulle prime pubblicazioni e in generale tutto il "di più" che infila... io ho l'impressione di saperne fin troppo degli affaracci suoi xD

    2) Esistono veramente gli odiatori del cibo nipponico in blocco?
    Personalmente odio il sushi, mi fa proprio salire i conati, ma mangio tutto il resto molto volentieri. E conosco o so che esiste un sacco di gente come me. Ma odiatori totali non ne ho mai incontrati. Chissà se è una questione di gusti o di mentalità. Mumble mumble.

    3) Incuriositissima. Wish list!
    Grazie ^_^

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    1. In On writing King dice che quando parla della sua vita inventa continuamente cose, quindi quello che sappiamo potrebbe essere tutto vero o tutto falso.
      Una cosa che non capisco dei nipponici in Gourmet è il loro infilare chicchi di mais (che io detesto se non proprio abbrustoliti sulla pannocchia intera) ovunque

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  2. A proposito dell'incompatibilità fra virilità giapponese e gusto del dolce: si tratta in realtà di un cliché piuttosto diffuso.In realtà gran parte dei miei conoscenti giapponesi mangiano dolce più che volentieri, ma si tratta di dolci giapponesi (mochi e anko), non di dolci occidentali: nell'immaginario nipponico panna, crema e pan di spagna fanno parte dell'universo pastelloso femminile.
    Ricordo addirittura un manga scolastico con triangolo di Mizusawa Megumi in cui la bella della scuola rinunciava ad inseguire il bello della scuola perché l'aveva colto sul fatto davanti ad una coppa di fragole con panna, lasciando così libero il campo alla protagonista genki. (La bella della scuola faceva una scenata in piena regola al bello colto il flagrante!).

    Tamakatsura

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