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venerdì 22 settembre 2017

Cosa resterà di questi anni '10? Un viaggio allucinato tra Wyndham, Tondelli, Scerbanenco, gli anni '80 e l'aids, per ricordare cosa vuol dire gridare e non solo sussurrare spaventati.

 E' parecchio e dico parecchio tempo che vorrei scrivere un post su Premio Strega, Wyndham e Scerbanenco, un mix che molti giudicheranno impossibile, ma mi frulla in testa dalla cinquina dello Strega.

In questa settimana anni '80, al doveroso momento Tondelli, il post fantasma è tornato a farsi sentire ed è quindi giunto il momento di portarlo agli onori del blog.

 E' giunto il momento di dire le cose pane al pane vino al vino.

 Io leggo molti autori italiani, non sono una di quelle esterofile a tutti i costi, ma trovo la narrativa italiana non di genere, mortalmente noiosa.
 In realtà non è neanche giusto dare tutta la colpa all'Italia perché, diciamocelo, non è che la letteratura mondiale ci stia regalando queste imperdibili perle a gettito continuo.

 E' come se fossimo precipitati in una melassa conformista. 

 Se è per colpa degli editori che ormai pubblicano filoni di storie sempre identiche nel disperato tentativo di azzeccare i gusti del momento, o se è per colpa degli autori che proprio a monte ne producono sempre e solo così per lo stesso identico motivo, non è cosa che si possa capire da libraia o da lettrice.

 Sono a valle di un monte che non riesco a vedere e che, obiettivamente, porta a destinazione troppe cose risparmiabili.

  Non parlo degli pseudoharmony che hanno un ruolo loro, d'intrattenimento e sono un genere ben codificato, quelli su cui punto il dito sono le sconvolgenti opere, ormai ben poco sconvolgenti, che dovrebbero raccontare la nostra realtà.

 Durante il mio corso di sceneggiatura, mi consigliarono di vedere "Mignon è partita" di Francesca Archibugi.

 Il film non mi colpì particolarmente. 
 La trama vede un'adolescente francese di buona famiglia, Mignon, che viene spedita da genitori in Italia da parenti diciamo borgatari. 

 In questa famiglia, madre e padre abbastanza giovani e cinque figli, Mignon non si trova bene e lega solo con un cugino che si innamora di lei, non ricambiato. La storia, quella di un corpo estraneo che non riesce in nessun modo a inserirsi in un contesto che non ha palesemente spazio per lei (e in cui lei palesemente non vuole sgomitare per trovarlo), mi sembrò mortalmente noiosa.

 Forse, rivedendolo adesso, noterei cose che dieci anni fa mi sfuggirono, ma scoprii che in parte il motivo per cui mi era stato consigliato era comprenderne i pregi, ma anche i limiti.
 Il professore ci disse infatti che "Mignon è partita" apparteneva a quella serie di film italiani ribattezzati "Camera e cucina" (a memoria ricordo così), in cui le storie si svolgono principalmente in piccoli ambienti, principalmente familiari, senza nessun ampio respiro.

 Il nostro cielo è troppo spesso chiuso in una sola stanza.

 La narrativa italiana odierna ama la camera e la cucina. 

 Piccole storie rarefatte, la storia della propria famiglia (spesso con l'illusione che la propria storia debba per forza significare qualcosa di universale per qualcun altro), persone che si incontrano, si sfiorano, uniscono solitudini, apprezzano silenzi, affrontano passati.

 Tutto è molto intimista e non mi stupisce eccessivamente che Cognetti abbia vinto lo Strega (nè quali siano stati i suoi illustri colleghi).
 Non è solo bravo, ma scrive come piace si scriva adesso e, soprattutto, parla di un tema che tanto piace adesso: la montagna, ultimo baluardo dell'incontro tra uomo e natura in un mondo tecnologico.
 Tutto è piccolo e grande, tutto è silenzioso, ma assordante, tutto è minimalista, ma gigantesco.
 TUTTO
 Sarà perché non sono minimalista, ma non ne posso più.
 Non ne posso più di un tempo che si lamenta, che frigna, che è intimista, che si aggroviglia dentro sé stesso, che rimugina su storie di 75 anni prima "perché il passato è importante", che affronta solitudini e che pensa la storia della propria famiglia sia uber alles e voglia per forza dire sempre qualcosa.

 Questo non perché non ci siano solitudini che non vadano raccontate o perché certe saghe familiari non abbiano, in effetti, uno splendore universale, ma perché sono stufa di quest'epoca di lamento e passato perpetuo.

 Cosa c'entrano Wyndham, Scerbanenco e Tondelli?

 Vi basterebbe (basterà) aprire uno solo dei loro libri per smascherare la menzogna della nostra narrativa contemporanea. 

Il primo è uno scrittore di fantascienza che combatté durante la seconda guerra mondiale, il secondo un giallista di origini ucraine nato poverissimo, il terzo uno scrittore omosessuale morto troppo giovane di Aids.

