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martedì 7 aprile 2015

Dove eravate tutti? L'adolescenza che non viene raccontata nelle storie precofenzionate degli esordienti italiani, l'atroce dubbio e qualcuno che finalmente risponde. La recensione di "Comunque vada non importa" di Eleonora Caruso.

 La mia adolescenza, a tratti piuttosto funesta, come quella della maggior parte delle persone che non mostrano tratti particolarmente vincenti nella società dello splendore, ha avuto uno spartiacque più o meno all'età di sedici anni.
Tipico sfigato nell'esercizio delle su funzioni. Facilmente
identificabile grazie all'immancabile zaino fuori moda.
 Cicciotta e moderatamente sfigata, in fase asessuale (Chi sono?Dove sono?Perché sono?) piena nonostante i capelli a spazzola e dei vestiti discutibilissimi che prevedevano pantaloni coi tasconi e strane polo (dall'università in poi tale abbigliamento è stato abolito) venivo vessata senza tanti complimenti da quelli che erano i miei "amici" del gruppo scout. 

 Siccome l'attitude della vittima che subisce in silenzio non ce l'ho mai avuta, a un certo punto, verso i quindici anni e mezzo un pomeriggio mandai tutti a quel paese e decisi di rifarmi una vita. A sedici anni, insomma, ne hai tutto il tempo e il modo, se ti va.

 Fortunatamente per me avevo una sorta di telo di salvataggio, ossia un gruppo di teatro che frequentavo con grande fervore al liceo, formato da un gruppo di sfigati degno di Glee.

 Ora, perché alle superiori venga considerato vergognoso e disprezzabile darsi alla nobile arte della recitazione io non lo so, magari le cose sono cambiate, ma all'epoca fare uno spettacolo di fine anno in costume veniva considerato uno stigma sociale da evitare accuratamente (a parte negli ultimi giorni di scuola quando venivi giustificato ad assentarti nelle sonnolente ore di indefesse interrogazioni per le prove generali).

 In realtà il gruppo di teatro non era per niente formato da sfigati, anzi, scoprii che oltre le vessazioni degli scout c'era molto di più e quel più era per me rappresentato principalmente dall'amica che, nel pomeriggio in cui avevo deciso di rifarmi una vita, mi disse "No preocc, ti porto con me". E mi ci portò sul serio, inserendomi seduta stante nel suo consesso di amicizie fricchettone dedite al veganesimo precoce assai più che alle canne.

 Da allora la mia adolescenza divenne assai più colorata, divertente, migliore.

 Quello fu un episodio che pose uno spartiacque fondamentale, mi resi conto che al mondo potevano esistere gruppi di persone diversissime tra loro, che l'ignoto è alla stessa portata del noto se si fa solo uno sforzo per vederlo.

In questi giorni ho finito di leggere "Comunque vada non importa" di Eleonora Caruso Indiana edizioni, esordio ormai attempato (è del 2012) di una giovane autrice che si è fatta le ossa a suon di fanfiction e che, basandomi sulla datazione dei cartoni animati nominati, dovrebbe avere tra i 25 e i 30 anni.

 Dunque, raramente leggo esordienti, non per snobismo, ma perché prima di concedere il mio tempo a qualcuno che nessuno ha mai conosciuto, tendenzialmente preferisco che qualcuno ne abbia un'idea prima di me. Gli esordienti italiani hanno poi secondo me un grande difetto comune; raccontano solo ciò che si vede.

 Mi spiego meglio. Le storie raccontate dalla maggior parte dei libri italiani che escono quotidianamente, si somigliano un po' tutte. 

 Se non sono storie d'amore abbastanza lineari, sono storie di malattia abbastanza lineari, se non c'è il classico dodicenne con famiglia disadattata che ci fa vedere com'è fatto il mondo dal suo punto di vista, c'è la rievocazione storica degli anni '70 (ci avevo fatto anche un post al riguardo).

