Questi ultimi giorni, lo ri-ripeto, sono stata a Firenze coi miei genitori.
Un po' perché il tempo era meraviglioso, un po' perché faceva caldo come se fosse già Luglio, si aveva l'impressione di essere già nel bel mezzo dell'estate.
Impressione che non avevo solo io, ma soprattutto le centinaia e centinaia di turisti, per la maggior parte anglosassoni o orientali (ricchissimi) che affollavano le vie del centro storico.
Impressione che non avevo solo io, ma soprattutto le centinaia e centinaia di turisti, per la maggior parte anglosassoni o orientali (ricchissimi) che affollavano le vie del centro storico.
Così mentre gli inglesi e gli americani si dedicavano a foto in posa con preti, frati, gelati, pizza e grazie a dio non mandolino, conciati come se fossero usciti da un film del dopoguerra, gli orientali vagavano con capi d'altissima moda che non mi spiego ancora come abbiano stipato nelle loro valigie.
Gonne a ruota gigantesche, crinoline, busti, borsette fashion, sembravano uscite da un servizio sulla "Bella Italia" di Vogue Giappone.
Perplessa, davanti ai miei fiori di zucca fritti, mi è tornato in mente un frame del film "Mangia, prega, ama".
Vi ricordate il momento in cui Julia Roberts affitta un appartamentino a Roma da una specie di Sora Lella e decide di godersi la vita rallentando il ritmo?
Vi ricordate che per farlo si siede a terra e intinge un asparago crudo nell'olio mentre il sole mediterraneo le increspa il volto?
Ecco, quel fotogramma è rivelatore di una verità molto semplice: gli stranieri, in special modo gli anglosassoni (gli orientali hanno un disincanto un po' pauroso e francesi e spagnoli ci sono troppo vicini per credere a cose del genere), quando pensano e visitano l'Italia, non vedono lo stesso luogo che vediamo noi.
Un po' dipende dal fatto che ovviamente il turista ha una sorta di filtro della felicità che rende tutto più bello, molto altro da un insieme di pregiudizi positivi che rendono l'Italia e gli italiani più un luogo dell'immaginario che geografico.
Pensate che esageri? Fidatevi, questa mia deduzione logica (non particolarmente brillante tra l'altro) è supportata da un vero e proprio genere letterario assai amato nel mondo americano e inglese: le storie in stile "dolce vita" in cui noi italiani facciamo da sfondo a un'idea di felicità così artificiale da non poter essere che letteraria.
Lo ignoravate?
Scoprite con me le caratteristiche di questo favoloso filone (da noi praticamente e ovviamente non tradotto)!
Vi ricordate che per farlo si siede a terra e intinge un asparago crudo nell'olio mentre il sole mediterraneo le increspa il volto?
Ecco, quel fotogramma è rivelatore di una verità molto semplice: gli stranieri, in special modo gli anglosassoni (gli orientali hanno un disincanto un po' pauroso e francesi e spagnoli ci sono troppo vicini per credere a cose del genere), quando pensano e visitano l'Italia, non vedono lo stesso luogo che vediamo noi.
Un po' dipende dal fatto che ovviamente il turista ha una sorta di filtro della felicità che rende tutto più bello, molto altro da un insieme di pregiudizi positivi che rendono l'Italia e gli italiani più un luogo dell'immaginario che geografico.
Pensate che esageri? Fidatevi, questa mia deduzione logica (non particolarmente brillante tra l'altro) è supportata da un vero e proprio genere letterario assai amato nel mondo americano e inglese: le storie in stile "dolce vita" in cui noi italiani facciamo da sfondo a un'idea di felicità così artificiale da non poter essere che letteraria.
Lo ignoravate?
Scoprite con me le caratteristiche di questo favoloso filone (da noi praticamente e ovviamente non tradotto)!
