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sabato 19 settembre 2015

Intervista a Cristina Obber, l'autrice del bel "L'altra parte di me" un libro per gli YA e per i loro genitori, perché non si decide quando, dove e perché arrivi l'amore. L'unica cosa importante è che lo sia.

 In Italia i libri per i giovani adulti, Young adult, under 18, adolescenti o come ci si ingegna di chiamarli escono in quantità industriale. Tra le trilogie amorose (ora anche sestologie) con nomi praticamente identici e copertine indistinguibili, scopiazzature di Hunger Games e tentativi pseudodidattici di impegno civile, non si può dire che il settore soffra. Eppure.
Dal film "La Kryptonite nella borsa"
 I libri per YA con protagonisti Lgbt sono ben pochi e la stragrande maggioranza provengono dal mondo anglosassone, come "Will ti presento Will" di John Green (lo stesso di "Colpa delle stelle" sì), "Trevor" di James Lecesne o "Ash" di Malinda Lo.
 I libri sul tema frutto di autori italiani credo si possano contare sulle dita di una mano sola: oltre al bel "L'uovo fuori dal cavagno" della bravissima Margherita Giacobino, c'è qualche tentativo di matrice autobiografica come "La kryptonite nella borsa" di Ivan Cotroneo (che però parla dell'infanzia, che i gay non nascono già adulti, come Atena che esce dalla testa di Zeus) o "Tutta colpa di Miguel Bosè" di Sciltian Gastaldi.
 Circa un annetto fa, a questa troppo misera lista, è andato ad aggiungersi "L'altra parte di me" di Cristina Obber, ed. Piemme.
 Il libro narra la storia d'amore tra due ragazze adolescenti alle prese con problemi molto più grossi di quelli in cui si imbattono gli adolescenti in genere.  
Francesca infatti viene da una famiglia bene di Bassano del Grappa, una di quelle dove i genitori sono ricchi, colti, aperti e più o meno di sinistra.  Dopo aver conosciuto su fb Giulia che abita in Puglia con la madre e, al suo contrario ha già avuto una storia con una coetanea, e si è dichiarata con sua madre, Francesca pensa di fare coming out con i suoi. In fondo sua madre e suo padre si dichiarano aperti e contro l'omofobia, la prenderanno bene, no?
 Eh no, perché forte è la convinzione in troppi genitori che un figlio gay o lesbica sia qualcosa di innaturale, che a loro non può capitare, che è una fase, che uno deve solo trovare sé stesso, che da una famiglia "normale" un figlio omosessuale non può venire fuori. Mettici pure che abiti in una profonda provincia nordica e le tue amiche non abbiano un'apertura mentale degna di questo nome e il patatrac è fatto.
 "L'altra parte di me" è un perfetto manuale di quello che sono costretti a passare molti adolescenti Lgbt tra la famiglia che li osteggia, le storie a distanza, genitori che non accettano, nonni che di colpo si allontanano, episodi di omofobia da parte del resto del mondo solo per aver osato tenersi per mano in spiaggia. 
 Un libro che, secondo me, più che gli YA dovrebbero leggere i genitori degli YA, soprattutto quelli che davanti ad una trama del genere storcono il naso al grido di "A me non può succedere, non mi interessa".
  Anche perché Cristina Obber non è un'adolescente lesbica, ma una assai brava giornalista e scrittrice, etero, che si occupa di tematiche femminili trasversali (il suo libro precedente, "Siria Mon Amour" raccontava la storia di una ragazza italo-siriana costretta ad un matrimonio combinato) e ha dimostrato di saper comprendere alla perfezione non solo lo stato d'animo, ma anche gli ostacoli che il mondo pone, senza motivo, sul cammino di tanti ragazzini e ragazzine che vorrebbero solo essere liberi e felici come i loro coetanei.
 Di seguito, vi lascio con un'intervista che mi ha gentilmente concesso e di cui la ringrazio moltissimo!

Cosa leggeva da bambina?


