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giovedì 9 aprile 2015

L'assai (per me) mysterioso legame che esiste tra gli esseri umani e gli animali. L'inquietante gatta Tommasina, il tenero Toby e infine il coraggioso Buck, che più di tutti ci ricorda che non basta indossare la pelle di un essere umano per esserlo davvero.

C'è una tipica scena che si svolge con frequenza abbastanza alta in libreria ed è la seguente.
Ho visto il film "Hachiko" con un mio cugino grande e grosso
che ha singhiozzato dall'inizio alla fine pensando al suo defunto
cane.
Un possessore di cane entra e inizia a girovagare col suo famiglio,  io prontamente ignoro entrambi e mi dedico alle mie cose e ad altri clienti, finché non avviene l'atto fatale: il cane si mette a far le feste o si rotola sul pavimento in un impeto di gioia tentando di attirare la mia attenzione.
 Il padrone, fiero della bonarietà della sua amata bestiola, mi fissa sorridendo in attesa che io risponda a cotanto amoroso richiamo. Purtroppo, non essendo mai stata un'amante degli animali (della natura in generale sì, delle bestie francamente no) e non ritenendo il mostrarmi festosa con tutti gli esseri viventi che incontro, un dovere previsto dal mio contratto di lavoro, mi limito a sorridere al padrone e al suo congiunto animale e mi dileguo.
 La riprovazione è molta, ma io non posso farci niente. Ammiro molto chi ama gli animali, penso di perdermi indubbiamente qualcosa nel non sentire un legame con gli animali domestici che incontro, tuttavia è più forte di me, io 'sto amore per il regno zoologico non lo sento.
 Probabilmente si tratta di una questione familiare visto che in tutti i vari rami della mia famiglia, gli unici animali da compagnia mai visti sono stati rari pesci, rarissimi gatti, un cane e un pappagallo azzurro. C'entra sicuramente mia nonna, che proviene dal magico mondo contadino, in cui gli animali sono animali, gli esseri umani esseri umani, massimo rispetto, ma scusate ora è Pasqua e vado ad ammazzare l'abbacchio. 
Anche per questo motivo ho sempre faticato a interessarmi a quella vasta letteratura dedicata agli animali pucciosi e tenerosi, alle storie di vita vissuta in cui felini grassi e saggi salvano la vita ai clochard (esiste, si chiama "A spasso con Bob", ha anche un seguito), o cani festanti rendono migliore la vita di una famiglia ( "Io e Marley").
 Ricordo anzi, con un certo fastidio, un giallo per ragazzi che tentai di leggere con ostinazione e nessun successo, in cui il protagonista era un gatto. Parimenti rimembro con una nota di inquietudine, degna di un film di Dario Argento, "Le tre vite della gatta Tommasina", film Disney che vedeva protagonista una gatta che a un certo punto moriva e resuscitava grazie alla Dea dei gatti, che, se ben ricordo, aveva le fattezze di un gigantesco telegatto.
 Grazie al cielo però, non molti scrittori e scrittrici nella storia, hanno avuto queste mie repulsioni. Virginia Woolf dedicò svariati mesi della sua vita a combattere con "Flush", libretto dedicato al cane della scrittrice Elizabeth Barnett Browning Nei suoi diari racconta di come lo avesse iniziato come divertissement per distrarsi dalla stesura di cose più impegnative e avesse finito per impelagarsi sul finale, che, nonostante i suoi sforzi, non risultava affatto convincente.
 Doris Lessing e Natsume Soseki hanno invece dedicato due libri all'amore per i gatti che mi risulta un po' più digesto di quello per i cani (devo dire per questo grazie ad un favoloso maine coon di nome Buddha proprietà di una mia ex coinquilina, meritevole di essersi attirato le mie  eccezionali simpatie e causa di un'epica gaffe con i genitori buddisti del fidanzato di mia sorella.
(Io: "Ho un gatto in casa, si chiama Budda"
Loro: "Budda???"
 "Beh, ma non è balsfemo, ho un amico che ha un gatto nero di nome Dio").
 Se fate una gaffe evitate di spiegarla, peggiorate solo le cose).
 Il primo è "Gatti molto speciali" dedicato ai gatti passati nella lunga vita della scrittrice, l'altro è "Io sono un gatto" in cui un felino troppo intelligente segue, perplesso, la vita della famiglia che lo ha accolto.