MARCELLO,COME HERE!:
In Italia i libri amorosi lo sappiamo prevedono magicamente sempre le stesse destinazioni: Parigi, Notting Hill, New York e, ogni tanto, Barcellona. Raramente qualcuno si innamora in Finlandia o in Estonia e, anche a livello locale, il massimo massimo dell'accettabile è Milano. Ambientare amori a Sora o Imola non tira.
Per gli anglosassoni, invece, è l'Italia il suol dell'ammmore. Ma non tutta.
Per gli anglosassoni, invece, è l'Italia il suol dell'ammmore. Ma non tutta.
La zona specifica che gli autori e le autrici del genere "dolce vita" amano è il centro Italia. C'è persino un libro di Michelle Damiani intitolato "Il bel centro" e la cosa mi fa un po' ridere.
Perché? Perché io sono molto fiera di provenire dal centro Italia, con tutto il rispetto per il nord e per il sud, penso che sia una qualità della vita ottima: si sta bene, ma non troppo, le persone sono aperte, ma non troppo (o troppo poco), è ovvio che ci siano mari e montagne migliori nel resto dell'Italia, ma per viverci tutto l'anno, le dolci colline toscane, la campagna romana, la Tuscia e l'Umbria per dire, sono mediamente molto migliori.
Quello che mi ha stupito molto quando sono venuta al nord è che qui, al contrario mio e di Michelle Damiani, la gente non ha il concetto di centro Italia. Sotto l'Emilia Romagna (e con una certa confusione sul ruolo della Toscana) è tutto sud.
Le autrici anglosassoni, invece, adorano il centro Italia e hanno un'unica altra eccezione: la Sicilia (anche se qualcuno si allunga in Calabria). Non per niente l'autrice del genere più famosa dopo Elizabeth Gilbert è Frances Mayes, autrice del celeberrimo "Sotto il sole di Toscana" (capostipite di una serie di aficionados di terra etrusca da "To Tuscany with love" di Gail Mencini e "Summer in Tuscany" di Elizabeth Adler).
Sarà il Brunello di Montalcino? Sarà che dopo Sting che ha chiamato la figlia Siena e ha convinto mezza Inghilterra che conta a comprarsi un casale in Toscana, fa tanto chic? Saranno i cinghiali? I cipressi? Gli agriturismi e i borghi?
Sarà tutto, ma quanto piace.
SE VIENI IN ITALIA E NON TI FIDANZI FATTI RIMBORSARE (la trama tipo):
Una donna, in un periodo di transizione della sua esistenza (divorzio, sfidanzamento, laurea, nozze prossime, crisi lavorativa, insomma qualsiasi momento della vita in realtà è buono), si trasferisce in Italia per breve tempo, un po' per ritrovarsi un po' perché ha bisogno di una vacanza.
Qui scopre "la dolce vita" un mix di gente di buoncuore dedita a lavori rurali di vario genere, amante delle cene in campagna a base di vino e di cibo da gustare in modo lentissimo, pronta a rendere la vita dello straniero in visita in Italia, un film a base di sole, begli uomini mediterranei, amore, cibo e amicizia.
Per la serie, ditemi dov'è davvero questo posto sulla terra che mi ci trasferisco.
Per avere un saggio di quanto dico basta guardare il film tratto da "Sotto il sole di Toscana" dove Roul Bova, napoletano latin lover, porta l'americana di turno in esplorazione per mercati folkloristici (e una capatina a Positano, unico luogo della Campania di cui queste autrici ammettono l'esistenza).
Tra l'altro, i nostri maschi italici sono un usato sicuro, visto come Franco Nero attende con solerzia il ritorno del suo antico amore nel terribile "Letters to Juliet", film tratto da "Lettere a Giulietta" di Ceil e Lise Friedman.
Anche qui, una giovane donna in procinto di sposarsi, arriva a Verona e, avendo del tempo da perdere, si mette a smistare le lettere che gli innamorati di tutto il mondo scrivono alla statua della sventurata amante (rimane un mistero poi come tutte queste anglosassoni trovino immediato lavoro e ovunque gente che parli la loro lingua).
