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lunedì 11 novembre 2019

Sempre pronti (al peggio). Una riflessione, a base di ricordi, su gruppo, adattamento e sacrificio dopo la lettura di "Sempre pronti" di Vera Brosgol.


 Mi capita di leggere spesso (e oserei dire incredibilmente) nelle biografie dei politici l’aver fatto lo scout come un titolo di merito. Non ne ho mai, onestamente compreso il motivo.

 Non c’è molto di cui vantarsi nell’aver fatto parte di un’organizzazione di origine paramilitare votata al volontariato e alla vita nei boschi, alla quale, di solito, vieni iscritto dai tuoi genitori per stare un po’ all’aria aperta, perché ci vanno tutti o perché comunque è una roba d’ispirazione cattolica (sì lo so esiste il CNGEI,ma non raccontiamocela è l’AGESCI che domina).

 Lo dico con cognizione di causa, ne ho fatto parte per 12 lunghi anni, anche appassionatamente, perché appunto, la parte del volontariato, dei boschi e anche del sentirsi parte di qualcosa è in effetti inebriante. 

 Tuttavia, se mi guardo indietro mi rendo conto che le cose brutte che mi ha lasciato sono assai più numerose e maggiormente marcate a fuoco di quelle belle.

 L’esperienza per quanto brevissima (un unico campo scout) di Vera Brosgol in “Sempre pronti”  ed. Bao Publishing rende bene l’idea di quel che voglio dire.

 Nel libro, l’autrice, figlia di immigrati russi negli USA, insiste mortalmente con la madre per essere spedita ad un campo estivo

Tutte le sue amiche ci vanno (a quanto sembra in America è praticamente LA cosa da fare in estate) e ne esistono di diversi tipi (in effetti anche Charlie Brown ci andava sempre).

 Lei, per ragioni economiche e di comunità, viene infine spedita ad un campo scout per figli di immigrati russi.

  E’ inutile che cerchiamo di trovarci un senso perché in Italia: 
1) Non esistono campi scout divisi per etnie/discendenze (OVVIAMENTE) 
2) Non puoi andare ad un campo scout se non hai frequentato da scout per tutto l’anno.

Il titolo originale è "be prepared". Considerando
che uno dei motti base dello scoutismo è, appunto,
"Estote parati", mi stupisce abbiano deciso di
cambiare il titolo in traduzione
 Il motivo è anche comprensibile leggendo il libro di Vera: non puoi essere preso e sbattuto a fare cose di cui non si comprende il senso, dove tutti già si conoscono e dove non viene fatto nessuno sforzo per l’integrazione.
 Tuttavia, questo è solo una parte del problema. 

 Quel che Vera vive durante il campo scout è quel che può accadere (non necessariamente accade, non tutti i gruppi sono uguali, ma quando accade avviene in modo prodigiosamente identico) a chiunque non sia particolarmente portato a unirsi ciecamente a un gruppo.

 Diciamo che molte cose accadono nei gruppi scout, ma, almeno nel mio, non era particolarmente incoraggiato il pensiero critico

 Tutto diveniva secondario rispetto all'appartenenza ad un gruppo e, per carità, dal punto di vista sociologico, nell’ottica anche di un eventuale film di fantascienza post-atomica, la cosa ha di certo un senso, ma quando ti ci trovi dentro (e soprattutto non sei in un film di fantascienza post-atomica) non lo ha.

 Ma mi spiego meglio.

 Vera arriva al campo scout. 
 Scopre cose ovvie come il fatto che dovrà dormire in tenda e usare una latrina e cose meno ovvie come “non è il gruppo che deve assorbire te, ma sei tu che devi farti assorbire dal gruppo”. 

 Sembra poco, ma è tutto. Infatti lo zero impegno profuso da chi si conosce già da una vita e frequenta il campo da anni nel farla sentire a suo agio, ha subito i suoi effetti negativi.

 E’ ovvio che una persona estroversa, carismatica e dal carattere socievole riuscirà a integrarsi immediatamente, ma è altrettanto vero che qualcuno un po’ più timido, introverso o con dal carattere particolare farà estremamente più fatica e rischierà la solitudine o l’emarginazione.

Certo, è quel che accade in tutti i gruppi, ma è quel che non dovrebbe accadere in un campo scout.

 La storia è poi costellata da “piccoli” episodi di bullismo: le ragazze più grandi che si approfittano della voglia di Vera di essere integrata impossessandosi dei suoi dolci, le mutande sporche di sangue di una delle ragazze più grandi messe sull’alzabandiera. 

 Cose che, intendiamoci, da un punto di vista darwinista ti preparano alla vita: nessuno sarà sempre gentile con te, meglio che ne prendi atto e ti fai un po’ di muscoli.
 I ragazzini sono cattivi perché gli adulti sono cattivi.

 “Il signore delle mosche” ci ha già vaccinati sull’illusione della naturale bontà scaturita dalla minore età.