 In questi ultimi tempi mi è capitato di leggere a distanza ravvicinata ben due libri con protagonisti canini: il nuovissimo "Toby" di Gregory Panaccione ed. Comicout e "Il richiamo della foresta" di Jack London che avevo colpevolmente lasciato indietro dalla mia adolescenza.
Già apparso su "Animals" qualche anno fa, "Toby", narra le avventure di un omonimo cane di piccola taglia allegro e ingordo, che ama alla follia il suo padrone e non disegna corteggiamenti tanto furtivi quanto presto dimenticati di graziose cagnette.
I suoi pensieri sono tanto semplici quanto illuminanti, vede, quel che è assolutamente essenziale, senza malizia o sottintesi. Soffre quando il padrone lo lega fuori dal supermercato, paventando abbandoni, attende con la bava alla bocca quintalate di cibo, dimentica un secondo dopo i ragguagli del suo padrone dopo le sue disobbedienze. 
Per lui prova un amore assoluto e senza confini, l'amore della vita, fortissimo e inarrivabile, tanto da non lasciargli neanche lo spazio di pensare alla sua scomparsa. La morte per "Toby" non esiste, perché sì, forse tanti suoi amici sono scomparsi, ma non vuol dire certo che siano morti, (e soprattutto da quando muore qualcuno nei fumetti?).
 Se è riuscito a commuovere me che non ho quasi interesse per i quadrupedi immagino le lacrime che potrebbe suscitare in un amoroso padrone.
 L'amore assoluto di Toby è lo stesso che prova Buck, il protagonista de "Il richiamo della foresta" per l'uomo che, durante la corsa all'oro, lo salva da un gruppo di improvvisati scriteriati, tre deficienti che ammassano stoviglie e coperte su una slitta come se partissero per una gita in montagna non per il gelo dell'Alaska.  
 Prima di lui, Buck aveva già conosciuto un padrone che lo aveva cresciuto e vezzeggiato, addomesticato, ma mai capito, tanto che quando ne viene allontanato soffre più per la mancanza delle comodità che per l'improvvisa mancanza dell'affetto.
  Un po' come quando, lasciandoti di colpo col fidanzato con cui stavi da quindici anni, ti rendi conto che forse non era mai neanche iniziata.
  E' solo quando tra i ghiacci scopre il coraggio, la sua vera natura, il sangue dei suoi antenati che lo chiama che Buck scopre qual è l'unica cosa che lo rende diverso dai lupi con cui gioca e di cui ascolta incessantemente l'ululato.
 Ed è l'amore folle che prova per il suo padrone, stavolta la sua anima gemella, duro e coraggioso come lui.
 Buck scappa, corre, vaga per settimane nella foresta, ma non può dimenticare. C'è qualcosa dentro di lui che lo riporta sempre indietro ed è ciò che lo rende diverso dal lupo, una capacità di amare gli esseri umani che i suoi cugini selvatici, cresciuti lontano da essi, non possono avere.
 Buck ci racconta che esistono cose che rendono un cane diverso da un lupo, anche se all'apparenza possono sembrare uguali e Toby che ogni cane è fondamentalmente uguale al suo padrone, proprio come "La carica dei 101" aveva suggerito in un'epica scena.
 Ma Buck insegna anche che esistono cose che rendono gli esseri umani buoni, cattivi, stupidi o solo sbagliati e intuirle, sotto l'aspetto identico che può accomunarli, può fare la differenza tra la vita e la morte. Perché esistono esseri umani che possono dirsi tali e altri la cui stupidità può trascinare tra i flutti di un fiume ghiacciato, assieme a chi non è abbastanza forte da opporsi o non trova qualcuno di coraggioso a prenderne le difese, quando ormai si è stremati.
 Toby e Buck non mi hanno ovviamente insegnato ad amare i cani, ma di sicuro mi hanno aiutato a capire chi li ama. E se siete proprio amanti dei pet animals ho da suggerirvi un titolo Marcos y Marcos tanto grazioso, quanto la copertina è oscena: "Una misteriosa devozione. Storie di scrittori e di cani molto amati" di Carlo Zanda.

(A tal proposito, ci tengo a citare la mia defunta vicina di casa del paese ripeteva sempre la massima "Chi nun vòle bene all'animali, nun vòle bene manco a li cristiani", postulato fasullo su cui molti animalisti finiscono per diventare indigesti agli ecco non proprio fan del regno pet-animale, ecco. Gli animalisti fanatici avrebbero armi molto migliori del sangue sulle pellicce per farsi comprendere: libri come questi).

