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martedì 31 marzo 2015

Rotta su BookPride 2015, una visita di sommo accattonaggio alla fiera del libro più hipster che l'Italia ricordi. Un fumetto di inquietudini interiori e figuracce.

 Nel mio ormai instancabile volteggiare per fiere del libro, domenica sono andata infine anche al celebre BookPride, la fiera del libro indipendente che più indipendente non si può.
  Purtroppo, visto che ultimamente sto facendo una vita insensata di cui sta risentendo anche la regolarità del blog, non sono riuscita a stare moltissime ore e così ho perso qualsiasi incontro possibile. Me ne dolgo molto, provvederò il prossimo anno.
 In compenso è stato il momento in cui ho deciso di seppellire la mia ritrosia e di lanciarmi nelle pubbliche relazioni editoriali allo scopo di entrare in possesso dei libri da me desiderati.
 Diciamo che i risultati sono stati alterni, ma potrete vederlo da soli nel mio fumetto reportage "BookPride 2015" o anche "Dell'accattonaggio".
Buona lettura!






domenica 29 marzo 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Enciclopedie".

Ed ecco almeno una delle due vignette del fine settimana.
 Scusate le proporzioni un po' sfasate, l'ho disegnata super di corsa. Questa settimana ero già stata troppo assente.
 I clienti e i loro quesiti. Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Enciclopedie"!



"Dall'inferno si ritorna" di Christiana Ruggeri ed. Giunti dall'11 Marzo in libreria!

Una cosa che mi colpì molto anni fa, mentre guardavo un  programma Rai assieme ai miei nonni, fu una frase del conduttore che non ho mai dimenticato.
 Diceva che nei momenti più solenni, più gravi, riusciva solo a concentrarsi su cose irrilevanti e portava a esempio il giorno in cui i ladri entrarono a casa sua devastando tutto. Per ore gli riuscì solo di pensare che quel giorno avrebbe saltato la spesa.
 Per giorni pensai che fosse stato un vero sciocco e non avevo capito che mi aveva solo spiegato un trucco fondamentale per resistere.
 E' da questo trucco che inizia "Dall'inferno si ritorna", ed. Giunti, romanzo terribilmente vero uscito in libreria l'11 Marzo: davanti ad un evento sconvolgente, possiamo salvarci rifugiandoci nelle cose trascurabili, in quelle che fino al momento della catastrofe ci rassicuravano, facendoci sentire protetti.
 Bibi ha cinque anni, vive in un quartiere abbastanza ricco di Kigali in Rwanda assieme a sua madre e suo fratello. E' una tutsi ed è il 1994 l'anno del tentato genocidio da parte degli hutu estremisti che in 101 giorni  portarono alla morte, nel silenzio e nello sgomento del mondo, quasi un milione di persone.
 Tra questi c'era tutta la famiglia di Bibi, che, piccolissima e ferita gravemente, circondata dai corpi dei suoi cari, assassinati da quelli che fino al giorno prima erano i vicini, gli amici, le persone del paese, riesce a reagire solo pensando al succo di ananas. 
 Vuole berlo e per berlo deve rimanere sveglia. Non può credere che non lo berrà mai più, che sua madre non affetterà più frutta per lei, che suo fratello non potrà più cercare di rubargliela, ma quel pensiero, tanto irrilevante quanto fisso, la mantiene vigile e le salva la vita.
 E nelle settimane successive, quando diventerà una profuga in fuga verso lo Zaire, gliela salveranno i ricordi e l'insegnamento di suo nonno, detto Monsieur Umuhati, il coraggioso, da quando sopravvisse al primo tentativo di genocidio nel 1959.
 Prima di morire aveva insegnato ai nipoti tutto ciò che poteva per sopravvivere in caso di una nuova carneficina, perché, anche se nessuno gli credeva, era riuscito a comprendere da impercettibili segnali che nuovi tempi bui si stavano riaffacciando.
 Bibi esiste davvero, si è salvata e adesso studia, giovanissima, a Roma e questa è la sua storia, raccolta e scritta senza manierismi e con un coinvolgimento che non cede al romanzesco dalla giornalista Christiana Ruggeri, reporter particolarmente attenta ai destini dei paesi africani e dei minori.
 Con mano sicura, riesce a trovare le parole per raccontare i giorni terribili di vent'anni fa in cui Dio sembrava aver voltato le spalle all'Africa e vi tornò per mettere la sua mano sulla testa di una bambina.
 Si chiede Bibi, che un giorno racconterà da sola la sua storia, perché quel giorno lei si salvò mentre in tanti rimasero per le strade circondati dal silenzio del mondo.
 E' la domanda che si fanno molti sopravvissuti e trovare risposte è difficile, tuttavia un libro può aiutare a non dimenticare spezzando quel silenzio tanti anni dopo.
 Per quelle ottocentomila persone è ovviamente troppo tardi, ma forse stavolta aiuterà a impedire il ritorno dei tempi bui, quelli a cui il nonno di Bibi l'aveva preparata sperando di sbagliarsi.

Christiana Ruggeri
"Dall'inferno si ritorna" ed.Giunti
pp. 240, 14,90 euro
Dall'11 Marzo in libreria!



 La metà del ricavato di questo libro verrà devoluto dalla scrittrice al progetto Rwanda Onlus, per la costruzione della mensa di una scuola materna nella casa della Pace e della Riconciliazione di Kigali.


Codesto post è sponsorizzato, per sapere cosa intendo vai al link!

sabato 28 marzo 2015

E intanto, in quel di Milano, della gentaglia stila liste di libri proibiti (e da bruciare). #ioleggononbrucio

Domani (sabato quindi tecnicamente oggi visto che sto scrivendo questa cosa alle due), a Milano si terrà una manifestazione di Forza Nuova che incita al rogo di una lista di libri per bambini sulle tematiche dei ruoli di genere, le famiglie omogenitoriali, il rispetto delle varie "diversità" (parola che odio, sarebbe più corretto e piacevole dire varietà di persone presenti nel mondo).

 A dire di questa gente, che non so dall'alto di cosa, questi libri sarebbero dannosi per i pargoli e dovrebbero essere loro non solo vietati, ma banditi, censurati e bruciati.

 Ora, ho scritto già vari post sui libri bruciati, sulla censura, sui libri proibiti, sulla strage di Charlie Hebdo e la volontà di colpire la libertà non solo di opinione e di espressione, ma anche di diffusione di un certo sapere, perciò non ne scriverò un ennesimo.
 Tuttavia far passare sotto silenzio questo evento gravissimo mi pareva altrettanto grave e mi pareva il caso di scrivere almeno due righe, se non altro per solidarietà alla casa editrice Lo Stampatello, assai duramente colpita da questa continua campagna censoria che si è spinta, talvolta, fino alle minacce.
 Informo, per chi si trovasse in quel di Milano e gli interessasse, che si terrà una contromanifestazione sempre in Piazza Oberdan organizzata dai Sentinelli di Milano (da non confondere con le Sentinelle, i Sentinelli infatti sono i buoni).
 E già che ci sono ci rischiaffo la poesia di Brecht quando venne a conoscenza del rogo dei suoi libri sotto il regime nazista:


 " Quando il regime ordinò che in pubblico fossero arsi
i libri di contenuto malefico e per ogni dove
furono i buoi costretti a trascinare
ai roghi carri di libri, un poeta scoprì
- uno di quelli al bando, uno dei meglio - l'elenco
studiando degli inceneriti, sgomento, che i suoi
libri erano stati dimenticati. Corse
al suo scrittoio, alato d'ira
e scrisse ai potenti una lettera.
 Bruciatemi! scrisse di volo, bruciatemi!
Questo torto non fatemelo! Non lasciatemi fuori! Che forse
la verità non l'ho sempre, nei libri miei, dichiarata? E ora voi
mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando: bruciatemi!"
  

giovedì 26 marzo 2015

Del perché non mi convince l'anonimato di Elena Ferrante: rimanere nell'ombra è lecito o quando scrivi non puoi più nasconderti? Per me è la seconda che ho detto, me l'hanno insegnato alle scuole medie e non lo rinnego.

