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domenica 26 aprile 2015

Quattro letture per il 25 Aprile, il giorno in cui l'Italia vide la fine di un incubo (di cui fu ampiamente connivente) durato più di vent'anni. Dai singoli ad un intero popolo che seppero dire NO, dal coraggio immenso delle donne al sacrificio estremo di sette fratelli, per non dimenticare mai.

 Ieri è stato il 70esimo anniversario della Liberazione, un 25 Aprile che pare tanto lontano, ma era a malapena due generazioni fa. 
Quest'anno grande pubblicità è stata stranamente fatta in tv, dopo anni in cui dovevi quasi vergognarti a festeggiare una ricorrenza fondante della storia d'Italia. All'inizio ero sorpresa piacevolmente, poi ho iniziato a notare che si parlava di festa per la libertà, liberi da tutti i regimi, tutte le dittature, tutto misto, di tutto un po'.
 Insomma, il 25 Aprile non è come il primo Maggio, generica festa di tutti i lavoratori. 
 Il 25 aprile l'Italia si liberò con l'aiuto degli alleati, ma anche con una sollevazione popolare da parte di giovani coraggiosi cresciuti sotto il regime fascista che seppero vedere oltre l'indottrinamento, di antifascisti perseguitati o costretti a nascondersi durante il ventennio, di tante persone che dopo anni di connivenza si svegliarono improvvisamente (un po' troppo come fa notare il Pertini di Paz: "Prima della liberazione eravamo 4 ora siamo 40 milioni"), ecco l'Italia si liberò da un regime ben preciso: quello fascista.
 Anni di revisionismo ci hanno consegnato leggende come "Il cattivo tedesco e il bravo italiano", titolo anche di un bel libro della Laterza by Filippo Focardi.
 Il concetto era che: ok, i fascisti c'erano, ma era una roba all'acqua di rose, mica come il nazismo, il nostro era un regimetto così, una farloccata durante la quale i treni arrivavano in orario, è stata fatta la riforma della scuola da Gentile e le leggi razziali ci furono imposte, ma non è che ci credevamo davvero.
Andrea Pazienza ovviamente
Beh, che qualcuno informi gli ebrei del ghetto di Roma a cui venne fatto credere che spogliandosi di tutto il loro oro avrebbero avuto salva la vita e invece sono stati prima depredati e poi deportati in massa. Mi sa che loro alla storiella non ci credono.
 Comunque codesto non è un post per analizzare la storiografia della resistenza, ma per proporre delle letture ad hoc per la celebrazione.
 Lo dedico idealmente al partigiano a cui era intitolato il mio liceo.
 Il primo preside, curiosamente omonimo di un grande della letteratura italiana, aveva fatto la resistenza ed era molto amico di questo ragazzo che venne catturato, torturato e ucciso dai fascisti. Le tracce che rimasero di lui sono raccontate in "Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana" ed. Einaudi: una scritta col sangue sul muro del carcere e una pagnotta rafferma su cui aveva scolpito un addio alla madre. Null'altro. Aveva 27 anni.

 Di seguito i miei consigli. Buone letture!

"PREFERIREI DI NO" di Giorgio Boatti ed. Einaudi: 
Fiumi di inchiostro si sono scritti sulla resistenza durante, un po' meno su quella prima. 
 Sappiamo di Matteotti, assassinato dopo il discorso in parlamento, del giovane Gobetti, morto per i postumi di un'aggressione fascista, dei fratelli Rosselli assassinati su mandato mentre erano rifugiati in Francia,  meno di altri  piccoli coraggiosi. 
 In "Preferirei di no" si narra la storia dei 12 professori che soli su 1250 ordinari all'università si rifiutarono di prestare giuramento al regime fascista
 Si trattava di: Francesco Ruffini, Mario Carrara, Lionello Venturi, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi Della Vida, Edoardo Ruffini Avondo, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Gaetano De Sanctis, Mario Carrara.
 Non erano gli antifascisti sovversivi e infuocati che si potrebbero immaginare, anzi, a molti professori segretamente comunisti e socialisti venne consigliato di giurare per continuare un'opera di resistenza all'interno dell'università onde evitare di lasciare il posto a soli professori convintamente fascisti.
  I 12 appartenevano a branche svariate e diversissime, dalla filosofia alla chimica, dalla matematica all'antropologia, tutti erano accomunati da uno spirito critico che impediva loro di cedere, anche solo per convenienza, (persero la cattedra, vennero ostracizzati dal mondo accademico e da quel momento furono ovviamente sorvegliati speciali), anche solo con intenti di eventuali resistenze accademiche sul lungo periodo, al giuramento. Dissero no.
 Mille furono i modi in cui si giustificarono i tanti, anche illustri, che dissero sì: alcuni "tenevano famiglia", altri temevano la povertà, altri lo consideravano un pro forma che non avrebbe modificato il loro insegnamento. Ma non era un pro forma dimostrare che era possibile, in qualche modo, fare i conti con la propria coscienza, sapersi caricare sulle spalle il rischio di opporsi a qualcosa che non potevano in nessun modo sopportare.
 E' una resistenza meno spettacolare, ma forse la più significativa: troppi si voltano dall'altra parte di fronte all'orrore dicendo che hanno qualcosa o qualcuno da proteggere. Alcune volte esistono cose che superano tutto questo, ed è riconoscerle che ci rende esseri umani degni di questo nome.