 Tuttavia un episodio è significativo e, a mio parere, rappresenta ciò che ho sempre sempre sempre rimproverato e sempre sempre sempre rimprovererò alla mia esperienza scout: il voler minimizzare alcuni episodi di “bullismo” che, se pur possono nascere naturalmente all’interno di un gruppo di ragazzini costretti a stare sempre insieme per venti giorni, non possono in nessun modo essere minimizzati dai capi.

Il minimizzare, il far apparire chi si trova in mezzo come uno che non sa stare al gioco, è il vero problema.

 Accade che Vera e i suoi compagni partano per una gita nei boschi. Si fa sempre. 
 Passi una notte fuori, cucini senza stoviglie (la cucina trapper, molto divertente, incredibile che nessuno sia mai morto mangiando uova cucinate con un fil di ferro passato in mezzo), canti sotto le stelle.

 Tuttavia è anche il momento in cui i più deboli devono fare LA STESSA strada dei più forti portandosi dietro zaini abbastanza pesanti. 
Si ha un bel dire che si va “al passo del più lento”, a me non è mai successo. 
Io sono alta un metro e mezzo, non sono mai stata una silfide e dovevo seguire le falcate di ragazzi alti un metro e ottanta assai più prestanti di me. Per loro era una simpatica passeggiata, io volevo solo morire.

 Nel racconto, un ragazzo particolarmente preso di mira perde una scarpa nella fanga.

 Non riescono a recuperarla e così, sempre in modo molto darwinista, si decide di mettergli una specie di sacchetto intorno al piede e di proseguire. Dopo un po’, lo stesso ragazzo viene attaccato da alcune vespe e punto. Tutti iniziano a prenderlo in giro, compresa Vera che fino a quel momento lo ha compatito.

 Vera si unisce al coro ed è parte di loro. Rinuncia a solidarizzare per farsi accettare.

Non dubito sia una dinamica dei gruppi già abbondantemente studiata, quello che non accetto e non ho mai accettato è che venga presa sottogamba da chi dovrebbe invece vigilare, spiegare e far riflettere. 

 Qualcuno ha azzardato l’ipotesi che di certo la struttura gerarchica scoutistica in qualche modo agevoli tali episodi.

  Questo non so dirlo, ma posso dire di averne visti a iosa di questi episodi, di averne subiti a iosa e di provare ancora a distanza di anni un certo rancore verso chi non fece nulla.
 Episodi che peraltro, da persona più adulta e cambusiera, ho visto accadere e ugualmente prendere sottogamba (ma forse il fatto che i capi fossero quelli che si erano precedentemente accaniti su me e altri può essere una spiegazione della recidiva).

 Per quale motivo decisi di perseverare? Innanzitutto posso dire che, adesso, non ripeterei l’errore, ma posso capire perché all’epoca lo feci.

 E’ sempre descritto molto bene nel libro di Vera Brosgol: a fronte di tante cose molto spiacevoli, ci sono esperienze che è altrimenti difficile vivere. 

 Un grande contatto con la natura, un certo superamento dei propri limiti, dall’uso delle latrine al coraggio di andar per boschi da sole.

 C’è comunque un corollario di momenti preziosi che in qualche modo contribuiscono a renderti la persona che sei, e il gruppo, quando è benevolo, trasmette davvero una sensazione di collettività, di totale comunione con l’altro, difficile da riscontrare in altre situazioni nella vita. 

 Non a caso chi ha vissuto, al mio contrario, un’esperienza completamente positiva, anche da adulto difficilmente si distacca dall’esperienza scoutistica.

 Tuttavia mi sento di dire, come dice anche Vera, molto sinceramente alla fine del libro, quando ha trovato un’amica, ha visto un’alce, ha vissuto un’estate finalmente diversa e assai più costruttiva delle precedenti, che certe dinamiche non sono per tutti.

 Certo, aiuterebbe essere compresi e non minimizzati, aiuterebbe trovare un appoggio e non un “vabbeh dai passerà” oppure “non possiamo fermare tutto il gruppo SOLO perché tu non puoi camminare senza una scarpa”, aiuterebbe diciamo affrontare tutto come se la responsabilità del benessere fosse collettiva e non personale al fine di non turbare la collettività. 

 Un gruppo può anche non tornare indietro per una scarpa, ma ci si può dividere il peso dello zaino, ingegnarsi per rendere meno difficile il cammino a chi è in una condizione di debolezza.

 “Sempre pronti” è un libro molto molto molto onesto sullo scoutismo che consiglio di leggere sia a chi lo ha praticato sia a chi avrebbe voluto e non lo ha fatto o ha figli che vorrebbe iscrivere.

 Non fa terrorismo psicologico e non è L’ESPERIENZA UNIVERSALE, ma è un’esperienza comune a tanti.

 Io tuttora a distanza di anni non comprendo se ci ho più perso, (ho davvero dei ricordi pessimi che avrei potuto risparmiarmi) o più guadagnato (è pur vero che nella vita le brutte esperienze temprano e imparano a gestire conflitti e problematiche in momenti difficili).

 Probabilmente in generale racconta con estrema onestà uno degli innumerevoli episodi che possono rendere anche l’adolescenza più protetta assai difficoltosa.

 Non possiamo sempre schivare il pericolo e anche questo è un grande insegnamento.

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