 Le scuole medie sono un'età ingrata. 
 Sono sempre stata abbastanza convinta infatti che esse siano state create dal ministero della pubblica istruzione, o chi per lui, per isolare per tre anni in una sorta di limbo un branco di ragazzini scalmanati in preda agli ormoni della crescita.
 Non mi spiego altrimenti l'esistenza di tale istituzione dove ricevi un'infarinata di tutto, persino di educazione musicale e tecnica, ma fondamentalmente impari poco e niente.
 Una delle pochissime cose che ricordo dei tre anni scolastici peggiori della mia vita (come tutti quanti ho visto cose che mi sarei risparmiata abbondantemente), sono quelle indimenticabili finestrelle con la vita dell'autore al lato dei testi nelle antologie di italiano.
 Io e la mia migliore amica li studiavamo con solerzia, sospinte in quella dubbia attività che è la critica letteraria, da un grasso e rubizzo professore (bravissimo peraltro) dedito alle poesie in romanesco e alla raccolta delle nocciole, attività assai più redditizia dell'insegnamento.
 Leggendo la vita degli autori tutto diventava chiarissimo: Leopardi esprimeva il suo pessimismo cosmico vagando come un'anima in pena per mezza Italia lamentandosi di continuo, Manzoni ebbe una crisi agorafobica durante il matrimonio di Napoleone (ricordo anche l'indimenticabile nome di sua moglie, Enrichetta Blondel), Catullo era innamoratissimo di Clodia da lui poi trasformata in Lesbia, e boh chissà se Laura e Beatrice esistevano davvero, nel dubbio Dante e Petrarca le ammiravano da lontano.
 Insomma, delle medie ricordo principalmente questo: conoscere la vita degli autori rende assai più comprensibile e affascinante la lettura dei loro testi.
  di Elsa Morante, Moravia, Svevo. Ariosto e compagnia cantante, mi risuonano fastidiosamente nella mente tutte le volte che sento parlare della famosa Elena Ferrante.
Le finestrelle in alto a sinistra con le biografie
 Sono tre anni che chiunque in qualsiasi libreria consiglia la clarissima Elena e la sua tetralogia de "L'amica geniale" che io, almeno per il momento, volontariamente non ho letto.
 Ci sono due motivi per cui non mi convinco a concedermi alla Ferrante (cosa che certo non la traumatizzerà, ma oh, ce volevo scrive un post):
1) Anni fa lessi "I giorni dell'abbandono" (e vidi persino il terrificante film) e lo trovai di una bruttezza talmente profonda da farmi chiedere: perché?
2) Io, 'sta cosa che non vuole dire chi sia la trovo disturbante.
 Su questo secondo punto, comprendo, entriamo in un ginepraio di difficile gestione.
 Da una parte il non disvelamento della Ferrante mette il dito in una gigantesca piaga dell'editoria moderna dove ormai, spesso e volentieri la personalità dello scrittore o della scrittrice è assai più rilevante e interessante di ciò che scrive.
 Nel libro che ho brevemente recensito ieri, "Un giorno questo dolore ti sarà utile", la sorella aspirante scrittrice del protagonista, si lamenta per non aver avuto abbastanza tragedie personali: una sua compagna di classe al corso di scrittura creativa, anoressica e con famiglia disfunzionale magnum, infatti, aveva già la pubblicazione garantita.
 Ed è la stessa motivazione addotta dalla vera autrice di "Ingannevole è il cuore sopra ogni cosa", che mise su una farsa allucinante con la sorella del suo compagno facendola passare per J. T. Leroy, giovane sessualmente confuso con madre prostituta che lo aveva strappato all'amore della famiglia adottiva. Temendo di non essere abbastanza interessante, ingannò il proprio editore per anni. Editore che successivamente le fece causa, ma che realisticamente si sarebbe reso assai meno disponibile a pubblicarla se non avesse subodorato clamore mediatico. 
Da un'altra parte però ci sono due punti, secondo me, assai controversi su questa reticenza della Ferrante:
 1) Alimentando il misterioso mistero sulla sua figura sta facendo esattamente ciò che dice di non voler fare, ossia sta rendendo più interessante il personaggio dello scrittore. 
 Se fosse solo un'autrice  assai timida o non desiderosa per motivi personali di mostrarsi in pubblico, potrebbe fare come ha, per lunghissimo tempo, fatto il buon Salinger: starsene il più lontano possibile da chiunque e minacciare i suoi fan dalla sua isolata magione.
 Alimentare invece una curiosità che non si può fingere di non aver almeno minimamente calcolato rende la questione quanto meno sospetta.
 (Per essere chiari, non sono una komplottista che immagina un esercito di ghost writer a lavoro, per me può essere anche una sola persona che però è perfettamente conscia dell'effetto del suo non disvelamento e a me cose del genere non è che piacciano molto).
2) Il suo essere tanto misteriosa rende vano quell'esercizio letterario a cui, per lunghi anni, ci siamo dedicati alle scuole elementari, medie e superiori. Conoscere, nei limiti della privacy, la vita degli scrittori permette di dare ai testi che si leggono una doppia profondità, una chiave di lettura che può dare chiarezza a punti oscuri o renderne altri, puliti e luminosi, incomprensibili e inquietanti.
 Le poesie di Emily Dickinson saranno sempre belle, ma sapere che l'autrice era una donna che per trent'anni ha vissuto chiusa in casa della sorella getta un'ombra diversa sui suoi versi, quelle di Sylvia Plath rispecchiano una vita brevissima ed inquieta. "La Gerusalemme liberata" è frutto di un travaglio interiore del povero Tasso di cui tutti ricordiamo la celebre quercia romana e di Keats sappiamo che morì a venticinque anni profondamente innamorato.
 La scrittura, come tutte le arti, ma ancor di più, per le sue specifica gestazione, prolungata nel tempo e talvolta anche nello spazio,  ha un legame con la vita, non solo interiore, del suo autore, particolarmente profonda. 
Leggere un libro senza poter conoscere nulla dello scrittore, specialmente se essa è stata addirittura inserita in una lista dei cento pensatori più influenti del mondo, mi disturba.

 Chi è che sta pensando? Ho bisogno di guardarlo in faccia, di sapere. Mi sembra che così si possa avere un rapporto onesto tra scrittore e lettore, di reciproca necessaria fiducia per creare un legame, che, a prescindere da quel che si dice è ciò che chi scrive cerca, altrimenti non tenterebbe di far pubblicare il proprio libro o brucerebbe (come molti scrittori hanno fatto o desiderato fare) i suoi scritti.
 Perciò non dubito che leggendo la famosa tetralogia possa trovarla scorrevole e bella, ma non ce la faccio. Penso sempre a quelle finestrelle delle scuole medie e a me che in biblioteca, quando internet a casa era ancora un miraggio, stampavo ansiosamente tutte le informazioni possibili sulla mia scrittrice preferita, Marion Zimmer Bradley, e a casa conservavo tutto quello che la riguardava gelosamente, sognando in cuor mio di incontrarla un giorno (cosa precocemente impossibile visto che è morta nel 1999). Non lo facevo per un morboso bisogno di notizie, ma per sapere chi fosse quella donna che da qualche parte dall'altro capo del mondo era riuscita a spiegarmi tante cose di me.
 Avevamo qualcosa in comune? Cosa l'aveva resa speciale? Come erano nati i suoi libri? Perché scriveva proprio quelle storie?
 Quando scrivi non puoi più nasconderti.

 E voi cosa ne pensate di codesto tema a base di Ferrante?

mercoledì 25 marzo 2015

Piccole recensioni tra amici, il ritorno! Indiani, fili conduttori, speed date letterari, famiglie felici a modo loro e piene di arcobaleni e ragazzini con dubbi amletici, per una serie di stellati consigli.