Piccole donne, Pollyanna, Tom Sawyer, I ragazzi della Via Pal, gli estratti dei classici su “L’Enciclopedia della donna”. Eravamo una famiglia semplice ma con la casa piena di enciclopedie, pagate a rate per anni- compresa una raccolta Rizzoli in tantissimi volumetti blu -che conservo ancora- che mi hanno fatto scoprire presto Tolstoy, Victor Ugo, Jane Austen.


Cosa sta leggendo in questo momento?


In questi giorni sto leggendo tre libri diversi, a seconda del momento, tra cui "Fra me e te", conversazioni tra madre e figlia, tra Mariella Gramaglia e la figlia.


Un romanzo che vorrebbe assolutamente consigliare?


In questo momento renderei obbligatoria la lettura di Goliarda Sapienza, “Larte della gioia”, che da’ respiro alla vita e all’amore, di questi tempi particolarmente offuscati. Organizzerei letture pubbliche in Piazza San Marco, per cominciare.


C'è un romanzo in particolare che la colpì quando lei era una “giovane adulta”?


La Storia” di Elsa Morante, che ho portato all’esame di una maturità elettrotecnica. L’ho ricomprato di recente, perché la MIA copia è andata perduta, probabilmente prestata. Ricordo che nel periodo in cui la leggevo Elsa Morante tentò il suicidio e mi parve qualcosa di naturale, come se me lo aspettassi.


All'inizio del libro si legge che “L'altra parte di me” è stato ispirato da due ragazze incontrate davanti alla macchinetta del caffé. In che modo? E' la loro storia?


Vi sono alcuni momenti tratti dalla loro storia. 
 Le ho conosciute in università a Milano, sembravano una coppia appena formata, molto tenere tra loro in ogni pausa tra una lezione e l’altra. Di fronte ad un abbraccio ho chiesto da quanto stavano insieme e mi hanno risposto Sette anni.
 Erano in fase Ikea, stavano cercando casa per andare a vivere insieme. E’ stato lì che ho sentito che bisognava raccontare dell’amore che funziona, che dura, che vince. Che diventa un progetto di vita, una felicità possibile.


Lei, oltre a scrivere questo libro, è stata anche al pride milanese lo scorso giugno.
 Per quale motivo ha scelto di lottare per i diritti Lgbt?


Diciamo che quando incontro dei diritti violati mi arrabbio, a prescindere. Io i diritti li ho e li voglio per tutti. 
 Girando le scuole in tutta Italia dal 2012 con il libro "Non lo faccio più", che racconta dello stupro vissuto da chi lo subisce e da chi lo infligge, mi sono resa conto quanto tra ragazzi e ragazze delle superiori fosse ancora viva una omofobia lieve, non apparentemente violenta, di cui a volte non sono nemmeno consapevoli di soffrire.
 Qualcosa che conosco bene tra la mia generazione ma non pensavo così ancora interiorizzata tra i banchi di scuola. E’ stata questa esperienza di discussione nelle scuole che ha creato i presupposti dentro di me affinché affinché mi dicessi: ecco di cosa dobbiamo parlare, non di omofobia ma di amore. Se ti avvicini all’amore, all’omoaffettività, scopri che non ha niente di speciale, che è semplice e naturale come l’eteroaffettività, e l’omofobia si sgretola di conseguenza.


Venezia è stata protagonista di un caso che ha fatto molto clamore. Il sindaco ha infatti stilato una lista di 49 libri per bambini da ritirare dalle scuole in quanto portatori della fantomatica "teoria del gender". Cosa pensa, da scrittrice, di questa storia?


Già la parola censura mi fa venire i brividi, di per sè. Che poi si censurino dei libri -mi domando se avendoli letti- che raccontano ai bambini di amore e rispetto per gli altri e per se stessi, di cos’è l’identità, è inaccettabile in qualunque società.
Non mi basta l’alibi dell’ignoranza, non mi bastano le scuse. Questo è un atto gravissimo di non civiltà e proprio in una città che storicamente si è aperta al mondo e che accoglie il mondo.
Credo che l’allarmismo creato intorno a una inesistente teoria del gender dimostri soprattutto quanto, non avendo tempo per informarci, ci lasciamo influenzare da slogan e tecniche di manipolazione mediatica per quanto misere ancora efficaci.