 Tutti e tre, con le dovute differenze, seppero descrivere la loro realtà in modo esplosivo, pirotecnico, apocalittico, spettacolare.

 Wyndham riuscì a condensare il terrore della minaccia nucleare, del diverso, i feroci meccanismi di autodifesa di una generazione che aveva vissuto il conflitto mondiale in splendidi romanzi, come "L'invasione dei trifidi", "I figli dell'invasione" o "I trasfigurati".

 Riuscì, precisamente, a lasciare su carta la lezione più cruda e di cui, personalmente, anche io sono amaramente convinta: la civiltà è una patina sottilissima su cui riversiamo una fiducia che non merita
 La violenza dentro ogni essere umano è pronta a spuntare appena la sopravvivenza lo ritiene possibile.

 Avrebbe potuto dirlo in molti modi, scelse storie che vedevano piante carnivore senzienti distruggere il genere umano. Non scelse una strada comoda.

 Scerbanenco nacque povero, figlio di un'italiana e di un professore ucraino.
  La piccola biografia al termine di "Traditori di tutti" racconta di un ragazzo che passò la sua infanzia a Roma e tornò, senza successo,a  cercare il padre, disperso nella rivoluzione russa.
Tornando indietro con la madre si salvò per puro caso dalle bombe e, a diciotto anni, senza diploma e senza denaro, si trasferì a Milano. Durante la seconda guerra mondiale fuggì con gran periglio in Svizzera e quando tornò ce ne mise per integrarsi in un mondo milanese la cui ricchezza lo spaventava e sempre gli risultò estranea.

Scerbanenco
 Aveva di che scrivere trenta autobiografie, invece creò un personaggio rimasto modernissimo fino ai nostri tempi: Duca Lamberti, un giovane medico radiato dall'ordine per aver praticato eutanasia (anni '60!!) che, uscito di prigione, torna al mondo come involontario investigatore senza nessuna fiducia nel prossimo, troppo miserabile per non essere "traditore di tutti". 
 Un prossimo talvolta crudele, spesso messo alle strette dall'avidità e dal pregiudizio degli altri.

 Nei suoi libri (a cui dedicherò un post) c'è una Milano anni '60 che vive, palpita violenta, in cui quartieri ora gentrificati erano terre di nessuno di sottoproletari incattiviti, in cui i ricchi sono travolti dal vizio e nessuno ha fatto pace col recente passato fascista, occultato sotto un velo lievissimo.

 Lo leggi e sei a Lambrate cinquant'anni fa.

 E, in ultimo, Tondelli. Frequentò molto l'autobiografia, ma lo fece nel modo in cui andrebbe fatto: con una violenza e un'onestà, anche verso sé stessi, che non ammette omissioni o sconti. 

 Le sue storie non hanno in potenza nessuna grandezza: giovani sbandati anni '80, gli anni del militare, un uomo dopo la rottura col suo compagno.

  Ma il modo, il modo in cui sono scritte è tutto. 

Tondelli
Lo leggi e vedi le luci di quegli anni, lo splendore, la disco, il mondo di provincia che voleva essere Londra, il desiderio di vita disperata a tutti i costi, la voglia di divertirsi, la droga che miete vittime e quel grande assente da tutte le celebrazioni degli anni '80: l'Aids.

 Mancava persino una citazione nella mostra al Wow. Certo, non era un argomento ludico, ma fu dirompente come Chernobyl. 

 Una generazione di uomini gay e di molti eterosessuali che pensavano falciasse solo gay, decimata da un misterioso virus sbucato dal nulla.

 A pensarci, a posteriori, è qualcosa di fantascientifico, di distopico.
 Ed è proprio questo tono allucinato, degno delle pellicole di fantascienza anni '80, così cupe e punk al tempo stesso, che hanno i libri di Tondelli.

 Le storie di Tondelli non sono la sua storia, sono gli anni '80. Lui è la scusa, non il fine.

 Bisogna leggere Tondelli e Pazienza per capire la sete di vita di un'epoca oscuramente consapevole della sua decadenza, ma non rinunciava a urlare con tutto il fiato che aveva in petto.

 Non come noi che sussurriamo, spaventati di tutto, anche della nostra ombra.

 Cosa resterà di questi anni 2010? Spero non solo le nostre paure che per ora hanno dato vita a un mondo pessimo e a una letteratura, troppo spesso, noiosa e mediocre.

Ps. Che non c'entra nulla: narrano le leggende che "Libera nos a malo" di Ligabue sia ispirata a Tondelli.

12 commenti:

  1. Grazie per questo articolo, il minimalismo estetico lo trovo più superato dei maglioni anni 80.
    Nel cinema italiano ha anche giustificato una sciatteria nella fotografia, nei costumi e nella recitazione che mi urta.
    Tondelli non lo conosco, approfondirò.