Creamy simbolo della rubrica stellata
Dopo qualche giorno di colpevole assenza, in cui si sono sovraffollati decine di eventi e casini vari ed eventuali che mi hanno tenuto lontana dalla mia amata e quieta scrivania, torno a trasmettere regolari post. 

Ritorno con un "Piccole recensioni tra amici", l'unica rubrica che riesco a tenere con vaga regolarità, forse perché l'unica con un senso, ma bando agli indugi e alla stanchezza, ecco a voi le mie divaghevoli recensioni!




"NESSUN DIO IN VISTA" di Altaf Tyrewala ed. Feltrinelli:
 Un espediente narrativo molto particolare, secondo me davvero avvincente eppure (sempre secondo me) non abbastanza usato, è quello per cui i singoli capitoli appartengono a personaggi diversi che si passano la palla della narrazione in modo casuale.
  Mi spiego meglio: A parla e casualmente incontra B, il punto di vista allora diventa di B che incontra C e allora il punto di vista scala a C che poi incontra D e via così fino alla fine. 
 Generalmente il filo conduttore che lega i capitoli è così lieve che dopo un po' si stenta a ricordare dove e perché avevamo cominciato a leggere, ma se lo scrittore è davvero bravo si scopre che non è poi così importante. "Nessun dio in vista" è in parte così. 
 Breve il giusto, incalzante il giustissimo, molto veloce e vivido, descrive un'India moderna e inedita ed è opera di un giovane scrittore un po' bohemienne che riversa tra le righe una certa dirompente freschezza.
  Ci sono i soliti mendicanti, la miseria lungamente raccontata da numerosi film e la ricchezza opulenta, ma ci sono anche medici abortisti con madri credenti molto addolorate, storiche (e incomprensibili per molti cittadini) rivalità tra hindu e islamici, coppie che sperano in un futuro migliore, attacchi terroristici, misteri familiari e macellai.
 Ognuno di noi possiede un mondo, non esiste persona che non abbia una storia da raccontare, splendida o terribile che sia, e questo libro saltabeccando per una ventina di gradi di separazione che chiudono infine un'enorme cerchio, cerca di dimostrarlo con bozzetti di personalità, tutte ben riuscite. Come se fosse uno speed date letterario e ogni cinque minuti suonasse la campanella. Quante altre cose avrebbe potuto dirci il macellaio dal cuore tenero? E l'insegnante di poesia tossicodipendente? Meno male che ci siamo liberati del serial killer! Chi è il porssimo?
 Unica grossissima pecca: sarebbe servito un piccolo apparato di note. Molti riferimenti storici e culturali sono incomprensibili se non si è amanti del subcontinente indiano, anzi oserei dire alcuni capitoli (follia non spiegare neanche perché il nome di un personaggio dovrebbe suscitare cotanta ilarità o sgomento in tutti gli altri, ce voleva tanto?).
 Consigliatissimo agli amanti dei racconti e degli scrittori indiani, per tutti gli altri, se vi capita, non disdegnate.

"FIGLI DELL'ARCOBALENO" di SAMUELE CAFASSO ed. Donzelli:
 In Italia, poiché siamo indietro anni luce dalla civiltà, oltre a non esserci leggi a tutela dei diritti delle persone omosessuali, c'è e tocca dirlo, un'enorme confusione sulla tematica.
  In particolare, e ciò è tanto più assurdo e colpevole visto che si parla anche della vita di infanti e pargoli, si ha una grandissima confusione sulle famiglie omogenitoriali, trattate dai reazionari come una catastrofe che non dovrà mai avvenire, quando è una realtà che esiste già da anni e sta aumentando esponenzialmente.
 Samuele Cafasso ha scritto su di loro questo delizioso reportage composto da singole storie che gettano luce su un fatto tanto misterioso quanto semplice: numerose coppie gay, in mancanza di una normativa italiana, si rivolgono all'estero per avere un figlio. Le testimonianze raccolte, senza bisogno di molti filtri, rispondono a tante domande: come decide una coppia gay di avere un bambino? Cosa succede al genitore non biologico in caso di separazione o morte del compagno/a? Come reagiscono le persone quando vengono a contatto con una famiglia arcobaleno? A tutto c'è una risposta e non sempre è terribile. Gli italiani sono molto più evoluti di quanto non vogliano far credere, peccato che riescano a nasconderlo tanto bene.
  Tra le storie raccolte, due hanno un legame particolare con i libri e il loro potere. La prima è quella Francesca Pardi e della sua compagna che volevano spiegare ai loro quattro pargoli come fosse nata la loro famiglia, peccato che in Italia non esistessero libri per bambini figli di coppie gay. Dopo aver scritto una storia, rifiutata all'ultimo da una grande casa editrice, hanno fondato la loro casa editrice, Lo Stampatello, soggetta a ripetuti tentativi di censura nelle biblioteche comunali a opera di consiglieri estremisti. Stessa storia di censura bibliotecaria (su cui al Bologna Children Bookfair l'Aib ha organizzato un incontro apposito) le accomuna alla storia di Camilla Seibezzi, consigliera comunale a Venezia dove gettò scompiglio per aver acquistato presso la piccola libreria "Il libro con gli stivali" una serie di libri per bambini per le biblioteche scolastiche, il cui tema comune era insegnare ai bambini la lotta agli stereotipi e alla discriminazione. Un progetto che in Olanda sarebbe acqua fresca, qua momenti veniva giù il Veneto.
Parafrasando il buon Tolstoj che incipitava "Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro" e questo libro dimostra che non c'è niente di più vero.
 Consigliatissimo a chiunque senta di volerne sapere più di Salvini sul tema (cioè a tutti, pure al vostro cane).

"UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARA' UTILE" di Peter Cameron ed. Adelphi:
Io ce l'ho con questa misteriosa copertina
 Ve lo dico, un giorno questa lettura non vi sarà molto utile.
 Di Cameron non ho letto nulla, ma mi riprometto di farlo, intanto vi dico che questo molto celebrato libro, a cui è seguito uno strambo e non molto celebrato film americano di Faenza in cui bivacca persino Lucy Liu, a mio parere non vale questo granché. E' grazioso come romanzo di formazione da dare in pasto agli adolescenti, ecco anzi un tomo che varrebbe la pena di propinare ai ragazzini invece di quelle porcherie amorose o alle finte fanfiction di Amici by Chicco Sfondrini.
 E' la storia di un adolescente afflitto da un'inspiegabile mal di vivere che potrebbe essere attribuito a diversi fattori: una famiglia ricchissima in cui tutti sono concentrati (male) su loro stessi, un'eccessiva sensibilità che gli impedisce di avere rapporti di amicizia con i propri coetanei e quell'ansia per il futuro che, quando è nei limiti della sopportazione è normale, quando causa crisi di panico rischia di sfondare nel patologico. Tutta la storia corre sui binari del: questo ragazzino ha davvero qualcosa che non va o come diceva Calvino, "alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane"?
 La sua storia, breve e senza particolari sussulti, si svolge in una Manhattan iperprotetta, tra padre avvocato, madre gallerista che si sposa in modo seriale, sorella aspirante scrittrice e maldestri tentativi di attirare l'attenzione (e anche punizioni un po' troppo eccessive) mentre su tutto aleggia una piccola grande debacle personale di recente memoria.
 Carina l'idea, agrodolce la conduzione, splendida la scena del ricordo finale che, a mio parere, è l'unica che ha un vero valore letterario, come se in un film un po' televisivo, di colpo, ci fosse la scena da vero autore (scena ovviamente omessa nel film di Faenza).
 Quattro stelle se avete diciassette anni, tre meno meno se ne avete di più.
Da leggere in un viaggio in treno.

E voi ne avete letto qualcuno? Vi incuriosisce qualcosa? Testimoniate!


domenica 22 marzo 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ricerche".