Ne “L'altra parte di me” appaiono moltissimi piccoli episodi di omofobia sia all'interno della famiglia che da parte del mondo esterno, che purtroppo la stragrande maggioranza delle persone Lgbt ha sperimentato. Come è riuscita a immedesimarsi così bene in due adolescenti lesbiche?


Cristina Obber
 Sono una persona curiosa, sono sempre entrata nelle vite degli altri con grande empatia, e questa mia caratteristica mi viene in aiuto ogni volta che scrivo. 
 Ogni personaggio porta con sé un collage di emozioni ed esperienze che ho incontrato nella mia -lunga- vita relazionale.
  Conosco le difficoltà che hanno incontrato negli anni amiche lesbiche e amici gay miei coetanei, mi è capitato di raccogliere confidenze anche di giovanissime/i e che sono riaffiorate durante la stesura e si sono intrecciate con gli episodi di cui mi hanno parlato le due ragazze che hanno ispirato la storia. E poi quando scrivi tu diventi i tuoi personaggi, a me almeno accade così. Nel periodo di lavoro più intenso giravo per strada sentendomi una ragazza lesbica e innamorata, me ne rendevo conto all’improvviso, percepivo una sorta di confusione, piacevole e stimolante. Sono stata un’adolescente ribelle, sono una donna ribelle, conosco quella forza, mi appartiene. 
Quando ho scritto la scena in cui Francesca scrive Lesbica sul muro della sua stanza, in quella rivendicazione di sè, quella Francesca ero io. 


La famiglia di Francesca fa parte della buona borghesia e almeno apparentemente sembra molto politically correct. Quando però la figlia fa coming out, la loro reazione è fortemente negativa. Secondo lei perché molte famiglie che sembrerebbero preparate si dimostrano in realtà ostili?


La cosa più difficile, soprattutto da adulti, è ammettere le nostre contraddizioni
 Per questo i genitori li ho fatti di sinistra e colti, aperti e liberi soltanto a parole. Perché se non ci sforziamo di ascoltare il nostro ombelico e ammettere le nostre difficoltà continueremo a esserne vittime, come accade ad Valeria e Antonio, che rimangono spiazzati.
 Siamo generazioni cresciute con l’omofobia dentro, come ho scritto su un pezzo per il blog La27esima ora del Corriere della sera (http://27esimaora.corriere.it/articolo/mi-turbava-immaginare-due-uomini-che-si-baciano-vi-racconto-perche-non-e-piu-cosi/). 
 Ho voluto scavare molto nei sentimenti dei genitori proprio perché essere omofobi non è una colpa, la colpa sta nel non volerlo ammettere e ripartire da sé per diventare non solo genitori migliori ma persone più serene. Loro impiegano quattro anni a capire che l’amore della figlia non è una minaccia ma una benedizione. 
 Quattro anni di quella che nel libro chiamo la “fatica inutile”, una sofferenza per Francesca ma anche per tutta la famiglia che non aveva ragione d’essere. 
 Sono molti gli adulti che mi scrivono ringraziandomi per averli fatti riflettere sul loro essere eventualmente preparati a sentirsi fare coming-out dai figli. Molti ammettono di riconoscersi nelle difficoltà di Valeria e Antonio. Credo che i genitori di domani saranno migliori rispetto a questo, meno stereotipi, più modelli di riferimento, significa meno paura e maggiore serenità per tutti.


Lei ha portato il suo libro in giro per moltissime presentazioni in Italia. Quali sono state le reazioni dei lettori e delle lettrici? C'è qualche storia che l'ha colpita in particolar modo?


Le reazioni sono le più diverse. Mi piace quando ragazze lesbiche o ragazzi gay si fanno autografare il libro chiedendo una dedica per la mamma, o quando dei nonni lo vogliono regalare ai nipoti perché nel libro il personaggio della nonna sottolinea come anche quanto questi legami siano fondamentali nel percorso di crescita di un’adolescente.
Mi ha commosso un padre, a Torino, che mi ha chiesto la dedica al figlio diciannovenne che aveva appena fatto coming out. 
 Questo padre parlava con gli occhi lucidi: “Mio figlio me l’ha detto solo adesso, ma lo ha capito quando aveva 11 anni. Sto malissimo per non averlo saputo prima, perché per me non sarebbe stato un problema, ma lui aveva paura a dirlo e io non gli sono stato vicino in tanti anni in una cosa così importante”.
 Non parlarsi può anche significare negarsi una felicità già a disposizione.