9 commenti:

  1. Mah, guarda, pure io sono cresciuta coi nonni contadini e la loro logica per cui l'animale è l'animale e si tratta come tale e non da umano; però cani e gatti (e pesci, e cocorite, ecc.) a casa nostra non sono mai mancati. Semplicemente, come un po' ovunque, credo, in campagna, c'è la distinzione fra animali da reddito/carne/profitto e quelli più "pets". Sì, d'accordo, il cane ti serve per la guardia e/o il gregge, ma allora come si giustificano i due o tre 'botoli' puramente decorativi che l'accompagnano? Il gatto ti leva i topi dal granaio, ok, ma poi perché ti diverti così tanto quando viene ad acciambellarsi sulle tue ginocchia e ne regali uno o due ai nipotini per farli contenti?
    Anche mia nonna ha dichiarato tutta la vita che i gatti sono traditori, servono solo contro i ratti, e lei, i gatti, in casa, mai! Salvo poi, a 90 anni suonati, rinco*lionirsi completamente per la mia gatta, e mettere su il muso se quella non le entra in casa almeno una volta al giorno e le preferisce le scorrazzate nel campo...
    Questo per dire che la mentalità contadina non è affatto incompatibile con l'affetto per gli animali da compagnia, ecco. Trovati un'altra scusa! :P ;)

    Quanto al detto "Chi nun vòle bene all'animali, nun vòle bene manco a li cristiani", molto diffuso anche qua, io più che vederci il manifesto degli animalisti fondamentalisti, l'ho sempre interpretato come "Se qualcuno riesce a far male a una bestia, non avrà rispetto neanche per i suoi simili" (per "far male" non si intende l'insieme delle pratiche che trasformano l'animale da cortile in arrosto, ma l'infliggere deliberatamente sofferenze e torture solo per il gusto di farlo). In effetti gli animali sono innocenti come bambini, e quelli domestici hanno spesso una fiducia cieca nell'uomo. Chi riesce ad approfittarsi di loro e li fa deliberatamente star male, imho significa che ha abbastanza pelo sullo stomaco anche per far soffrire i propri simili (non per nulla tanti serial killer cominciano torturando animali...). Quindi, non credo che quel detto prenda di mira chi, semplicemente, non prova simpatia per gli animali (anche secondo me siete tipo gli alieni da Marte, sappiatelo! :P), ma metta piuttosto in guardia dal non fidarsi di certe persone capaci di tutto...

    Venendo alla letteratura dedicata agli animali d'affezione, comunque, tocca confessare che bene e spesso "passa di là" e diventa inutilmente stucchevole. Io adoro cani, gatti & co., ma ammetto che tanti libri loro dedicati sono porcherie immonde, dal punto di vista letterario (e non solo) °_°
    Tra quelli almeno artisticamente dignitosi, "Flush" della Woolf non è malvagio, ma è in effetti molto farraginoso; il libro della Lessing mi tenta, ma quello di Soseki l'ho iniziato da anni, ogni tanto lo sbocconcello, però continuo a trovarlo noiosissimo. Dai libri 'alla Jack London' mi tengo accuratamente lontana perché, l'ho scoperto a 7 anni, leggere di animali che muoiono mi distrugge psicologicamente e mi riduce uno straccio. Mi basta dover affrontare certe cose in real life, grazie.
    Per il resto, il settore offre parecchie porcherie. Ho odiato cordialmente "Io e Dewey" (il libro sul gatto di biblioteca, che imho è scritto in maniera oscena) e temo di essermi imbattuta anche io in un giallo per ragazzi che tentai di leggere con ostinazione e nessun successo, in cui il protagonista era un gatto., che mi ha fatto ampiamente schifo (quasi tutti i gialli con protagonisti gatti me lo fanno, ahimè...).
    I miei libri preferiti, in questo settore, restano quelli di James Herriot, veterinario nello Yorkshire nel periodo pre e post II guerra mondiale. Li ho adorati da ragazzina e, negli anni, letti e riletti. Splendidi!
    Se non ti è mai capitato, prova a leggerli! ^_^

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    1. No beh, il mio amore per gli animali lo vedo un po' ostico a svilupparsi e in realtà il fatto che abbia letto ben due libri con protagonisti canini è un caso assoluto che credo difficilmente si ripeterà -.-
      Il giallo col gatto non mi ricordo come si chiami, ma grazie per avermi confermato che quello diSoseki è una palla. Lo eviterò con accuratezza.
      (Flush forse sarà farraginoso perché la stessa Woolf alla fine non ne poteva più, ma in generale io non è che la trovi una scrittrice proprio scorrevolissima: era pedante anche quando scriveva il diario..)