Reduce da una bellissima gita in quel di Torino (e soprattutto da una visita al museo del cinema che è fantastico!), posto stancherrima, codesta vignetta.
 Alcuni clienti, come ormai ben sapete, si comportano come se si trovassero in "Alice nel paese delle meraviglie" e hanno un'idea della geografia interna ed esterna degna dello Stregatto: "Per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare?"
 Ecco di cui sotto un'osservazione degna del Brucaliffo.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ricerche".




venerdì 20 marzo 2015

L'illecita passione per le telenovelassss: inquietante fascinazione trash o archetipo narrativo che è sempre esistito e sempre esisterà? Orestiade, re Artù, Lancillotto, Anna Karenina e Josè Aureliano Buendìa ci rispondono (con la colonna sonora di Laura Pausini)

 Durante la mia ultima discesa alle terre natie, mia nonna mi ha introdotto inavvertitamente ad una nuova ossessione trash: "Il segreto". 
Premetto che io non sono mai stata un'amante di nessuna telenovela, né tanto meno lo è mai stata mia madre che le ritiene stupidaggini fonte di un male assoluto principale: i nomi insensati dati ai figli. Citava quale prova inconfutabile un esercito di bambine inopportunamente chiamate Topazia o Diamante.
 Il mio principale punto di contatto con tale inquietante pratica televisiva fu durante l'esame di terza media
 La mia migliore amica nonché compagna di banco con cui studiavo alacremente, era una grandissima fan di "Beautiful" che vedeva con sua nonna. Tentò anche di farmi appassionare, senza successo. Tuttavia, riuscì nell'impresa di costringermi a vedere quasi tre settimane di "Sentieri".
 Il mio ricordo di tale esperienza è ancora vivo perché, almeno in quel periodo, tale folle soap opera, andava ben oltre le frontiere del reale e dell'ammmmore, erano infatti presenti due personaggi da fantascienza: una tizia clonata e un'altra che, dall'oltretomba guidava verso il ritorno alla vita un personaggio in coma.
 Memore di ciò, la mia nuova passione per "Il segreto" mi pare quasi risibile visto che per ora la cosa più fantascientifica sono le sopracciglia e il trucco perfetto di tutti i personaggi femminili, pure le sguattere (anche se pure il prete modello è fonte di perplessità).
 Ma è davvero così disdicevole appassionarsi ad una serie in cui gli ingredienti principali sono i continui e surreali incroci amorosi tra gli stessi personaggi? In cui il potere e i legami familiari sono così contorti da non renderti più possibile ricordare chi è figlio di chu o nipote o marito o moglie?
 Vi dimostrerò che questa tendenza alla telenovela è stata sempre presente nella narrativa umana. Come? Scopritelo nell'elenco di seguito!

I MITI GRECI: 
Se cercate qualcosa di veramente contorto a livello di relazioni familiari, incesti, fratelli che sposano le mogli degli altri fratelli, mariti che mettono incinte innumerevoli amanti nei modi più assurdi e fantasiosi, resurrezioni, cambiamenti di sesso, ritorni dall'aldilà, vendette, sangue, gnocche stratosferiche, denaro, vita eterna e qualsiasi altra cosa possa venirvi in mente, ebbene, comprate un dizionario della mitologia greca.
Che gran popolo che erano gli antichi greci. Io trovo questo
vaso impressionante
 La sola passione di Zeus per qualsiasi donna piacente si muovesse sul globo terracqueo basterebbe a riempire i pomeriggi di qualsiasi casalinga, senza contare che la sua fissazione per forme di fecondazione sempre nuove (cigno che si unisce a donna, pioggia d'oro che si unisce a Vestale, lo so che era Giove, ma vale lo stesso, tori rapitori di donzelle) appagherebbe i più sordidi desideri delle fan di mr Grey.
 Se siete un autore tv in cerca di una nuova idea per una serie, basta aprire Eschilo e leggere con cognizione di causa le Orestiadi.  C'è tutto, moglie vendicativa, amante, figli di primo, terzo e secondo letto, giovani amanti votate alla tragedia e al vaticinio, figli che non reggono il confronto con i genitori, onore da difendere, suicidi particolari (mi riferisco al mito di Erigone che si impiccò generando un'epidemia di emulazioni tra le ragazze della sua età che terminò solo con l'invenzione dell'altalena, la quale dava la sensazione alle giovini di penzolare da un albero, senza la morte annessa. Lo so, è assurdo, ma se ci pensate geniale).

I CICLI CAVALLERESCHI:  
C'è un re chiuso nel suo castello, ha il potere, un esercito di cavalieri valorosi e fedeli, ma una moglie sterile e spaccapalle che oltretutto se la fa col suo migliore amico.
 Sto parlando di re Artù, l'insopportabile Ginevra e il prode Lancillotto (che non si nega anche una sospetta liaison gaya con Galeotto, quello che si prodigò per accoppiarlo con l'infedele regina). I cicli cavallereschi che, non per nulla, appassionavano dame di tutte le corti europee, davano sfogo a quel desiderio di illecito, di passione, di proibito, di avventura e magia che donzelle sognanti e donzelli aspiranti, anelavano nella loro vita.
 In re Artù, in tutto il ciclo bretone, nelle storie dei trovatori e trovieri, da Erec e Enide, il ciclo carolingio re, regine, mostri, magia, onore e passione correvano intrecciandosi ben oltre il confine del reale.
 Se volete leggere una rivisitazioni romanzesca, molto bella, straconsiglio il celebre "Le nebbie di Avalon" che rivisita la leggenda arturiana vedendola dal punto di vista di Morgana che, forse, non era cattiva come si è sempre creduto, ma agiva nell'ottica di un bene più grande. Tra isole incantate, amori perduti e soprattutto non corrisposti, aborti, figli illegittimi cresciuti da gente malvagia, santo Graal, rapimenti e menage a trois, c'è tutto per tenervi svegli la notte.
 E farvi chiedere: ancora, ancora, ancora.

GRANDI ROMANZI '700-'800:
 Cos'è "Il conte di Montecristo", pagato a pagine e perciò lunghissimo issimo issimo (passare le prime 100 o 150 è un'impresa, ma dopo entri in un mondo), se non una gigantesca e maestosa telenovela storica. Un uomo, buono e gentile, giovane e bello, sull'orlo della felicità amorosa, viene rinchiuso per anni in un sotterraneo lontano assieme ad un misterioso abate. Molto tempo dopo, vampiresco, astutissimo e assetato di vendetta, riesce a scappare e, colmo di ricchezze provenienti dal tesoro dell'abate, cerca i suoi persecutori. 
 Poteva essere "Kill Bill", ma per fortuna Dumas preferisce la narrazione degli intrecci tra i personaggi: ex fidanzate che si sono vendute al miglior offerente, bellissime donne esotiche e devote, una Roma abitata da briganti, figlie lesbiche in fuga e un intreccio a base di tradimenti e infedeltà che Dinasty se lo sogna.
 E questo è niente. Vogliamo mettere Anna Karenina? E la complicatissima nobiltà russa affrescata in "Guerra e pace"?
 Se pensate che abbia le visioni, pensate sempre che "Elisa di Rivombrosa" basò il suo intreccio principale su "Pamela" di Richardson (tanto che all'epoca vi fu un picco delle vendite del libro dovuto alla follia delle sciure).

CENT'ANNI DI SOLITUDINE:
 Molti mi prenderanno per un'eretica, ma non potevo non citarlo. 
 Un libro, sudamericano, in cui tutti i personaggi hanno gli stessi identici tre nomi costringendoti ad una maratona della memoria (o ad uno schema, come quello che mi ero fatta su un quaderno all'epoca dell'interrogazione alle superiori), dove ci sono donne bellissime che assurgono al cielo, gemelli che non si somigliano, bambini rapiti da animali e contorte dinamiche familiari da incubo, non può essere ignorato.
 Possiamo dirci ciò che vogliamo, ma anche un capolavoro della letteratura può attingere a piene mani da un archetipo narrativo popolare: natura selvaggia, famiglia problematica e con troppi parenti che figliano e si sposano, intrecci molestissimi tra tutti.
 "Cent'anni di solitudine", prossimamente sui nostri schermi con una sigla di Laura Pausini.