"IL POPOLO CHE DISSE NO" di Lidegaard Bo ed. Garzanti:  
Davvero in tutta Europa il nazismo attuò il suo piano di sterminio della popolazione ebraica senza che le nazioni riuscissero ad opporre una vera resistenza per timore di ritorsioni, connivenza, convenienza, terrore o menefreghismo? Non proprio.
  Hannah Arendt ne "La banalità del male" fa un elenco dei diversi modi in cui i cittadini dei vari stati si comportarono nei confronti delle leggi razziali e della deportazione degli ebrei e già lì vengono fuori molti e variegati distinguo. Ci furono però due casi molto particolari di popolazioni che trassero in salvo i loro concittadini ebrei: i bulgari (che impedirono con grandi manifestazioni ai tedeschi di deportare gli ebrei bloccando i treni su cui molti erano già stati fatti salire a forza) e i danesi. 
Su questi ultimi  è stato scritto un bel libro, "Il popolo che disse no" nel quale si porta alla luce il coraggio di un popolo che seppe salvare 6500 dei 7000 ebrei presenti sul territorio nazionale con una catena di solidarietà e resistenza che coinvolse tutti i cittadini fino al re Cristiano X di Danimarca.
  I danesi si erano lasciati invadere dai tedeschi con relativa tranquillità, non opponendo eccessiva resistenza, ricevendone tuttavia in cambio un trattamento meno duro di altri stati. 
 Svariati poteri erano inoltre lasciati al re in carica. 
 Cristiano X era un uomo autoritario, ma decisamente peculiare e astuto, che non si sottomise mai davvero ad Hitler: i numerosi aneddoti presentano infatti un sovrano che opponeva quella resistenza minima, ma decisiva per conservare la dignità della sua nazione.
 Due su tutti l'irrinunciabile giro in carrozza tra le vie della città per mostrarsi presente ai suoi sudditi e la crisi del telegramma (sostanzialmente Hitler gli aveva scritto un biglietto d'auguri per il compleanno lungo come un papiro e lui aveva risposto "Grazie mille ciao").
 La stessa dignità che mostrarono i danesi quando fu chiesto loro di consegnare gli ebrei: il popolo disse no. Quando la Germania chiese ai danesi di consegnare i loro ebrei, nessuno denunciò i propri concittadini e, nell'arco di due settimane, presi anzi una complessa rete che permise loro di migrare in Svezia o di nascondersi ai nazisti.
  Leggenda vuole che lo stesso re avesse fatto cucire la stella gialla di Davide sul bavero della sua giacca, ma è l'esagerazione di un frase comunque potente. Al primo ministro che gli chiedeva cosa avrebbero fatto se i nazisti avessero chiesto agli ebrei danesi di girare con la stella di David, lui rispose "Allora la indosseremo tutti". Anche i 500 che vennero comunque deportati non furono lasciati al loro destino: il governo danese fece pressioni e trattò perché essi gli venissero restituiti.
 Un episodio che dimostra come anche nelle condizioni più estreme si possa scegliere. E un popolo in coro scelse di dire no.