Mentre smista si appassiona a una storia d'amore vecchia di cinquant'anni tra una donna inglese e un caliente italiano (che ricordo vagamente abitava nella campagna toscana).
Insomma, organizza un ricongiungimento che finisce in un matrimonio over 70 e, già che c'è, si fidanza anche col nipote dell'anziana.
Vieni in Italia, il fidanzamento è assicurato!
IL MITO DEL RITORNO ALLE ORIGINI E IL MEMOIR:
"Eat pray love" forse tendiamo a dimenticarlo, non era un romanzo romanzo, ma una sorta di memoir.
Una valida alternativa, infatti, alla trama in cui una donna viene a ingozzarsi di pizza a e farsi corteggiare dai butteri nostrani, è l'esperienza di vita che gli americani o gli inglesi (molto più frequentemente i primi) vengono a fare in prima persona in Italia.
Quello che ne viene fuori è una sorta di stereotipo della dolce vita molto romanzesco.
Non so se è perché gli stranieri non capiscono bene la nostra lingua o ci sia qualche altro crash antropologico, ma, ai loro occhi, siamo ancora fermi a pizza pizza marescià, Sofia Loren che cammina con braccia a giara, tavolate di cibo all'aperto in qualsiasi stagione, grasse donne gestiscolanti (e ovviamente uomini avvenenti e romantici).
Facciamo una breve rassegna di questi memoir. Ci sono alcuni casi in cui l'autrice ha delle vaghissime ascendenze italiane e decide di trasferirsi nel bel paese per "ritrovare le proprie origini".
Per "ritrovare le proprie origini" nella maggior parte dei casi intendiamo: godersi le estati di un bel borgo antico, non capire niente di quello che ti dicono gli autoctoni, ingozzarti di cibo e vedere bei posti, ossia fare turismo, ma facendo finta di avere un nesso logico con il posto.
Marlena De Blasi, giornalista gastronomica newyorchese, si è trasferita molti anni orsono in Italia, prima a Venezia, da cui ha tratto il memoir "Thousand days in Venice", poi a San Casciano dei Bagni da cui ha tratto il memoir "Thousand days in Tuscany" e infine "The lady in the palazzo" sulla sua vita in quel di Orvieto, dove vive con giuoia da molti anni.
Per una Marlena che decide di starci tutta la vita, molti fanno un'estate di piacere, massimo un anno e via. Perciò qui si spalanca una produzione vastissima, come se l'Italia fosse una sorta di luogo geografico più appartenente al regno del fantastico che alla geografia reale.
C'è la "Summer in Supino" di Maria Coletta McLean, "An Italian Journey" di James Ernest Shaw, "Somewhere South of Tuscany" della sudafricana Diana Armstrong, "Head Over Heel: seduced by Souther of Italy" di Chris Harrison ecc ecc ecc
Una donna, in un periodo di transizione della sua esistenza (divorzio, sfidanzamento, laurea, nozze prossime, crisi lavorativa, insomma qualsiasi momento della vita in realtà è buono), si trasferisce in Italia per breve tempo, un po' per ritrovarsi un po' perché ha bisogno di una vacanza.
Qui scopre "la dolce vita" un mix di gente di buoncuore dedita a lavori rurali di vario genere, amante delle cene in campagna a base di vino e di cibo da gustare in modo lentissimo, pronta a rendere la vita dello straniero in visita in Italia, un film a base di sole, begli uomini mediterranei, amore, cibo e amicizia.
Per la serie, ditemi dov'è davvero questo posto sulla terra che mi ci trasferisco.
Per avere un saggio di quanto dico basta guardare il film tratto da "Sotto il sole di Toscana" dove Roul Bova, napoletano latin lover, porta l'americana di turno in esplorazione per mercati folkloristici (e una capatina a Positano, unico luogo della Campania di cui queste autrici ammettono l'esistenza).