E voi avete qualche altro classico telenoveloso da segnalare? Non siate timidi!

mercoledì 18 marzo 2015

Rotta su Cartoomics 2015, una cronaca fumettosa di un pomeriggio a base di fumetti, remake del corvo, supereroi danzerini, acquisti compulsivi e nuove conoscenze!

Ed ecco a voi il resoconto fumettoso del mio pomeriggio al Cartoomics 2015 a Milano.
 La mia dolce metà ha dimostrato il suo amore accompagnandomi in questa mia solita discesa compulsiva ad una fiera in cui pretendo di fare tutto, vedere tutto, mangiare tutto, conoscere tutti e comprare qualsiasi cosa in tre o quattro ore.
 Quest'anno non so se a causa dello sciopero dei treni, ma c'era molta meno ressa e ho respirato molto meglio, in compenso voglio segnalare un'inquietante scomparsa del merchandising di Totoro. Ho visto assai pochi totori fuffolosi a cui aggrapparmi e per sedare l'animo kawaii che ogni tanto sorge in me, ho finito per attaccarmi a dei quadernini che temo non avrò mai il coraggio di usare in pubblico.
 Smetto di tediarvi e vi lascio col mio fumetto che essendo stato lungo e laborioso, per me, vale due post!
"Rotta su Cartoomics 2015"!










lunedì 16 marzo 2015

Ognuno di noi sceglie gli eroi che si merita (e non sempre è un bene). Tra l'eroe da blockbuster de "L'uomo di marte" e l'eroe che soccombe di Matheson, tu da che parte stai? (Da leggere ascoltando "Gli spietati" by Baustelle)

 Quando andavo alle superiori (mi pare) uscì al cinema il film che consacrò Ben Affleck quale sex symbol e Liv Tyler grande gnocca dagli occhi azzurri (all'apice del suo fulgore prima della sua prematura fine cinematografica): si trattava di "Armageddon".
Taaaa taaaaa taaaaa taratata taaaa taaaa, ve la ricordate quell'intro monumentale della colonna sonora firmata Steve Tyler? Probabilmente sì ed è l'unica cosa vagamente memorabile di quel blockbuster osceno.
 Per chi avesse avuto la ventura di rifuggirlo, vi rammento la trama, frutto indubbiamente di menti sopraffine.
 Un asteroide punta dritto sulla terra, minacciando di distruggerla, ma pochi impavidi di cui fanno parte ovviamente un nero e un figone fidanzato con la figlia del capospedizione (miliardi di persone sulla terra, due parenti sulla stessa navicella, ma vabbeh), possono piantare una specie di megabomba direttamente sulla massa rocciosa in volo per distruggerla (o deviarla non mi ricordo).
 Tra una tragedia familiare e degli effetti speciali a dir poco pacchiani (ricordo ancora la scenografia dell'asteroide, agghiacciante), il filmone con tanti effetti speciali, buoni sentimenti e una grande storia d'amore, aveva assicurato incassi monumentali e una profondità d'animo pari allo zero carbonella.
 L'immagine inquietante di Ben Affleck che piange salutando il suocero morente sulla massa interstellare, mi risuonava pericolosa mentre leggevo "L'uomo di marte" di Andy Weir ed. Newton. 
 Nonostante le mie riserve sulla casa editrice, la trama mi attirava: può un uomo dimenticato su Marte da una missione spaziale, sopravvivere finché non viene spedito qualcuno a salvarlo?
Io non sono mai stata una fan delle navicelle spaziali e non capisco niente di astrofisica, ma istintivamente la mia risposta mentale era stata: assolutamente no.
 Ciononostante, come esca ben attaccata, mi si rassicurava che l'autore aveva dimostrato come fosse fattibilissimo. 
Così, complice il fatto che un mio amico ne era in possesso, mi sono accinta a leggere questo strano libro
 Strano perché mentre lo leggevo potevo chiaramente vedere l'ovvio blockbuster in stile "Armageddon" che ne sarà inevitabilmente tratto (già opzionato da Ridley Scott, avviso), come se l'autore, al suo primo libro, tra l'altro, l'avesse scritto o col chiaro intento di puntare al cinema o (più probabile) con una vasta cultura di polpettoni fantascientifici di bassa lega e tanti effettoni speciali al suo attivo.
 Ripercorriamo la trama, di modo che voi non commettiate il mio stesso errore e teniate giù le manacce tentati da chi vi assicura che 'sto libro è una figata.
 Il protagonista, un ingegnere con la passione della botanica, è un astronauta che viene creduto morto dai suoi compagni durante una tempesta di polvere nei primi giorni di permanenza su Marte (è il terzo viaggio che l'umanità fa lassù, siamo dotati di navicelle assurde, tecnologie fantastiche per la sopravvivenza interstellare, ma sulla terra è come se fossimo fermi al 2010 più o meno). Quando si risveglia è solo, gli altri sono partiti e a lui non rimane che una sorta di base spaziale in cui vivere solitario finché, cinque anni dopo, non tornerà la prevista spedizione. Ce la farà?
 Allora, l'unico punto di forza di questo libro è che dimostra scientificamente come un uomo, premesso che sia botanico e ingegnere, possa davvero sopravvivere su Marte, ammesso che abbia una sorta di gigantesco bungalow spaziale dove vivere. Ci sono tutti i dati scientifici, ogni cosa viene descritta minuziosamente, dalla coltivazioni delle patate sul suolo di Marte, ai pericoli atmosferici, dalla comunicazione in morse col pianeta terra all'aggancio degli alimenti straordinari da parte della nave madre. Una cosa, per quel che posso capire io, davvero scientificamente inattaccabile.
 Il peggior punto di debolezza di questo libro è proprio questo: pensare che la lotta dell'uomo contro un nemico inimmaginabile, si riduca ad una serie di dati scientifici. Nessuno dei personaggi di questo blockbuster cartaceo ha un'anima, un travaglio, una paura, un dubbio o un terrore
Alla fine di questo libro non sopporterete più le patate.
Ah voglio ricordare come altro memorabile momento quello
in cui gli scienziati cinesi collaborano con quelli americani
senza l'autorizzazione del governo. Sì, sto ancora ridendo
Dire che essi, dal capitano che ha lasciato un uomo vivo su un pianeta deserto, allo stesso protagonista, (di cui sappiamo solo che è senza famiglia e un bonaccione che non si intristisce mai, neanche quando sa di essere spacciato, dissidio interiore, paura e solitudine nun ve temo) sono come dei bambolotti con la futura faccia plastificata di un attore famoso, è molto riduttivo.
  Neanche la paura è presente, sappiamo solo quante patate possono crescere su Marte in un mese, che sarà anche interessante, ma, da un tale titanico scontro uomo-natura, una si aspetta altro
 Eppure l'archetipo dell'uomo o della donna che, soli, combattono contro un destino avverso e gigantesco, è enorme nel nostro immaginario.
 Quasi in contemporanea, mi è capitato di leggere un romanzo assai meno corposo e assai più doloroso, struggente, scientifico (benché vi sia qualche accenno vago ad una specie di ematologia fantascientifica), in cui c'è tutto l'abisso che può intercorrere tra questo blockbuster senz'anima e una storia vera: parlo di "Io sono leggenda" di Matheson.
 Non si può fare un paragone, perché il primo è una storiella che, film di Ridley Scott permettendo, tra un annetto o due non troveremo già in libreria, il secondo un capolavoro. Però è interessante vedere come il punto focale dell'eroismo solitario possa essere così differente. 
 Nel caso dell'uomo su Marte è uno sterile sfoggio di conoscenze e bonaccitudine al limite dell'idiozia (perché se non ti rendi conto di essere sull'orlo della morte, non sei incosciente e ottimista, sei principalmente stupido) che, come cantavano i Baustelle è uno che "Vive così senza pietà, senza chiedersi perché, come il falco e la rugiada e non dubita mai". 
 Ciò si vede in definitiva leggendo, è un mondo maestosamente deserto e avverso, ma solo esterno, una natura che ha a che vedere con un uomo si potrebbe dire pericolosamente medio, senza nessuna capacità di analisi, senza nulla che non sia la sua passione per le patate che non oppone nessuna resistenza. Non ha paura, non sente l'ignoto come avverso, si sente dominatore perfetto del pianeta (lo percorre in lungo e largo, recupera sonde spaziali, fa giretti, coltiva), non ne è mai dominato. Il mondo esterno perciò non ha nessun influsso sul suo mondo interiore.
Ho letto un'edizione così vecchia che si
intitolava "I vampiri", indegnissimo titolo
italiano dell'epoca
 Nel libro di Matheson c'è un uomo che ha visto morire tutti i suoi amici, la sua famiglia, il suo mondo e solo rimane a combattere, senza neanche sapere per cosa lo stia facendo, c'è l'analisi di una solitudine estrema, così enorme da non lasciare scampo
 Il protagonista, ultimo sopravvissuto tra gli esseri umani, di fronte ad una nuova "specie" non riesce in nessun modo ad adattarsi e vive dolorosamente sospeso: non può tornare indietro, ma è incapace anche di andare avanti, di sentirsi come gli altri. Non può arrendersi, ma non può dominare, è il mondo che infine lo domina, il mondo interiore che prima soverchia e poi decide di sacrificarsi a quello esteriore.
 Vi chiederete: perché paragonare due libri tanto abissalmente diversi?
 La mia risposta è una: perchè, come si potrebbe dire, ognuno ha gli eroi che si merita e generalmente gli esseri umani si dividono al riguardo in due gruppi ugualmente popolosi.
 Il gruppo di chi va avanti, senza pensare, senza un dubbio, senza una domanda, incapace di elaborare ciò che gli si mostra in qualcosa di più profondo e che pensa sia eroico non avere mai paura, non cedere, dominare sempre.
 E un gruppo di chi invece di domande se ne fa anche troppe, a costo di soccombere, incapace di  perché incapace di allinearsi ad un nuovo mondo. 
 Tu da che parte stai: stai dalla parte di chi si salva da Marte o di chi diventa carne per semivampiri? 
Nessuna delle due, avviso, è un gran vivere.