 Dagli esordienti io mi aspetto che esordiscano in effetti, che mi sbalordiscano e a questo punto neanche eccessivamente. 

 Forse ormai mi aspetto che mi mostrino dov'è finita la realtà.

  Quello che mi viene da dire infatti quando leggo le quarte di copertina di esordienti italiani che renderemo dopo poche settimane (secondo i post che leggo su internet, impedendo loro di vendere, secondo me, proprio perché invece non stanno vendendo) è: dove siamo finiti tutti?

 Perché se la letteratura è anche ritrovarsi tra le righe di un libro, ebbene, io in mezzo a trame per la maggior parte artificiose e pretenziose (mi riferisco ovviamente ai libri che formalmente almeno sono scritti decentemente) non mi ci ritrovo per niente.

Mi dicevano che avrei avuto voglia di rivedere Evangelion dopo
aver letto questo libro. Confermo.
 Il libro di Eleonora Caruso esce finalmente da questa logica perversa. 

 Non ha una trama stupefacente (non ha trama in realtà), ma almeno è originale. 

 Mi ha fatto ricordare tutto quel periodo della mia adolescenza a base di cartoni animati su Mtv, vhs di Evangelion ostinatamente registrati nonostante le rimostranze paterne, gite in fumetteria, notti passate a dormire dall'amica sovracitata nei ricordi immaginando le milioni di cose che sarebbero successe nella nostra fantasmagorica vita.

 Mi ha mostrato che non avevo avuto le allucinazioni, qualcuno, oltre Zerocalcare, aveva avuto la mia stessa adolescenza.

 La storia della Caruso ha per protagonista Darla, una sorta di hikikomori, che passa il suo tempo in casa ad avercela con tutto il mondo, dal fratello al padre, dalla madre defunta alla sua ex migliore amica. Nichilista moderna, non ha né una vera misura dello stato in cui la riduce il suo malessere, né una vera idea del perché si senta così.

 Non studia davvero, non ha mai lavorato e considera suo fratello Andrea, gay, fidanzato con uno studente di lettere antiche di rara bellezza e malato di bulimia, la metà complementare della sua giovane e abulica vita, tanto che il cambiamento si innesca in lei solo nel momento in cui lui (che non appare mai realmente nella storia) verrà ricoverato in un centro.

 Sola per la prima volta in vita sua, tenta maldestrissime mosse di riordino della propria esistenza, non azzecandone neanche una.

 La storia, che, a mio parere perde un po' di tensione e di smalto nel climax finale (troppe disgrazie tutte insieme) ha però dei grandi pregi:

1) E' talmente infarcita di riferimenti generazionali che se siete nati negli anni '80-inizio anni '90 vi sarà impossibile non innescare una ruota di ricordi che Radio Nostalgia al confronto è roba da principianti (se  eravate dei nerd in erba l'effetto sarà decuplo) e, come ormai avrete capito, uno dei grandi motori di quella generazione è appunto la nostalgia precoce. 
 (Se siete più grandi o più piccoli di quella specifica fascia generazionale potreste però trovarlo incomprensibile o, al contrario, una sorta di documento sociologico).

Molto carino il pezzo ambientato alla fiera
del fumetto, con tutta la descrizione dell'isteria
generale e del vestiario della sua amica ormai dedita
alla moda giappo estrema.
2) Ho amato moltissimo il rapporto tra Darla e la sua amica Miku, finalmente una roba che non pare uscita da un orrido film tv. 

 Migliori amiche a quindici anni, si perdono di vista col passare del tempo e della minore frequentazione.

  Miku diventa una di quelle Gothic Lolita che si vedono in Italia solo alle fiere del fumetto, Darla rimpiange il momento in cui l'ha conosciuta, capelli verdi e libertà assoluta, a quindici anni.

  Mi ha ricordato quegli istanti che puoi collegare solo alle persone che hai conosciuto da giovanissima, quando scappavi dai bulli scout come me, o dalla terrosa provincia di Novara con polli e more, come lei.

