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giovedì 26 settembre 2013

La terribile provincia della narrativa italiana: triste, desolata, orrenda, squallida e piena di gentaglia. Ma è veramente così?

 In uno dei commenti al post sui libri peggiori mai letti, veniva citato "Acciaio" della Avallone.
Da "La guerra degli Antò"
 A lei, rea, secondo gli abitanti di Piombino, di aver creato un microcosmo di perdizione, orrore e degrado che non appartiene alla città, avevo subito inconsciamente collegato Ammaniti, un altro che sul presunto oscuro squallore della provincia italiana ci campa da anni. Poi la rete di collegamenti mentali si è allargata, investendo i moltissimi libri italiani che ho letto con cognizione di causa o che ho semplicemente sfogliato perplessa, rendendomi conto la stragrande maggioranza dipingevano le perdute valli della provincia italiana in modo devastante.
La provincia sta allo scrittore italiano esattamente come la saga familiare: è un cliché, una di quelle teste di morto di cui pare non possa proprio fare a meno. Sembra che faciliti loro il lavoro: se premetti che ti trovi in una provincia del nord/est allora ti immaginerai automaticamente nebbia, ricchezza, gente chiusa, tanti immigrati, persone che tra loro non vanno d'accordo a causa di profonde e diverse identità cultural/locali/sociali radicate. Non devi manco prenderti il disturbo della descrizione o della creazione minima del contesto. Che poi possa esistere nella massa gente che studia, magari un'università locale, circoli arci, gente con piglio diverso, insomma pare che non sia previsto. Se, per dire, il commissario X deve indagare tra i loschi affari delle ditte nordiche in mezzo alla nebbia DEVE trovare solo diffidenza e chiusura mentale che, sottolineiamo, essendo nord si chiama "riservatezza" e non "omertà".
Un esempio veneto per tutti è "Savana Padana" ed. Tea di Matteo Righetto, con carabiniere terrone (io multerei chiunque osi ancora usare questa parola in mia presenza, persone del sud che si credono spiritose comprese), zingari, ultrà del Padova e la solita grettezza provinciale che sfiora il manicomio, anche se si è sempre speranzosi di sfiorare Lansdale (mettiamoci in testa che Vicenza non è in Nebraska).
Nel caso volesse prendervela a male in modo definitivo prendete "Semina il vento" di Perissinotto: quando un matrimonio va a scatafascio perché si sceglie di vivere in mezzo ai monti e non a Parigi.
 Se invece ti trovi in una provincia del sud devi essere ignorante: disoccupato, con qualche serio problema familiare, gli amici sono la tua famiglia (qui la gente è aperta, quindi è ammissibile che parli al vicino di casa), possibilmente, in quanto disoccupato, sarai anche sfaccendato che la noia di provincia è la Noia con la Enne maiuscola. Imbattibile.  Le province del centro Italia in genere sono luoghi mediamente più addormentati, buoni per quelle fiction alla Don Matteo, Carabinieri, Maresciallo Rocca, come ne "Il principe dei gigli" di Hans Tuzzi. Fa eccezione l'Abruzzo che dai tempi delle "Novelle della Pescara" di d'Annunzio appare come una landa di pura disperazione.
 Se invece sei Ammaniti va bene qualsiasi provincia.
A me come scrive lui piace molto, ha questo modo scorrevole, una grande capacità di intrecciare la trama e far quadrare tutto come se fosse perfettamente plausibile anche se siamo nell'universo della totale improbabilità. L'ho snobbato per anni, poi ho letto qualche libro e l'ho beccato in epic fail perché io, una delle province che lui descrive la conosco molto molto bene, e non ha nulla a che spartire con quella del libro.
 Non si tratta di orgoglio campanilista né di "i panni sporchi ce li laviamo a casa nostra" di Andreottiana memoria. Io parlo proprio dell'inventare con cognizione di causa seduto in una casa a Roma (egli è figlio di un esimissimo psicologo, la famosa provincia manco col binocolo l'avrà mai vista), un coacervo di personaggi stralunati che per carità possono anche benissimo esistere (chi non ne ha conosciuti?), ma non possono far parte di un intricatissima rete di orrore perpetuo. Nei suoi libri i provinciali sono tutti: brutti al limite del lombrosiano, vecchi e con mogli vecchie a 40 anni, rimbambiti dalla tv, pedofili, dediti alle prostitute o alla prostituzione, pazzi violenti con figli cresciuti con metodi fascisti e lasciati a loro stessi perché gli assistenti sociali sono pure sfigati, figli di papà purulenti. Per non parlare di satanisti, insegnanti vergini, cubiste con aspirazioni televisive e ovviamente squallore suburbano a perdita d'occhio tra capannoni industriali, terre coltivate o non coltivate ('sta pora terra sia che si dia da fare sia che stia ferma, se non è dell'Urbe deve fa' schifo).
 Suppongo che, come me, buona parte delle persone che leggono questo blog provenga da una provincia. La domanda è: perché permettiamo che avvenga ciò? Perché dobbiamo scimmiottare la provincia americana, quando da noi è estremamente improbabile vivere in una casa piantata nel nulla come in Kansas? Io non dico che abitiamo tutti in luoghi fioriti, ma c'è modo e modo di descriverli e soprattutto di inventare una storia. Poi non possiamo lamentarci se della nostra somma narrativa contemporanea all'estero arriva Federico Moccia. Almeno lui a Ponte Milvio ci viveva sul serio.
La parrucchiera dove andavo durante l'università, estasiata, diceva che lui sì che aveva colto il vero spirito della loro zona.
 Ora tocca trovare qualcuno che colga il vero spirito del resto d'Italia.

2 commenti:

  1. figliocci degeneri de "Gli anni perduti". Con la differenza che Brancati ha vissuto in provincia durante il ventennio fascista, e un po' di noia ci poteva stare...

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  2. Bellissimo post. Del resto l'Italia è tutta provincia e non saperla raccontare o raccontarla per luoghi comuni è sintomo del fatto che in Italia non ci siano grandi narratori...
    Di Ammaniti ho letto un paio di libri, anche di gusto. Poi, arrivata alla fine di "Ti prendo e ti porto via" ho avuto una tale impressione di falsità e grottesco che ho detto: "mai più".
    Mi piace Carlotto, ma io detesto il Veneto, quindi che se ne parli come di una terra desolata di loschi affaristi non mi disturba affatto. Mi piace anche Biondillo e la sua descrizione della periferia milanese, la trovo garbata, per quanto sia oggettivamente uno dei luoghi più brutti d'Italia.
    Tra i più bravi a descrivere la provincia (di un tempo) secondo me c'è Vitali, che mi ricorda un po' Chiara (che io amo). Adoro il loro lago.

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