domenica 15 marzo 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Barbaricini"

Anche questo fine settimana ho prodotto solo una vignetta, in compenso oggi sono stata al Cartoomics di Milano che molto mi è piaciuto.
 L'anno scorso io e la mia dolce metà eravamo quasi soffocate immerse in una folla che a dir poco smells like teen spirit (non so, forse era pure rotta la ventola), quest'anno tutto mi sembrava organizzata meglio e forse uno pseudosciopero dei treni ha fatto che sì che la ressa fosse assai minore.
 Vabbeh, avrete una bel resoconto non appena lo laboro me lo concederà.
 Intanto godetevi la vignetta della settimana. Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Barbaricini".



venerdì 13 marzo 2015

Di cosa parliamo quando parliamo di narrativa rosa. Perché un'autrice donna che scrive d'amore e di cibo è per forza rosa rosa e un autore uomo scrive d'amore e di sicuro ironico? La vittima più illustre di codesto pregiudizio: Fannie Flagg.

Che esista la sezione di narrativa rosa questo lo sappiamo tutti. 

Che in questa sezione vengano stipati libri che potrebbero stare solo lì anche perché nella stragrandissima maggioranza dei casi sono stati scritti non su ispirazione, ma su commissione, per rispondere alle esigenze di un vasto pubblico pagante che adora il genere sappiamo pure questo.
 Non farò la Catone il censore della situazione perché lo trovo stupido: se l'editoria è anche un'industria e si riconosce un bacino di utenza altocomprante, perché non dar loro quello che vogliono? Perciò io non sono così ipocrita da dire che certe cose non dovrebbero essere stampate.
 Se le sciure e le ragazzine (e qualche uomo) amano il genere è giusto che abbiano quanto richiede, del resto se la vediamo da una certa ottica pure le storie di Lancillottp-Ginevra e re Artù possono essere viste come una telenovela ante litteram (peraltro, a prestissimo un posto sull'argomento).
 Ciò che non sopporto è che avvengano due cose:
1) Gli scrittori maschi che pure si applicano al genere, in ragione del loro sesso di appartenenza non vengano infilati nel settore ma nella narrativa "seria".
2) Che al contrario scrittrici donne serie vengano infilate nella narrativa rosa solo in quanto donne.
 Il secondo caso diventa ancora più spinoso nel momento in cui tali autrici donne si azzardano a parlare di cose ritenute prettamente femminili come l'ammmmore, la passione e la cucina.
Dalle sue foto su internet, Fannie Flagg sembra essere esattamente
come immagini dai suoi libri: molto allegra, molto ironica e
molto folle.
 Ho visto colleghi infilare Catherine Dunne nella sezione rosa e Moccia vicino a Moravia, ma, se è vero che noi non possiamo conoscere tutte le trame e quindi capita di errare, non comprendo come possano prendere cantonate i giornalisti che recensiscono i libri.
 Questo post è infatti nato dopo che questa mattina ho letto un articolo lancio per un libro, bellissimo, dato in allegato con il Corriere della sera: "Pomodori verdi fritti alla fermata di Whistle" di Fannie Flagg, al secolo Patricia Neal.
 Molte e soprattutto molti purtroppo non conosceranno questa deliziosa autrice del sud degli Stati Uniti dal cui libro più famoso fu tratto anni fa un grazioso film che tradiva però molto il senso (non però le atmosfere, ben rese) del libro.
 Mi ricordo che "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno" era uno dei film di un pacchetto acquistato da la7 e credo prima ancora Tmc che di tanto in tanto lo riproponeva con gran gioia di mia madre che, essendo una donna con un gusto un po' particolare, amava il pezzo del braccio mancante del figlio di Ruth, trovandolo particolarmente poetico.
 La storia, per chi non la conoscesse, ma vi caldeggio ampiamente la lettura, parla dell'amicizia e poi dell'amore (nel film solo accennato, ma nel libro perfettamente esplicito) tra due donne, Ruth e Idgie. Ruth è dolce e buona, all'inizio ha una cotta per il fratello maggiore di Idgie, che è una ragazzina letteralmente scatenata, ma questi muore sotto le rotaie di un treno. Dopo la disgrazia si sposa con un tizio che sembra tanto a modo e invece si rivela dedito alla violenza domestica, passano gli anni Idgie cresce e scopre l'inferno in cui vive l'amica.. 