"UN FIORE CHE NON MUORE" di Ilenia Rossini ed. Red Star Press:
Per molti anni si è sminuito il peso attivo avuto dalle donne nella lotta partigiana , uno dei veri viatici fondamentali per l'evoluzione del ruolo femminile nell'arcaica società italiana.  Generalmente si attribuiva alla parte femminile della resistenza un ruolo minoritario, di supporto, come se comunque essere una staffetta o ospitare partigiani ricercati non fosse in qualche modo pericoloso, fondamentale o causa di eventuali torture e condanne a morte. 
 C'era invece una parte di supporto che era fondamentale e non secondaria, ma anche una parte femminile dedita ad azioni di battaglia sul campo. Finalmente negli ultimi anni sono andati in stampa vari libri sulle donne resistenti, come "La resistenza taciuta" ed. Bollati Boringhieri, sulle vite di dodici partigiane donne.
 Il libro che mi sento di consigliare per chi volesse avvicinarsi a questo argomento è però "Il fiore che non muore" perché permette di avere un primo approccio più generale, una sorta di introduzione all'argomento tramite tante piccole biografie, i comunicati dei Gruppi di Difesa della Donna, gli appelli alle donne resistenti delle varie città e altri documenti della resistenza dedicati specificatamente alla parte femminile a cui, finalmente, veniva riconosciuto un ruolo necessario, un'importanza mai raggiunta prima. 
Elsa Oliva
Molte sono le storie di queste ragazze, spesso giovanissime, che rischiavano la vita con uno sprezzo del pericolo inimmaginabile  (e a mio parere doppiamente inimmaginabile visto il modo in cui venivano educate le donne all'epoca).
 Su tutte spiccano alcune storie che lasciano a bocca aperta, come quella di Elsa Oliva che, giovanissima, appartenente ad una famiglia antifascista, iniziò ad impegnarsi nella resistenza con attività di supporto. Dopo l'armistizio, lavorando all'anagrafe di Bolzano, produsse numerosi certificati falsi che salvarono la vita ai militari deportati dai nazisti.
  Scoperta, venne catturata per essere processata in Germania, ma riuscì a fuggire e a raggiungere i suoi genitori a Domodossola. Tuttavia, poiché era ricercata dalle SS decise di unirsi al fratello partigiano sui monti. Qui, si impegna nella lotta in qualità di combattente e, dopo numerose operazioni, viene di nuovo catturata. Prima che venga emessa per lei una sentenza di morte, simula il suicidio riuscendo a fuggire con l'aiuto di alcuni religiosi per poi tornare alla lotta sulle montagne. Sopravvivrà infine alla guerra.
 Altre ragazze, coraggiose, non ce la fecero, come Norma Pratelli a cui il Corriere della Sera ha dedicato una piccola web series in questi giorni, torturata e uccisa dai nazifascisti il giorno prima della liberazione della sua cittadina, Massa Marittima. O come Edera Francesca De Giovanni che, partigiana, venne torturata e infine uccisa. A 21 anni questa ragazza prima di morire gridò ai suoi assassini: "Tremate!Anche una ragazza vi fa paura!"
E poi ci sono Iris Versari, Piera Galassi, Teresa Vergalli...Ancora non avete cercato il libro?

"I MIEI SETTE FIGLI" di Alcide Cervi ed. Einaudi: 

Per concludere questa rassegna non posso non citare il libro di Alcide Cervi, il padre dei sette celebri fratelli assassinati tutti insieme durante il regime fascista. Il loro rimane uno degli episodi più celebri della resistenza a causa del suo particolarmente epilogo drammatico.
 I fratelli Cervi appartenevano ad una famiglia contadina stanziata vicino Reggio Emilia e politicamente assai attiva. Socialisti convinti, erano impegnati sia in attività di resistenza attiva sia di supporto offrendo ospitalità a moltissimi partigiani.
 Catturati durante un rastrellamento fascista, furono uccisi tutti insieme per rappresaglia dopo che alcuni partigiani ebbero ucciso Davide Onfiani, segretario comunale di Bagnolo in Piano. Lasciarono alcuni figli che crebbe Alcide Cervi assieme alle nuore vedove poiché la madre dei Cervi morì nel giro di pochissimo di crepacuore.
 Nel libro, il padre dei Cervi rievoca le lotte politiche della sua famiglia sottolineando l'impegno sempre vivo dei suoi figli che si dividevano tra l'intenso lavoro nei campi a cui applicarono notevoli migliorie attraverso studi da autodidatti e la lotta antifascista. 
 Il padre, che li appoggiava pienamente, ricorda alcuni episodi di vita partigiana, i molti ragazzi nascosti e infine il tragico epilogo. Sopravvisse ai sette figli uccisi fino al 1970, quando novantacinquenne morì.
 Oltre al libro di Alcide Cervi, vari altri libri sono stati scritti sulla vicenda, fu dedicato loro un film con protagonista Gian Maria Volonté, Calamandrei scrisse la tragica epigrafe per la madre che non resse al dolore e nell'album "Appunti partigiani" dei Modena City Ramblers si può ascoltare "La pianura dei sette fratelli".

 Voi ne avete letto qualcuno? Quali suggerireste sull'argomento? 

6 commenti:

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  2. Prova "Possa il mio sangue servire" di Aldo Cazzullo, uscito per la Rizzoli, che racconta vicende grandi e piccoli di donne e uomini che hanno dato una mano ai partigiani nella seconda guerra mondiale, con nomi notissimi e a volta davvero inaspettati, come Gianni Rodari ed Enrico Mattei.

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    1. Di Mattei sapevo, Rodari no. Anche Guareschi ha una storia strana. Sarebbe interessante un post sugli scrittori partigiani in effetti...mumble mumble..

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  3. Vi aggiungo "Razza partigiana" di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio . E' la storia di Giorgio Marincola.
    Vi aspetta una piccola sorpresa.

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  4. "I piccoli maestri" di Luigi Meneghello è tra i miei libri preferiti di sempre.

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