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  2. Quel genere di narrativa che, per mancanza di un autore chiave da cui far discendere tutti gli altri, chiamo "alla Nanni Moretti", perché mi annoia e mi scioglie le articolazioni e mi ovatta le orecchie come i film di Moretti.
    Spero di non far arrabbiare i fan di Moretti qui presenti.

    Son tutti libri che, avessero anche qualcosa di importantissimo da dire, lo dicono in modo così sciapo, così piatto, così banalmente "hey, mi è successa questa cosa e ti racconto esattamente questa cosa esattamente come mi è successa" da farmi venire il filo di bava al mento.
    E poi sono stracolmi di parole inutili.
    Prediligo, a prescindere dal genere, quei narratori che sanno descrivere perfettamente una situazione, una persona, un tramonto o una scarpa con il numero minimo di parole richiesto per formare un'efficace immagine nel mio cervello.
    Di contro, non reggo quelli che anche solo per dirti quanto freddo faceva ci mettono tre pagine. Sei per descriverti una persona. Diciotto per farti capire uno stato d'animo.
    Mi fanno venire voglia di tagliarmi le vene per lungo!

    Ma non ho mai il coraggio di dirlo perché la risposta di solito è "vabbè, la roba che ti piace più leggere sono i fumetti e King, magari sei tu che non hai capito cos'è la buona letteratura". Ora l'ho detto :D

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  3. confesso di leggere pochissimi autori italiani (Tondelli è uno di loro) proprio perché mi fanno venire il latte alle ginocchia; senza contare che spesso hanno anche un tono da maestrin*/educational, per dirla fine, che mi addormenta di schianto in due minuti netti. Riguardo alla ‘patina di civiltà’ che viene via in un batter d’occhio per me resta imbattibile Il signore delle mosche: lo lessi ai tempi dell’universit e fu una rivelazione

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    1. Vero. O il tono da "maestrin/educational" o quello del "sono dandy/maledetto" e quindi me la tiro

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  4. Di ritorno dall'incontro al TCBF ho letto il post, devo confessare che Tondelli non lo conosco, invece go letto un paio di libri di Scerbanenco (Traditori di tutti e Venere privata) e parecchi romanzi di John Wyndham (all'epoca in cui sulle bancarelle di libri usati, ormai scomparse, di trovavano gli "Urania" a pochi soldi); ricordo un curioso romanzo "Il lichene cinese" in cui raccontava di un complotto "femminista": un gruppo di donne intendeva spargere una sostanza, ricavata appunto dal lichene, che rendeva sterili gli uomini, lo scopo era quello di creare un'umanità formata solo da donne che si riproducevano per partenogenesi.
    Ciao e grazie ancor aper il disegno con dedica, lo metterò in cornice.

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    1. Qui da noi bancarelle di usato forse poche, ma dilagano i mercatini. In uno di quelli di beneficenza, nella mia città, puoi trovare un bel po' di Urania "un tanto al chilo", e mi sa che pure nella libreria di usato del centro ce ne siano (a prezzi meno stracciati, ma sempre ottimi).
      Di dove sei tu, bombarda? :D

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    2. Sono di Treviso.
      Sino a qualche anno fa avevamo un fornitissimo venditore (e compratore) di libri usati, sono stato per anni un affezionato cliente ed ho comperato molte cose interessanti. Purtroppo il proprietario è morto e l'attività è cessata. Ora si trova qualcosa nei mercatini dell'usato, ma tra mobili, vestiti e tante altre cose non mi trobo.

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    3. Questa volta sono stato io a fare qualche errore, ma ho provato a scrivere senza occhiali.

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    4. Bombarda è stato un piacere conoscerti! Davvero! E ora mi segno "Il lichene cinese" da cercare in biblioteca (in libreria sarà ormai fuori commercio da 40 anni immagino) -.-

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  5. Non ricordo più chi, a proposito di questo minimalismo, parlò di autori che "si fissano la lanugine dell'ombelico", per poi raccontartela.
    Hai sintetizzato i miei motivi di antipatia verso tanta letteratura (e cinematografia) italiana contemporanea. Per fortuna esistono gli autori di genere! :P

    Tondelli è tanto che mi riprometto di leggerlo, ma un po' mi spaventa. Non ho mai subìto molto il fascino degli anni '80 in "stile Pazienza", con le cronache di una generazione che si dissipava (ma vale per tutti i decenni, eh! Stessi sentimenti per le identiche cronache anni '60 o '70 o prima o dopo). Però me lo raccomandano in tanti...

    Su Scerbanenco hai detto tutto benissimo, è proprio così. Guarda caso, scriveva di crimini e non di lanugine :P

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    1. Magari "Tondelli" inizialo da "Rimini" che è una sorta di noir molto particolare che però, al contrario di "Pao Pao" e "Altri libertini" ha diciamo una trama abbastanza definita.
      Scerbanenco avrà un post tutto per sé! Devono leggerlo tutti!!

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