Nel frattempo, poiché siamo negli anni '20-'30 nel sud degli Stati Uniti, la tensione razziale è altissima, i neri vengono trattati come bestie, i razzisti (anche sotto le vesti del Ku Klux Klan) imperversano violenti senza punizione e con vaga riprovazione e non tutte le loro vittime sopravvivono.
  Ci sono soprattutto due personaggi che scompaiono dal film (in cui peraltro viene stravolto il finale e vanificata gran parte della trama), e sono fondamentali per la descrizione del contesto di odio razziale: sono i gemelli Jasper e Artis, figli di una coppia di colore, nascono il primo con la pelle più chiara e il secondo nerissimo.
 Vivranno la loro vita in modi diametralmente opposti: il primo calmo e ligio al dovere si costruirà una famiglia, il secondo, dall'indole inquieta rinfocolata dal razzismo che lo circonda, cercherà la pace in troppi luoghi sbagliati, nella città, nel jazz, nelle donne. Ma non c'è pace per chi non è capace di trovarla.
 Ebbene questo libro, scritto deliziosamente, che riesce ad unire la leggerezza di una piccola comunità molto unita, destinata alla fine a causa dell'imminente progresso tecnologico, ai travagli emotivi di una donna moderna che non riesce ad esserlo abbastanza, alla storia di quello che fu (e che è in parte ancora) il razzismo e la segregazione razziale nel sud degli Usa. Il tutto descrivendo una storia d'amore tra due donne con grazia, senza essere mai pedante o didascalica.
Ebbene, questo libro viene spacciato, anche grazie ad articoli come quello del Corriere, per qualcosa che non è: storia d'ammore (con uomini morti in questo caso) e di cucina. Lasciando così intendere che se sei donna e speri di scrivere di cose serie appoggiandoti al cibo e ad un linguaggio che è fintamente leggero, sei destinata a finire solo nelle mani della sciura di turno.
 Fannie Flagg è davvero un caso limite e particolare, ma apre a varie domande: cosa rende un libro un tomo di narrativa rosa? Basta la storia d'amore? Basta la presenza di un principe azzurro? Bastano i bei vestiti o il cibo?
 Dov'è esattamente il confine tra una trama per donnine festanti e amanti degli Harmony e quello delle romantiche che amano Mr Darcy e quindi fondamentalmente Jane Austen?
 Dumas scriveva romanzi d'appendice ("Il conte di Montecristo" farebbe invidia agli sceneggiatori di "Sentieri"), il figlio ci ha lasciato quel dramma coi fiocchi che è "La signora delle camelie", storia di amore, tradimenti, prostitute redente e morte.
 La risposta è ovviamente una: la differenza sta nel modo in cui le storie vengono scritte.
 Anche "L'insostenibile leggerezza dell'essere" è una storia d'amore drammatica, anche "Anna Karenina" parla di una donna innamorata, anche "Il dottor Zivago" assomiglia, in molte parti, alla sceneggiatura di un soggettista perverso (tutta la steppa russa, dieci personaggi che si incrociano di continuo manco abitassero a Vigevano).
Ho letto ben due libri di Federica Bosco
(ai tempi, inizio liceo) e non vedo la
differenza con le trame di Fabio Volo. Ma
proprio nessuna.
 Il punto è che per saperlo bisognerebbe leggerlo il libro, solo che molte e molti si precludono tale possibilità perché pungolati in una serie di inconsci pregiudizi. Intendiamoci, anche io mi perdo delle perle perché me le ritrovo sotto titoli, forme, copertine e settori sbagliati, non sono mica immune (e intendiamoci bis ci sono libri che PALESEMENTE non sono perle: quelli scritti con un intento specifico o su commissione come scrivevo all'inizio): 
Tuttavia, il caso della narrativa rosa diventa particolarmente odioso perché non esiste una narrativa blu, perchè si dà per scontato che un uomo scriva solo cose serie o se non serie di sicuro ironiche e divertenti. Non trovo altra spiegazione sul perché libri di gente come Volo o Cattelan invece di starsene tranquilli vicino alle loro omologhe donne, anche italiane, come la molto venduta Federica Bosco, nella narrativa rosa, vivano felici ne
 Voi direte: in libreria ci lavori tu, mica noi.
  Ma il punto è ancora più a monte: il pubblico che legge queste cose protesterebbe nel trovarlo nella narrativa rosa, perché suvvia, va bene tutto, ma sono ironici e sensibili maschi, non smielate donne sognatrici.
 Se pensate che mi stia facendo troppi problemi, cercate Fannie Flagg, leggetela e ne riparliamo. Poi, se avete tempo da perdere leggete un libro di Fabio Volo e uno di Federica Bosco. Se trovate una differenza che è una, a parte il sesso dell'autore, fatemi sapere.

giovedì 12 marzo 2015

Un pomeriggio di ordinaria follia. Ciclisti indisciplinati, Mario Merola, Tolkien, elfi e preti nel tragico fumetto: "La lingua elfica in città"

Uno dei motivi per cui raramente finisco per andare a presentazioni ed eventi che promettono anche di essere interessanti è che c'è un 80% di comprovate possibilità che essi mi deluderanno.
 Nonostante ciò, certe volte so che devo andare, un po' per il blog, un po' per me stessa, un po' come nel caso del fumetto per prendere aria.
 Il fumetto realmente avvenuto è la fedelissima trasposizione di quanto avvenutomi mercoledì. Un pomeriggio di ordinarissima follia che ha rinfocolato il mio livore di pedone verso i ciclisti che saranno per carità ecologicissimi, ma rispettassero una regola stradale che è una.
 Lo dico senza tema in quanto pedone regolarmente vessato sui marciapiedi.
 Tutto il resto è Tolkien, perciò beccatevi questo "La lingua elfica in città" e olè.



mercoledì 11 marzo 2015

Siamo davvero ciò che indossiamo? Un excursus culturale con grande sorpresone a righe per difendere la libertà di vestirci come ci pare, ma anche per renderci conto che è la cultura che ci suggerisce cosa è giusto indossare. Guerriere, regine, re, fiocchi, eroi, lana e diavoli per una simbologia che non accorgiamo di portare.

Ieri, mi ero svegliata, i casi della vita, con l'intento di fare un bel post (che slitterà a domani) sui libri dedicate ai libri sui personaggi storici e mitici femminili romani e greci poco conosciuti.
 Tuttavia, mentre postavo robe su fb mi si era palesato un articolo in cui alcune maestre d'asilo di Trieste venivano messe alla gogna dai cosiddetti benpensanti: pensate che per un giorno, 'ste povere donne, hanno pensato di non far colorare i bambini nei contorni o di controllare se si stessero prendendo a sassate in cortile (cosa che avveniva comunemente nel mio asilo, io ricordo di aver inseguito un mio amichetto con la pompa dell'acqua per due giri di asilo), ma di far vestire i maschi da principesse e le femmine da cavalieri.
 Scandalo. Ora, siccome sono stufa di questa cretinata del vestiario che traumatizza i bambini innocenti e candidi, ho deciso di scrivere un post che spero molta di questa gente evidentemente ignorante, legga.
 Qualche anno fa, nonostante abbia frequentato un ateneo gigantesco, mi ritrovai, al primo semestre, ad avere un solo corso di sociologia dei processi comunicativi da seguire (unico esame di sociologia fatto, classico esame riempicrediti che ti tocca fare e pure cicciuto): tutti quelli su editoria e affini iniziavano nel secondo e a me non restò che lui, un corso in storia e cultura della moda.
 Iniziai che volevo suicidarmi, Vi lascio immaginare il mio profondo interesse per il campo di ricerca. Tuttavia, vuoi che mi diedero una cosa come dieci e dico dieci libri da studiare, vuoi che l'esame era davvero impostato bene, in realtà mi rendo conto, che, negli anni, mi ha dato materiale critico per vedere con occhi completamente disincantati tutto ciò che riguarda l'abbigliamento.
  Non studiai infatti l'ultima collezione di Armani bimbo, ma come il vestiario sia esclusivamente un mero atto culturale.
 Siamo noi che culturalmente decidiamo che una gonna sia da femmina e un pantalone da maschio (come è stato abbastanza evidente nella storia), siamo noi che boh, abbiamo deciso che il rosa sia un colore da femmina e il blu da maschi (come se potesse un colore essere sessuato) e che imbellettarsi e truccarsi leziosamente sia una roba da femmine. Se guardiamo i quadri del re Sole, uomo che, basta leggere il recensito "Amanti e regine" in quanto ad eterosessualità non si faceva certo parlare dietro, vediamo un uomo imparruccato, infiocchettato e truccatissimo. Cosa direbbero gli attuali difensori della morale? Metterebbero il destino delle loro genti in mano ad un uomo evidentemente, secondo i loro parametri culturali, ambiguo?
 Non credo. Eppure l'infiocchettato re fu il più grande rappresentante dell'Ancién Regime.
 Perciò, visto che ormai mi pare che certa gente stia perdendo il lume della ragione, farò un breve elenco di personaggi e autori che hanno vestito panni considerati dell'altro sesso e darò loro pure la stilettata finale. Sciure religiose che vi coprite di righe, preparatevi a soffrire. 

