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domenica 21 giugno 2020

La vita non è un film. "Lettere a me stessa" di Kabi Nagata, una recensione tra ansia, speranza e viaggi interrotti.

 L’esperienza della lettura è talmente complessa e sfaccettata che anche dopo anni dà la possibilità di provare nuove emozioni. Ad esempio non mi era mai capitato, fino a pochi giorni fa, di essere in ansia per il futuro di un autore.

 Mi è successo con “Lettere a me stessa” di Kabi Nagata, una sorta di memoir a fumetti, scritto in forma di lettere che l’autrice scrive alla sé stessa del futuro.

 Ero davvero entusiasta (so che suona come “sono veramente euforico”, scusate) di leggerlo dopo il bellissimo “La mia prima volta”, nel quale la Nagata raccontava la sua prima esperienza sessuale avuta con una escort lesbica. 

 Detta così sembra una cosa gigatorbida (so che accostare le parole lesbica ed escort in troppi cervelli è fatale ed è sintomo di qualcosa di incredibilmente perverso, ma la realtà, miei cari, è ben diversa da un porno), in realtà a Nagata aveva deciso di far ricorso a questo espediente come extrema ratio.

 Sostanzialmente, ci racconta, fino alla fine delle superiori la sua vita sembrava, tutto sommato, abbastanza normale. Brava studentessa, con specifici interessi e tanti amici, poi con l’università l’inizio dei problemi. 

 La mancanza di punti di riferimento e di una solida struttura che garantisse una precisa scansione del tempo giornaliero e il contatto forzato (e bramato) con coetanei, precipita l’autrice in una spirale di incertezza, ansia e infine vera e propria depressione. 

 Lascia l’università, inizia alcuni lavoretti part-time e l'insostenibile pressione sociale che la travolge viene aggravata dai genitori che non prendono sul serio il suo disagio, ma pensano che caricarla di aspettative e lanciarle frecciatine sia un modo per stimolarla.

 In realtà finisce per scivolare sempre più a fondo tra autolesionismo e disordini alimentari.

 Ad un certo punto, dopo alcuni terribili anni nei quali ha cercato in ogni modo di riemergere dalla disperazione, Kabi Nagata prende una decisione: non ha mai avuto nessuna esperienza né di tipo sentimentale né, ovviamente sessuale. 

 Pensa che questo sia uno dei veri ostacoli alla vita normale alla quale tanto agogna e così prende il coraggio a due mani e prenota una escort.

 Io devo dire che seguivo il suo malessere benissimo. Capivo tutto, a partire dallo spaesamento fortissimo dopo le superiori.

 In molti provano un lungo periodo di spaesamento e anche di tristezza durante i primi mesi o anche anni universitari: hai fatto di tutto per adattarti alla vita scolastica per anni e, quando finalmente ci sguazzi come un pesce nel suo oceano, ecco che vieni bruscamente spostato in un habitat completamente diverso. 

 L’università è maggiore indipendenza, nuove conoscenze, più responsabilità.
 Intendiamoci, tutte cose belle che iniziano a prepararti alla vita vera (quando leggo di universitari che si lamentano della poca meritocrazia durante gli esami provo sempre un moto di tenerezza, per la serie “non sai cosa ti aspetta caro mio”), ma per alcuni possono essere davvero una seria e insostenibile fonte di disagio.

Per Kabi Nagata è stato così, o almeno è quello che si evince dal suo primo libro che, infine, termina con una nota di speranza che lascia al lettore la sensazione che tutto stia andando al suo posto e presto avremo il giusto lieto fine che rassicurerà tutti quanti.

 E qui veniamo a “Lettere a me stessa” che, nell’originale, se ho ben capito, era diviso in due volumi e, infatti, consta di due epiloghi, uno a metà libro e uno alla fine.

"Lettere a me stessa" di Kabi Nagata ed. JPop
Nella prima parte, Kabi Nagata raccoglie i frutti dei suoi sforzi del libro precedente: l’esperienza con l’escort non le ha dato quello che sperava, ossia non ha scoperto improvvisamente le magie dell’amore e dell’eros. 

 Come scrive, il sesso è comunicazione, e lei è totalmente chiusa in sé stessa: deve prima imparare a comunicare per poter intessere un dialogo di corpi così intimo. 

 Tuttavia, dopo anni passati a vaneggiare di voler diventare una mangaka, ha finalmente deciso di raccontare la sua storia riscuotendo un enorme successo che le ha dato abbastanza una tale indipendenza economica da poter decidere di andare via di casa.