In Italia, l'editoria per giovani adulti a tematica Lgbt, non è ancora così diffusa, come ad esempio, negli Usa. Lei ha avuto difficoltà nel pubblicare “L'altra parte di me”? Pensa che le cose cambieranno?


Piemme ha accolto subito con favore questa storia fin dai primi capitoli, volevano sapere cosa sarebbe successo a questo amore, hanno condiviso il senso che volevo dare al libro. 
C’è stato qualche tentativo di censura per le pagine in cui si racconta la prima volta tra le due ragazze, ma questo perché non siamo abituati a rapportarci con la sessualità lesbica e c’era timore di creare turbamento. Alla fine hanno compreso le mie ragioni e la delicatezza con cui ho raccontato la passionalità tra le ragazze non fa che restituire un’immagine di sessualità autentica e semplice, lontana dagli stereotipi sessisti alimentati dai tabù. 
Qualche problema si riscontra in libreria, dove un libro così viene difficilmente consigliato perché considerato di nicchia, adatto soltanto ad un pubblico omosessuale, mentre è rivolto, come ogni storia d’amore, a chiunque. Le cose stanno cambiando, ma a passi troppo piccoli.


Tra i suoi libri precedenti ce n'è un altro che mette al centro un forte scontro generazionale su una tematica fondamentale: le differenze culturali che ci sono tra le prime e le seconde generazioni di migranti. 
 Si tratta di “Siria mon amour”, che parte da una storia vera. Com'è nata l'idea di questo libro?


Siria mon amour è tratto dalla storia vera di Amani El Nasif, una ragazza italo-siriana che a 16 anni è stata portata in Siria con l’inganno per un matrimonio combinato a cui si è ribellata. Conoscevo Amani fin da quando era bambina, non è stato difficile riuscire a immedesimarmi nel suo dolore per raccontarlo. 
L’ho rivista dopo anni, mi ha detto in poche parole cosa le era successo in Siria e io le ho detto subito "Queste cose bisogna raccontarle, non devono più accadere, devi scrivere un libro". Lei ha risposto "Ma io non so scrivere" e io le ho detto "Ma io sì". E così abbiamo cominciato ad incontrarci, soprattutto in skype. 
 E’ stato un lavoro bellissimo anche se emotivamente molto faticoso; iniziavo un capitolo ricordando qualcosa che mi aveva raccontato e a volte mentre scrivevo mi scendevano le lacrime. Poi le spedivo il testo e piangeva anche lei, mi chiedeva come avevo fatto a trovare le parole. 
 Quando scrivi il tuo personaggio diventi tu, ma lei esisteva, da piccola era la migliore amica di mia figlia Giulia, le volevo bene, il suo dolore era diventato mio. 


Come mai ha deciso di dedicare la sua scrittura a temi di stampo sociale e civile?


Non l’ho deciso, è accaduto. Non lo faccio più è nato un pomeriggio in auto, da una notizia alla radio di uno stupro di gruppo tra minorenni. Mi sono detta Forse ai ragazzi non glielo abbiamo spiegato bene cosa significa subire una violenza così grande, forse se glielo spieghiamo con le parole di una ragazza che lo sa, non lo faranno più. In quel momento mi sono chiesta cosa restasse addosso ai maschi dopo, e così ho pensato che avrei voluto incontrarli in carcere.


In cinque minuti avevo tutto il libro in testa.

Come Siria non amor tutto è partito da un moto di rabbia nella pancia. 
Questi tre libri in fondo sono legati da un filo che si chiama ribellione. Quella delle ragazze, la mia. 


Ci sono progetti letterari prossimi venturi?


Ho tre cose che scalpitano, sono in modalità ascolto per capire a quale voglio dare spazio per prima. "Siria non amour" l’ho iniziato nell’estate 2011 in Corsica. L’altra parte di me nel 2013 a Formentera. Entro la fine dell’estate avrò la mia risposta.


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