DONNE GUERRIERE: 
Esempio di donna vestita con armatura scintillante, da cui mi sono pure travestita ai tempi delle scuole medie per un carnevale, che invece di stare a casa a cucinare e sottomettersi, pugnava in battaglia felice e festante, fu indubbiamente SANTA Giovanna D'arco. Una bambina non può avere come esempio santo una donna che ha salvato la Francia? Oppure l'armatura di Giovanna era rosa fucsia e ornata di merletti e noi non lo sappiamo? Perché dalle fonti storiche non risulta, anzi uno dei motivi per cui fu mandata al rogo fu per aver compiuti atti illeciti non consoni al suo sesso (vestirsi, tra le altre cose, da uomo).
 Altra donna guerriera a farle compagnia è Camilla, la vergine cantata da Eneide che fece strage di troiani finché il suo amore femminile per il gioiello la tradì rendendola ingorda. E dire che il padre l'aveva fatta crescere nei boschi giocando con spada e giavellotto consacrandola alla dea Diana.
 Ne "la Gerusalemme liberata" poema scritto da Torquato Tasso, uno che per il dissidio interiore con la chiesa cattolica uscì letteralmente pazzo, quindi non un eretico folle, guerreggiano sia nella fila dei crociati sia in quella degli arabi, due donne molto etero, ma anche molto combattive: Clorinda e Bradamante.
 E che dire di Yde, personaggio della Chanson de Roland che combatte vestita da uomo e a cui poi viene dedicato un poema di rara ambiguità in cui viene scomodata la volontà celeste pur di risistemare un'insistemabile faccenda (Yde viene data in "marito" alla figlia dell'imperatore e malgrado siano entrambe felici della cosa una era del sesso sbagliato per l'epoca).
 E tanto per dire, persino la Disney ha fatto crossdressing: ve la ricordate una certa Mulan che si traveste da uomo per salvare il padre dal servizio militare e infine salva la Cina? "Mulan" nella lista nera, subito!
  Se siete curiose e curiosi di esempi di donne costrette o felici di indossare abiti maschili vi caldamente consiglio il bel "Svestite da uomo" di Valeria Palumbo ed. Bur, quante cose scoprirete, che nulla hanno a che vedere coi bambini all'asilo.

UOMINI CHE FILANO E SFILANO:
Rrose Selavy
Una delle credenze più diffuse vuole che il crossdressing o travestitismo sia proprio o di donne desperade o di uomini gay, quest'ultimo pregiudizio probabilmente perché in troppi hanno l'errata idea che gli omosessuali abbiano in realtà confusione riguardo l'identità di genere.
 In realtà anche comprovati etero si diedero al crossdressing per motivi altri.
 Achille eroe muscoloso (e ok, bisex), si travestì da donna per fuggire alla guerra di Troia, mescolandosi con delle ancelle finché viste apparire le armi capì che ok, ci rimetteva la vita, ma vuoi mettere la gloria?
 E in quanti sanno che Eracle comprato come schiavo da Onfale, regina della Lidia, la servì fedelmente generando con lei tre figli, conducendo varie imprese guerresche, ma anche vestendosi da donna e filando per lei la lana?
 Marcel Duchamp aveva un alter ego donna, Rrose Selavy, da cui si travestì numerose volte e di cui ci rimangono vari scritti a sua firma. Legato ad una volontà di totale rottura degli schemi, lo stesso nome di Rrose è parlante (Eros c'est la vie) ed è un chiaro uso di simboli culturali in modo ironico e sovversivo nei confronti di una società normata. Se conosci gli strumenti puoi combatterli.
 Su wikipedia c'è poi una vasta letteratura per quel che riguarda i poemi dei paesi nordici e orientali, ma non mi sento di dissertare sull'argomento. Vi basti sapere che più di un eroe si è travestito nelle sue varie epopee.

STOFFE MALVAGISSIME:
 Tu amabile sciura di famiglia che gira con una maglietta con lo scollo a barca e ti credi tanto francesina, tu uomo virile e rampante indignato dal fatto che le maestre pretendano da tuo figlio che usi il tulle per una mattina della sua vita e intanto ti metti una bella giacca a righine nere, tu mamma solerte e sempre in preghiera che hai comprato un vestitino tanto carino e pieno di fiocchi a righe bianche e rosse, lo sapete che state usando LA STOFFA DEL DIAVOLO?
 Michel Pastoureau, autore di splendidi saggi sul medioevo e sul significato simbolico dei colori (il più famoso dei quali è "Blu"), ha scritto una storia dei tessuti rigati nella società occidentale, "La stoffa del diavolo" ed. Il Melangolo.
  Voi non lo sapete, ma quando vi sentite tanto eleganti coi vostri begli abiti a righe in realtà state indossando abiti storicamente appartenuti alle parti più bistrattate dalla società. Sapete tutti quei bei versetti a cui si rifanno gli integralisti? 
 Ebbene, il Levitico, ci rivela Pastoureau, ne ha anche per loro: "Non indosserai veste tessuta di due" (che poi se lo prendiamo alla lettera, anche il misto lana diventa peccato). 
La cosa, legata in parte alla fissazione ebraica della non mescolanza delle cose, secondo Pastoreau derivava anche dal fatto che un doppio colore impedisce di capire quale sia il vero fondo della stoffa, così in quanto cosa ambigua diventa malvagia. Chi si vestiva allora del tessuto favorito dal demonio?
 I bastardi, le prostitute, gli zingari e tutte quelle categorie considerate marginali nella società. Bisognerà aspettare che i re di Francia si sentano particolarmente modaioli perché le righe diventino da stoffa diabolica, un tessuto assai pregiato e di buongusto. Quindi, sciura, ti pongo questo enigma: ha ragione il Levitico o la moda? Voglio vedere come la metti.
 Da leggere per capire quanto siamo stupidi a credere che se ad un bambino piace il rosa dobbiamo gridare alla tragedia e allo scandalo.

Come si evince da tutte le storie ci sono vari motivi per cui personaggi e persone di entrambi i generi facciano del cosiddetto crossdressing e non sono tutti legati all'orientamento o all'identità sessuale, anzi.
 Il fatto che numericamente sembrano esserci state più donne che uomini dediti a tale pratica è una chiara spia della connotazione culturale del vestiario: fingersi un uomo, in un mondo che è sempre stato dominato quasi solo da uomini, voleva dire essere libere di viaggiare, lavorare, muoversi, scrivere, dipingere, voleva dire vivere riuscendo a sfuggire alle gabbie imposte dal ruolo di genere voluto dalla società.
 Al contempo, essere donne appropriandosi di simboli culturali maschili voleva dire appunto non vestirsi da uomo per sembrare un uomo, ma per  assumere i ruoli del potere storicamente e culturalmente riservati agli uomini.
 Lo dice anche in un'assai travisata frase, Judi Dench interpretando la regina Elisabetta I in "Shakespeare in love" (peraltro tutta una commedia sul topos delle mentite spoglie maschili) dice una battuta:
 "Io ne so qualcosa di donne che fanno un mestiere maschile, sì, buon dio, lo so e molto bene"
 E la regina da lei interpretata non non si veste da uomo e mantiene i suoi regali gioielli e vestiti, ma rifiuta un altro ruolo tipicamente femminile della società: moglie e madre. Che l'abbia fatto a malincuore per mantenere la libertà o ben felice non possiamo esattamente saperlo, di certo la sua erede Vittoria, molti anni dopo, non fu costretta a simili drastici provvedimenti e si sposò regnando indipendente e felice.
 I costumi della società cambiano, anche quelli che indossiamo, chissà che grasse risate si faranno un giorno gli uomini del 2300, che se ne andranno in giro imbellettati e infiocchettati come il re Sole e penseranno a quanto erano effemminati gli uomini del 2015, visto che nella loro cultura i vestiti virili di ora verranno riattribuiti al genere femminile. Io in realtà spero che tra 500 anni avremo smesso di baccagliare di cose del genere.