 Ovviamente non è così semplice, si intuisce che i 10 lunghi anni di depressione che ha attraversato hanno lasciato dei segni pesantissimi ed è davvero molto fragile. 

Così da lettrice ho iniziato a provare questa inedita sensazione: ero in ansia per l’autrice.

Voltavo le pagine e mi dicevo: dai Kabi, vedi che sta andando tutto per il meglio? Questa è davvero la volta buona!

 Invece, per ogni passo in avanti ce n’era uno indietro. La mazzata per il lettore arriva dopo il primo epilogo. 
 Tu stai lì che l’hai vista finalmente andare a vivere sola, iniziare a tenere un po’ testa ai suoi genitori, persino uscire con una ragazza e baciarla quando braaaaaaaaam tutto collassa.

Nella seconda parte ha un crollo totale e inaspettato che si ripercuote sullo stesso tratto del disegno, ridotto completamente all'essenziale, a tratti tremante e ancor più stilizzato.
 Impossibile non essere investiti dal crollo emotivo, tanto che, scrive, molti lettori, colti alla sprovvista, hanno dato recensioni negative delle nuove lettere (che, in originale, venivano rilasciate man mano). Ma lei, si dice, non può cambiare la storia della sua vita solo per far loro piacere.

 Ed è qui che si svela tutto l’inganno tra lettore e autore in quei libri, complicati da gestire, che sono i memoir.

 Mentre per l’autore la corrispondenza tra vita e scrittura è spesso (non sempre perché in molti casi viene inserito un elemento di romanzamento) identica, per il lettore il passaggio non è invece così immediato. 

 La sensazione predominante è quella di leggere sempre e comunque una storia che rispetterà i canoni della finzione.

Per questo motivo la seconda parte del libro coglie alla sprovvista il lettore. Abituati, da manuale, a seguire un viaggio dell’eroe codificato in un modo assai preciso, eravamo convintissimi di trovarci nella parabola discendente: il peggio è passato, l’esperienza un po’ borderline con la escort le ha dato il giusto slancio per risolvere i suoi numerosi problemi e tutto sta andando al suo posto.

 Ma, come cantavano saggiamente gli Articolo 31, la vita non è un film e neanche un romanzo. 

 Così, per Kabi Nagata, la parabola che stava scendendo risale improvvisamente, inaspettatamente, senza, sembra, neanche un fattore particolarmente scatenante. 

 Ed è a quel punto che il lettore (e da quello che si evince, anche i genitori della protagonista) capisce finalmente quanto abissalmente profondo sia il disagio che ha soverchiato Kabi Nagata cercando con tutte le sue forze di rimanere a galla.

Veniamo spiazzati perché vediamo minare le nostre certezze: andrà tutto bene, si risolverà tutto, il tempo guarisce ogni cosa.

 Sono formule magiche ci ripetiamo, giustamente, tutti i giorni per superare momenti che appaiono difficili o imperscrutabili. Abbiamo bisogno di credere che andrà tutto bene perché altrimenti rischieremmo di rimanere immobili.

 Poi leggi storie come quelle di Kabi Nagata e rimani spiazzato e rimani in ansia, per lei, ma anche per te.

 Perché sai che se lei non risolverà i suoi problemi, se la storia non avrà un lieto fine, allora l’incantesimo avrà subito una bordata di difficile contenimento. 

 Intendiamoci, accade anche nella vita di incontrare persone perse e sperdute, ma quante volte decidiamo di distogliere gli occhi o quante rischiamo di arrabbiarci perché, nonostante tutti i nostri sforzi, proprio non ne vogliono sapere di essere “aggiustate”?

Ma la vita, che pure, ripeto, ha bisogno di quelle formule magiche per vivere, è spesso devastante e ingiusta e Kabi Nagata, con un’onestà cristallina, una lucidità davvero notevole, continua a ricordarcelo, pur persa nei suoi fiumi di lacrime.

 Le cose andranno meglio per lei? A giudicare dalla copertina del suo terzo libro, almeno al momento sembra di no, ma noi lettori non possiamo far altro che crederci e mandarle i nostri migliori auguri perché essere gentili di certo non basterà, ma non potrà mai neanche farle del male.

Vi lascio, bonus track, "Non è un film" degli Articolo 31 che mi frulla in testa da quando ho iniziato a pensare a questo post!




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