Tra l'altro, i nostri maschi italici sono un usato sicuro, visto come Franco Nero attende con solerzia il ritorno del suo antico amore nel terribile "Letters to Juliet", film tratto da "Lettere a Giulietta" di Ceil e Lise Friedman.
Anche qui, una giovane donna in procinto di sposarsi, arriva a Verona e, avendo del tempo da perdere, si mette a smistare le lettere che gli innamorati di tutto il mondo scrivono alla statua della sventurata amante (rimane un mistero poi come tutte queste anglosassoni trovino immediato lavoro e ovunque gente che parli la loro lingua).
Mentre smista si appassiona a una storia d'amore vecchia di cinquant'anni tra una donna inglese e un caliente italiano (che ricordo vagamente abitava nella campagna toscana).
Insomma, organizza un ricongiungimento che finisce in un matrimonio over 70 e, già che c'è, si fidanza anche col nipote dell'anziana.
Vieni in Italia, il fidanzamento è assicurato!
IL MITO DEL RITORNO ALLE ORIGINI E IL MEMOIR:
"Eat pray love" forse tendiamo a dimenticarlo, non era un romanzo romanzo, ma una sorta di memoir.
Una valida alternativa, infatti, alla trama in cui una donna viene a ingozzarsi di pizza a e farsi corteggiare dai butteri nostrani, è l'esperienza di vita che gli americani o gli inglesi (molto più frequentemente i primi) vengono a fare in prima persona in Italia.
Quello che ne viene fuori è una sorta di stereotipo della dolce vita molto romanzesco.
Non so se è perché gli stranieri non capiscono bene la nostra lingua o ci sia qualche altro crash antropologico, ma, ai loro occhi, siamo ancora fermi a pizza pizza marescià, Sofia Loren che cammina con braccia a giara, tavolate di cibo all'aperto in qualsiasi stagione, grasse donne gestiscolanti (e ovviamente uomini avvenenti e romantici).
Facciamo una breve rassegna di questi memoir. Ci sono alcuni casi in cui l'autrice ha delle vaghissime ascendenze italiane e decide di trasferirsi nel bel paese per "ritrovare le proprie origini".
Per "ritrovare le proprie origini" nella maggior parte dei casi intendiamo: godersi le estati di un bel borgo antico, non capire niente di quello che ti dicono gli autoctoni, ingozzarti di cibo e vedere bei posti, ossia fare turismo, ma facendo finta di avere un nesso logico con il posto.
Marlena De Blasi, giornalista gastronomica newyorchese, si è trasferita molti anni orsono in Italia, prima a Venezia, da cui ha tratto il memoir "Thousand days in Venice", poi a San Casciano dei Bagni da cui ha tratto il memoir "Thousand days in Tuscany" e infine "The lady in the palazzo" sulla sua vita in quel di Orvieto, dove vive con giuoia da molti anni.
Per una Marlena che decide di starci tutta la vita, molti fanno un'estate di piacere, massimo un anno e via. Perciò qui si spalanca una produzione vastissima, come se l'Italia fosse una sorta di luogo geografico più appartenente al regno del fantastico che alla geografia reale.
C'è la "Summer in Supino" di Maria Coletta McLean, "An Italian Journey" di James Ernest Shaw, "Somewhere South of Tuscany" della sudafricana Diana Armstrong, "Head Over Heel: seduced by Souther of Italy" di Chris Harrison ecc ecc ecc
ANTIDOTI:
Alle superiori mi feci regalare un libro dal titolo "Il cuore oscuro dell'Italia". Mi aveva attratto perché era il punto di vista sull'Italia di un giornalista inglese, Tobias Jones, che viveva nel nostro paese da tanti anni.
Come ci vedeva un inglese che viveva tra noi? Cosa doveva sembrargli assurdo?
