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venerdì 29 aprile 2016

Dire addio alle case della nostra infanzia è dire addio ai nostri ricordi? "La casa" di Paco Roca, i genitori e i nonni che ci lasciano, la forza di lasciar andare e di lasciare in sospeso quel che non può svanire, per nessun motivo.

 Un tempo la classe operaia non andava in paradiso, ma con un po' di sacrifici poteva costruirsi una casetta al mare.

 Per costruirsi si intendeva, in taluni casi, proprio la costruzione fisica di una casa anno per anno o la ristrutturazione perpetua di un vecchio rudere (o casa di poverissimi nonni o genitori) che, nonostante tutti gli sforzi, ogni estate puntualmente tornava decadente al punto di prima.
  Anche la casa al mare dove sono andata per tutta la vita era così. 
 Era la casa natale di mio nonno in Sardegna, aveva un camino (che ovviamente non ho mai visto funzionare) e il pavimento ce l'ha messo mio nonno quando mia madre era piccola che quando era piccolo lui ci stava direttamente la terra.
 Per anni mio padre ha meticolosamente ristrutturato ogni parte, combattendo con una gigantesca boungavillea, cercando di rendere agibile il pozzo in cortile (ebbene, io ho anche vissuto quel momento in stile dopoguerra dove in Sardegna ad un certo punto finiva l'acqua e dovevi andare e riempire bottiglie e taniche a fonti in mezzo al niente), dando l'intonaco tutti i santi anni (che l'umidità faceva venir giù praticamente i muri) ecc. ecc. ecc.
 Una delle cose che odiavo di più al mondo infatti, era quando arrivavamo a destinazione per rimanerci tre mesi.
 Aprivi la casa e dovevi renderla agibile, cosa che richiedeva minimo una settimana in cui bisognava coabitare con odore di muffa, insetti, spifferi e problematiche varie.
 Ma vabbeh, era la Sardegna del mare perfetto e dopo poco passava tutto.

 "La casa" di Paco Roca è una graphic novel autobiografica in cui l'autore spagnolo mette in scena un ricordo di suo padre (identico nella foto alla fine e nel fumetto) attraverso la sua eredità: una piccola e sgarrupata seconda casa per le vacanze.
 Una casetta al mare costruita a metà secolo da un allora giovane padre di famiglia che veniva da una famiglia poverissima.
 Per lui avere un posto dove portare in estate i tre figli e passare il tempo libero era non solo un riposo per il fisico, ma soprattutto la realizzazione di un ideale.

 Ogni generazione ha dei sogni di realizzazione che potremmo prendere come specchio dei tempi. 

 Un tempo possedere una casa di proprietà (fissazione che a quanto pare gli spagnoli condividono con gli italiani) e addirittura una seconda magione per le vacanze voleva dire essere emersi da una condizione di povertà primigenia.
 Non importava quanto grande o come fosse la casa, non era importante costruire una pergola con materiali di recupero in vece di una elegante e ombrosa.
 Il punto non era la pergola, era la possibilità di averla potuta realizzare proprio come in un piccolo grande sogno.
 La storia prende le mosse dalla sua morte e dall'avvento dei tre figli nella vecchia casa.

Il padre era sopravvissuto a un'operazione ben riuscita, ma poi, di colpo, si era lasciato morire: perché?
 Cos'era successo all'uomo ottimista che fino all'ultimo aveva combattuto per tornare a potare il suo orto e passare il tempo col suo migliore amico, un vedovo di una casa vicino?
 I tre non lo sanno e in cuor loro sperano che sia la casa a svelargli l'arcano (mentre l'arcano avrebbero potuto svelarselo da soli se solo ci avessero pensato, quanti danni facciamo quando non ci curiamo dei sentimenti delle persone con cui parliamo), ma non accade.
 In compenso affiorano ricordi e nostalgie, rimembranze del tempo incantato dell'infanzia, di estati fissate in un'unica luce, della mano forte che li portava a prendere l'acqua, a piantare i semi dell'orto o a occuparsi di uno degli infiniti lavori di cura di cui necessitava quella comunque mai completata casa.
 Ognuno ha la fugace tentazione di non venderla, di trattenerla, come se così il ricordo potesse mantenersi più vivo.

Non è un desiderio così strano rimanere legato alle case del passato, perché forse come nessuna cosa tangibile riescono a ricordarci un'immaginaria epoca d'oro della nostra esistenza.

 Io, ad esempio, sogno sempre la casa in cui ho vissuto fino a ventidue anni e quella al mare, e mai la casa nuova dei miei genitori, le varie in cui mi sono trasferita dopo essere andata via di casa o quella in cui abito ora.
 Ci sono dei luoghi che rimangono, più di ogni altro, casa e bisogna avere un grande coraggio per lasciarli andare.

 Del resto bisogna avere anche un grande coraggio per lasciar andare le persone a cui abbiamo voluto bene, rassegnarsi a convivere con risposte che non potranno più darci e con decisioni che forse abbiamo sbagliato a prendere nei loro confronti.
 Lasciar andare non vuol dire per forza mettere la parola fine, ma lasciare in sospeso molte cose.
 L'importante è capire quanta importanza questa sospensione debba avere nella nostra vita, se debba assumere l'impegno tangibile di una casa da mandare avanti o il sottile rimpianto di averla venduta.
 I morti rimangono morti, ma solo noi possiamo decidere come gestire quello che ci hanno lasciato, in modo tangibile e intangibile.

Colori bellissimi, toni dell'arancione che rendono in pieno il caldo e la nostalgia dei pomeriggi d'estate. Fidatevi, è una graphic novel bellissima. E piangerete come fontane.

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