Infine, il pregio più grande di questo romanzo è l'avermi dimostrato di non aver avuto le allucinazioni. 

 Dai resoconti plasticosi, quasi copiati ai telefilm americani, che fanno di questo illustre periodo la maggior parte dei libri normalmente in uscita, mi stava venendo il dubbio di essermi inventata tutto.

 Quindi la realtà esiste davvero, c'è qualcosa oltre il noto preconfezionato, oltre le trame della provincia addormentata, della noia, della mancanza di passioni, delle famiglie disfunzionali e dei rapporti inquietanti con gli amici. C'è gente che ha avuto un'adolescenza normale, con i suoi traumi e le sue passioni, i suoi riferimenti culturali e i suoi ricordi felici e infelici.

 Dove eravate tutti? Mi chiedevo.
 Finalmente qualcuno ha risposto.

4 commenti:

  1. Sono da tempo tentata di comprare questo libro, anche se, come nata nei tardi anni '70, forse non mi riconoscerei al 100% in Darla & C.
    In effetti nel mio caso "Evangelion" ha segnato il mio divorzio dall'animazione giapponese - Miyazaki e simili a parte -, anche se ho continuato per anni a registrare vhs da MTV solo per l'ebrezza di tutti quegli anime in tv, finalmente sdoganati dopo anni di pseudo-oblio-e-censura-mediasettari (che poi ne ho rivisti pochissimi, perché l'animazione nipponica degli ultimi decenni mi delude e mi lascia freddissima quasi sempre. Coi manga mi succede molto meno, boh).
    Comunque anche io, ai tempi delle medie, pur non facendo parte di alcun gruppo scout, e pur non essendo sessualmente confusa ma solo cozza, ho trovato i miei begli aguzzini tra i tanti bravi-bimbi-figli-di-papà-tutti-impegnati-con-l'agesci che erano i miei compagni di classe. Ne ho ricavato un sospetto imperituro per un certo tipo di associazionismo giovanil-religioso, che per me farà sempre rima con ipocrisia, come la famosa filastrocca - di cui ho avuto riprova sempre in quel periodo e sempre dai medesimi individui - che recita "Le figlie di Maria son le prime a..." (aggiungere il nome della protagonista del libro di cui hai parlato e l'incitazione che viene data ai partenti di una gara podistica dopo il "Pronti..." :P).
    Vabbè, poi per fortuna al liceo ho scoperto anche io che nel mondo c'era pure altro :)

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    1. A volte leggo commenti come questi e mi domando ma porcamadoro, questa persona ha la mia età, ha mezza biografia in comune con me, ma non potevamo essere compagne di classe alle medie perdio, che io fino a 20 anni son stata sola e deprezzata come una pepita di perovskite in un giacimento diamantifero?

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  2. Io, da adolescente, ero asessuata e mistica ai livelli di "Dolce Stil Novo" (non sto scherzando). Non ho subito episodi di bullismo, ma - che io mi trovassi nelle scuole pubbliche o all'oratorio - c'era sempre qualcuno che mi faceva pesare (più o meno volontariamente) la mia "diversità": il mio essere secchiona, il mio non interessarmi di moda o cosmetici, il mio non correre dietro ai ragazzi, il mio fervore religioso... (Sì, anche ALL'ORATORIO. Non scherzo). Se raccontassi gli ultimi anni della mia vita ai miei compagni d'adolescenza, stenterebbero a riconoscermi. xD

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  3. Conosco Eleonora da quando scriveva fanfiction - Evangelion non è mai stato il mio fandom preferito, ma il suo nome è parecchio noto a prescindere - e siccome mi piace leggere i romanzi di chi tra noi fanwriter "ce l'ha fatta", ho letto questo romanzo anche io. Non è che proprio mi sia rispecchiata, ma sì, una parte di me, quella che vede anime e scrive fanfiction, si è ritrovata perfettamente nella protagonista. Odiosa, per molti versi, eppure più reale di quanto si possa pensare.

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