Fu una lettura piacevole, alcuni pezzi erano molto veritieri (l'incubo della burocrazia), altri mostravano un enorme scarto culturale (sembra che gli stranieri, specialmente anglosassoni, facciano davvero fatica a capire il rapporto degli italiani con la religione e la chiesa, specialmente perché pensano che chiesa e religione siano per noi un tutt'uno), altri erano interessanti, ma fino a un certo punto (i suoi problemi di pronuncia).
Se un inglese volesse davvero capire qualcosa di com'è l'Italia ora, oltre a un luogo dove si mangia, beve e tutti facciamo i simpatici contadini in amore, dovrebbe leggere i libri di Tim Parks.
Trasferitosi in Italia a 26 anni, nell'ormai lontano 1974, Parks pendola attualmente tra Verona e Milano (dove insegna) e scrive regolarmente libri sullo stato dell'arte dell'Italia e degli italiani.
In principio fu "Italiani", classico memoir basato sul sempre valido espediente del "pesce fuor d'acqua": persona che non c'entra niente col contesto, ma vi somiglia abbastanza da mimetizzarsi, vive tutto come se fosse un alieno in incognito sulla terra. Poi ci fu "Un'educazione italiana" in cui Parks, partendo dall'assunto che nasciamo tutti uguali e solo grazie all'educazione ricevuta, assumiamo dei caratteri "nazionali", tenta di risalire ai nostri imprinting italico-educativo.
E poi l'Italia vista dal treno in "Coincidenze" (tutti noi affezionati fruitori di trenitalia possiamo riconoscerci) e quel che basta a riconoscere i contorni di un'Italia vera, non quella da cartolina in cui i turisti sono convinti di vivere.
Che poi, alla fine, in realtà, è così male che esistano luoghi immaginari che sovrapponiamo a posti reali? Ai posteri l'ardua sentenza.
Piccola curiosità: dopo essere tornato in Gran Bretagna, Tobias Jones ha scritto "Sangue sull'altare", pubblicato da noi per Il Saggiatore, resoconto tra la cronaca e il saggio sull'omicidio di Elisa Claps a Potenza...
RispondiEliminaCome sicuramente sai, questo rapporto letterario e idealizzato dei britannici con l'Italia ha radici remote. Già Shakespeare, quando voleva un'ambientazione esotica, sceglieva spesso l'Italia... anche quella antica dei Romani. ;) Il romanzo gotico, nato in Inghilterra, ha scelto l'Italia come ambientazione prediletta fin dall'inizio: "The Castle of Otranto" di Horace Walpole, il capostipite...
RispondiEliminaPerò, se volete vedere davvero una perla del Male, vi consiglio la saga di "Twilight" a partire da "New Moon": Volterra, capitale dei vampiri, con sagre inesistenti e di pessimo gusto... Sigh...
Ho visto "Letters to Juliet". Ci tenevo a dirlo.
RispondiEliminaIn effetti gli stranieri hanno visioni dell'Italia abbastanza strane, ma questo tuo resoconto è positivo. Io mi sono trovata a parlare con stranieri e non che temevano che, girando per i centri storici meridionali, sarebbero stati assaltati da un commando di malavitosi, in stile "Benvenuti al Sud" (tanto che ormai ho la certezza che per certa gente qui siamo in condizioni pietosissime). Poi va beh, temo anche che alcuni stranieri pensino che qui si vive perennemente al mare, a fare grigliate e falò sulla spiaggia...
Sebbene, come giustamente fai notare, non siano molti i romanzi di questo tipo che vengono tradotti in italiano, è divertente notare che genere di problemi possano insorgere nel tradurre un libro colmo di idee romantiche, idealizzate e non proprio corrette nelle nostra lingua! Ho letto da poco un post interessante al riguardo: https://federicaaceto.wordpress.com/2016/04/28/litalia-tradotta-in-italiano/
RispondiEliminaCoincidenze! :D
EliminaAnche gli italiani hanno una visione piuttosto distorta dell'estero.
RispondiEliminaMi sembra che sia normale, c'è poco da fare 'entri' comunque in una dimensione 'aliena' e nell'80% dei casi da turista.
