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mercoledì 8 luglio 2015

Ciò che rimane agli "Uomini senza donne" di Murakami e agli esseri umani quando si infrange l'immagine di chi hanno sempre creduto di essere. Perché è sempre difficile trovare "Il senso di una fine", di un inizio e di un cammino. Due recensioni unite da un filo.

I nati negli anni '80 (e penso anche inizio anni '90), potranno forse ricordare un cartone animato, "Rossana" (nome della protagonista, ignoto come i traduttori dei cartoni scegliessero i nomi italiani), in cui una giovanissima idol giapponese, viveva con una madre single che l'aveva adottata quando era in fasce.
 La madre single era una scrittrice che viveva con un criceto in testa (sì, schifo) e con un tizio della casa editrice che la tallonava di continuo: aveva finito di scrivere il nuovo libro? Aveva finito?
 Questo tizio la inseguiva perennemente, non faceva che bussarle a casa, piangeva evocando tragedie bibliche e la implorava di impegnarsi: la casa editrice aspettava, doveva rispettare un contratto!
 Vedendo perciò la prolificità dei veri scrittori giapponesi, mi si para davanti sempre questa immagine della Yoshimoto o Murakami inseguiti da un ometto della casa editrice (tale personaggio appariva anche in altri manga, cosa che mi fa sospettare esista davvero).
 Ovvio che se qualcuno ti si attacca alle costole stillandoti libri pure quando non ti va, (perché va bene che la scrittura è lavoro serio, ma non è neanche solo lavoro), finisci insomma per partorire dei "libri di servizio".
 Ammetto che questa raccolta di racconti "Uomini senza donne" sembra un po' un libretto gettato così nel mucchio della bibliografia.  Intendiamoci, scritto benissimo, tra l'altro, secondo me, Murakami spesso dà il meglio di sè nei racconti, tuttavia manca quella certa potenza sotterranea che attraversava altre raccolte.
Il titolo sembra vagamente pretestuoso poiché non è vero che tutti i protagonisti sono uomini senza donne, le donne ci sono, alcune sono morte, altre vanno e vengono da case misteriose, altre sono un vago rimpianto di gioventù, però non sono loro il punto.
 Ciò che manca agli uomini protagonisti di questo libro, che parte con due racconti davvero belli, in piena atmosfera "Norwegian Wood" e finisce un po' gnègnè, è altro e ha poco a che vedere col genere femminile che, più che altro è usato come contraltare per indagare quella vaga perdita che tutti i protagonisti hanno subito.
 Tutti gli uomini di questi racconti sono adulti e hanno oltrepassato una certa soglia d'età.
  Hanno vissuto tutti quanti esperienze più o meno appaganti e al contempo mortificanti, la gioventù è passata da un pezzo e  le persone che per lungo tempo sono state sono ormai scomparse, ma non senza lasciare una traccia o un rimpianto.
 L'attore del primo racconto che ha perso la moglie e si accorge, alla sua morte, di averla amata moltissimo senza però mai davvero conoscerla, si trova appeso al rimpianto di non aver voluto conoscere la verità condannandosi ad una perenne sensazione di incompletezza. 
 Il protagonista di quello che è a mio parere il racconto più bello, ricorda una breve amicizia di gioventù con un ragazzo singolare al punto da chiedergli di uscire con la sua fidanzata. Sono innamorati da quando erano bambini e anche se lei è bellissima e molto intelligente, perfetta, per qualche ragione è stranamente conscio che un amore senza sussulti, una vita troppo prevedibile, seppur felice, rischiano di diventare qualcosa di cui aver paura.
 Si può dire di aver vissuto davvero se tutto è stato semplice, la linea tracciata dritta e senza pericoli, gli ostacoli spianati senza problemi? 
 Non una domanda oziosa se si pensa all'antico dilemma di Achille: vuoi una vita breve ed eroica o un'esistenza felice ed anonima? La volontà di sfidare il proprio destino a costo della propria già pronta felicità, è una delle grandi tentazioni umane.
 Forse il titolo del libro andrebbe ribaltato, a questi uomini non manca qualcosa, il punto vero è ciò che è rimasto di loro, dopo una malattia che non ha nome, dopo un divorzio traumatico, dopo un amore finito male a causa di una donna manipolatrice, dopo la perdita di un'amicizia, dopo la scoperta di una verità.
 Perché non è tanto l'evento a minare l'integrità di qualcuno, l'evento è solo ciò che permette all'immagine di infrangersi e svelarci ciò che siamo diventati, ciò che rimane di chi pensavamo di essere.
 Cosa rimane di noi dopo troppi anni passati a combattere? A mantenersi in vita? A lottare? A cercare del nostro meglio? Quale parte di noi abbiamo sacrificato e quale salvato? Ed era davvero necessario? Non c'era altro modo di sopravvivere? Uno migliore?
C'è un libro, un bel libro, più bello di questo specifico di Murakami, che affronta con dolorosissima delicatezza lo stesso tema. Si tratta de "Il senso di una fine" di Julian Barnes che ebbe successo qualche anno fa e rimane splendido.
 Nella storia il protagonista, ancorato ad alcuni ricordi di gioventù, un'amicizia irripetibile e un amore fortissimo, scopre dopo anni la verità sul triangolo di cui credeva di aver fatto parte. Aveva percorso la sua vita con un rimpianto specifico, l'immagine agiografica di persone che credeva di aver conosciuto, un dolore di cui pensava di cui pensava di essere l'unica vittima.
  La scoperta di essere stato il più fortunato di loro, il "salvato" di fronte al destino, è per lui sconvolgente e rende vani i ragionamenti, i pianti, la nostalgia che lo avevano accompagnato per un'intera esistenza.
 Cosa rimane dopo una verità tanto forte? Cosa rimane di chi credevamo di essere?
Se "Uomini senza donne" ha un filo conduttore, è questo.
 Per finire. Il tanto pubblicizzato racconto su Gregor Samsa, scarafaggio diventato uomo, in una kafkiana metamorfosi al contrario, non è poi così interessante, se non nella misura dell'evidente omaggio a Kafka.
 Non è importante ciò che prova Gregor scoprendosi umano, ma il senso di disfacimento e della perdita di senso di un mondo sull'orlo dell'abisso. la guerra sta per iniziare, i morti iniziano già a riempire le strade, la metamorfosi mostruosa non è quella di Gregor, ma quella del mondo che mostra il suo lato bestiale, e si trasforma in un inferno.
 Un mondo perduto, senza né uomini né donne, senza nessuno.

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