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    2. Il giallo col gatto non mi ricordo come si chiami

      Quello che ho letto io era "La società dei gatti assassini" di Akif Pirrinci. Non so se sia lo stesso. Io mi sono meravigliata che Mondadori l'abbia pubblicato fra i libri per ragazzi, perché alla fine era una roba splatter che tirava in ballo trame da delirio nazi e sperimentazioni alla Mengele, però con protagonisti i gatti. Ho faticato a finirlo e mi ha fatto sentire estremamente a disagio. Bleah!

      grazie per avermi confermato che quello diSoseki è una palla. Lo eviterò con accuratezza.

      Guarda, ho letto un sacco di recensioni entusiaste per quel libro, e mi sono sentita assolutamente ignorante a non apprezzarlo! XD Soseki è tipo l'iniziatore della narrativa giapponese moderna, i suoi libri hanno un grande interesse storico-letterario, blablabla. Eppure io non riesco a gestire "Io sono un gatto", che, da gattofila persa ed ex studentessa di giapponese avrei dovuto amare alla follia. Sono in imbarazzo ^^;
      Comunque imho il gatto nel romanzo è puramente un pretesto. Cioè, tutta la faccenda è vista attraverso i suoi occhi, certo, ma è più che altro un narratore cinico e umanizzato. Se qualcuno compra 'sto libro per trovarci storie di felini, resta fregato, perché in realtà il gatto osserva e descrive minuziosamente la famiglia di cui è ospite e i loro conoscenti e ci fa attorno tante riflessioni (in effetti, noia a parte, il libro è pieno di frasi ragguardevoli e profonde :D). Non l'avrei mai definito un romanzo 'di gatti'.

      Guarda, i libri di Herriot sono belli perché, a parte tutti i suoi aneddoti legati agli animali (che poi sono più spesso mucche, pecore e cavalli ché cani e gatti, soprattutto all'inizio), ti raccontano dello Yorkshire, della sua gente, della famiglia dell'autore e dei suoi colleghi (gli episodi che coinvolgono Sigfrid e Tristan fanno scompisciare!). Sono romanzi molto 'bucolici', buoni anche per chi ami semplicemente la campagna (parlo dei romanzi, appunto, non di quei compendi che Rizzoli ne ha tirato fuori miscelando solo le storie di gatti o di cani prese qua e là). Imho vanno bene in tanti casi, mettono di buon umore. Se ti gira, magari prova almeno il primo ^^

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    3. Sììììì era "La società dei gatti assassini"!!!!!!! Mi ricordo che era una roba assurda, ma non l'ho mai finito O.o
      Ora capisco perché..

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    4. Non ti sei persa proprio niente. Io ho tenuto duro solo perché mi valeva per una sfida di lettura su anobii, ma, a posteriori, mi sono pentita, perché davvero è un libro che mi ha molto disturbata e di bello non ha nulla, secondo me.

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    5. Oddio le sfide di lettura... Io ne feci una a base di "Una donna" di Sibilla Aleramo. Mai portato a termine. Sono scappata con la coda tra le gambe -.-

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    6. La società dei gatti assassini!!! Un libro terrorizzante!

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  2. Anche a me i libri con animali non hanno mai interessato granché, nonostante nella vita sia gattofila convinta (i miei genitori hanno 10 gatti, io ogni volta che chiamo a casa chiedo per prima cosa di tutti i gatti, uno per uno...)
    Come eccezione alla regola, mi sono piaciuti "I gattivolanti" della Le Guin (un libriccino, ma davvero carino) e "Il prodigioso Maurice e i suoi geniali roditori" di Terry Pratchett. Le cose stile Jack London o Bambi, invece, le evito accuratamente (Ma perché di solito infilano un cane/gatto nella storia giusto per accopparlo? Che angoscia).

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  3. vado controcorrente, a me Io sono un gatto è piaciuto tantissimo, nonostante sia un "mattone" :D

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