Poi, quelli che citi mi sembrano tutti libri più o meno romanzati quindi è ovvio che non rispecchino pienamente la realtà ... pensate che la vita in Giappone sia quella pari pari ai manga o ad un libro di Murakami?
Vogliano parlare della burocrazia giapponese? O di quanto sono 'storditi' se escono dagli schemi? Ok che in ogni negozio il cliente è kami-samà ma prova tu a chiedergli qualcosa che non ci sia sul 'manuale del perfetto commesso'...panico più totale. E poi grazie che li sono efficienti: per fare una cosa che qui ci vuole una persona, sono in quattro.
Vogliamo parlare di quanto siano 'razzisti' i democratici americani?
Lo sapete che per loro come 'razza' gli italiani sono sopra solo ai messicani e sud americani che considerano 'feccia'? Di quanto sia chiuso l'ambiente di Hollywood? Mai visto qualche attore italiano far fortuna permanente lì? Hanno spedito indietro con il ben servito anche Anna Magnani. Ha fatto un film con Burt Lancaster, sceneggiatura di Tennessee Williams, oscar ma poi a casa sua alla faccia di Vacanze Romane.
Soprattutto forse non sia ben presente una cosa vivendoci che l'Italia per il resto del mondo sia effettivamente la città di Eldorado per cultura, beni artistici, opere, arti etc...
Vivendoci forse non ce ne se accorge ma ci sono i musei di mezza Europa che si fanno belli con opere 'trafugate' qui.
Ma dove altro nel mondo si trova un altro tale patrimoni artistico, culturale e bellezze naturali?!
Ci credo che gli americani ne scrivono in maniera 'mitica'.
In realtà questi romanzetti non parlano né davvero degli italiani né davvero dell'Italia. Non sono interessati a farlo e non è quello l'obiettivo. Usano semplicemente l'Italia come sfondo esotico per le loro storie. E' la stessa cosa che facciamo noi con altre destinazioni come Parigi, Notting Hill e New York. Ci piace l'idea che abbiamo di Parigi e ci suona come posto romantico perciò ci ambientiamo la stessa identica storia d'amore che potrebbe avvenire a Viterbo, solo che Viterbo ci suona male. E' un po' la stessa cosa di quando Carlo Fruttero disse la celebre frase "A Lucca mai!", per dire che non sarebbe mai stata credibile una storia di fantascienza ambientata in Italia. Ci sono cose che sono credibili solo se gli dai una cornice anche solo nominalmente diversa.
EliminaPer noi quella cornice è Parigi, per gli anglosassoni è il centro Italia. Ma senza nessun risvolto sociologico in questo caso.
Niente io volevo solo dire che è tutto vero. Io sono a Londra da 3 anni e ho l'uomo inglese. Lui ha fatto una specie di mini gran tour in Italia prima dell'università. Ha un amico che lavora sei mesi in Inghilterra e sei mesi li passa in Italia a insegnare fisica e matematica gratis. Il mio teacher di inglese per l'ielts si era trasferito a Roma dopo il dottorato con l'idea di stare qualche mese e è rimasto anni (7 l'ultima volta che l'ho incrociato).
RispondiEliminaCi amano alla follia, anche quando scoprono come funziona davvero.
PS un paio di libri mi sa che li compro :)
Il bel centro? ;)
EliminaNiente io volevo solo dire che è tutto vero. Io sono a Londra da 3 anni e ho l'uomo inglese. Lui ha fatto una specie di mini gran tour in Italia prima dell'università. Ha un amico che lavora sei mesi in Inghilterra e sei mesi li passa in Italia a insegnare fisica e matematica gratis. Il mio teacher di inglese per l'ielts si era trasferito a Roma dopo il dottorato con l'idea di stare qualche mese e è rimasto anni (7 l'ultima volta che l'ho incrociato).
RispondiEliminaCi amano alla follia, anche quando scoprono come funziona davvero.
PS un paio di libri mi sa che li compro :)